martedì 1 novembre 2016

IL NOSTRO ONORE SI CHIAMAVA… TRADIMENTO


«Le vicende dei tedeschi e SS in Italia che dal 1943 tradirono la guerra di Hitler e per finire tradirono l’Italia e determinarono la cattura di Mussolini. Molti poi seguirono carriere da lustrascarpe nella CIA».

di Maurizio Barozzi

A fronte di centinaia di migliaia di magnifici uomini che militarono e combatterono nelle SS tedesche e nelle Waffen SS, onorando il motto; “Il nostro onore si chiama fedeltà” ce ne furono altri, soprattutto generali e ufficiali, che sporcarono la loro milizia con comportamenti o decisioni inqualificabili.
In questa sede però non parleremo di quei tedeschi, militari o già nazionalsocialisti, che a fine guerra, e non solo per salvare la pelle, si collusero con la CIA, successivamente anche con la intelligence israeliana e come tali, dietro il paravento di una collaborazione contro il comunismo, coadiuvarono l’imperialismo americano in Europa, in medio oriente e in Sud America dove qui la Cia, che gli consentì di rifarsi una posizione civile di primo piano, si prestarono a supportare il colonialismo americano e le sue multinazionali.
Comunque sia, di fatto, l’anti comunismo, era una scusa e questi ex nazisti che in realtà, aiutarono gli americani e le loro multinazionali, a sopprimere ogni ribellione di popolo, vanificarono il vecchio motto: “nè fronte rosso, nè reazione”, tramutandolo, con il loro agire, in pura reazione al servizio delle plutocrazie.
In modo particolare la famigerata rete Gehlen (creata anche con l’assistenza del Vaticano, dal generale Reinhard Gehlen, passato con gli americani a guerra finita e a cui portò anche il suo voluminoso archivio).
Alcuni di costoro però, quando lo Stato ebraico, assunse una certa forza e dimensione internazionale, vennero scaricati dalla Cia, nel puro stile Usa & getta e quindi fatti prendere dagli ebrei, anche in età avanzata, per soddisfare la loro libidine di vendetta.
Resta veramente incredibile constatare come uomini di un certo valore, come per esempio Otto Skorzeny (chi lo ha conosciuto ne testimonia anche, oltre il coraggio, qualità di dirittura morale) si siano prestati a servire la Intelligence americana, e proprio Skorzeny, come era da tempo noto, anche quella israeliana, in questo caso si dice, arrivando al punto di aiutarli a eliminare quegli scienziati e tecnici tedeschi, che erano riparati nell’Egitto di Nasser.
Sinceramente non vorremmo credere al significato letterale di quel verbo “eliminare”, in riferimento a ex compatrioti, con cui oggi vengono descritte le imprese spionistiche del dopoguerra dell’ex SS-Sturmbannführer Skorzeny sotto contratto israeliano (Vedesi: “Diventò un killer del Mossad“ su Il Corriere della Sera” 28.3.2016).
In ogni caso l’anticomunismo non può essere un alibi, visto che qui si è trattato, tra americani e sionisti, di entrare a far parte delle entità nazionali e occulte che avevano non solo distrutto, con pervicace volontà e furore, la Germania, ma anche il nazionalsocialismo.
A nostro avviso non è neppure un fatto di tradimento e di infamia, ma più semplicemente la spiegazione si trova nelle dinamiche, anche umane, della geopolitica, ovvero in quella linea Euro - Atlantica della Germania, che a guerra finita indirizzò e giustificò certi allineamenti e posizioni.
Essa (la geopolitica) spiega anche il comportamento di Einrich Himmler, che fin dal 1943, in prospettiva di una possibile sconfitta, prese a cercare intese di vario genere, anche se settoriali e su problemi pratici, con gli Alleati e con le organizzazioni ebraiche. Una politica scellerata, dove il suo sogno, neppure troppo nascosto, di ribaltare il fronte e andare in guerra con gli Alleati e contro i sovietici, oltre che avvilente per il nazionalsocialismo, era improponibile, visto che gli Alleati abbisognavano e contavano molto sui sovietici per gli assetti e il controllo dell’Europa post bellica.
Furono i suoi inciuci che lo portarono a chiedere la resa agli Alleati nel 1945, sconfessato e destituito da Hitler e poi quasi certamente assassinato degli inglesi, che simularono un suicidio, per non far emergere passate connivenze.
Ma se per questi tedeschi, non è appropriato parlare di tradimento e di infamia, vi è invece un altra parte di loro, molti SS, a cui è appropriato definirli infami e traditori.
Ed è di questi che qui vogliamo parlare, portando l’attenzione su alcune vicende ed episodi, alcuni poco noti, tra i tanti che li videro negativamente protagonisti in Italia.

WOLFF & DOLLMANN
Iniziamo a descrivere alcuni importanti tedeschi in Italia, quali il generale Karl Wolff, SS-Obergruppenfher (che agiva in linea con Himmler) e quell’Eugen Dollmann, diplomatico, interprete, addentro al Vaticano, spia sia per i tedeschi e poi anche per l’Oss americano, e nel dopoguerra agente Cia i quali, furono i registi di un vero e proprio tradimento, che ricalca il nostro 8 settembre e costò la vita a Mussolini.
Karl Friedrich Otto Wolff (1900 – 1984), nazionalsocialista dal 1931, divenne poi Generale delle Waffen-SS e da fine luglio del 1944, dopo l’attentato a Hitler, divenne anche plenipotenziario generale della Wermacht in Italia, ove era stato mandato nel nostro paese dal febbraio 1943, divenendo poi Governatore Militare e Comandante supremo delle SS e della Polizia nel nord d'Italia.
A quanto sembra, il desso, il 10 maggio 1944 ebbe un incontro segreto in Vaticano con papa Pio XII, organizzato – ovviamente - dal colonnello Eugen Dollmann, allo scopo di mediare una incruenta ritirata tedesca dopo gli sbarchi Alleati ad Anzio e l’imminente caduta di Roma. Sembra che nell’occasione Wolff informò il papa che Hitler aveva avuto intenzione di rapirlo.
Questo generale, negli ultimi mesi di guerra autorizzò i comandanti tedeschi a prendere accordi con i partigiani per evitare attentati ed infatti, da quel momento, gli attentati partigiani si riversarono tutti sui fascisti e militi della RSI.
Del suo colpo infame e da maestro, ovvero la resa contrattata di nascosto a Berna con gli Alleati, di fatto un “8 settembre” tedesco, ne parleremo più avanti.
Finita la guerra venne incarcerato, ma protetto dall’Oss americano non fu coinvolto nel processo di Norimberga. A fine guerra venne internato in un campo di prigionia alleato, ma fu fatto fuggire nell'agosto del 1946 e preso sotto la protezione di un esponente dei servizi segreti italiani e del cardinale di Milano Idelfonso Schuster.
Dopo varie vicissitudini venne infine scarcerato nel 1949 e preso in consegna dal governo tedesco e nonostante una condanna a 4 anni di prigione, sempre per interessamento americano, si fece appena una settimana. Solo in seguito, nel 1962, riconosciuto responsabile di deportazione di ebrei venne condannato a 15 anni di reclusione, ma dopo 6 anni venne scarcerato per motivi di salute.
Vendette a peso d’oro, memorie, lettere e documenti, alcuni anche molto dubbi.
Il colonnello Eugen Dollmann (1900 – 1985), dal canto suo, sapeva ben destreggiarsi, oltre che con il sodale Wolff, sia con Eberhard von Mackensen e con Rudolf Rahn, i due ambasciatori tedeschi che erano sono succeduti in Italia durante la guerra e inoltre con la sede del comando militare supremo di Albert Kesselring, comando passato negli ultimi tempi al generale Heinrich von Vietinghoff che poi firmò la resa tedesca, ed anche con molti gerarchi del fascismo. Esercitava anche come giornalista e partecipava come interprete, ai colloqui di Hitler con Mussolini.
Al Vaticano era intimo con il vescovo Pancrazio Pfeiffer (confidente e consigliere del Papa Pacelli, che teneva i collegamenti tra la Santa Sede e i comandi militari tedeschi). Sempre al Vaticano frequentava gli Archivi ed era in forti ed intimi rapporti con prelati di origine tedesca.
A fine guerra, protetto da ambienti vaticani, Dollmann per un certo periodo riuscì a sottrarsi alla cattura, ma comunque poi, anche quando venne arrestato, fu fatto fuggire dagli “amici” americani.
In Germania, come dimostrarono documenti americani desecretati, venne poi ingaggiato come agente Cia da Jame J. Angleton che era stato a capo della Oss americana in Italia.
Ci sono poi molti altri tedeschi di livello inferiore, ma non indifferenti nel contesto dei tradimenti a nostro danno a cui occorrerebbe far cenno, ma appesantiremmo troppo il discorso.
Limitiamoci quindi a dare qualche cenno a quel Karl Hass, maggiore delle SS e nel dopoguerra agente USA.
Fu agli ordini di Herbert Kappler dove si distinse nella rappresaglia delle fosse Ardeatine. Assunto dopo la fine della guerra, il 15 dicembre 1947, dai servizi segreti degli Stati Uniti, operò sotto copertura, con funzione anticomunista in Italia e in Europa. Lavorò anche per preparare in Austria agenti tedeschi in scuole di spionaggio statunitensi. Molti anni dopo scaricato dagi americani, venne processato e condannato.
Quello che risalta da questi personaggi e tutto il contesto della presenza tedesca in Italia, è la loro spietatezza nell’eseguire rappresaglie, pur legittime come Legge di guerra, ma spesso esagerate e comunque si sarebbe dovuto, quantomeno, tener conto che eravamo una nazione alleata e la RSI uno Stato amico e poi, a guerra finita, questi furfanti, come se niente fosse andarono a fare i tirapiedi degli americani.
Ma entriamo nel merito di alcuni tradimenti e inciuci che qui racconteremo.

LA FUGA DEL RE
Nel 1943, in un paio di mesi, si consumarono due episodi che sono rimasti avvolti in una nebbia misteriosa anche perché pochi storici hanno avuto voglia e interesse di andarli a decodificare, ma gli elementi, e in alcuni casi anche le prove, ci sono e qualcuno le ha anche segnalate.
Sono vicende rese possibili dai sotterfugi e le idee brillanti di quell’ala militare e politica teutonica, che ragionava unicamente in termini di economia bellica ed in Germania con il peggioramento delle sorti della guerra tendeva a divenire filo occidentale (e torniamo sempre alla tendenza geopolitica Euro Atlantica, opposta a quella Euro - Asiatica).
Al tempo era impersonata qui da noi da Kesserling (almeno in parte), dall’ambasciatore Rahn, il generale Wolff, ecc. e in Germania da Himmler (questi ultimi con compromissioni più nette come precedentemente accennato).
Il primo episodio è a ridosso dell’armistizio e riguarda la precipitosa fuga dalla capitale, di sua indecenza il Re, il cosiddetto “mezzo feto”, di Badoglio, dei membri della Real Casa e altri esponenti militari, percorrendo la via Tiburtina all'alba del 9 settembre 1943 per raggiungere Pescara da dove poi si imbarcarono alla volta di Brindisi in territorio controllato dagli Alleati.
Poiché mancavano diverse ore all’imbarco, nel frattempo i reali e i loro dignitari si spostarono a Crecchio, dove furono ospiti del Duca di Bovino Giovanni De Riseis (proprietario dell’omonima villa a Pescara) e della duchessa Antonia Gaetani nel loro castello nobiliare.
In realtà Badoglio sapeva benissimo, che con la rivelazione anzitempo dell’armistizio avvenuta la sera dell’8 settembre e nonostante il veloce defilarsi, per i fuggiaschi, privi oltretutto di adeguata protezione militare, sarebbe stato troppo azzardato cercare di passare inosservati e incolumi, da qualche incursione dei tedeschi inferociti, trattandosi di circa una ottantina di automobili, scortate da autoblindo con le insegne del regio Esercito e con a bordo più di 200 persone, Re, regina ed erede al trono compresi.
Fu così che i savoiardi fuggiaschi e traditori, raggiunsero un accordo tacito, mediato da militari gallonati con i tedeschi (ignorato da Hitler) per il quale avrebbero lasciato ai fuggiaschi una via di fuga. Neppure la navigazione successiva dei fuggiaschi che durò circa 9 ore, venne infatti disturbata dai tedeschi in alcun modo.
Per l’incolumità del sovrano, corte, generali e governo compresi, si rinuncerà ad ogni tentativo di difendere Roma e ai tedeschi venne concessa la possibilità di liberare Mussolini prigioniero di Badoglio al Gran Sasso, quindi la cessione al Reich della riserva aurea dello Stato depositata nella Banca d’Italia e la cessione di tutto l’armamento dell’esercito italiano.
Questi sospetti, divenuti poi vere e proprie ricostruzioni storiche, furono accennati sopratutti da alcuni ricercatori storici, poi le ricerche si sono estese e precisate meglio anche se non gli è stato dato il dovuto risalto editoriale.
A tal proposito vedere di Riccardo Rossotto ““Il patto scellerato” , Mattioli 1985, che partiva dalla ovvia domanda: «nelle sette ore che si consumarono tra la proclamazione radiofonica dell'armistizio (ore 19.45 dell'8/9) e la decisione di lasciare Roma per Pescara (alle ore 4.30 circa del mattino del 9/9) non ci fu un "contatto" con il comando tedesco di Frascati per trattare un accordo pacifico o, forse più semplicemente, per dare esecuzione ad un piano già precedentemente discusso? ».
Ed infatti la fuga della colonna dei generali e savoiardi, sulla Tiburtina e in Abruzzo, lasciò per un paio di giorni ampie tracce, anche fotografiche, di come se la stavano svignando con il beneplacito tedesco, di cui loro moto tedesche furono immortalate in foto mentre precedevano o erano a latere dei fuggiaschi, quasi come una scorta. Del resto la presenza di tedeschi venne notata da diverse persone del posto.
Ma nessuno si prese la briga di raccogliere queste foto e di verbalizzare le testimonianze del posto, ma la loro esistenza è certa.
Di conseguenza bisogna rivedere tutte le leggendarie storie, soprattutto di parte tedesca, di come venne scovata la prigione di Mussolini al Gran Sasso, e inoltre Badoglio, per tacito accordo, non fece sopprimere Mussolini come era previsto, ma oltretutto che il Duce fosse nell’Hotel a Campo Imperatore, in zona lo sapevano tutti, compresi donne e bambini.
A questo proposito vedesi il particolareggiato e dettagliato testo di Vincenzo Di Michele “L’ultimo segreto di Mussolini” Il Cerchio, 2015.


VILLA WOLKONSKY

Il secondo episodio oscuro avvenne poco tempo dopo, intorno al 10 ottobre 1943, e si tratta nientemeno che della vendita da parte dei tedeschi della loro ambasciata, ubicata in Villa Woklkonsky a Roma sulle colline dell’Esquilino, e udite, udite, ceduta agli inglesi seppur nemici in guerra. La transazione venne probabilmente mediata da alti prelati del Vaticano (artefice Dollmann), dove forse venne anche formalizzata.
Quest’altra sporca faccenda rimase celata e misteriosa mentre Villa Wolkonsky divenne nel dopoguerra, la residenza ufficiale dell'ambasciatore britannico in Italia e più recentemente luogo di seminari ed altri eventi importanti. Quando nel 1946 l'ambasciata britannica in via XX Settembre fu distrutta da un attentato terroristico sionista, venne messa a disposizione villa Wolkonsky, che si disse, successivamente nel 1951, il governo ne acquisì formalmente la proprietà.
Ma in realtà gli inglesi la Villa l’avevano già segretamente comprata ad ottobre 1943.
In quell’anno, con l'occupazione tedesca dell'Italia, la villa smise di essere formalmente un'ambasciata tedesca. Occupata Roma nel 1944 divenne preda bellica e poi fece parte dei beni considerati come riparazione dalla Commissione Alleata di Controllo. Solo successivamente gli inglesi fecero valere il loro contratto di acquisto.
Questa sporca faccenda venne rivelata anni addietro da un ex comandante partigiano, socialista, Franco Napoli, il quale fin dal 1946 ne fece accenni, poi accumulò documentazioni che registrò alla Siae nel 1988, (in buona parte esagerando, asserì che nella villa, funzionando come succursale di via Tasso, vennero torturati e uccisi migliaia di oppositori), e vi scrisse un importante libro: “Villa Wolkonsky 1943 - 1945 Il lagher nazista”, Europa Edizioni, Como 1996.
Ai primi del 2000 infine uscirono alcune documentazioni americane desecretate che comprovavano alcune tesi dell’autore.
Franco Napoli da partigiano era stato inquadrato - con i suoi uomini - nel CIC (Counter Intelligence Corps), il servizio di controspionaggio americano in zona di operazioni di guerra aggregato alla V armata americana, alle dirette dipendenze del maggiore Alhert W. Phillips.
A questo proposito però l’autore anche se nella Villa venero rinvenute fosse comuni, esagerò decisamente, asserendo che vi vennero torturati e uccisi oltre 40 mila oppositori. Nel 1988, su sua richiesta il Comune di Roma gli notificò che durante la guerra le persone scomparse e rimaste senza un nome, furono 40.700 e l’autore con molta superficialità li attribuì tutte ad eccidi eseguiti in Villa.
Insomma anche questa storia, della vendita della Villa, già ambasciata tedesca, con buona pace degli idealisti, è un altro episodio significativo dell’andazzo tedesco in Italia a quel tempo.
LA FUCILAZIONE DI BRUNO BUOZZI
Per parlare di Bruno Buzzzi il sindacalista socialista fucilato dai tedeschi, che Mussolini aveva chiamato al Nord per gestire la socializzazione (proposta a cui avevano già aderito alcuni sindacalisti Confederali, e su cui Buozzi stava meditando), cediamo la parola a Giorgio Vitali che dopo varie ricerche vi scrisse un articolo sul N. 35 di Aurora di giugno 1996: “Bruno Buzzi come Giacomo Matteotti” visibile on line: http://aurora.altervista.org/35storia.htm
««Bruno Buozzi, nato nel ferrarese, rappresentava la continuità del sindacalismo moderato, essendo esponente di quella socialdemocrazia di cui aveva fatto parte anche Giacomo Matteotti. Emigrato in Francia negli anni del Ventennio, con l'ingresso dei tedeschi a Parigi venne arrestato ed estradato in Italia… Nel gennaio '44 viene eletto, al congresso di Bari, Segretario Generale della rinata CGIL.
Nell'aprile del '44 è a Roma sotto falso nome. Il 13 aprile viene arrestato, in circostanze misteriose, e condotto nel famigerato carcere di Via Tasso. Da quel carcere (attenzione!), poco prima dell'ingresso degli americani in Roma, partono alcuni camion carichi di prigionieri, che dovranno andare al Nord per essere poi utilizzati nello scambio con altri prigionieri; molti furono internati in Germania, da cui tornano a fine guerra. Restano a Roma, in carcere, alcune persone che diventeranno importanti poi, nel dopoguerra. Tra esse Pertini ed alcuni autori della strage di via Rasella; incarcerati a causa di uno di loro che non aveva resistito alla tortura. L'ultimo camion che trasporta 14 prigionieri, tra cui Bruno Buozzi, si ferma sulla via Cassia, pare per un'avaria. Si infila in un viottolo che conduce ad una casa colonica e vi scarica i prigionieri. Il giorno dopo, alle prime luci dell'alba, i prigionieri sono portati all'esterno della fattoria ed assassinati con un colpo alla nuca. Una scarica di mitra sui corpi sussultanti nell'agonia completa il massacro. Pare che il camion sia riuscito a ripartire con l'aiuto di alcuni contadini del vicinato. Ma non era in avaria?
La notizia della strage si diffonde subito, già il giorno dopo, con l'arrivo dei militari USA, ma su di essa -ben più grave dal punto di vista penale di quella delle Fosse Ardeatine perché assolutamente immotivata ed in quanto attuata su prigionieri inermi che dovevano essere trasportati al Nord- cala un inspiegabile silenzio….
Su Bruno Buozzi, ad esempio, si viene a sapere che pochi giorni prima della sua morte uno dei GAP romani aveva preparato un'azione per liberarlo. L'operazione era riuscita, ma, per uno strano equivoco, invece di Buozzi era stato liberato un altro prigioniero. Un giornalista scova in Svizzera (ma il personaggio in precedenza viveva tranquillamente a Roma) l'ex-maggiore delle SS Karl Hass, il quale si dice disposto a tornare in Italia per testimoniare che è stato Priebke ad assassinare Bruno Buozzi «il quale non doveva assolutamente morire».
«Come fa a sostenerlo con tanta certezza?» domanda il giornalista. «Perché doveva essere condotto da Mussolini, il quale aveva espresso il convincimento che Buozzi, pur non essendo sicuramente proclive a collaborare con lui, avrebbe alla fine accettato di tradurre in realtà la Carta di Verona e di avviare la cogestione nelle fabbriche». Testuale!...
La morte di Buozzi ha privato Mussolini della possibilità di avvalersi di una collaborazione prestigiosa che, a mio avviso, data l'integrità morale del personaggio era più che probabile vista la possibilità di porre, a guerra finita, gli Anglo-americani di fronte al fatto compiuto: un'Italia del Nord, la sola area industrializzata del Paese, già ampiamente socializzata. … Cosa avrebbe detto Mussolini a Buozzi? Non certo cose diverse di quelle dette ai vecchi compagni Nicola Bombacci, Carlo Silvestri, Ugo Manunta, Ottavio Dinale, solo per fare alcuni nomi. Ma la presenza di Buozzi, avrebbe avuto la valenza di coinvolgere molti altri esponenti del socialismo pre-fascista, del socialismo mazziniano, rimasti in disparte a causa delle troppe delusioni e delle troppe incertezze sul futuro (uno di quelli che si sarebbe sicuramente fatto coinvolgere era Mario Bergamo che dopo la guerra avrebbe scritto: "Il novissimo annuncio di Mussolini").
Gli avrebbe detto che, dopo la vittoria alleata, di Socializzazione non si sarebbe più parlato per decenni. Così come di fatto si è poi verificato. Gli avrebbe proposto di collaborare al di fuori di precise responsabilità di governo, anche in veste di sorvegliato speciale. Ad un suo eventuale diniego, avrebbe replicato chiedendo la sua disponibilità ad accettare, a guerra conclusa, l'eredità della RSI. Buozzi, ne sono sicuro, non si sarebbe tirato indietro.
In conclusione, si potrebbe sostenere che i nemici della Socializzazione erano e restano tanti. L'accordo tra capitalismo e comunismo si è fondato proprio sull'avversione verso questa forma di elevazione del lavoro, già prospettata da Giuseppe Mazzini nell'Ottocento… » Giorgi Vitali»».
Si dirà: ma come c’entra la fucilazione di Bruno Buozzi, con gli infami comportamenti dei tedeschi in Italia?
C’entra appieno, non solo per l’abuso di fucilazioni di nostri compatrioti, ma a dimostrazione di come le componenti naziste dei tedeschi in Italia ebbero comportamenti ambigui e collusioni di ogni genere (a chi esattamente, fecero il “favore” di eliminare Buozzi, boicottando l’operato di Mussolini?), un malaffare che poi a guerra finita gli garantì di non essere imprigionati seriamente o liquidati come avvenuto per altri nazionalsocialisti.
E veniamo alla resa che Wolff dopo averla iniziata a trattare con la mediazione della Curia milanese del Cardinale Schuster (c’entra sempre il solito Dollmann), la andò a finalizzare direttamente a Berna con gli Alleati e il capo della Intelligence americana Allen Dulles.
Una resa trattata all’insaputa di Mussolini e il governo della RSI, tanto da vanificare poi il deflusso verso la Valtellina delle rimanenti forze fasciste e costata la vita al Duce.
LA RESA TEDESCA DELL’APRILE 1945
Con la resa di tutte le loro Forze Armate presenti sul territorio italiano che i tedeschi trattarono segretamente, prima attraverso il Vaticano e poi direttamente a Berna con gli Alleati, di fatto la Germania si mise nella stessa posizione del nostro tradimento dell’8 settembre. Fu il Wolff che dopo essere passato da Berlino e avuto il consenso di Himmler, si imbarcò su quella strada andando a trattare in Svizzera direttamente con l'OSS, il servizio segreto americano, diretto da Allen Dulles, futuro direttore della Cia.
Certamente il Duce, riguardo alla possibilità di una resa tedesca in Italia, ne aveva percepito delle avvisaglie, ma non poteva certo immaginare che le trattative avrebbero avuto una tale conclusione repentina e segreta, spiazzando completamente gli italiani. Egli contava, infatti, che in caso di una soluzione positiva, al dunque, gli italiani sarebbero sicuramente stati quanto meno informati e poi fatti partecipi delle trattative. Ma non andò così e il Duce lo venne a sapere, il pomeriggio del 25 aprile 1945 mentre si trovava in Arcivescovado per trattare con il Clnai un indolore deflusso dei fascisti verso la Valtellina.
Fu quindi un tradimento, quello del raggiunto accordo di resa con gli Alleati (resa che venne poi firmata dai tedeschi qualche giorno dopo, ma nel frattempo cominciarono a ritirarsi nei loro acquartieramenti smettendo di combattere), un tradimento che se forse poteva restituire moralmente a Mussolini una certa libertà di azione rispetto ai tedeschi, condizionò e pregiudicò ogni possibilità di manovra giù prevista di sganciamento militare dei fascisti in quelle ore fatali dal 25 al 27 aprile 1945.
Come già aveva supposto il tenente Enrico Mariani della Brigata Nera Rodini del comasco, a latere degli accordi di resa con gli Alleati, giocati da Wolff su più tavoli e poi conclusi in Svizzera, subentrò sicuramente un suo impegno per rendere possibile la cattura di Mussolini da parte del CLN. Ed infatti non può essere andata diversamente perchè non è possibile che in sede di trattative tedeschi Alleati non si sia parlato della sorte di Mussolini (che era sotto tutela tedesca) e delle pur se esigue forze fasciste e si predispose quindi lasciare Mussolini inerme in modo che, chi di dovere, lo catturasse e lo eliminasse alla svelta e senza che i tedeschi apparissero direttamente come dei traditori che lo avevano consegnato.
Su questi aspetti storici, dove i tedeschi portarono l’Italia alla rovina, alquanto delicati per la agiografia della Resistenza e della stessa Seconda guerra mondiale, gli storici di professione avevano ben “dormito”, ma fu un giornalista storico tedesco Erich Kuby, che mise tutti sulla buona strada con il suo pregevole “Il tradimento tedesco”, Rizzoli 1983.
Del resto, per quanto riguarda Mussolini, di cui Wollf se ne sarebbe al momento opportuno fatto oggetto di “scambio”, ebbe giustamente a far rilevare il ricercatore storico Franco Morini di Parma:
< Suo intermediario italiano era certo comm. Costa di Bologna il quale, in stretto collegamento con l’aiutante di campo del generale SS, cap. Weissener, agiva all’interno e all’esterno della RSI contattando i partigiani in specie del parmense. Proprio su invito del Costa e del comando SS di Parma, l’esponente della resistenza parmense e poi sindaco di Parma, Primo Savani, intraprese una delicata quanto misteriosa missione a Milano per contattare i vertici del Clnai, verosimilmente per informarli e convincerli delle proposte del generale tedesco.
Per questa sua attività, Savani venne in un primo tempo degradato e poi, a seguito di processo segreto intentatogli dal partito comunista, fu pienamente reintegrato in tutte le sue ex funzioni di alto esponente partigiano. Ancora oggi gli atti concernenti il processo politico subito dal Savani nel 1945, rimangono tassativamente occultati».
Il 14 aprile 1945 l’ambasciatore Filippo Anfuso prenderà parte a Gargnano, all’ultimo colloquio italo tedesco tra Mussolini e l’ambasciatore Rudolf Rahn (altro bel campione che agì in sintonia con Wolff) e il generale delle SS Wolff. I tedeschi, nell’occasione, nasconderanno le loro trattative di resa in corso promettendo a Mussolini una ultima ed “eroica” linea di difesa alpina . Il Duce, che, più volte aveva rifiutato la proposta di Anfuso di rifugiarsi in Spagna, si rafforzerà nell’idea di non arrendersi e si indirizzerà verso un ultima simbolica ridotta in Valtellina e al contempo nella ricerca di una soluzione politica per la fine della guerra, cercando di allontanarsi dalle zone dove stavano arrivando gli Alleati per restare il più possibile libero.
E’ prevedibile, se non certo, quindi che, in sede di trattative svizzere, in qualche modo vennero fatte dai tedeschi promesse sul Duce agli Alleati e quindi, successivamente, queste promesse, visto che il 26 e 27 aprile gli Alleati erano ancora lontani da Como, vennero mantenute con le autorità partigiane.
Una consegna diretta di Mussolini agli Alleati o ai partigiani era però da scartare, non volendo il generale tedesco Wolff apparire come un traditore e forse anche per una residua paura di Hitler la cui autorità di governo, seppur chiuso e isolato nel bunker di Berlino, nominalmente continuò fino alle soglie del 30 aprile 1945.
Quindi si trattò, più che di una diretta “consegna” del Duce, sempre scortato da una dozzina di SS del tenente Fritz Birzer (apparentemente incaricata di proteggerlo o di non farlo fuggire all’estero), di un lasciar fare, di un mollarlo se e quando il caso, e tutto questo avvenne probabilmente dietro una sottile strategia a distanza che parte dal comando tedesco di Cernobbio, dove Wolff nel suo andirivieni con la Svizzera sembra ebbe a passare in quelle ore fatidiche tra il 26 e 27 aprile, e fu eseguita proprio dal tenente Birzer (qui a lato le favolette di Birzer alla stampa nel dopoguerra).
C’era probabilmente anche il consiglio di utilizzare il Duce, se il caso, nell’interesse dei tedeschi. E il caso si presentò a Musso quando la colonna di italiani e di tedeschi in transito verso Merano venne fermata dal blocco stradale partigiano.
Toccò così ai quattro gatti della 52 Brigata Garibaldi del distaccamento Puecher, di raccogliere i frutti di quell’impegno di consegna del Duce.
Consideriamo allora alcuni elementi alquanto sospetti, quali per esempio:
a) I racconti in buona parte alterati di questo ufficiale Fritz Birzer (Waffen SS) ultima “scorta” assegnata al Duce e quelli oltretutto anche alquanto fantasiosi del Kriminal Polizei bei Duce, tenente Otto Kissnatt (dell’SD e sempre coinvolto nella sorveglianza di Mussolini) che, guarda caso, era sparito da Milano per riapparire poi, ci hanno lasciato scritto i due nelle loro memorie, il pomeriggio del 26 aprile a Gràndola sopra Menaggio (dove Mussolini si era portato momentaneamente). Ma altre attendibili versioni asseriscono che il Kisnatt venne fermato dai partigiani il tardo pomeriggio del 26 aprile e, portato a Domaso, qui non si sa bene cosa disse e che gioco dovette recitare.
b) L’arrivo provvidenziale della colonna tedesca del fantomatico tenente Hans Fallmeyer (su questo nome non c’è alcuna certezza, mai correttamente fornito, venne confuso con persone e ruoli diversi e si indicò anche come Willy Flamminger, ecc. Per di più il nome fu ambiguamente tenuto coperto dai tedeschi e dallo stesso Wolff nel dopoguerra), passata dalla strada Regina, che da Cernobbio si snoda fino a Sorico, con meta la Valtellina e poi Merano. E’ vero che il passaggio in ritirata di una formazione tedesca, in quei momenti non era un fatto eccezionale, dobbiamo però considerare che il transito in ritirata di formazioni militari germaniche attraverso la Valtellina era stato da tempo pianificato con i partigiani dal capitano della polizia di frontiera e oggi ritenuto doppiogiochista (eccone un altro!) Joseph Woetterl. Non possiamo quindi non mettere in conto, sia pure come semplice congettura, che – volendo – il comando tedesco di Cernobbio, aveva l’occasione di utilizzare proprio quella colonna, oltretutto senza armi pesanti, per farci aggregare la sparuta e disperata “colonna di Mussolini” (di cui alcuni membri con mogli e figli al seguito), oltre alla dozzina di SS di Birzer, che erano rimasti impantanati in quel di Menaggio e impossibilitati a muoversi perché privi di scorta armata.
c) Ciò che poi desta ancor più sospetti è il comportamento, sia del tenente Fritz Birzer di scorta al Duce, che del comandante della colonna tedesca della Luftwaffe, questo presunto tenente Hans Fallmeyer. I tedeschi, comunque, fermati a Musso con gli italiani da uno sbarramento stradale, tutto sommato sotto la mira di pochi e male armati partigiani del luogo, anche se trovatisi in posizione strategica negativa, dopo qualche sceneggiata entrarono quasi subito nell’idea di risolvere la situazione, attraverso trattative, nonostante il tempo che giocava a sfavore. Essi non optarono mai, per una logica scelta a forzare il passaggio attraverso il combattimento.
Addirittura, invece, il comandante tedesco, perso già un bel pò di tempo, accetta di recarsi con i capi partigiani, nel frattempo sopraggiunti perché neppure c’erano, al loro sedicente e non vicino comando Divisione di Chiavenna per trattare il passaggio della colonna. E questo nonostante gli venga fatto presente che ci vorranno non meno di tre ore. Anzi chiede lui stesso di andare con loro per trattare direttamente con il comando partigiano.
Quindi, tranquillo, parte con una camionetta con costoro, sta via alcune ore.
Ma neppure arrivò fino a Chiavenna, perché venne parcheggiato in attesa al presidio partigiano della Vedescia poco distante, in custodia al partigiano mezzo svizzero Hoffman. Quindi al ritorno degli altri partigiani, dimentico che aveva chiesto di essere presente alla trattativa, accetta le condizioni postegli e si accorda per far passare solo i tedeschi perché “convinto” che non ci sia altro da fare in quanto la strada è minata e presidiata da ingenti forze partigiane;
d) Ed infine ecco il gran finale, con Mussolini invitato, proprio dai tedeschi, a salire su di un loro camion per passare, camuffato da tedesco, un concordato controllo partigiano e poi, una volta scoperto su quel camion (o fatto scoprire!), viene immediatamente scaricato nella più completa indifferenza, senza che il “mastino” Birzer, fino a poche ore prima esagitato controllore del Duce e della sua incolumità, muova un dito (e neppure aveva precedentemente tentato di impedire i controlli ossessivi e meticolosi sui camion). Una tutela ossessiva, dicesi in ottemperanza agli ordini di Hitler per la guardia al Duce, ma che in effetti ora non si accorda con il fatto che Wolff avendo trattato la resa con gli Alleati e quindi praticamente tradito il Führer, perché avrebbe dovuto ancora osservare questa “tutela”?
Eppure su quella piazza di Dogno, dove vi era un affollamento di curiosi, pochi partigiani male armati, anche se la colona dei camion tedeschi non aveva armi pesanti, ed era smaniosa di rientrare in Germania, sarebbe bastato un colpo di fucile per creare un fuggi fuggi generale.
Quindi delle due l’una:
- o il comandante tedesco, per passare, si era accordato per un generico controllo dei documenti, ed allora non è credibile che a Dongo poi i partigiani siano saliti sui camion toccando e spogliando i soldati tedeschi alla ricerca di italiani (i partigiani della 52a Brigata erano poche decine, più molti curiosi e elementi dei luoghi circostanti, arrivati all’ultim’ora e pronti a scappare al primo echeggiare di uno sparo) quindi in questo caso, il Duce è stato segnalato!;
- oppure erano stati concordati e previsti accurati controlli ed allora si fece salire Mussolini sul camion ben sapendo che lo avrebbero scoperto!
In seguito alcuni partigiani prenti a Dongo e anche Michele Moretti, uno dei presunti fucilatori del Duc, ridimensinò alquanto i meriti che si era attribuito Urbano Lazzaro Bill, nella cattura del Duce e disse chiaramente che uno dei soldati tedeschi ebbe ad indicare il camion che portava Mussolini, del resto già in qualche modo individuato.
Quello che lascia veramente a pensare è il fatto che nessuno dei tedeschi che si trovava sul camion con Mussolini, non intese mai rilasciare interviste, neppure in quegli anni ’50 e ’60 quando cronisti e non solo italiani, scatenati a caccia di scoop giornalistici erano disposti a pagare cifre rilevanti per qualche indiscrezione.
Con la cattura di Mussolini si chiuse il tradimento tedesco in Italia e per questi solerti “nazisti” si aprirono le porte per far da lustrascarpe alla Intelligence americana.
Camerata Richard un cazzo!

TRATTO DA:
https://www.facebook.com/maurizio.barozzi.7/posts/1509721449054719


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