di Alberto Alpozzi Fotogiornalista
Tra la fine degli anni ’30 e l’inizio dei ’40, il governo italiano decise di ospitare gratuitamente alcuni sudditi delle colonie negli istituti scolastici e nelle università della Penisola.
L’iniziativa, nata allo scopo ufficiale di elevare “culturalmente” gli africani*, portò in Italia una piccola pattuglia di rampolli del notabilato libico, tra i quali Shifau e Ahmed Cherbish (figli di quel Yussuf che nel 1937 aveva consegnato a Mussolini la “spada del’Islam”), Abdullatif Kikhia, Abdullatif Kikhia (Kikhia
e el-Seqizli appartenevano al clan di quello che sarebbe stato il primo
ministro di Re Idris I nell’immediato dopoguerra) e Mohamed Khaled.
Ospiti del Vaticano, a Roma, erano invece trentadue studenti del Corno d’Africa.
Sebbene l’Italia fosse a quel tempo sotto un regime dittatoriale e avesse una legislazione segregazionista (le leggi razziali),
sarà interessate notare come il nostro Paese abbia ad ogni modo
consentito a sudditi non-bianchi e provenienti dal Continente Nero
l’accesso ad un’istruzione superiore.
Inoltre, pur tenendo sotto controllo i giovani
ospitati dal Vaticano, non intraprese mai iniziative apertamente ostili
ed ostruzionistiche nei loro riguardi.
Un’esperienza impensabile solo fino a pochi
decenni fa in nazioni democratiche e occidentali come gli USA o
l’Australia della “color line”.
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di © Davide Simone – Tutti i diritti riservati
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NOTA
* secondo alcune interpretazioni, Roma voleva in realtà creare e plasmare una élite filo-italiana
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