sabato 7 maggio 2016

Piera Fondelli Gatteschi e il Fascismo femminile

Piera Fondelli Gatteschi, generale delle ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana, passa in rassegna alcuni reparti, marzo 1945 – © Istituto Luce-gestione Archivi Alinari, Firenze
 
Gatteschi Fondelli Piera (Poppi, 1902 – Roma, 1985) è stata una militare italiana, generale di brigata del Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale Italiana. Fascista della prima ora, partecipò alla Marcia su Roma e fu una delle prime donne
E’ l’unico generale di brigata donna, ma è rimasta nella memoria di chi le è stata vicina soprattutto per il suo fascino, la sua eleganza, il suo coraggio e il suo entusiasmo.
Piera nasce a Poppi in Toscana all’inizio del Novecento, in una di quelle belle famiglie allargate di una volta. Suo padre muore prima della sua nascita; tuttavia la bambina ha un ottimo rapporto con la mamma con la quale si trasferisce a Roma alla vigilia della grande guerra. Le vicende del dopoguerra la coinvolgono a tal punto che, fin dal 1921, si iscrive al Fascio di combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre la ventenne Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma.
Le sue doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera nazionale maternità e infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive. Ma sulla politica prevale l’amore: nel 1936 lascia tutto per seguire in Africa l’ingegner Mario Gatteschi che ha sposato e che dirige i lavori della strada Assab-Addis Abeba.
Quando, tre anni dopo, rientra in Italia, Mussolini la nomina Fiduciaria dei Fasci femminili dell’Urbe che conta 150.000 iscritte. Nel 1940 diventa ispettrice nazionale del partito. Caduto il fascismo, Piera si rifugia dai suoceri, nel Casentino, mentre il marito, tornato in Africa come combattente, è in Kenia prigioniero degli inglesi.
Ma non è da lei nascondersi e stare in disparte: quando viene informata che Mussolini è stato liberato e ha fondato la Repubblica sociale italiana nel Nord, Piera si trasferisce a Brescia e avvia una nuova collaborazione con Alessandro Pavolini, il segretario del partito. Qui, alla fine del 1943, la Gatteschi manifesta al Duce il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del paese.
Il progetto è appoggiato da Pavolini e accettato da Graziani. Servono uomini per la guerra e le donne diventano necessarie per assisterli e per sostituirli nei tanti ruoli non di prima linea.
Il 18 aprile 1944 nasce il Servizio Ausiliario Femminile (Saf) nel quale affluiscono giovani donne di tutte le condizioni sociali. Il regolamento voluto da Piera, nominata generale di brigata, è rigido: niente pantaloni, niente trucco, niente fumo, nessuna concessione al cameratismo. La Gatteschi vuole che nessuno pensi alle sue ragazze come a delle esaltate o le ritenga di facili costumi: patriottismo e moralità sono le basi su cui intende costruire la nuova realtà delle donne soldato che però vuole molto femminili. «Non volevo un esercito di amazzoni» dirà molti anni dopo «ma di ausiliarie, di sorelle dei combattenti». Le ausiliarie prestano assistenza infermieristica negli ospedali militari, lavorano negli uffici e alla propaganda, allestiscono posti mobili di ristoro per la truppa.
Nell’arco di dodici mesi 6.000 giovani donne partecipano ai sei corsi di addestramento, che si svolgono prima a Venezia e poi a Como; soltanto dopo venivano assegnate ai Comandi.
Dopo il 25 aprile 1945 il Saf si dissolve e Pavolini suggerisce di distruggere tutta la documentazione per evitare vendette. Piera cerca di mettere in salvo le sue ragazze, ma lei stessa vive in clandestinità per circa un anno, prima in un convento, poi in un manicomio, trasferendosi successivamente in Abruzzo con il marito, nel frattempo tornato dalla prigionia e che morirà nel 1947. A lei resta la nipote Teresa Tirinnanzi, che aveva perso entrambi i genitori e che considera una figlia. Negli anni Sessanta si dedica all’organizzazione di viaggi turistici per i giovani del Movimento sociale italiano. Legge molto, ha una vasta cultura ed è appassionata di pittura. Tenta anche la gestione di un ristorante ma senza successo.
Quando muore, nel 1985, Mia Pavolini, che era stata la più giovane ausiliaria della Rsi, scrive: «Se la vita è movimento, lotta, delusioni, entusiasmo, fede, tenerezza, rabbia o dolore, interessarsi a tutto, sapersi meravigliare, estasiare, commuovere, e saper capire ed aiutare con amore, saper ridere e saper piangere, se tutto ciò è vita, tu eri la vita».
 

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