Raimondo Gatto ha scritto un interessante libro intitolato Zingari antichi e moderni. Lo scandalo della verità (Reggio Emilia, Edizioni Radio Spada, 2016)1.
Penso sia utile studiarlo per capire il “misterioso” mondo degli
zingari che ci circonda, di cui poco si conosce e che in questi tempi di
immigrazioni di massa può causare non pochi problemi di convivenza nei
nostri Paesi già tanto provati da forti crisi economiche e
dall’invasione continua di immigrati clandestini e di islamici, che
stanno sconvolgendo la nostra esistenza.
Il
libro è molto ben documentato, si basa su una vasta bibliografia
scientifica per nulla influenzata da pregiudizi razziali e se l’Autore
cita qualche studioso troppo partigiano o eccessivamente nemico del
mondo zingaro lo dice chiaramente e fa capire che le loro asserzioni non
possono essere prese senza il dovuto discernimento.
Il
libro tratta della natura degli zingari, della loro origine geografica
ed etnica, della loro venuta in Europa, delle espulsioni e persecuzioni
che essi hanno subìto nel corso delle epoche. Inoltre studia la
psicologia e la personalità degli zingari, i loro costumi morali, il
problema dell’accattonaggio, il loro rapporto col lavoro, la
stabilizzazione in un determinato luogo e le loro credenze religiose. A
partire da questo quadro ci si può fare un’idea precisa dell’oggetto
(“la questione degli zingari”) studiato nel libro, capirne meglio la
reale natura ed eventuali distorsioni di comportamento, che potrebbero
essere pericolose per chi è del tutto sprovveduto su tale argomento ed
ingenuamente pensa di poter convivere pacificamente con un mondo che
rifiuta i princìpi della nostra civiltà, come vedremo in séguito.
La natura del popolo zingaro
In
Italia nella prima metà del Quattrocento comparvero le prime carovane
di zingari provenienti dai Balcani, ma i nostri antenati non riuscirono a
capire con precisione chi fossero realmente e cosa volessero (cfr. F. Predari, Origine e vicende degli zingari, 1841, II ed., Bologna, Forni, 1997).
Francesco
Predari spiega che il fenomeno zingaro non è supportato da
testimonianze storiche, né da documenti di qualsiasi genere. Essi non
hanno posseduto una lingua scritta, ma solo un idioma parlato. Quindi
quel poco di notizie che abbiamo su di loro sono state attinte dagli
Annali delle varie Nazioni che li hanno ospitati come viandanti.
Conseguentemente
Raimondo Gatto osserva che gli zingari non manifestano interesse per la
loro storia e che le numerose leggende, raccolte dagli ziganologi,
hanno un carattere favolistico e son prive di riferimenti cronologici e
riscontri oggettivi (Zingari antichi e moderni. Lo scandalo della verità, cit., pp. 13-14).
La
studiosa americana Isabel Fonseca, pur essendo filo-zigana, scrive che
l’ostacolo principale, che impedisce di ricostruire una storia seria
degli zingari attraverso le loro testimonianze è il seguente: “Gli
zingari mentono. Mentono un sacco, più di frequente e con maggiore
inventiva di qualunque altro popolo” (Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom, Milano, Sperling & Kupfer, 1999, p. 12).
Inoltre
gli zingari per difendersi da ogni possibile repressione fanno
attenzione a “rivelare il meno possibile della propria lingua e dei
propri costumi” (E. Robotti, Zingari e Galè al campo sosta di Molassana, Roma, Prospettiva Edizioni, 1996, pp. 28-29).
Vincenzo
De Florio scrive: “Se ponete loro delle domande, ne otterrete spesso
delle risposte fantasiose o false…, talora il silenzio” (Zingaro mio fratello, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1986, p. 45).
L’origine degli zingari
A
partire dal XV secolo era comunemente diffusa l’opinione che gli
zingari fossero d’origine egiziana, perché loro stessi lo avevano detto
ai popoli dell’Europa centrale presso i quali iniziavano allora a
penetrare. Tuttavia nel XVIII secolo quando gli inglesi si stabilirono
nell’attuale India-Pakistan e Bangla Desh, “gli studiosi scoprirono
numerose assonanze tra alcuni dialetti indiani e il frasario zingaresco”
(R. Gatto, cit., p. 15).
Nella fine del Settecento lo studioso tedesco Heinrich Moritz Gottlieb Grellmann pubblicò il primo trattato (Historisher Versuch uber die Zigeuner, 1782; tr. francese Histoire des Bohémiens ou Tableau de moeurs, usage et coutumes de ce peuple nomade, Parigi,
Chàumerot, 1810) completo e scientificamente documentato sull’origine e
i costumi degli zingari. Secondo Raimondo Gatto quest’opera di
Grellmann è ancora attuale e non si può prescindere da essa, se si
scrive sul problema degli zingari; anche se il Grellmann è mal visto dai
filo-zigani poiché il suo lavoro è oggettivo e scientifico e non
contiene nessun elemento ideologico filo-zigano e terzomondista
“politicamente corretto”.
Ciò
che sembra storicamente più certo sull’origine degli zingari lo si
deduce da due documenti di due autori persiani: lo storico Hamzah
d’Isphan (950 d. C.) e il poeta Firdusi (1011 d. C.). “Entrambi narrano
di una popolazione che in India praticava con perizia l’arte della
metallurgia, ma ancor più eccelleva in maestria nella musica e nella
danza” (R. Gatto,
cit., p. 17). François de Vaux de Foletier, che è un’autorità in
materia, scrive: “i testi di Hamzah e di Fidursi non devono essere
considerati come testi storici, ma come letterari e leggendari. Tuttavia
ci sono preziosi perché sono le prime testimonianze scritte riguardo ad
un popolo venuto dall’India in Persia prima del X secolo” (Mille anni di storia degli zingari, Milano, Jaca Book, 1990, pp. 42-43).
Inoltre
si sostiene che essi fuggirono dalla Persia, quando questa fu
conquistata dai musulmani e si sarebbero diretti in parte nel Caucaso e
in parte nell’Impero bizantino e siano giunti nei Balcani, stanziandosi
nell’attuale Romania (R. Gatto, cit., pp. 18-19).
“Pellegrini” egiziani?
Interrogati da dove venissero e chi fossero rispondevano di essere originari dell’Egitto
e che Dio li aveva puniti, inviandoli quali “pellegrini errabondi nel
mondo”, per espiare il peccato dei loro antenati di aver dato
un’accoglienza poco ospitale a Gesù bambino e alla Sacra Famiglia. Ora
questa risposta “è una fiaba, inventata apposta per ingannare i creduli
cristiani. Comunque i preti ungheresi, i devoti cristiani, la regina
Maria e il re Sigismondo si trovarono soddisfatti di questa risposta e
vedendoli miserabili e bisognosi offrirono loro ospitalità e
salvacondotti” (A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante, II
ed., Bologna, Forni, 1971, p. 47). In realtà gli zingari provenivano
dall’India e dalla Persia ed avevano solo attraversato l’Egitto.
Nel
1500 un atto della Dieta di Augusta pose fine all’impunità che gli
zingari godevano in Europa da almeno 50 anni invitando a non lasciar più
passare le carovane dei nomadi e a non tener conto dei loro
lasciapassare (cfr. F. Predari, Origine e vicende degli zingari, cit., p. 71).
Per
attraversare le contrade europee gli zingari mostravano dei
salvacondotti rilasciati loro dal Re Sigismondo d’Ungheria (divenuto
Imperatore nel 1437), i salvacondotti permettevano loro di non pagare
pedaggi e di spostarsi tranquillamente da un regno all’altro e così
arrivarono in quasi tutte le Nazioni dell’Europa occidentale. Essi
praticavano l’arte degli indovini, leggendo la mano delle persone e così
ne ricavavano qualche sostentamento (cfr. A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 61).
Le
popolazioni europee all’inizio furono molto generose con gli zingari
reputati “pellegrini” dall’Egitto, ma col passar del tempo si avvidero
che “questi erranti vestiti in modo miserabile, erano ben provvisti
d’oro e d’argento, bevendo bene e mangiando meglio […] ed avevano anche
una spiacevole tendenza, soprattutto le donne, di provvedersi
furtivamente” (F. de Foletier, Mille anni di storia degli zingari, Milano, Jaca Book, 1990, p. 53).
Fine dell’accoglienza indiscriminata
Tuttavia
dopo appena 50 anni dal loro ingresso in Europa, l’ingenuità dei
cristiani nei confronti dei “pellegrini dell’Egitto”, che “andavano
nelle botteghe, mostrando di voler comprare qualche cosa, mentre una
delle loro donne rubava” (A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante,
cit., p. 56 e p. 61) iniziò a scemare. Inoltre “malgrado la loro
miseria vi erano tra loro delle indovine, che leggevano le mani delle
persone e così parlando alle genti, per arte magica vuotavano le borse
altrui ed empivano la loro” (ivi)
e “sfruttando il terrore che la loro presenza incuteva ai paesani, essi
esigevano una specie di taglia per accamparsi altrove” (R. Gatto,
cit., p. 31). Infatti l’iniziale tolleranza nei confronti degli zingari
fu scambiata e trasformata da essi in impunità: “In Italia esisteva una
legge generale che interdiceva agli zingari di passare più di due notti
nel medesimo posto, ciò impediva che questi incomodi ospiti dimorassero
lungamente nel medesimo luogo; ma appena l’ultimo zingaro era partito,
se ne presentavano sùbito altri; per questo motivo essi circolavano
senza posa” (H. M. G. Grellmann, Histoire des Bohémiens ou Tableau de moeurs, usage et coutumes de ce peuple nomade, cit., p. 42).
Krzysztof
Wiernicki scrive: “Nel passato le autorità civiche, pressate dagli
zingari, preferivano offrire a questi ultimi una somma di denaro pur di
liberarsene […]. Si arrivava sovente ad una sorta di ricatto: gli
zingari piantavano le loro tende alle porte della città, ben determinati
a resistere lì finché non fossero riusciti a ottenere del denaro per
proseguire il viaggio. Se la città cedeva si salvava dalla loro
invasione, mentre i diretti interessati avevano così ottenuto i mezzi di
sostentamento” (Nomadi per forza. Storia degli zingari, Milano, Rusconi, 1997, p. 165).
Adriano
Colocci aggiunge: “Quando il mendico diventò ladro, il pellegrino
malandrino, il calderaio incendiario, la fattucchiera ricattatrice […]
la credulità sfumò intorno ad essi e il dispetto e l’odio ne presero il
posto” (Gli Zingari, storia di un popolo errante, p. 74).
Raimondo
Gatto scrive: “Gli zingari fecero della mendicità un vero e proprio
mestiere, esercitato soprattutto dalle donne e dai bambini;
l’insistenza, a volte minacciosa, con cui esigevano e tuttora pretendono
l’elemosina, spesso si accompagnava (e si accompagna) a maledizioni per
terrorizzare chi rifiutava l’obolo. […]. L’accattonaggio era tuttavia
il minor male che opprimeva la popolazione. Reati, veri o presunti,
furono attribuiti agli zingari; il più comune quello del furto, commesso
soprattutto dalle donne, poiché gli uomini traevano profitto dai furti
di esse” (cit., p. 33).
Le espulsioni
“Editti
che condizionavano la permanenza degli zingari al cambiamento dei loro
costumi furono promulgati soprattutto in Inghilterra e nello Stato
Pontificio” (R. Gatto,
cit., p. 45). San Carlo Borromeo nel 1565 raccomandava all’autorità
civile di far abitare gli zingari in un luogo stabile facilmente
controllabile (ivi).
Tuttavia
l’unico Paese che applicò con rigore (certe volte eccessivo) gli editti
contro gli zingari fu l’Olanda, che sradicò totalmente la loro
presenza. Nel resto dell’Europa essi riuscirono a sottrarsi
all’espulsione e a sopravvivere rimanendo separati dal corpo sociale del
Paese ospitante.
Tentativi di stabilizzazione
Nelle
Nazioni in cui gli zingari erano più numerosi (Ungheria, Romania e
Spagna) si cercò di civilizzare gli zingari. Maria Teresa d’Austria nel
1768 impose agli zingari di abbandonare il vagabondaggio, di rispettare
le leggi civili e di integrarsi con i nativi. Fu così che in Ungheria un
certo numero di zingari poté essere civilizzato, molti invece furono
refrattari.
Gli zingari in Europa sino alla Prima Guerra Mondiale
Col
XIX secolo e l’invenzione delle giostre meccaniche e la nascita dei
circhi equestri gli zingari, particolarmente dediti a queste attività,
poterono continuare a vagabondare per l’Europa. Tuttavia nel 1912 in
Francia i veicoli dei nomadi dovevano avere delle targhe speciali e fu
imposto loro di presentarsi ai commissariati di polizia per comunicare
ogni spostamento in quanto “senza fissa dimora” e non per motivazioni
razziali. Quando scoppiò la Grande Guerra gli zingari, che si trovavano
nelle zone di confine tra due Nazioni nemiche, venivano internati per il
timore di spionaggio. Anche la Bulgaria e la Germania emanarono
provvedimenti simili.
La psicologia degli zingari
L’origine
della in-assimilabilità o non-integrazione degli zingari va ricercata
nei loro costumi, non è una questione di razza o di etnia, ma si tratta
di una mentalità che vuol vivere liberamente al di fuori delle regole
sociali. I motivi di questa mentalità sfuggono alla ragione umana.
Quindi occorre limitarsi a prenderne atto e a descriverla per conoscere
tutte le conseguenze che comporta.
Adriano
Colocci fa un quadro sintetico abbastanza realistico della psicologia o
mentalità degli zingari quando scrive: “Rigettano da sé ogni precetto
imperativo della legge e le esigenze di ogni abitudine sociale e
riducono al minimo la somma dei loro bisogni materiali, domandano a
coloro con cui si trovano a contatto una sola cosa: l’arbitrio di vivere
a modo proprio. […]. Lo zingaro, natura scaltra, superlativamente
leggera, senza morale ma senza fiele, non fa mai il male per il male. È
vero che non se ne astiene, se il male può essergli utile, poiché non
conosce ostacoli quando si tratta di giungere a segno per soddisfare un
suo desiderio, ma soddisfattolo si ferma da sé […]. Purché si senta
libero e non abbia fame, nulla v’è da temere per lui. Ma questo anelito
assoluto e ardente di una libertà selvaggia ingenerò in lui un’antipatia
profonda e una decisa avversione al commercio. […]. L’uomo civilizzato
parte dal principio che la sicurezza sia condizione fondamentale della
felicità, la pace il suo principale elemento, l’abitudine il suo più
dolce regalo, il benessere materiale il suo frutto più prezioso, la
stabilità il suo indispensabile corollario. Lo zingaro ride della
sicurezza, giacché non gli manca mai nelle sue caverne inaccessibili; è
indifferente alla pace, poiché ama la lotta e si sottrae alla guerra;
non sa cosa sia abitudine, ma intendendolo ne prova orrore; non si cura
del benessere materiale e beffeggia la stabilità, esaltando i piaceri della sua vita mobile, incerta, perigliosa e gioconda. […]. Questa ricerca di una libertà selvaggia e sfrenata porta gli zingari a ricorrere a tutti gli espedienti, fossero pure della specie più ripugnante […]. Perciò essi
scuotono ogni giogo morale, ogni sociale soggezione, ogni ostacolo
interno per correre senza tregua dietro la scintilla elettrica di una
sensazione” (Gli Zingari, storia di un popolo errante, pp. 150-156). Sarebbe un grave errore il sottovalutarli: sebbene asociali e vagabondi non mancano di qualità e abilità.
Gianfranco
Azzolini scrive: “Individualmente lo zingaro sfugge alle difficoltà
piuttosto che affrontarle (per questo è portato spesso alla menzogna e
al furto). È individualista e istintivo; manca in lui il senso della
previdenza; è instabile e da ciò deriva la necessità di movimenti
continui […]. La sua posizione nei confronti della storia è quella di
scordare il passato, vivere il presente, non considerare il futuro” (Zingari e nomadi problema sociale, Edizioni Opera dei Nomadi di Mori [Trento], 1971, p. 13-15)2.
L’esclusivismo degli zingari
Adriano
Colocci afferma che “lo zingaro non si mescola con lo straniero. […]
Dappertutto, malgrado le dissertazioni dei dotti, resta un segreto il
perché di questa esistenza a parte” (Gli Zingari, storia di un popolo errante,
cit., p. 150 e 154). Inoltre “È certo che gli zingari, anche se
accettati nel Paese in cui vivono, vi si comportano abitualmente come
una popolazione distinta e chiusa in se stessa, fiera della sua
diversità, attaccata alle sue tradizioni” (F. de Foletier, Mille anni di storia degli zingari, cit., p. 226).
Raimondo
Gatto scrive che “nei confronti degli estranei alla loro comunità, gli
zingari manifestano comportamenti analoghi al razzismo; nonostante i
pochi matrimoni misti con i residenti, Sinti, Rom e Kalé contraggono
matrimonio quasi esclusivamente con i membri dei loro clan.
L’esclusivismo degli zingari è dovuto ad una profonda considerazione che
hanno di sé e al conseguente disprezzo per gli altri” (cit., pp.
119-120).
Isabel Fonseca scrive che il principio fondamentale degli zingari è il seguente: “Noi contro il mondo intero” (Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom, cit., p. 9).
Gli zingari e la donna
Emilio Robotti afferma che la vita della donna zingara è “fatta di sottomissione, fatica, e sofferenza” (Zingari e Gagé al campo di sosta di Moìassana, Roma, Prospettiva Edizioni, 1996, p. 60).
Inoltre
dopo lo sposalizio le giovani zingare vanno a vivere con la tribù dei
suoceri e debbono accudire anche ai genitori dello sposo. Le donne
subiscono una forte condizione d’inferiorità e di sottomissione (cfr. E. Robotti, Zingari e Gagé al campo di sosta di Moìassana, cit., p. 62).
La zingara sposata più che la moglie è la schiava del marito, il quale la malmena spesso e volentieri (cfr. A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 228).
Raimondo
Gatto scrive che “l’esercizio della mendicità e del furto è riserbato
soprattutto alle giovani, che in molti casi si fanno accompagnare dai
bambini” (cit., p. 137). Invece “il lavoro dell’uomo capofamiglia è
destinato al ruolo delle esigenze sociali di prestigio o di
rappresentanza: acquisto di auto, spese per feste, matrimoni, funerali” (E. Robotti, Zingari e Galè al campo sosta di Molassana,
cit., p. 50). Inoltre “gli uomini non provvedono in nessun modo a
procurare il cibo, questo compito spetta esclusivamente alle donne che a
volte rubano” (K. Wiernicki, Nomadi per forza. Storia degli zingari, cit., p. 93).
“Finito
il puerperio le madri si mettono alla questua e si danno al ladroneccio
[…], e si portano il proprio lattante in braccio poiché contano
d’impietosire meglio” (A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 229).
Gli zingari e la religione
Il
Colocci più che di religione parla di superstizione: “Gli zingari sono
di tutte le religioni o per meglio dire di nessuna. Per comodità, per
non essere disturbati o per loro vantaggio personale si uniformano al
culto dei Paesi in cui si trovano, senza che in ciò c’entri alcuna parte
intima della loro coscienza. Si lasciano battezzare tra i cristiani, si
fanno circoncidere tra i turchi” (A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 167).
Isabel
Fonseca scrive: “Si dice che gli zingari siano senza religione, ma
sempre pronti ad adottare qualsiasi fede nella speranza di evitare le
persecuzioni e magari di arraffare gli eventuali vantaggi che ne
derivano” (Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom, cit., p. 47).
Tentativi di civilizzazione e conversione
Lo
Stato Pontificio dal XVI al XIX secolo promulgò vari decreti riguardo
agli zingari simili a quelli dei governi delle Nazioni cristiane
dell’Europa. Tuttavia la legislazione dello Stato Pontificio tendeva
specialmente a recuperare gli zingari cercando di educarli ad
abbandonare il loro stile di vita e a perdere le loro abitudini
girovaghe e asociali. Quindi, se alcuni zingari si lasciavano
civilizzare ed eventualmente evangelizzare, le misure di espulsione non
venivano applicate nei loro confronti (cfr. R. Gatto, cit., p. 225).
Il
progressismo, che avversa la nozione evangelizzatrice del proselitismo
cattolico, non accetta tale normativa ed esalta il modus vivendi degli
zingari proprio perché asociale ed in continuo movimento.
Invece
negli Stati cattolici si cercava di provvedere alla sicurezza dei
cittadini senza escludere la civilizzazione e l’evangelizzazione degli
zingari. Raimondo Gatto cita oltre l’Editto dello Stato Pontificio del
1631, il Sinodo di Trani del 1589, il Sinodo di Siena del 1599 e il
Programma educativo di San Giuseppe Calasanzio del 1600 (cit. p. 225).
Al di fuori dell’Italia si ritrova il medesimo spirito nelle
legislazioni della Spagna, della Francia, dell’Ungheria, della Romania.
Infine il papa Pio XII fondò in Italia l’Opera Assistenza Spirituale ai
Nomadi d’Italia (OASNI) e l’Irlanda e la Francia ne seguirono l’esempio.
“Purtroppo il relativismo culturale e religioso, infiltratosi nelle
organizzazioni ecclesiali dopo il Vaticano II, trasformò l’apostolato
tradizionale in una gitanizzazione buonista, giustificazionista dei
costumi superstiziosi degli zingari” (R. Gatto,
cit., p. 227). Oggi si assiste al capovolgimento della pratica
missionaria della Chiesa, alla rinuncia del proselitismo e della
civilizzazione di ogni uomo e quindi anche degli zingari.
Conclusione
Tutto
ciò deve aiutarci a capire come affrontare il problema degli zingari
senza cadere nei due errori opposti per difetto (buonismo) e per eccesso
(crudeltà).
Stando
così le cose non si può considerarli come i residenti di cui debbono
essere tutelati tutti i diritti, compreso il rispetto delle loro
tradizioni. Infatti la tradizione degli zingari rifiuta il modello di
vita normale dei popoli civilizzati sedentari o stabili, le loro leggi e
la loro cultura: si tratta di una mentalità che vuol vivere al di fuori
delle regole sociali. Inoltre lo zingaro non si mescola con lo
straniero. Quindi voler obbligare gli zingari a seguire l’istruzione
statale è una forzatura controproducente per loro e per i nativi.
I loro costumi sono gli stessi di quando arrivarono in Europa.
Tuttavia
mentre ieri ci si difendeva da essi e si cercava di civilizzarli ed
evangelizzarli, oggi si vorrebbe giustificarli, accettarli come sono ed
esaltare il loro modus vivendi, che porta al vagabondaggio, allo
sfruttamento dei minori, all’accattonaggio e al furto.
Questa è una mancanza di buon senso che produce conflitti inevitabili tra due entità totalmente diverse e persino opposte.
d. Curzio Nitoglia
1 Il libro (245 pagine; 15, 90 euro) può essere richiesto a questo link, oppure inviando richiesta a edizioniradiospada@gmail.com
2 Cfr. B. Nicolini, La famiglia zingara, Brescia, Morcelliana, 1969; L. Piasere, I Rom d’Europa, Bari, Laterza, 2004.
TRATTO DA:
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2017/06/26/gli-zingari-un-fenomeno-da-conoscere/?fbclid=IwAR3FJdZE5x_bQ0CO_pK4OqUIuK3mFy5MGtgBfPHKRlEHpxNT4Cmb4NhVPs4
TRATTO DA:
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2017/06/26/gli-zingari-un-fenomeno-da-conoscere/?fbclid=IwAR3FJdZE5x_bQ0CO_pK4OqUIuK3mFy5MGtgBfPHKRlEHpxNT4Cmb4NhVPs4
Sono i discendenti della perduta tribù di Manasse. Alla caduta del Primo Tempio, dedotti in cattività in Babilonia, non fecero più ritorno in Gerusalemme ma presero la via dell' Oriente e ivi si stabilirono per secoli e secoli. Sono di discendenza ebraica ed i loro miti, talune loro parole ( gagè= goym per tutte ), il loro comportamento lo fanno intravedere ampiamente, come anche il fatto citato di lasciarsi 'convertire' senza peraltro dar conto poi dell'adesione effettiva alla nuova religione. Io ho parlato con alcune loro donne e posso testimoniare che queste sono l' unica parte attiva e 'umana' della loro etnia, mentre gli uomini sono infidi e pericolosi: qui a Milano sono emissari della mafia albanese\est europea e sono dediti al traffico della droga e di altro, come da documentario apparso alla TV svizzera sui campi alla periferia della città ( il Bronx di Milano ). Sono andato anche lì ed ho parlato con persone residenti e mi hanno confermato l'assoluta mancanza di qualsivoglia interesse dell'Amministrazione pubblica a bonificare l'area ex-Aler...ma qui il discorso si farebbe troppo lungo. In conclusione, nessun buonismo e nessun razzismo: ma tanta indagine seria e tante regole accettate per il nostro ed il loro bene comune...anche se un malizioso potrebbe obiettare che sulla base della Legge dei Ritorno (in Israele ) avrebbero diritto a far rotta là...
RispondiEliminaleggo solo ora la Vostra recensione: ringrazio sentitamente
RispondiEliminaRAIMONDO GATTO