Uno studioso "non allineato" al pensiero unico resistenziale, un prodotto editoriale che è anche un'inchiesta
                        
                    
Misteri sepolti da decenni di oblio: Roberto Festorazzi smonta il teorema su cui il Pci ha costruito la sua fortuna
di Alessandro Russo
Roberto Festorazzi è un
 giornalista profondamente innamorato del suo lavoro. Per lui non 
esistono pause, domeniche, feste. Lo trovi sempre al lavoro.
Perché, a dirla tutta, 
Festorazzi è uno degli storici più importanti di questi anni. E la sua 
figura - ha all'attivo una trentina di libri di storia - si può 
certamente collocare nella schiera di quegli studiosi non allineati al 
pensiero unico resistenziale.
“Gli archivi del silenzio”
 è la sua ultima fatica. Ho avuto l'onore di leggerlo in anteprima, 
pagina dopo pagina, in attesa che esca in tutte le librerie la prossima 
settimana.
Festorazzi non lascia 
nulla al caso. Si infila nelle carte, negli atti, ricerca tutte le 
possibili testimonianze e ci regala un libro-inchiesta davvero 
straordinario. Attraverso i documenti l'autore smonta il teorema su cui 
il Pci, e i suoi attuali eredi, hanno costruito la propria fortuna e la 
colossale rendita di posizione.
Con “Gli archivi del silenzio” Festorazzi
 dimostra come documenti e testimonianze dirompenti, che consentono di 
fare piena luce sui delitti e misteri del dopo Dongo, siano stati 
“neutralizzati” dall'apparato degli Istituti storici della Resistenza. 
Dimostra come questi Istituti siano in realtà delle autentiche fabbriche
 di colossali falsificazioni. Che insomma, per anni, ci hanno raccontato
 bugie, costruito a tavolino interi memoriali, riscritto la storia 
perché fosse possibile nascondere i crimini della Resistenza rossa.
Il lavoro dell'autore è
 stato reso possibile anche da una fonte interna al mondo partigiano: 
Mario Tonghini. A 93 anni è la voce della verità, capace di spiegare 
come il Pci ha imposto, con l'arma del terrore e della mistificazione, 
la propria natura illiberale.
Tonghini, organizzatore dei Gap-Sap a Como, raggiunto al telefono mi confessa di essere “rimasto
 disgustato da quello che è successo dopo la liberazione. Non ho mai 
autorizzato rappresaglie e non le ho mai avvallate. Tanto che ho 
abbandonato la politica e mi sono dedicato all'impresa. Ho dato lavoro a
 tanti, sa?”.
Le carte scottanti e 
inedite di Tonghini hanno permesso a Festorazzi di rileggere figure 
strettamente legate alla fine del Duce, dei partigiani che si 
adoperarono per la sua cattura e per la catalogazione dell'oro di Dongo.
 Porta nuove luci sugli avvenimenti accaduti in quei giorni di aprile 
del 1945.
Tonghini rivela, deluso dalle illegalità commesse dai comunisti, di abbandonare la militanza partigiana: “Sono
 testimone del fatto che il Pci, subito dopo la Liberazione, diede 
ordine a tutte le formazioni garibaldine di non consegnare le armi agli 
Alleati, ma di nasconderle per la rivoluzione. Fu una direttiva 
trasmessa verbalmente. Io la ricevetti da “Remo”, Giovanni Aglietto, che
 aveva retto la Federazione clandestina del Pci di Como in assenza di 
Dante Gorreri. Le disposizioni dicevano di consegnare le armi leggere, 
mentre i mitragliatori dovevano essere smontati e nascosti insieme alle 
bombe a mano”. Racconto che illustra come il Pci stesse strutturando la sua organizzazione paramilitare “Gladio Rossa”.
Festorazzi ha svolto un
 lavoro egregio. Anche perché sono sicuro che non gli avranno reso vita 
facile. E la sua denuncia, contro le opere di disinformazione messe in 
atto dagli Istituiti storici della Resistenza, deve trovare seguito ed 
essere discussa.
Nelle pagine del suo 
libro troverete riferimenti all'Istituto di storia contemporanea 
“Perretta” di Como, dove Festorazzi si è rivolto per le ricerche. Vi 
invito a leggere con attenzione la faziosità, le imprecisioni, la 
mancanza di rigore scientifico, la deliberata occultazione di fondi e la
 mancata catalogazione di documenti da parte di questo Istituto.
È proprio l'autore che 
ci spinge ad una riflessione, attraverso il pensiero di Gianfranco 
Miglio che Festorazzi ha avuto quale maestro alla Facoltà di Scienze 
politiche.
“Credo che questi 
Istituti abbiano ormai fatto il loro tempo. Essi hanno rappresentato il 
tentativo delle sinistre di monopolizzare ideologicamente la Resistenza.
 Non si possono considerare Istituti scientifici, in quanto sono serviti
 alla sinistra per giustificare in qualche modo la pretesa che la 
Resistenza sia stata solo un prodotto di sinistra”.
Da “Gli archivi del silenzio” di Roberto Festorazzi
Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo in anteprima alcuni stralci del volume
Oreste Gementi “Riccardo”, diretto superiore di Mario Tonghini “Stefano”.
L'esecuzione  di 
Mussolini e della Petacci è avvenuta in modo diverso dalla descrizione 
ufficiale. Gementi riferisce quanto ebbe a conoscere, dalla viva voce di
 due testimoni della fucilazione, avvenuta a Giulino di Mezzegra, 
davanti al cancello di Villa Belmonte, qualche minuto dopo le 16 del 28 
Aprile 1945.
Si tratta di 
Guiseppe Frangi “Lino” e Guglielmo Cantoni “Sandrino”, i due partigiani 
posti a guardia della coppia di amanti, durante la loro ultima notte 
trascorsa nel casolare dei contadini De Maria, a Bonzanigo di Mezzegra.
Dalla relazione di Gementi: “
 “Sandrino” e “Lino”, che furono i custodi della coppia tutta la notte 
tra il 27 e il 28 Aprile, presenti all'esecuzione, venuti al comando 
[del Cvl di Como] il 1° maggio [1945], mi precisarono che dopo la 
dichiarazione di “Valerio” “in nome del popolo italiano ecc” il mitra di
 “Valerio” si inceppò e “Pietro” (Michele Moretti) che si trovava al suo
 fianco con il mitra spianato, fece partire la scarica mortale”.
A conferma 
dell'attendibilità di questa testimonianza esiste un prezioso documento,
 datato 15 maggio 1945, firmato dal comandate “Riccardo” alias  Oreste 
Gementi. Destinatario il Partito comunista a Mosca.
“ Secondo gli 
accordi presi con la Missione militare russa, che in questi giorni ha 
preso contatto con il nostro Cnl, consegniamo alla stessa, per il Museo 
Militare di Mosca, l'arma (Mas) con la quale il partigiano “Pietro” 
delle formazioni garibaldine del Lario, ha giustiziato Mussolini”.
Sempre da una testimonianza di Gementi che si reca a Lasnigo da Pietro Terzi “Francesco” dove Moretti è latitante.
Rivolto a Moretti 
gli dissi che poteva stare tranquillo, perché il suo partito non lo 
avrebbe abbandonato, in quanto lui rappresentava una bandiera per essere
 stato l'esecutore di Mussolini. Ed egli annuì scrollando il capo, senza
 smentire.
-
Comandante Oreste Gementi “Riccardo”
Gementi racconta 
come , per tutto il mese di maggio di quel 1945, avesse insistito, 
presso il comunista Michele Moretti, che aveva portato a Como una 
tranche del tesoro di Dongo (30 milioni di lire e 35,880 chili d'oro), 
per ottenere la ricevuta dell'avvenuta consegna. Ma non poté ricavare 
soddisfazione, in quanto, anziché consegnare i valori all'autorità 
legale, il partigiano “Pietro” li aveva fatti recapitare, per canali 
interni, alla direzione del suo partito.
-
Così l'autore riferisce il racconto di Oreste Gementi: La
 sera del giorno 28 Aprile, (Gementi) ebbe modo di raccogliere, insieme a
 “Gina”, dalla voce dell'ex prefetto, Renato Celio, il racconto delle 
ore in cui in Prefettura, ebbe a snodarsi quella che è stata definita la
 veglia funebre della Rsi: ossia la concitata discussione fra Mussolini e
 i suoi gerarchi, circa i possibili sbocchi del transito da Como.
I contrasti più 
violenti furono quelli tra il Duce e il segretario del Partito fascista 
Repubblicano Alessandro Pavolini e il capo delle forze armate della 
Repubblica neofascista Rodolfo Graziani.
Pavolini era 
fautore di una linea intransigente, con la soluzione militare del 
Ridotto Alpino valtellinese che avrebbe dovuto segnare le Termopili del 
fascismo. Graziani, al contrario, si era già smarcato dal terreno dello 
scontro, con una exit-strategy che lo avrebbe visto, di lì a poco, 
consegnarsi nelle mani degli americani, per il tramite delle Ss di 
frontiera di Cernobbio, un autentico avamposto della linea negoziale, 
farcito di doppiogiochisti.
(Da “Gli archivi del silenzio” di Roberto Festorazzi)
Mi preme 
ringraziare Alessandro Russo per il suo egregio lavoro, e l'autore di 
questo libro-inchiesta, Roberto Festorazzi: è, il suo, un volume 
destinato a far parlare a lungo di sé. Grazie per questo contributo di 
verità alla nostra storia e grazie per il trattamento di favore 
riservato al Giornale d'Italia nel permetterci la pubblicazione di 
questi stralci. La prima cosa che farò al mio rientro a Roma da Imola, 
da dove scrivo, sarà acquistare questo volume per divorarlo. C'è un 
argomento che mi preme sottolineare, e mi ripropongo di parlarne con 
Roberto Festorazzi non appena ve ne sarà l'occasione, volentieri anche 
di persona. Si tratta dell'ora della morte di Benito Mussolini e 
Claretta Petacci. Ho esaminato più volte e con estrema attenzione il 
Teorema Alessiani, e ne ho parlato anche sul Giornale d'Italia. Secondo 
gli studi scientifici di Alessiani - noto medico legale che fece questa 
indagine "tardiva" ma pur basata su elementi di scienza - l'ora della 
morte non può farsi risalire al pomeriggio del 28 aprile, ma al mattino.
 Il buon medico fornisce tutti gli elementi del caso e basa le sue 
deduzioni su calcoli scientifici difficilmente confutabili. Ne 
riparleremo, magari proprio con l'autore di questo libro straordinario, e
 potrebbe essere anzi una buona occasione per il collega Alessandro 
Russo per organizzare un'intervista con lo storico e scrittore sin dai 
prossimi giorni. 
Emma Moriconi
tratto da: http://www.ilgiornaleditalia.org/news/la-nostra-storia/874840/Cominciano-a-cadere-i-veli-dai.html
Emma Moriconi
tratto da: http://www.ilgiornaleditalia.org/news/la-nostra-storia/874840/Cominciano-a-cadere-i-veli-dai.html
Nessun commento:
Posta un commento