martedì 19 luglio 2016

I morti della R.S.I. non possono essere cancellati dall'incuria del tempo

Una ricerca durata mesi per restituire la verità ad un figlio

I morti della R.S.I. non possono essere cancellati dall'incuria del tempo
Giovanni Del Ry confessa: “Sono ottant'anni che aspetto di sapere”
Aveva ragione il buon Giovannino Guareschi. Si impara di più stando sepolti in un cimitero che sui banchi di scuola. Potrei aggiungere che quelli degli Archivi di Stato possono dare una mano. Ma quei luoghi silenziosi, dove i morti riposano sotto corone di fiori, insegnano sempre qualcosa. Soprattutto quando devi dare un nome ai caduti della Rivoluzione Sociale Fascista. Quando devi trovare la storia, quella vera, che li ha portati ad essere fucilati dai partigiani.
Arrivo a Pisa Centrale in orario. Sul piazzale della stazione le automobili si muovono come formiche: qualcuna blocca la fila per accogliere a bordo il viaggiatore che si era perso. Mordo appena il dente della pipa e, a pochi passi, borbotta una Balilla che fila via per via Filippo Corridoni. Per un attimo resto a fissare l'autoveicolo che si allontana. Ritorno poi lo sguardo alla piazza e raccolgo le idee mentre il fornello della pipa scalda il primo tabacco. Il sole cade preciso sui tetti e lungo le strade. All'improvviso, infilando il dito per allargare il collo della camicia, ho una voglia di mare.
Giovanni Del Ry abita a pochi passi dalla stazione, una via stretta dove i palazzi si alzano per alcuni piani e si guardano in faccia ormai da decenni.
Capita spesso di conoscere i parenti dei caduti della RSI per telefono. La domanda è sempre la stessa, quasi fossi uno di quei cronisti che la Storia ha ributtato indietro. Uno di quelli che usano i piedi, vecchio stampo, per andare incontro alle notizie.
“Buongiorno, mi scusi, sono un giornalista, per caso lei è parente di, fucilato da, il, in località...”. E il cronista che è in me, ma se ne sta in un angolo ben nascosto, resta in attesa. “Si, sono io. Era mio padre, mio figlio, mio fratello...”.
E nello stesso modo inizia l'incontro con il signor Giovanni, classe 1937, in un pomeriggio di maggio di quest'anno. Pioveva allora. Del Ry attende qualche secondo, mentre io aspetto che chiuda il telefono perché magari non vuole essere disturbato. Ma Giovanni, invece, ha voglia di parlare. “La ringrazio che si interessi al mio babbo. Ma non conosco molto. Sono ottanta anni che aspetto. Come ha fatto a trovarlo?”.
Per caso, come spesso succede quando non hai nulla in mano. Erano le solite giornate: archivio, giornale, letture. Poi un giorno la collega Emma Moriconi mi invia una foto: dobbiamo decidere una immagine da inserire per un articolo. L'occhio cade subito su alcune righe riportate nella pagina successiva. Giorgio Pisanò scrive di “sette fucilati, maggio del 1945, nel Comune di Casnate con Bernate, provincia di Como”.
Il Vicesindaco, Antonio Milani, mi accoglie una mattina in uno degli uffici del Comune. Casnate con Bernate è un paese che alle volte chiede fatica, fatto di salite e discese ripide. Lo abbraccia una campagna rigogliosa. Il palazzo comunale domina la piazza: alle spalle si apre il giardino della villa. E il paese si fa ammirare con discrezione, come una di quelle belle donne di un tempo che non vogliano scoprire troppo. È Milani a indicarmi luoghi, nomi, date.
Al Geometra Maurizio Maesani tocca invece il compito di sopportare la mia presenza in ufficio, proprio mentre scorro il registro degli atti comunali: registri cimiteriali e atti di morte sono il mio pane. E come se non bastasse, deve scortarmi nel polveroso archivio del Comune, forse la parte meno felice di tutta questa storia. Maesani si arrampica sui ripiani e fa scivolare nelle mie mani i faldoni che ho trascritto dal registro.
Perché di tutto, dei racconti della gente, dei ricordi, contano le carte bollate, le comunicazioni, le lettere. Sono queste le prove che raccontano la verità.
“Non saprei neanche dirle in che formazione militare ha combattuto mio padre” ha detto un giorno il signor Giovanni, con la sua voce calma, quasi rassegnata. Intanto stringevo fra le mani i fascicoli con tutta la documentazione su suo padre, Narciso Del Ry.

I documenti raccontano
Narciso, storia di un soldato
Il milite muore a 39 anni, fucilato dai partigiani, insieme al cognato Tullio Fedeli e altri cinque camerati

Narciso Del Ry, classe 1906, alto 1 metro e 68 centimetri, capelli castani e lisci, occhi celesti, dentatura sana, mento piccolo, è un meccanico ortopedico quando, nel 1926 parte per il servizio militare. Assegnato alla 4°Compagnia sanità di Bologna, a ottobre del 1926, viene imbarcato per Tripoli come Radiotelegrafista della 2°Batteria Mestre. Il 21 luglio 1927, il 21enne Narciso viene congedato dopo aver servito con fedeltà e onore (come da foglio di congedo).
Narciso lavora alla CIMASA, ai cantieri di Marina di Pisa, che si affacciano sul mare. Costruisce idrovolanti. (In seguito il figlio Giovanni lavorerà negli stessi stabilimenti una volta passati al Gruppo Fiat nda). Nel 1937 nasce il figlio Giovanni. Narciso ha in mente la sua famiglia e il lavoro ai cantieri che toccano il mare. Quella consuetudine non cambia neppure con lo scoppio della guerra. Narciso ha 34 anni.
Nel 1943 succede qualcosa. Non è solo il 25 luglio. Con l'otto settembre anche Narciso deve scegliere. E il cognato Tullio Fedeli lo esorta a seguirlo al Nord, per unirsi alle forze armate della Repubblica Sociale. Squadrista nella XXXVII Brigata Nera Emilio Tanzi di Pisa. Narciso combatte, arretrando inevitabilmente insieme alla linea del fronte. Ma è un buon soldato. E cerca sempre di restare con i suoi camerati Toscani.
Nei primi mesi del 1945 Narciso Del Ry si trova a Como. Insieme al cognato mangia spesso in un'osteria della città. Dopo il 25 aprile l'aria è pesante: i partigiani, la polizia del popolo e gli ex fascisti sono i padroni di ogni angolo di Como. Tutto ha voce, anche gli occhi. Narciso e il cognato Tullio non mangiano più alla solita osteria, ma questo non basta. Poi la cadenza toscana non passa inosservata. L'oste chiude il cerchio facendo la spiata ai partigiani. Narciso e Tullio non sanno ancora che dovranno morire.
Il 9 maggio del 1945 è una giornata fatta per lavorare nei campi. E Angelo Milani (padre dell'attuale Vicesindaco Milani nda) lavora nei campi che guardano verso la cappelletta della Madonnina di Casnate. Intanto il camion dei partigiani arriva proprio alla svolta della Madonnina. Narciso, Tullio e altri cinque Fascisti (per loro non esistono i certificati di morte nda) sono sul pianale. Il contadino sente i colpi dei mitra e vede i corpi dei Militi caduti in un angolo, vicino ad un albero. I partigiani costringono Angelo  Milani a caricare i morti sul carro per poi trasportarli al cimitero di Bernate. I sette Fascisti vengono seppelliti in una fossa comune. Narciso Del Ry, padre di Giovanni, muore così a 39 anni. Insieme al cognato Tullio Fedeli e altri cinque camerati.
Nella pipa il tabacco si raggruma, a tratti è bianco. Perdersi nel silenzio alle volte appare simile all'assenza di documenti, di prove. Senza quei pezzi di carta sarebbe rimasta la fossa comune, quei poveri resti contrassegnati da una croce con sette pietrine cimiteriali.
Dai documenti risulta invece che i corpi sono disseppelliti, per ordine della Procura di Como, il 16 maggio 1945: i corpi gonfi vengono lavati. I vestiti inviati al vicino Ospedale S. Anna di Como per la disinfezione. Il sindaco Galetti firma tutti i documenti di quei mesi, anche quello dove si specifica che “fra gli abiti è stata pure ritrovata una somma di Lire 965, che si trattiene a parziale copertura delle spese incontrate per il disseppellimento, trasporto dei suddetti cadaveri”. Ma è la Procura di Como che in data 9 giugno 1945 chiede di accludere la somma rinvenuta fra gli abiti negli atti riguardanti la fucilazione dei sette Fascisti.
La Federazione Nazionale Combattenti Repubblicani di Como giunge in soccorso di Oliviera Pasquini, vedova Del Ry, e della madre di Narciso, Aida Corucci, quando queste scrivono al Comune di Casnate con Bernate per avere il certificato di morte del loro caro, al fine di ottenere la pensione di guerra. Stessa sorte tocca a Caterina Del Ry, vedova di Tullio Fedeli. Le lettere si susseguono, dall'aprile del 1954, e spesso iniziano con “vogliano scusarmi ancora...”.
La pensione di guerra arriva per la vedova Del Ry e, nel 1957, Giovanni Del Ry entra alla CIMASA (intanto assorbita dalla Fiat) come orfano di guerra. Narciso Del Ry riposa a Musocco, nel Cimitero Monumentale di Milano, Campo X. Se vi capita di passare, adesso conoscete la sua storia.
Pisa è un catino bollente. Lascio che il fornello della pipa si spenga lentamente. L'Arno mi scorre davanti. Qualche bicicletta s'infila nelle vie alle mie spalle, proprio dal Lungarno Galileo Galilei. Una di queste è via San Martino, dove un tempo abitava Narciso Del Ry con la sua famiglia. Stringo il cannello della pipa con le dita. Sarebbe bello vederlo passare Narciso, magari sulla Balilla incrociata al mattino in stazione.
Alessandro Russo

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