Il fatto che un regista italiano di film porno abbia
potuto girare una pellicola hard su una delle pagine più mostruose
vissute dalla nostra popolazione civile durante la Seconda guerra
mondiale, offre la caratura di quanto questi misfatti siano stati
rimossi dalla coscienza morale collettiva. L’episodio del remake porno
de La Ciociara di Vittorio De Sica, che ha
suscitato un’interrogazione parlamentare e una lettera pubblica al
premier Gentiloni, offre piuttosto l’occasione di raccontare, documenti
alla mano, tutta la verità relegata per oltre settant’anni nei
sotterranei della storia, indicando i numeri reali, i colpevoli e i
personaggi di primissimo piano - tra cui lo stesso Charles De Gaulle -
che ne furono i diretti responsabili.
l film “La ciociara”
“Marocchinate”: con questo termine si sono tramandati gli
stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere
perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli
Alleati, ai danni della popolazione italiana, dei prigionieri di guerra e
perfino di alcuni partigiani comunisti. La storiografia tradizionale,
le poche volte che ne ha trattato, ha circoscritto questi orrori a
qualche centinaio di episodi verificatisi nell’arco di un paio giorni
nella zona del frusinate. Le proporzioni, tra numeri e gravità dei
fatti, furono di gran lunga superiori. E a breve – lo annunciamo in
esclusiva - sarà aperto un procedimento penale internazionale, ai danni
della Francia, per iniziativa di un avvocato romano.
Soldati nordafricani del Cef
1 Cos’era il CEF
Nel 1942, gli americani sbarcano ad Algeri e le truppe
coloniali francesi del Nord Africa, fino ad allora agli ordini della
repubblica filonazista di Vichy, si arrendono senza sparare un colpo. Il
generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi
e capo del governo francese in esilio “Francia libera”, allora, attinge
a questo personale militare per creare il Cef: Corp Expeditionnaire
Français, costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e
per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini
ripartiti in quattro divisioni. Vi erano però dei reparti esclusivamente
marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui soldati provenivano
dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti “tabor” in
cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano in tutto
7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una tunica
di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di
corda. Erano equipaggiati non solo con le armi alleate (mitra Thompson
cal. 45 mm e mitragliatrice Browning 12.7 mm) ma anche con il tipico
pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza,
tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti
(in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese). Il loro comandante
era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in Algeria che, da
collaborazionista dei nazisti, era passato alle dipendenze di De Gaulle.
2 Primi impieghi, prime violenze
Gli stupri delle truppe marocchine cominciano già nel
luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli 832 magrebini del 4°
tabor aggregato agli americani che sbarcano a Licata, compiono saccheggi
e violentano donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino Troina.
Come riporta lo storico Michelangelo Ingrassia, i siciliani reagirono
uccidendone alcuni con doppiette e forconi.
Il 16 maggio 1944, a Polleca, De
Gaulle, con il generale Juin, quarto da sinistra. In secondo piano, in
borghese, il Ministro della Guerra
3 I marocchini aggirano Cassino risalendo i monti
Come noto, gli Alleati, risalendo l’Italia senza troppe
difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i
tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu il generale Juin, sin
dall’inizio, a proporre ai colleghi statunitensi Clark e Alexander
l’aggiramento del caposaldo nemico. Dopo tre battaglie sanguinosissime e
prive di risultato gli Alleati avallarono la proposta di Juin il quale
aveva scoperto che il monte Petrella, a est di Cassino, era stato
lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le
sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela. Infatti, con
l’operazione “Diadem” (l’ultimo assalto collettivo degli Alleati) i
goumiers riuscirono a sfondare la Linea Gustav e, attraversando
l’altipiano di Polleca, si lanciarono verso Pontecorvo.
Kesselring, comandante tedesco in Italia, per tamponare lo
falla, inviò i suoi Panzegrenadieren insieme a reparti italiani della
Rsi, (Gnr di Frosinone) i quali, dopo accaniti combattimenti, dovettero
soccombere. E’ accertato che gli ultimi soldati tedeschi rimasti a
Esperia si suicidarono gettandosi da un burrone per non finire
decapitati come altri loro commilitoni catturati. Questo avveniva mentre
i marocchini cominciavano a violentare moltitudini di donne, uomini e
bambini sull’altopiano di Polleca.
Il generale Alphonse Juin
4 La popolazione non comprende il pericolo
Sebbene siano conosciuti i manifesti della propaganda
fascista (alcuni disegnati da Gino Boccasile) che mettevano generalmente
in guardia la popolazione dalle truppe di colore alleate, il partigiano
e storico ciociaro Bruno D’Epiro racconta che già prima della battaglia
di Esperia un ricognitore tedesco aveva lanciato sui monti Aurunci
volantini che incitavano la popolazione a fuggire dalle prevedibili
violenze delle truppe nordafricane. Molti bambini furono evacuati dalla
Guardia Nazionale Repubblicana e inviati nelle colonie di Rimini, ma la
maggior parte della popolazione ciociara, stanca della guerra, si limitò
ad aspettare, con rassegnato distacco, il passaggio dei liberatori.
Scriveva Renzo De Felice che “l’8 settembre aveva fatto perdere agli
italiani qualsiasi volontà di partecipare attivamente alle vicende
belliche”. Alberto Moravia, all’epoca sfollato nel frusinate, ne “La
Ciociara”, descrive bene questo sentimento di rassegnata apatia facendo
dire alla protagonista: ”Per noi bisogna che qualcuno vinca sul serio,
così la guerra finisce”.
5 Comincia l’inferno
Alla ritirata dei nazifascisti, vari paesi della Ciociaria
vennero occupati dai franco-coloniali del Cef. Questo fu l’inizio di un
assurdo calvario. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise,
e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Dai verbali
dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche
“due bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i
marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle
dovettero soddisfare un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece,
abusarono di una sessantenne. A Esperia furono 700 le donne violate su
una popolazione di 2.500 abitanti. Anche il parroco, don Alberto
Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un
albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo per le
lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con
la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata. A Polleca si
erano rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e
bambini in un campo provvisorio. Qui si toccò l’apice della bestialità.
Luciano Garibaldi scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume
furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono
sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. Una
testimonianza, da un verbale dell’epoca, descrive la loro modalità
tipica: “I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non
venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la Rocca con il
calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi,
quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e
violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato,
malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero
arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato
rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi”. Riportiamo
solo alcune di queste atrocità per fornire un’idea di massima.
Civili in Ciociaria
6 Malattie veneree, orfani e suicidi
I comuni coinvolti nel Lazio furono anche Pontecorvo,
Campodimele, S. Oliva, Castro dei Volsci, Frosinone, Grottaferrata,
Giuliano di Roma e Sabaudia. Migliaia furono le donne contagiate da
sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e spesso contagiarono i
loro legittimi mariti. Così come migliaia furono quelle ingravidate: il
solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la guerra, circa 400
bambini nati da quelle unioni forzose. Molte delle donne “marocchinate”
furono poi scansate dalla comunità, a causa dei pregiudizi di allora,
ripudiate dalle famiglie e, a centinaia, finirono suicide o relegate ai
margini della società. Una scia di sofferenze fisiche e psicologiche,
quindi, che si trascinò per decenni.
7 Colpevoli anche i soldati francesi bianchi
Non solo truppe di colore. Da documenti dell’Archivio
Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono
alle violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne (di cui nove
minorenni) da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Dato questo
episodio e considerando che francesi europei costituivano il 40% di
tutto il Cef, risulta limitativo addossare la responsabilità delle
violenze ai soli goumiers marocchini. Anche gli americani sapevano di
questi fatti: solo in un paio di casi tentarono debolmente di frenare i
goumiers. Scrive Eric Morris in “La guerra inutile” che, ancora vicino a
Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria americana
provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia
intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i
goumiers”.
8 I comandanti non intervengono, fino in Toscana
Massimo Lucioli, co-autore, insieme a Davide Sabatini, del
primo completo studio sulle marocchinate “La ciociara e le altre”
(1998), spiega: “Dato il coinvolgimento dei bianchi, non presenti nei
reparti goumier, si può affermare che i violentatori si annidavano in
tutte e quattro le divisioni del Cef. Forse anche per questo, gli
ufficiali francesi non risposero ad alcuna sollecitazione da parte delle
vittime e assistettero impassibili all’operato dei loro uomini. Come
riportano le testimonianze, quando i civili si presentavano a denunciare
le violenze, gli ufficiali si stringevano nelle spalle e li liquidavano
con un sorrisetto”. Questo atteggiamento perdurò fino all’arrivo in
Toscana del Cef. Qui ricominciarono le violenze a Siena, ad Abbadia S.
Salvatore, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico
d’Orcia, Colle Val d’Elsa. Perfino membri della Resistenza dovettero
subire gli abusi. Come testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: ”Ad
Abbadia contammo ben sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto
gli occhi dei loro familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la
nostra staffetta. Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu
poi violentato da sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre
proteste, risposero che era tradizione delle loro truppe coloniali
ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.
9 50 ore? Il proclama di Juin
Infatti, un comunicato attribuito al generale Juin ai suoi
uomini, recita: ““Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle
vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del
nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è
dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i
tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho
detto è promesso e mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti
di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che
farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete”. L’autenticità
di questo proclama è stata spesso messa in dubbio, ma Juin, come si
legge nei trattati giurisprudenziali dell’epoca, poteva riferirsi
legittimamente a una antica norma del diritto internazionale di guerra
che prevedeva il “diritto di preda bellica”, tra cui lo stupro. Tant’è
che le vittime furono, in fretta e furia, dopo la guerra, risarcite con
minimi compensi economici solo attraverso un procedimento
amministrativo, invece che dopo un regolare processo penale. Gli
indennizzi furono erogati prima dai francesi e poi dallo Stato italiano.
Con ottime probabilità, il proclama di Juin è, quindi, da ritenersi
autentico.
Secondo Lucioli, questo discorso fu poi diffuso ad arte per
limitare nello spazio-tempo le violenze che, de facto, durarono ben più
di 50 ore: dal luglio ’43 all’ottobre ’44 quando i franco-coloniali
lasciarono l’Italia e si imbarcarono per la Provenza ancora occupata dai
nazisti. Solo nell’imminenza del ritorno in Francia, alcuni dei
violentatori furono puniti. Un partigiano della brigata rossa “Spartaco
Lavagnini” ricorda: “Sei marocchini vennero fucilati sul posto perché
avevano violentato una donna. Il capitano (francese n.d.r.) ebbe a
dirmi: “Questa gente sa combattere benissimo, però meno ne riportiamo in
Francia, meglio è”. Poco prima che i marocchini toccassero il suolo
provenzale, i loro comandanti, quindi, avevano deciso di riportarli
severamente all’ordine tanto che non si registrarono mai violenze ai
danni di donne francesi. Una volta in Germania meridionale, invece,
potranno dare nuovamente sfogo ai loro istinti sulle donne tedesche,
come riportano alcuni recenti studi. Segno, quindi, che le efferatezze
di queste truppe avrebbero potuto essere certamente controllate e
disciplinate.
Un reparto di Goumiers marocchini
10 Le responsabilità di De Gaulle
Un fenomeno di queste dimensioni che si è protratto per
dodici mesi, in mezza Italia, che ha interessato un numero elevatissimo
di persone, non poteva essere sottaciuto o nascosto ai comandanti. “E’
evidente – continua Lucioli - che vi sono responsabilità a livello
gerarchico-militare e politico mai indagate. Innanzitutto, i generali di
divisione del CEF : Guillaume, Savez, de Monsabert, Brosset e Dody i
quali, non solo non hanno impedito le violenze, ma le hanno incentivate:
prima dell’attacco in Ciociaria, infatti, le truppe coloniali erano
state tenute consegnate in recinti di filo spinato, lontano dai loro
bordelli, evidentemente, per aumentarne l’aggressività. Ma il principale
responsabile della barbarie è da ricercarsi, per un principio di
responsabilità gerarchica, nel comandante in capo di Francia libera,
Charles De Gaulle, che – è provato – durante il culmine delle violenze,
si trovava, insieme al suo Ministro della Guerra André Diethelm, proprio
a Polleca presso il casolare del barone Rosselli, eletto a quartier
generale avanzato del Cef. Vi sono fotografie inoppugnabili e anche un
suo discorso che tenne, in loco, in quei giorni. Le violenze accadevano,
quindi, sotto ai suoi occhi”.
Va anche ricordato che, quando alcuni marocchini a Roma
violarono due donne e le gettarono poi da un treno in corsa,
uccidendole, l’”Osservatore romano” e “Il Popolo” aprirono una accesa
polemica, denunciando chiaramente le violenze che si verificavano
ovunque i marocchini si fossero accampati. A questi rispose il giornale
delle truppe francesi in Italia “La Patrie”, minimizzando l’accaduto.
Ancora una volta, quindi, De Gaulle non poteva non sapere. Impossibile
pensare, anche, che i comandanti alleati ignorassero quegli eventi.
11 I numeri delle vittime
Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Vittime delle
Marocchinate, fornisce i numeri di questo massacro: “Nella seduta
notturna della Camera del 7 aprile 1952 la deputata del PCI Maria
Maddalena Rossi denunció che solo nella provincia di Frosinone vi erano
state 60.000 violenze da parte delle truppe del generale Juin. Dalle
numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono
20.000 casi accertati di violenze, numero del tutto sottostimato;
diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne
violentate, che si erano fatte medicare, sia per vergogna o per pudore,
preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle
violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate alle porte di
Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un minimo di
60.000 donne stuprate, ognuna, quasi sempre da più uomini. I soldati
magrebini, ad esempio, mediamente violentavano in gruppi da due o tre,
ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e
300 uomini. Oltre alle violenze carnali , vi furono decine di migliaia
di richieste per risarcimenti a danni materiali: furti, incendi,
saccheggi e distruzioni”.
Mezzi tedeschi distrutti sulla strada di Esperia
12 La rimozione storica
Nonostante le pubblicazioni del professor Bruno D’Epiro,
cittadino di Esperia che fu il primo, a livello locale, a interessarsi
in maniera organica a questi misfatti, a parte qualche articolo
successivo e qualche raro documentario, la storiografia nazionale ha
lasciato pressoché unicamente al film di Vittorio De Sica “La Ciociara”,
il difficile ruolo di trasferire al grande pubblico qualcosa sulle
marocchinate. Fino agli anni ’90, poi, come scriveva al sindaco di
Esperia lo storico belga Pierre Moreau, nulla del genere era mai apparso
sulla letteratura storica in lingua inglese, francese e olandese. La
memoria di queste aberrazioni è, tuttavia, ancora una ferita aperta nei
luoghi che furono colpiti. Nel 1985, a Esperia, fu organizzata una
manifestazione di riconciliazione tra tutti i reduci della guerra. Solo i
francesi non furono invitati, in quanto espressamente “non graditi”. Il
cimitero di guerra di Venafro, che ospita i caduti del Cef, sovente,
ancor oggi, vede la propria insegna marmorea imbrattata di vernice da
mani ignote.
13 Il prossimo procedimento legale ai danni della Francia
L’avvocato romano Luciano Randazzo, già noto per aver fatto
riaprire casi riguardanti le Foibe e l’esecuzione di Mussolini,
dichiara: “Anni fa assistetti una povera signora che, durante la guerra,
era stata “marocchinata” ed ebbi modo di conoscere da vicino quei
drammi: era tutta povera gente. Nel 2003, una tv francese mi intervistò,
valutando se si potesse intraprendere un’azione legale verso
l’Associazione d’arma dei goumiers “Koumia”. Fino ad oggi, cosa ha fatto
lo Stato italiano per chiedere i giusti risarcimenti ai francesi?
Nulla. Ecco perché, a breve presenterò un ricorso presso il Tribunale
Militare di Roma e presso la Corte internazionale, ai danni della
Francia”.
La storia delle marocchinate non è ancora chiusa.
TRATTO DA:
https://www.lastampa.it/2017/03/16/cultura/la-verit-nascosta-delle-marocchinate-saccheggi-e-stupri-delle-truppe-coloniali-francesi-in-ciociaria-stDjcmY65lqhNlHtQjfyLL/pagina.html?fbclid=IwAR1e5TU40z1iqlF0W-bGAiH5uH2587m0F5dC37CbxxEQiiBvaVxqtWqMXg0
TRATTO DA:
https://www.lastampa.it/2017/03/16/cultura/la-verit-nascosta-delle-marocchinate-saccheggi-e-stupri-delle-truppe-coloniali-francesi-in-ciociaria-stDjcmY65lqhNlHtQjfyLL/pagina.html?fbclid=IwAR1e5TU40z1iqlF0W-bGAiH5uH2587m0F5dC37CbxxEQiiBvaVxqtWqMXg0
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