domenica 3 luglio 2016

Crimini partigiani quello che non bisogna dire

 

Un viaggio nei documenti racconta di omicidi a sangue freddo, di atti criminosi e di ruberie.

Mussolini tentò di frenare in ogni modo le rappresaglie, mettendo nelle 'Federazioni-chiave' uomini moderati: vennero tutti assassinati dai comunisti
Non si capisce il perché di certo ostruzionismo nei confronti della verità storica. Insomma, a quasi un secolo dalle vicende della guerra civile bisogna necessariamente essere lucidi e analizzare i fatti per come sono, non è più il tempo della demagogia, a chi serve più? Gli Italiani sono stanchi di sopportare atteggiamenti demagogici che hanno caratterizzato svariati decenni della nostra storia, atteggiamenti venati ancora oggi da un veleno che sembra incomprensibile data la distanza temporale che ci separa da quegli eventi. Siamo abituati a raccontare la storia attraverso documenti e testimonianze, lo facciamo ogni giorno e senza mai mancare di rispetto ad alcuno. Perché di lutti ce ne furono, e molti, da ogni parte della barricata: erano tutti Italiani, e tutti hanno il nostro rispetto. Proprio per questo rispetto occorre dire sempre la verità, e la bilancia in questo ambito è stata sempre "sbilanciata". Qualche mattoncino in più, dunque, sul piatto della verità va messo, ed ecco qui di seguito alcune informazioni provenienti dal carteggio della RSI, conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato di Roma, visionabile da tutti. Basta avere un po' di buona volontà e andarsele a cercare, le informazioni: giacciono lì, in attesa. Il documento che segue risale al 1944 e dice: "Elementi della GNR, avuta notizia che nei pressi di Nonantola (Modena) un gruppo di banditi aveva aggredito e ucciso un ufficiale delle SS germaniche, si portarono tempestivamente sul posto. Avvistati i banditi autori del delitto, i legionari mossero all'attacco, riuscendo - dopo breve conflitto - a catturarne tre. Alle ore 15 dello stesso giorno i tre prigionieri furono passati per le armi. Altri nove elementi colpevoli di attività sovversiva ed antinazionale vennero arrestati". Si spara, insomma, da una parte e dall'altra. Ma di quando sparavano i Fascisti si sa tutto, di quando invece erano i partigiani a sparare si sa ben poco: "in località Pondo del comune di Galeata (Forlì), numerosi banditi armati penetrarono in una casa colonica donde asportarono 20 forme di formaggio. Nell'allontanarsi incontratisi con due militari germanici li uccisero a colpi d'arma da fuoco". Vengono distrutte le linee telefoniche, il disordine diventa sempre più grande e diffuso. "Nella località Lepiane di Sassuolo (Modena), numerosi banditi nascosti lungo la strada uccisero a colpi di mitraglia tre militari tedeschi di passaggio a bordo di un autocarro". L'insofferenza verso i Tedeschi è sempre più palpabile. Il problema delle rappresaglie Mussolini tentò di gestirlo mettendo a capo delle "Federazioni chiave" uomini fidati e pacifici, sui quali sapeva di poter contare per contenere le reazioni del Fascisti più bellicosi. I partigiani, però, li assassinarono tutti e quattro. Parliamo del periodo che Pisanò definì "di incubazione della guerra civile" e che vide cadere sotto i colpi partigiani persone di spiccato livello morale come Arturo Capanni (che Mussolini aveva voluto a capo della Federazione di Forlì), che venne assassinato dai gappisti il 10 febbraio 1944; di Igino Ghisellini, Federale di Ferrara, assassinato il 13 novembre 1943; di Aldo Resega, Federale di Milano, ucciso il 17 dicembre 1943; di Eugenio Facchini, Federale di Bologna, ammazzato il 25 gennaio del 1944. Persone moderate, che Mussolini aveva scelto proprio per "impedire che gli elementi più giovani e turbolenti [...] si abbandonassero nuovamente ad azioni estremiste". Da rilevare, come abbiamo già sottolineato in passato, che tutti e quattro vennero assassinati alle spalle e che tutti e quattro giravano disarmati. Ma proseguiamo con il nostro documento. A San Colombano Certenoli (Genova) "elementi ribelli uccidevano nell'abitato un capitano degli alpini della divisione Monterosa", dice  ancora. Un altro documento del Ministero dell'Interno - Gabinetto del Ministro - 9 luglio 1944 - XXII, intitolato "Notiziario sull'attività dei ribelli" si legge: "Imperia - il giorno 5 corrente, in Imperia una ventina di partigiani prelevavano il brigadiere della GNR Bertoli  Umberto che veniva condotto in ignota destinazione. Mantova - nella notte del 7 corrente, alle ore 2, una banda di partigiani di circa 25 uomini montata su camion si presentava in località Coste Rigona di S. Giacomo delle Segnate ove è accantonato un distaccamento della Polizia Ferroviaria di Ancona composto da 13 militi e dalle rispettive famiglie. Un gruppo di ribelli penetrava dall'ingresso principale e un altro contemporaneamente dalla parte posteriore dell'edificio e immobilizzato il piantone sorprendevano i militari nel sonno obbligandoli ad allinearsi al muro della stanza ove riposavano e indi barbaramente mitragliati. Rimanevano uccisi 8 militi e altri sei feriti fra cui un figlio di un milite. Compiuto tale misfatto sulla strada del ritorno la banda anzidetta si imbatteva in territorio modenese in due fascisti di S. Benedetto Po e li uccideva a colpi di mitra. Genova - il giorno 8 c.m. alle ore 7 circa a Genova-Voltri lo squadrista Olivieri Antonio operaio alle dipendenze dell'Organizzazione Todt mentre percorreva via Boerio, veniva fatto segno a ripetuti colpi di rivoltella che lo uccidevano. Si ritiene che il delitto abbia moventi politici essendo l'Olivieri squadrista e iscritto al PFR. Emilia - Bologna: il 28 u.s. in una via della città due sconosciuti in bicicletta hanno disarmato due colonnelli dell'Esercito Italiano. Pure nello stesso giorno due sconosciuti in bicicletta hanno aggredito, ferito e disarmato un milite della GNR".

Un promemoria rinvenuto nel carteggio della RSI riferisce come erano strutturate le organizzazioni
La situazione nelle provincie di Slovenia, Croazia e Dalmazia
"C'è un elemento morale in questa lotta che non è stato valutato nella sua reale ed enorme portata; l'odio politico"
Un documento proveniente invece dall'Archivio di Stato di Forlì e datato 15 febbraio 1943 - XXI, si legge. "La guerra attualmente in corso nelle provincie annesse di Slovenia - Croazia - Dalmazia con tendenza ad allargarsi anche nei territori nazionali a sfondo allogeno entro i vecchi confini, va considerata come una guerra di speciali caratteristiche per la quale ben  poco o nulla valgono i noti canoni che governano quali leggi fondamentali la condotta delle operazioni belliche in genere. Ci troviamo di fronte ad un nemico  che non ha artiglieria, né aviazione, né carri armati, e nemmeno una minima traccia di attrezzatura logistica degna di tal nome, né una compagine organica tale da potersi definire un esercito. Vive alla macchia, frazionatissimo con scarsi collegamenti, sufficientemente armato, molto male in arnese, pessimamente vettovagliato [...] sovente incrinato da interni dissidi e da ricorrenti epidemie di sconforto. Tutta la sua tattica si limita ad azioni di agguato sulle nostre vie di comunicazione, e di disturbo a colonne e piccoli presidi. [...] Fatto il colpo o adempiuto al compito si rintana nel bosco o addirittura si allontana dalla località a piccoli gruppi quando dente addensarsi la minaccia di una nostra pesante reazione.  Non si impegna che a colpo sicuro contando soprattutto sugli effetti della sorpresa e sulla impenetrabilità del bosco che lo nasconde. D'altra parte è un nemico in cui l'odio di razza e di parte imprime una aggressività temeraria e una ferocia belluina". Il documento prosegue su questi toni, e rileva come sia difficoltoso contrapporre a questo tipo di organizzazione, un ostacolo. Questo fatto dipende dalla "congenita mentalità dell'apparato militare il quale è portato per schiavitù imposta dai macchinosi mezzi che dispone e della pesante bardatura scolastica che lo opprime, a ridurre tutte le operazioni belliche al comune denominatore della guerra classica in cui debbano giocoforza intervenire ed agire tutta l'attrezzatura di prammatica, come tutti i fattori e tutti i dettami della tattica, della organica e della logistica di maniera". Ciò che occorre, secondo questo promemoria, sono "reparti appositamente addestrati al sistema confinario che è la specializzazione tipica per provate capacità professionali e valori spirituali, da contrapporre a questo nemico in questo terreno. Infatti - aggiunge - c'è un elemento morale in questa lotta che non è stato valutato nella sua reale ed enorme portata. L'odio politico, il quale se sprona il nostro avversario a combattere con  accanimento la divisa dell'esercito fascista, esso è spinto a combattere con parossistico furore quando il suo antagonista veste la Camicia Nera. Fra soldati e partigiani v'è spesso perdonanza, ma la lotta fra camicie nere e partigiani è sempre all'ultimo sangue, senza quartiere, implacabile come una lotta primigenia nella quale per naturale istinto si affinano e potenziano fino all'estremo tutti i sensi, le forze e le innate arti del combattimento".

emoriconi@ilgiornaleditalia.org

Emma Moriconi

http://www.ilgiornaleditalia.org/news/la-nostra-storia/874047/Crimini-partigiani--quello-che-non.html

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