martedì 30 ottobre 2018

Perché oggi in Italia è ancora molto difficile scrivere di colonialismo?

Perché oggi in Italia è ancora molto difficile scrivere di colonialismo?  
La risposta è di Alberto Alpozzi nella nota introduttiva della nuova edizione del libro “Il faro di Mussolini”, Eclettica Edizioni (256 pagg, 17×24 cm).
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Crowdfungin-Somalia_Reportage faro Guardafui_alpozzi (5) 
Scrivere oggi di colonialismo è ancora molto complesso. Spesso le nuove pubblicazioni e ricerche, anziché fornire inediti elementi di conoscenza e riflessione, si riducono a pure e semplici ripetizioni di cliché e condanne tout court che riconducono tutto quanto attiene a questo capitolo storico al solo periodo fascista e ancor più alla sola guerra d’Etiopia (1935-36).
Eppure intere generazioni di italiani si avvicendarono nelle colonie italiane di Eritrea (dal 1870), Somalia (dal 1889), Libia (dal 1912) e d’Etiopia (dal 1936): leggendo le date è facile constatare come molti dei nostri nonni si trovassero già in Africa ben prima della marcia su Roma.
Certo, avranno considerato la loro visione del mondo, la loro morale, i loro costumi superiori a quelli barbari delle popolazioni locali, ma una valutazione seria dei loro comportamenti non dovrebbe perdere di vista che si era in pieno positivismo: scienziati, storici e letterati europei vivevano nel quadro della situazione caratterizzata dai nuovi sviluppi della società industriale e dalla crescita delle scienze e della tecnica che, secondo il filosofo francese Auguste Comte (Discours sur l’esprit positif, 1844) doveva essere rivolta al miglioramento della condizione dei singoli e della società: portare la civiltà.
Le ragioni alle quali si può tentare di attribuire la difficoltà di condurre un’analisi di confronti di passate narrazioni da diversi (ma documentati!) punti di vista, scevra da ideologie partigiane sono varie.
Enrico De Seta_Satira_Guerra Etiopia (1) 
Per lungo tempo, e spesso ancora oggi, l’unico approccio allo studio del periodo coloniale concesso, per non essere tacciati di apologia del fascismo, è quello imposto da un certo pensiero unico, che ha voluto porre in luce solo ed esclusivamente gli aspetti negativi (che senz’altro ci furono) ignorando tutti quei valori e modelli positivi, che ci furono anch’essi, che caratterizzarono il fenomeno coloniale che permeò tutta l’Europa per quasi 100 anni.
La storia italiana recente, poi, ha subito una damnatio memoriae basata solo sulla dissoluzione di quelle idee e di quei valori su cui si fondava la società dei primi del ‘900, che ha accomunato nell’ostracismo anche opere, uomini e azioni che hanno il solo torto di essersi trovati in un dato periodo storico.
Senz’altro una semplicistica divisione del mondo in oppressi e oppressori, vincitori e vinti, che azzera la coscienza critica dei lettori dividendoli solo per schieramenti alla maniera delle tifoserie, è più facilmente assimilabile e quindi ben si attaglia alle esigenze di chi rifiuti, per qualsivoglia motivo, la storicizzazione degli eventi: riconoscere che da una data epoca ad oggi le scale dei valori siano mutate e che la visione del mondo abbia seguito nuove morali rende senz’altro più difficile la compilazione della lista dei “buoni” e dei “cattivi”… per non parlare poi degli studiosi dichiaratamente di parte, i cui lavori non possono che risultare divisivi per loro stessa natura.
Enrico De Seta_Satira_Guerra Etiopia (8) 
Quali che ne siano le ragioni, il panorama storiografico italiano relativo al periodo coloniale evidenzia una predominanza di libri e articoli carichi di acredine, livore e disprezzo verso i nostri padri e nonni quasi non fossero stati italiani, di analisi soggettive che ripropongono quasi ossessivamente gli stessi temi, senza alcuna contestualizzazione o riflessione sulle condizioni politiche, storiche e sociali che determinarono quei fatti ed avvenimenti, fatti ed avvenimenti che riguardarono l’Europa tutta, non solamente l’Italia.
Con una sorta di compiacimento perfino imbarazzante per una nazione matura, è stata presentata per anni un’immagine dell’Italia coloniale estranea non solo a chi la visse in prima persona, ma anche – vorrei dire soprattutto! – a quegli stessi popoli che dall’Italia vennero colonizzati e con i quali per decenni vivemmo a stretto contatto.
La guerra d’Etiopia, con l’utilizzo dei gas e le repressioni sono il cavallo di battaglia di una visione storica ristretta, usato sempre come grimaldello politico-ideologico post 1968 che spesso sorvola su quanto il clima nazionale di quegli anni fosse euforico, al punto di produrre in Italia un effetto straordinario di coesione nazionale: molti esuli antifascisti tornarono in Italia e partirono volontari per quella stessa guerra voluta dal fascismo.
Benedetto Croce e Luigi Albertini donarono alla Patria, per combattere il sanzionismo, le loro medagliette d’oro da parlamentari. La comunità ebraica di Roma alienò oggetti d’oro della Sinagoga principale per contribuire alla conquista fascista dell’Impero (siamo nel 1935, le ignobili leggi razziali vennero promulgate nel 1938).
Il faro di Mussolini_nuova edizione_Eclettica-Alpozzi 
Nel 1948, a guerra finita, quando si discuteva sul ritorno dell’Italia nelle sue ex colonie, Palmiro Togliatti scrisse: “Il governo inglese, se proprio vuol dimostrarsi nostro amico, perché invece di cominciare da Trieste, non comincia col dichiarare di essere d’accordo che rimangano all’Italia le sue vecchie colonie?” (L’Unità, 26 marzo 1948).
Significherà pur qualcosa, o no?
Perché dunque un libro su un faro dimenticato? Perché dedicare quattro anni di ricerche a un singolo elemento abbandonato nel deserto della Somalia?
Perché dopo la casuale scoperta che feci nel luglio 2013 durante un reportage sulla Missione Antipirateria mi si è aperto un mondo infinito e dimenticato di fatti, di uomini e di elementi storici di cui non avevo mai trovato alcuna traccia nei lavori di quanti, negli ultimi decenni, hanno scritto di storia coloniale.
Andando avanti con la mia ricerca mi sono reso conto di quanto sia necessario portare all’attenzione di tutti quanto sia grande l’ignoranza sulla nostra storia coloniale, quanto essa sia nozionistica e raffazzonata.
Il giudizio su un capitolo storico che si sviluppa a cavallo di due secoli viene basato – quando va bene – sulla riconquista della Libia dopo la 1^ Guerra Mondiale e sull’uso dell’iprite in Etiopia nel 1935. Le vicende coloniali italiane coprono 90 anni di storia: il fascismo ne durò 20 e l’Impero solamente 5. Senza contare la sconfortante confusione geografica tra Libia, Etiopia, Somalia ed Eritrea.
È però consolante che queste ricerche, improntate a una visione storica che si distacca da quella dominante nel nostro paese, abbiano suscitato un interesse in cui, quando mi sdr 
sono messo a scrivere, potevo solo sperare. Un interesse testimoniato non solo dal successo editoriale della 1a Edizione ma anche dal mio incontro, avvenuto a Torino, nell’autunno 2015, con Abdulkadir Yusuf Mohamed, Governatore di Guardafui, la regione dove si trova il faro. Il nostro colloquio, voluto dal Governatore, ebbe luogo nel Municipio di Torino, con la partecipazione del Sindaco Piero Fassino e del Consigliere Comunale Maurizio Marrone. (Poi ritornato a dicembre 2017 per l’anteprima della nuova edizione del libro “Il faro di Mussolini” di cui è autore della prefazione)
Con questo testo, che non tratta della guerra d’Etiopia, tema già molto dibattuto (quasi l’unico dai grandi editori) ma della Somalia, altra nazione con una sua storia e altre date fondamentali non sempre riconducibili al fascismo – non ho voluto né riscrivere la storia né fare revisionismo, semplicemente ho voluto colmare alcune lacune per completare il quadro storico: cosa ci fu nel colonialismo italiano, oltre agli errori e le nefandezze già pubblicate, dibattute e incontrovertibili?
Il 21 novembre 1949 l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la Risoluzione 289, con la quale assegnò il territorio della Somalia in Amministrazione Fiduciaria all’Italia, benché, come nazione sconfitta, non facesse ancora parte delle Nazioni Unite. Il compito assegnato all’Italia fu di guidare gradualmente, in 10 anni (il nostro Governo ne aveva chiesti 30), l’ex colonia all’indipendenza, creandone la classe dirigente e il sistema 
Somali-Flag_12-october-1954 
democratico. È il caso di sottolineare che si trattò dell’unico caso di amministrazione fiduciaria assegnata ad una nazione sconfitta nella seconda guerra mondiale. Anche in questo caso: ci sarà stato un motivo, no?
Basta conoscere i fatti storici per interrogarsi sul perché al tempo della decolonizzazione in Somalia, questa avvenne in maniera assolutamente pacifica e senza problemi mentre in quasi tutto il resto dell’Africa fu contrassegnata da eccidi, rappresaglie e barbarie inenarrabili: la lotta dei Mau Mau in Kenia con eccidi di coloni inglesi, le violenze nella Rhodesia e nel Mozambico, la guerra civile in Algeria…
Per chiudere questa nota, nell’ottica riguardante la ricerca della verità storica, pubblico per esteso in questo libro, tra gli altri documenti inediti, la lettera del “patriota somalo” Hagi Hassan Bersane che nel 1924 richiedeva la restituzione degli schiavi liberati dalle autorità italiane grazie all’azione del Governatore C.M. de Vecchi di Val Cismon. “Lo Sheikh sembrava più preoccupato per la perdita dei suoi schiavi che per altre considerazioni. Rivendicava il diritto di sfruttare e disumanizzare altri esseri umani nati liberi come lui in nome della religione […] per la prima volta nella sua storia, attraverso la potenza militare e politica italiana, la Somalia fu unita in un’unica società, con un vasto territorio che si estendeva dal fiume Giuba fino all’accesso al Golfo di Aden – comunità precedentemente divise da barriere geografiche”, scrive il professore Mohamed Issa Trunji nel suo libro “Somalia. La Storia mai raccontata 1941-1969”.
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