Il tempo, che il Sud ha trascorso finora nell’Italia unita, non è in pratica neppure un decimo della sua lunga storia, troppo poco perché possa essere determinante per un cambiamento della propria identità. Infatti, nonostante la forzata annessione agli altri popoli della penisola, avvenuta nel 1860, cioè da quasi un secolo e mezzo, per l’opera violenta delle armi savojarde, la «coscienza nazionale» del Sud non è mai venuta meno.
è, d’altra parte, sotto gli occhi di tutti che al Sud, nonostante la mescolanza di usi e costumi differenti, non è mai diminuita la tipicità degli idiomi, del carattere, della mentalità, delle abitudini e perfino delle prospettive, assai diversi da quelli delle popolazioni del centro-nord. Inoltre si assiste al fatto che questa «coscienza nazionale» si sta rapidamente risvegliando tra i Meridionali, molto più che nel Nord leghista, dove tra l’altro non è quasi mai esistita una tradizione comune. Quasi tutto il Sud ha comuni radici greche, risalenti al 1000 a. C., e nella parte continentale una comune origine etnica osca ancora precedente, ed era già uno Stato unito fin dal 1130, mentre il Nord ha diverse origini: galli, cimbri, franchi, ecc., e la sua storia si basa soprattutto sulle comunità feudali (i cosiddetti liberi Comuni), a volte non più grandi delle mura di una città. Si può affermare che solo da 140 anni il Nord italico vive in un unico Stato. Esemplari, inoltre, sono le più che evidenti differenze con le popolazioni tedesche del Sud Tirolo (che l’Italia chiama Alto Adige) oppure con quelle francofone della Val d’Aosta.
Come si vede, gli «italiani» non esistono e, in prospettiva, ci vorrebbero migliaia di anni per «farli». Una «nazione» italiana, dunque, nel vero senso che ha questo concetto, non esiste ancora, né se ne può prevedere il tempo della formazione.
Cos’è, allora, questa Italia «unita»? Un’invenzione. Una invenzione che fa comodo a molti. Come lo è l’Europa unita.
A proposito di Europa, dato che, con l’imposizione della nuova sistemazione politica, sono stati aboliti i confini tra gli Stati dell’Unione e unite le diversissime popolazioni con il solo collante della moneta unica, si osserva che, per reazione a questa forzata e innaturale unione, stanno riemergendo in alcune zone le molte «coscienze nazionali» dalle origini lontane nel tempo.
A parte il Regno Unito, che ha conservato sin dal suo sorgere le differenze geopolitiche delle nazionalità al suo interno, con i conseguenti problemi identitari, la Spagna, lo Stato a noi più vicino per carattere e vicende storiche, ha anch’essa da sempre forti contrasti nel suo interno, esempio la Catalogna. Quest’ultima è cioè formata da un popolo accomunato dalla storia, dalla lingua, dalle tradizioni, dalla cultura completamente diverse, pur dopo secoli di comunanza, da quelle castigliane. La Castiglia si originò con i Visigoti circa nel 550 d.C., mentre la regione catalana si formò con i Franchi nel 785. Il Principato di Catalogna e il Regno di Castiglia in seguito vissero aggregati dal 1479 al 1714, anno in cui Filippo V, con la violenza delle armi, si annesse la Catalogna e formò quello che oggi si chiama Regno di Spagna.
Tra l’altro la Spagna, nel 1579, era riuscita anche ad annettersi il Portogallo, unificando così tutta la penisola iberica, ma la diversità dei due popoli portò fine a questa forzata unione nel 1640, quando il Portogallo ritornò indipendente. Insomma anche l’unificazione della penisola iberica non fu un avvenimento naturale, ma violento per le mire politiche dei governanti. Dopo vari avvenimenti, nel 1979, la Catalogna riuscì a costituirsi in Comunità autonoma e oggi è la regione più ricca della Spagna
Altro esempio da prendere in considerazione, questa volta in casa nostra, è il Tirolo «italiano». Costituito in Provincia Autonoma, i suoi abitanti hanno oggi un P.i.l. pro capite di 38.562 euro, vale a dire uno tra i dieci più alti d’Europa e con un quasi inesistente tasso di disoccupazione. Neanche da metterlo a confronto con quello del Sud che non è autonomo.
Quella catalana e, per certi versi, anche quella tirolese, dunque, sono vicende un po’ simili a quella del Sud Italia, anch’esso annesso con la violenza delle armi, che non si può capire se non si guarda al suo passato. Il Sud – è necessario sempre ricordarlo – si trova nelle attuali condizioni di sottosviluppo non per propria incapacità (come si vuole far credere in ogni occasione per meglio dominarlo), ma perché brutalizzato dalle armi savojarde che l’hanno ridotto a colonia, continuando ancora oggi a sfruttarlo e a gettare continuamente fango sulla sua gente, soprattutto con la più grande delle menzogne: il cosiddetto «risorgimento».
Questo «risorgimento», infatti, – anche questo è necessario sempre ricordarlo – fu il «risorgimento» del solo Piemonte, che prima del 1860 stava affogando in un mare di debiti e che «risorse» rapinando tutta la penisola, particolarmente il ricchissimo Sud. Poi, il Piemonte, vincitore, raccontò la «sua» storia affibbiando il «risorgimento» anche al Sud, dicendo che era venuto a «liberarlo» dalla «dittatura» borbonica. Però, per fare questa «liberazione», rapinò e devastò le terre del Sud con oltre dieci anni di criminale dittatura e compiendo una feroce pulizia etnica con l’assassinio di molte centinaia di migliaia di persone recalcitranti che non volevano diventare «italiani» e favorendo pure, con leggi ad hoc in favore del Nord, una biblica emigrazione dal Sud.
Il fatto che ancora oggi lo Stato italiano continua a celebrare il «risorgimento» come «gloria italiana», per il Sud ha lo stesso significato che si avrebbe nel caso che i nazisti, se avessero vinta la II guerra mondiale, imponessero oggi agli ebrei di celebrare le «glorie del III Reich».
Le celebrazioni del «risorgimento» e del bicentenario del criminale Garibaldi sono la prova provata che questa Repubblica, che si proclama «italiana», è in realtà ancora quella del regno savojardo-piemontese del 1860, altrimenti avrebbe rispetto per il Sud, lo considererebbe «italiano» e non l’offenderebbe con queste squallide celebrazioni. Ben sanno i «celebranti» che i veri avvenimenti del «risorgimento» non sono quelli che celebra, ma ben altri: avvenimenti grondanti di sangue innocente, di ladrocinii, di frodi e devastazioni a danno dei Meridionali. O si deve presumere che sia proprio questo che si vuole celebrare? Se è così, allora, viva i Ladri e gli Assassini!
Al Sud, intanto, le tasse aumentano, ma la qualità dei servizi non migliora affatto. Nel 2005 i contribuenti del Mezzogiorno hanno versato alle casse comunali 229 euro pro capite contro i 175 euro del 1994. Al contrario, al Nord, le entrate tributarie comunali sono scese da 358 a 350 euro pro capite. Tra il 1994 e il 2005, il gettito pro capite dei tributi è cresciuto a valori costanti del 29% circa, contro un incremento nazionale del 5,1%. Questo il quadro tracciato da uno studio pubblicato sulla “Rivista economica del Mezzogiorno”, trimestrale della Svimez edita da Il Mulino e in uscita in questi giorni.
Se questa è l’Italia unita, l’Italia che continua a farci la guerra, con armi ben più pericolose dei cannoni e fucili del Cialdini, quale senso ha oggi restare ancora uniti all’Italia-Piemonte?
Considerando che siamo tutti cittadini europei, non cambierebbe la sostanza dell’Unione Europea se si modificassero questi innaturali confini ottocenteschi. Confini che ormai non ci sono più ed hanno unicamente funzione amministrativa. Non si commetterebbe alcun peccato mortale se noi del Sud ritornassimo ad amministrarci autonomamente al di fuori dello Stato italiano, tanto saremmo sempre in Europa, ma almeno liberi di poter sviluppare una nostra economia e una nostra società; e finalmente liberi di non dover più subire le infami celebrazioni dei bicentenari degli assassini figli dello squallido «risorgimento» piemontese.
Che se le facciano loro, a Torino. I nostri eroi, le nostre celebrazioni, hanno ben altri valori.
Antonio Pagano
pubblicato danapolitania.it
il 21 aprile 2008
TRATTO DA:
http://www.altaterradilavoro.com/esiste-una-nazione-italiana/
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