mercoledì 24 aprile 2019

PERTINI: PICCOLO UOMO, GRANDE IMPOSTORE.


Nella “repubblica nata dai valori della resistenza” è consuetudine più che consolidata considerare uomo retto,  ammirevole e addirittura eroico chiunque si sia dichiarato contrario al governo mussoliniano.
In questo Paese l’antifascismo è condizione necessaria e sufficiente per un riconoscimento, per un attestato di stima.
Un dato che la dice lunga sulla consistenza della cultura e della politica impregnate dai valori della resistenza, (che poi non si è mai capito quali siano).
Non hai nulla da dire o da proporre? Non importa; conta solo essere antifascista, demolire e non costruire.
E’ il caso di Sandro Pertini, un “eroe della resistenza”, praticamente un santo in terra nell’Italia del secondo dopoguerra.
L’hanno definito addirittura “il Presidente di tutti gli italiani”.

Signori, per favore, siamo seri!
Non dico sempre, ma almeno una volta tanto. 

Non magnifichiamo qualcuno che non ha avuto meriti particolari, se non l’astuzia di cavalcare la cresta dell’onda antifascista.
Chi era infatti costui?
Le cronache della sua gioventù lo descrivono come un attivista, un agitatore sociale sempre pronto ad alimentare il fuoco dell’odio politico e di classe, in un’epoca già piuttosto violenta di suo, (mi riferisco in particolare al “Biennio Rosso”). Vedere per credere!
Nel 1924 fu condannato alla pena detentiva per stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia, fattispecie previste dal codice Zanardelli, (codice sabaudo, non fascista, che verrà modificato da Mussolini solo dal dicembre 1925).

Non contento della condanna ricevuta, continuò  la sua attività, sino a guadagnarsi il confino previsto dalle “leggi fascistissime”. 

Esiliato, rientrerà in Italia: nuovo processo e nuova condanna.

Alla difesa in Tribunale, preferì dare spettacolo rifiutando le lettere della madre, scritte in sua difesa.
Ma è dopo il carcere che Pertini diede il “meglio” di sé.
Partecipò alla resistenza, raggiungendo i vertici del C.L.N. .
Alla testa dei suoi uomini provocò un’orgia di sangue: condanne capitali,(più di quelle comminate a seguito della reintroduzione della pena di morte durante il Fascismo), esecuzioni sommarie ed eccidi.
Non va dimenticata poi via Rasella, che Pertini non fece nulla per evitare.

Su quei fatti disse:
« Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola» .

Insomma, che importa se si trattavano di poliziotti tornati da un addestramento e, come tali, probabilmente male armati, se non completamente disarmati.
L'importante era uccidere, sterminare.
Come se non bastasse, conferì a Bentivegna, (autore materiale dell’attentato), la medaglia d’oro al valor militare.
L’atrocità, l’idiozia e l’assurdità della scelta è sottolineata dalla reazione che provocò in Giuseppe Palumbo, generale della Folgore, rimasto fedele al Re dopo l’8 settembre.
Quando seppe della consegna della medaglia a Bentivegna, Palumbo restituì al presidente tutte le sue medaglie (ed erano parecchie).

Evidentemente, essere accomunato a certi criminali lo offendeva…
Nel curriculum di Pertini, però, alle atrocità d’armi si uniscono quelle civili.
Appena eletto Presidente, nel 1978, “concesse la grazia a quel Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all’ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, dandogli manforte, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all’ergastolo per i fatti di Porzûs avrebbe dovuto scontare anche trent’anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale fatto e finito, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata «legge Mosca», elargiva persino la pensione
[1].

Ciò che crea più sdegno, tuttavia, è senz’altro la vicenda legate alle Foibe.
Il silenzio di Pertini fu vergognoso e connivente.

Mentre migliaia di Italiani cadevano, vittime della ferocia comunista, lui contribuiva  a sostenere il muro dell’omertà e la congiura del silenzio.

E dire che, (come denunciato più volte dall’encomiabile prof. Marco Pirina), il governo di quegli anni, oltre a ricevere Tito a Roma, pagava addirittura milioni di lire perché la Jugoslavia trattenesse nelle sue galere i nostri prigionieri.
Addirittura,  lo Stato Italiano eroga tutt’oggi la pensione, con reversibilità del 100%, agli esecutori materiali degli “infoibamenti”.
Come mai Pertini, (né alcuno di quelli che l'hanno preceduto), non disse nulla di tutto ciò?

Semplice: era un socialista di sinistra ed un acceso antifascista; evidentemente condivideva l’operato slavo.

Ipotesi che viene avvalorata da ciò che Pertini fu capace di fare durante il funerale del Maresciallo Tito: partecipare in maniera assolutamente commossa, baciando il feretro del boia di migliaia di veri Italiani e la bandiera slava, sotto la quale essi erano stati massacrati.
UNA VERGOGNA INFINITA!
In molti lo ricordano per il Mundial 1982 e per la sua partita a scopa con Bearzot.
Spero che almeno abbia vinto quella partita: sarebbe l’unica cosa degna della sua vita!
Prima di lasciarvi, vi allego un articolo tratto da “La stanza di Montanelli”.
Lo ritengo un’autentica chicca che dimostra, ancora una volta, l’assoluta faziosità e la leggerezza con cui si insegna la storia in Italia.
Buona lettura.

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