martedì 1 novembre 2016

Bruno Buozzi come Giacomo Matteotti


di Giorgio Vitali
Di Matteotti si sa molto (o quasi), di Buozzi pochissimo. 
Di certo chi si interessa della storia italiana di questo secolo, sa che le tortuose vie del potere hanno trovato e continuano a trovare la mano prezzolata del sicario o di più sicari, e, escludendo soltanto quelli delle guerre di mafia, mai identificabili con i veri mandanti. 
A questo si aggiunge il silenzio compiacente e compiaciuto dei Media e delle forze politiche che apparentemente stanno al potere, compresi coloro che potrebbero trarre vantaggio dalla diffusione della verità. 
Per quanto riguarda Buozzi, soltanto Craxi, pochi anni prima di essere coinvolto in Tangentopoli, aveva organizzato una manifestazione in località "La Storta", ove il deputato socialista era stato ucciso dai tedeschi senza alcun apparente motivo, unitamente ad altri 13 ostaggi che dovevano essere trasferiti al Nord per essere utilizzati in uno scambio di prigionieri di guerra.

In breve, per i tanti che non sanno.
Bruno Buozzi, nato nel ferrarese, rappresentava la continuità del sindacalismo moderato, essendo esponente di quella socialdemocrazia di cui aveva fatto parte anche Giacomo Matteotti. Emigrato in Francia negli anni del Ventennio, con l'ingresso dei tedeschi a Parigi venne arrestato ed estradato in Italia. Qui giunto, nel '41, fu confinato a Montefalco, in Umbria. Dopo il 25 luglio viene chiamato dal Ministero del Lavoro a rappresentare i lavoratori dell'industria. Nel gennaio '44 viene eletto, al congresso di Bari, Segretario Generale della rinata CGIL.
Nell'aprile del '44 è a Roma sotto falso nome. Il 13 aprile viene arrestato, in circostanze misteriose, e condotto nel famigerato carcere di Via Tasso. 
Da quel carcere (attenzione!), poco prima dell'ingresso degli americani in Roma, partono alcuni camion carichi di prigionieri, che dovranno andare al Nord per essere poi utilizzati nello scambio con altri prigionieri; molti furono internati in Germania, da cui tornano a fine guerra. 
Restano a Roma, in carcere, alcune persone che diventeranno importanti poi, nel dopoguerra. Tra esse Pertini ed alcuni autori della strage di via Rasella; incarcerati a causa di uno di loro che non aveva resistito alla tortura. L'ultimo camion che trasporta 14 prigionieri, tra cui Bruno Buozzi, si ferma sulla via Cassia, pare per un'avaria. Si infila in un viottolo che conduce ad una casa colonica e vi scarica i prigionieri. 
Il giorno dopo, alle prime luci dell'alba, i prigionieri sono portati all'esterno della fattoria ed assassinati con un colpo alla nuca. Una scarica di mitra sui corpi sussultanti nell'agonia completa il massacro. Pare che il camion sia riuscito a ripartire con l'aiuto di alcuni contadini del vicinato. Ma non era in avaria?
La notizia della strage si diffonde subito, già il giorno dopo, con l'arrivo dei militari USA, ma su di essa -ben più grave dal punto di vista penale di quella delle Fosse Ardeatine perché assolutamente immotivata ed in quanto attuata su prigionieri inermi che dovevano essere trasportati al Nord- cala un inspiegabile silenzio. 
Eppure Bruno Buozzi veniva indicato come probabile capo del governo a guerra conclusa o, sicuramente, era destinato ad essere il leader incontrastato di un futuro sindacato unitario post-fascista.
Con il processo Priebke, in cui le accuse sono risapute e storicamente accertate, a nessuno è passato per la mente di portare a galla un argomento sul quale ben poco è stato finora detto e scritto. Su Bruno Buozzi, ad esempio, si viene a sapere che pochi giorni prima della sua morte uno dei GAP romani aveva preparato un'azione per liberarlo. L'operazione era riuscita, ma, per uno strano equivoco, invece di Buozzi era stato liberato un altro prigioniero. Un giornalista scova in Svizzera (ma il personaggio in precedenza viveva tranquillamente a Roma) l'ex-maggiore delle SS Karl Hass, il quale si dice disposto a tornare in Italia per testimoniare che è stato Priebke ad assassinare Bruno Buozzi «il quale non doveva assolutamente morire».
«Come fa a sostenerlo con tanta certezza?» domanda il giornalista. «Perché doveva essere condotto da Mussolini, il quale aveva espresso il convincimento che Buozzi, pur non essendo sicuramente proclive a collaborare con lui, avrebbe alla fine accettato di tradurre in realtà la Carta di Verona e di avviare la cogestione nelle fabbriche». Testuale!
Credo che basti. 
I lettori di "Aurora" sono in grado di valutare il peso di una simile testimonianza che, oltre ad essere importantissima, da l'unica risposta plausibile per l'assassinio del sindacalista ferrarese e getta nuova luce -per chi voglia conoscere le verità- su un periodo cruciale della storia nazionale.

A questo punto sono d'obbligo alcune considerazioni: è un luogo comune che nella storia certi omicidi rispondano ad inconfessabili esigenze politiche. Qualche esempio: Kennedy assassinato da un presunto comunista; un altro Kennedy ucciso da un palestinese; Mattei dall'OAS; i fratelli Rosselli dalla "Cagoule"; Giovanni Paolo II attentato da un estremista di destra turco; Moro dalle Brigate Rosse; Ceausescu dal popolo in rivolta; Gardini suicida; Matteotti ad opera dei fascisti e Buozzi da mani naziste. 
Cos'è successo dopo la morte di Matteotti lo sanno tutti: la dittatura di Mussolini e l'impossibilità di concludere quell'accordo, in nuce, con le forze socialiste e le organizzazioni sindacali non intenzionate ad unirsi ai «bolscevichi»; il conseguente prevalere della destra in tutte le sue forme: l'impossibilità, per Mussolini, di proseguire nel processo di «socializzazione» della società italiana.
La morte di Buozzi ha privato Mussolini della possibilità di avvalersi di una collaborazione prestigiosa che, a mio avviso, data l'integrità morale del personaggio era più che probabile vista la possibilità di porre, a guerra finita, gli Anglo-americani di fronte al fatto compiuto: un'Italia del Nord, la sola area industrializzata del Paese, già ampiamente socializzata. Per l'Italia del dopoguerra, il terrore dei socialisti di fronte all'offerta mussoliniana di rilevare l'eredità della R.S.I. e la conseguente morte di Mussolini, ha significato, di fatto, la scomparsa del Socialismo dal panorama politico nazionale stante la sudditanza del PSI al partito di Togliatti ed il conseguente dominio del bipartitismo imperfetto DC-PCI, riproducente sullo scenario italiano il consociativismo planetario delle potenze dominanti, USA e URSS.
 
L'egemonia incontrastata della liberal-democrazia, grazie anche alla subordinazione di un sindacato gestito dal PCI, con l'aggiunta dei tanti accordi sottobanco tutt'ora in vigore; il possesso, di fatto, della Sicilia da parte degli Anglo-americani per il tramite della Mafia sono i perni della strategia che, con la scusante di un'Italia a rischio per la presenza del più forte partito comunista dell'Occidente, ha privato la Nazione della sua libertà d'azione costringendola nelle anguste strettoie della sovranità limitata.

Il tentativo craxiano di inserire il PSI con pari dignità nei giochi dei due famelici lupi, PCI e DC, si è di fatto arenato sulle spiagge untuose di Tangentopoli che, possiamo sostenerlo con assoluta certezza, ha colpito a fondo solo il Partito socialista risparmiando gli altri partiti, anche perché Craxi ebbe il torto di avvalersi di persone per lo meno «pregiudicate» per contrastare la spregiudicatezza ben più consistente di democristiani e comunisti.
Da quella posizione di debolezza iniziale è sortita una ridotta credibilità politica, aggravata da scissioni di vario genere e natura che, se attentamente analizzate, altro non sono che la conseguenza dell'atteggiamento remissivo iniziale del partito di Pietro Nenni, che certamente comunista non era, verso il PCI.

In quest'insieme va considerata anche la retorica resistenziale, quale mezzo nella strategia del PCI per addivenire all'egemonia culturale nel Paese. 
Retorica resistenziale che difficilmente avrebbe coinvolto un socialismo già in possesso, grazie alla sua storia, della patente di democraticità e non intenzionato a gettare alle ortiche un retaggio di cui tanti socialisti, Mussolini compreso, che avevano aderito alla RSI erano parte integrante, se non essenziale.

Cosa avrebbe detto Mussolini a Buozzi? Non certo cose diverse di quelle dette ai vecchi compagni Nicola Bombacci, Carlo Silvestri, Ugo Manunta, Ottavio Dinale, solo per fare alcuni nomi. Ma la presenza di Buozzi, avrebbe avuto la valenza di coinvolgere molti altri esponenti del socialismo pre-fascista, del socialismo mazziniano, rimasti in disparte a causa delle troppe delusioni e delle troppe incertezze sul futuro (uno di quelli che si sarebbe sicuramente fatto coinvolgere era Mario Bergamo che dopo la guerra avrebbe scritto: "Il novissimo annuncio di Mussolini"). Gli avrebbe detto che, dopo la vittoria alleata, di Socializzazione non si sarebbe più parlato per decenni. Così come di fatto si è poi verificato. Gli avrebbe proposto di collaborare al di fuori di precise responsabilità di governo, anche in veste di sorvegliato speciale. Ad un suo eventuale diniego, avrebbe replicato chiedendo la sua disponibilità ad accettare, a guerra conclusa, l'eredità della RSI. Buozzi, ne sono sicuro, non si sarebbe tirato indietro.
In conclusione, si potrebbe sostenere che i nemici della Socializzazione erano e restano tanti. L'accordo tra capitalismo e comunismo si è fondato proprio sull'avversione verso questa forma di elevazione del lavoro, già prospettata da Giuseppe Mazzini nell'Ottocento in alternativa ed in contrapposizione a Marx e Bakunin. Il socialismo italiano è infatti erede di tutti quei filoni del socialismo storico che vanno da Proudhon a Pisacane ed i suoi nemici hanno usato ed useranno tutti i mezzi per bloccare questa aspirazione alla giustizia sociale ed alla partecipazione dei lavoratori.
 
Nel momento in cui concludo queste brevi note, la televisione comunica che l'ottantenne ex-maggiore delle SS Karl Hass è «caduto» dalla finestra. 
Se la caverà, ci dicono. Anche se fratturarsi il bacino ad ottant'anni ed oltre non è cosa da poco. 
Dicono che, dietro, c'è il segreto dell'operazione che portò molti nazisti in salvo in America Latina. 
Il mio parere è che la questione è identica a quella che ho in queste righe sollevato. 
Alcuni nazisti sono stati aiutati a scappare, altri no. 
Ad esempio Priebke ed Hass si sono salvati; che siano ambedue implicati, direttamente o indirettamente, nell'assassinio di Bruno Buozzi e solo un caso?
Giorgio Vitali
TRATTO DA: 



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