di Alberto Alpozzi Fotogiornalista
Perché in epoca fascista si usava spesso la parola “romanamente”?
Semplicemente perché molte delle opere e azioni
del Ventennio si ispiravano chiaramente all’antica Roma, cioè venivano
fatte alla “maniera romana”, vedi il noto “saluto romano”.
Così come per i romani colonizzare una nuova
regione significava “romanizzarla” così era negli intenti del fascismo,
in particolar modo nelle colonie.
Per i romani la romanizzazione
dell’impero è sempre stato considerato un processo di civilizzazione:
governare e pacificare le nazioni era il destino di Roma, esercitando la
clementia verso i sottomessi, ma reagendo con forza contro chi si ribellava: “tu
regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes) pacique
imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos, «tu, Romano,
ricorda di dominare i popoli (questa sarà la tua arte) e fissare regole
alla pace, di risparmiare i sottomessi e debellare i superbi» (Virgilio, Eneide VI 851-853).
Il parallelismo con il colonialismo italiano è chiaro e anche perfettamente in linea con il pensiero positivista di Auguste Comte enunciato nel “Discours esprit positif” del 1844.
Romanizzare un territorio comportava visibili e duraturi cambiamenti, determinati innanzitutto dalla costruzione di un’estesa rete stradale
dotata di stazioni di posta, per raccordare tra loro le principali
città consentendo il rapido spostamento delle truppe e dei mercanti.
Contemporaneamente alla conquista venivano bonificati i terreni paludosi e vaste aree di campagna venivano divise in lotti di uguale forma ed estensione, le centuriae,
e date ai legionari affinché le coltivassero. I limiti regolari di
questi terreni sono spesso ancora parzialmente individuabili o
riscontrabili nelle attuali suddivisioni amministrative.
Era Benito Mussolini che disse: “Voi dovete armonizzare il
combattente col lavoratore, il soldato con il colonizzatore. I legionari
romani dopo aver conquistato le colonie, deponevano la daga, aprivano
le strade dissodavano il terreno.”
I confini dell’agro, come per gli altri territori
amministrati dai romani, coincidevano per lo più con elementi
geografici naturali quali i corsi d’acqua che solcano la pianura, i
laghi e i crinali dei monti delle vallate alpine.
Nel territorio romanizzato venivano anche costruiti acquedotti che rifornivano di acqua potabile gli insediamenti e reti di canali per le irrigazioni.
Nel territorio romanizzato venivano anche costruiti acquedotti che rifornivano di acqua potabile gli insediamenti e reti di canali per le irrigazioni.
I vasti latifundia venivano poi coltivati da vecchi soldati nelle proprie fattorie con la manodopera di liberti e coloni.
Così come avvenne, per esempio in Somalia, dove le concessioni agricole di Genale sorsero lungo il fiume Uebi Scebeli in un terreno in pendenza per una più agevole irrigazione attraverso i canali, e il Villaggio Duca degli Abruzzi lungo il fiume Giuba.
Faceva parte della romanizzazione, e delle colonizzazione italiana, la sostituzione delle antiche leggi tribali col diritto romano e con l’istituzione del diritto di proprietà.
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di © Alberto Alpozzi – Tutti i diritti riservati
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TRATTO DA:
https://italiacoloniale.com/2018/10/11/il-destino-di-roma-civilizzare-e-pacificare-le-nazioni/?fbclid=IwAR0qxsjIYJ18D1LU5GuvD6U9AOSZm0aOBLlFXRirkh3Z4rqqUUOf3i16HQ0
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