di Alberto Alpozzi
Le opere italiane realizzate nelle colonie italiane non si contano: più che altro sconosciute perchè spesso taciute da una vulgata di stampo marxista che ha voluto cancellare l’ingegno e l’intraprendenza italiana, in tutti i campi, soprattutto in quello sperimentale, facendo degli italiani invece dei precursori.
Ne è esempio lampante l’intuizione sul finire degli anni ’20 del governatore della Somalia italiana, Guido Corni, che osservando “la notevole intensità e la caratteristica regolarità dei venti, che battono la costa della Somalia e in direzione costante secondo i periodi dell’anno” suggerì “l’opportunità di eseguire un importante esperimento per lo sfruttamento di questa forza naturale per la produzione di energia elettrica, realizzando tale produzione in modo tanto più conveniente in quanto normalmente si deve ricorrere a generatrici termiche molto costose.”
Fece così realizzare nel 1930 a Chisimaio, ad opera della ditta specializzata in accumulatori del dott. Scaini, con sede in viale Monza 340 a Milano, il primo impianto eolico delle Colonie italiane.
Il futuristico sistema eolico era un aeromotore, posto su di un traliccio di ferro alto 25 metri, con quattro pale di 11,50 metri di diametro, che per mezzo di due timoni laterali, venivano costantemente orientate contro la direzione del vento. Ogni pala era composta da nove settori che con un apposito dispositivo potevano aprirsi e chiudersi, in modo da offrire una pressione variabile alla resistenza del vento per regolarizzare il moto.
L’aeromotore, a sua volta, azionava una dinamo per mezzo di un sistema moltiplicatore con un rapporto da 30 a 1. Appena raggiunti i 750 giri al minuto la dinamo caricava una batteria di 60 accumulatori, fino ad avere il massimo rendimento a 1.500 giri, dove con una tensione di 150 volt produceva una corrente di 67 amp. con una potenza di 10 kw.
Le opere italiane realizzate nelle colonie italiane non si contano: più che altro sconosciute perchè spesso taciute da una vulgata di stampo marxista che ha voluto cancellare l’ingegno e l’intraprendenza italiana, in tutti i campi, soprattutto in quello sperimentale, facendo degli italiani invece dei precursori.
Ne è esempio lampante l’intuizione sul finire degli anni ’20 del governatore della Somalia italiana, Guido Corni, che osservando “la notevole intensità e la caratteristica regolarità dei venti, che battono la costa della Somalia e in direzione costante secondo i periodi dell’anno” suggerì “l’opportunità di eseguire un importante esperimento per lo sfruttamento di questa forza naturale per la produzione di energia elettrica, realizzando tale produzione in modo tanto più conveniente in quanto normalmente si deve ricorrere a generatrici termiche molto costose.”
Fece così realizzare nel 1930 a Chisimaio, ad opera della ditta specializzata in accumulatori del dott. Scaini, con sede in viale Monza 340 a Milano, il primo impianto eolico delle Colonie italiane.
Il futuristico sistema eolico era un aeromotore, posto su di un traliccio di ferro alto 25 metri, con quattro pale di 11,50 metri di diametro, che per mezzo di due timoni laterali, venivano costantemente orientate contro la direzione del vento. Ogni pala era composta da nove settori che con un apposito dispositivo potevano aprirsi e chiudersi, in modo da offrire una pressione variabile alla resistenza del vento per regolarizzare il moto.
L’aeromotore, a sua volta, azionava una dinamo per mezzo di un sistema moltiplicatore con un rapporto da 30 a 1. Appena raggiunti i 750 giri al minuto la dinamo caricava una batteria di 60 accumulatori, fino ad avere il massimo rendimento a 1.500 giri, dove con una tensione di 150 volt produceva una corrente di 67 amp. con una potenza di 10 kw.
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Nei
primi sei mesi, durante la messa a punto sperimentale, dei 15.850 Kw/h
erogati per la città di Chisimaio, ben 11.500, e cioè circa il 72%
furono prodotti dall’impianto aeroelettrico con evidenti vantaggi
economici e con la dimostrazione pratica dell’utilità di questi impianti
nelle città litoranee della Somalia.
Vengono facilmente in mente le parole di un “osservatore esterno” dell’epoca, il giornalista e scrittore britannico Evelyn Waugh: «L’idea di conquistare un Paese per andarci a lavorare, di trattare un impero come un luogo dove bisognava portare delle cose»,
anziché depredarlo, è l’innovazione del colonialismo italiano,
profondamente diverso da quello inglese e francese ma soprattutto da
quello faziosamente contrabbandato dalla storia nostrana. Non per nulla
in Etiopia, cambiando nazione, ma rimanendo sempre nell’Impero “fascista”, quando gli inglesi rimisero Hailè Selassiè sul trono di Addis Abeba, ringraziò gli italiani di avergli restituito un paese migliore di quello che aveva lasciato.
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TRATTO DA:
https://italiacoloniale.com/2015/12/01/opere-italiane-sperimentali-nella-somalia-del-1930/?fbclid=IwAR3jIeuxIPFCOYxsvqJrnLWHTmduorN0o9-LtpmTFFI6Es_EeqJuKnAbW_k
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