venerdì 27 maggio 2016

Cominciano a cadere i veli dai misteri di Dongo

Uno studioso "non allineato" al pensiero unico resistenziale, un prodotto editoriale che è anche un'inchiesta

Cominciano a cadere i veli dai misteri di Dongo
Misteri sepolti da decenni di oblio: Roberto Festorazzi smonta il teorema su cui il Pci ha costruito la sua fortuna
di Alessandro Russo

Roberto Festorazzi è un giornalista profondamente innamorato del suo lavoro. Per lui non esistono pause, domeniche, feste. Lo trovi sempre al lavoro.
Perché, a dirla tutta, Festorazzi è uno degli storici più importanti di questi anni. E la sua figura - ha all'attivo una trentina di libri di storia - si può certamente collocare nella schiera di quegli studiosi non allineati al pensiero unico resistenziale.
Gli archivi del silenzio” è la sua ultima fatica. Ho avuto l'onore di leggerlo in anteprima, pagina dopo pagina, in attesa che esca in tutte le librerie la prossima settimana.
Festorazzi non lascia nulla al caso. Si infila nelle carte, negli atti, ricerca tutte le possibili testimonianze e ci regala un libro-inchiesta davvero straordinario. Attraverso i documenti l'autore smonta il teorema su cui il Pci, e i suoi attuali eredi, hanno costruito la propria fortuna e la colossale rendita di posizione.
Con “Gli archivi del silenzio” Festorazzi dimostra come documenti e testimonianze dirompenti, che consentono di fare piena luce sui delitti e misteri del dopo Dongo, siano stati “neutralizzati” dall'apparato degli Istituti storici della Resistenza. Dimostra come questi Istituti siano in realtà delle autentiche fabbriche di colossali falsificazioni. Che insomma, per anni, ci hanno raccontato bugie, costruito a tavolino interi memoriali, riscritto la storia perché fosse possibile nascondere i crimini della Resistenza rossa.
Il lavoro dell'autore è stato reso possibile anche da una fonte interna al mondo partigiano: Mario Tonghini. A 93 anni è la voce della verità, capace di spiegare come il Pci ha imposto, con l'arma del terrore e della mistificazione, la propria natura illiberale.
Tonghini, organizzatore dei Gap-Sap a Como, raggiunto al telefono mi confessa di essere “rimasto disgustato da quello che è successo dopo la liberazione. Non ho mai autorizzato rappresaglie e non le ho mai avvallate. Tanto che ho abbandonato la politica e mi sono dedicato all'impresa. Ho dato lavoro a tanti, sa?”.
Le carte scottanti e inedite di Tonghini hanno permesso a Festorazzi di rileggere figure strettamente legate alla fine del Duce, dei partigiani che si adoperarono per la sua cattura e per la catalogazione dell'oro di Dongo. Porta nuove luci sugli avvenimenti accaduti in quei giorni di aprile del 1945.
Tonghini rivela, deluso dalle illegalità commesse dai comunisti, di abbandonare la militanza partigiana: “Sono testimone del fatto che il Pci, subito dopo la Liberazione, diede ordine a tutte le formazioni garibaldine di non consegnare le armi agli Alleati, ma di nasconderle per la rivoluzione. Fu una direttiva trasmessa verbalmente. Io la ricevetti da “Remo”, Giovanni Aglietto, che aveva retto la Federazione clandestina del Pci di Como in assenza di Dante Gorreri. Le disposizioni dicevano di consegnare le armi leggere, mentre i mitragliatori dovevano essere smontati e nascosti insieme alle bombe a mano”. Racconto che illustra come il Pci stesse strutturando la sua organizzazione paramilitare “Gladio Rossa”.
Festorazzi ha svolto un lavoro egregio. Anche perché sono sicuro che non gli avranno reso vita facile. E la sua denuncia, contro le opere di disinformazione messe in atto dagli Istituiti storici della Resistenza, deve trovare seguito ed essere discussa.
Nelle pagine del suo libro troverete riferimenti all'Istituto di storia contemporanea “Perretta” di Como, dove Festorazzi si è rivolto per le ricerche. Vi invito a leggere con attenzione la faziosità, le imprecisioni, la mancanza di rigore scientifico, la deliberata occultazione di fondi e la mancata catalogazione di documenti da parte di questo Istituto.
È proprio l'autore che ci spinge ad una riflessione, attraverso il pensiero di Gianfranco Miglio che Festorazzi ha avuto quale maestro alla Facoltà di Scienze politiche.
Credo che questi Istituti abbiano ormai fatto il loro tempo. Essi hanno rappresentato il tentativo delle sinistre di monopolizzare ideologicamente la Resistenza. Non si possono considerare Istituti scientifici, in quanto sono serviti alla sinistra per giustificare in qualche modo la pretesa che la Resistenza sia stata solo un prodotto di sinistra”.

Da “Gli archivi del silenzio” di Roberto Festorazzi
Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo in anteprima alcuni stralci del volume

Oreste Gementi “Riccardo”, diretto superiore di Mario Tonghini “Stefano”.
L'esecuzione  di Mussolini e della Petacci è avvenuta in modo diverso dalla descrizione ufficiale. Gementi riferisce quanto ebbe a conoscere, dalla viva voce di due testimoni della fucilazione, avvenuta a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di Villa Belmonte, qualche minuto dopo le 16 del 28 Aprile 1945.
Si tratta di Guiseppe Frangi “Lino” e Guglielmo Cantoni “Sandrino”, i due partigiani posti a guardia della coppia di amanti, durante la loro ultima notte trascorsa nel casolare dei contadini De Maria, a Bonzanigo di Mezzegra.
Dalla relazione di Gementi: “ “Sandrino” e “Lino”, che furono i custodi della coppia tutta la notte tra il 27 e il 28 Aprile, presenti all'esecuzione, venuti al comando [del Cvl di Como] il 1° maggio [1945], mi precisarono che dopo la dichiarazione di “Valerio” “in nome del popolo italiano ecc” il mitra di “Valerio” si inceppò e “Pietro” (Michele Moretti) che si trovava al suo fianco con il mitra spianato, fece partire la scarica mortale”.
A conferma dell'attendibilità di questa testimonianza esiste un prezioso documento, datato 15 maggio 1945, firmato dal comandate “Riccardo” alias  Oreste Gementi. Destinatario il Partito comunista a Mosca.
“ Secondo gli accordi presi con la Missione militare russa, che in questi giorni ha preso contatto con il nostro Cnl, consegniamo alla stessa, per il Museo Militare di Mosca, l'arma (Mas) con la quale il partigiano “Pietro” delle formazioni garibaldine del Lario, ha giustiziato Mussolini”.
Sempre da una testimonianza di Gementi che si reca a Lasnigo da Pietro Terzi “Francesco” dove Moretti è latitante.
Rivolto a Moretti gli dissi che poteva stare tranquillo, perché il suo partito non lo avrebbe abbandonato, in quanto lui rappresentava una bandiera per essere stato l'esecutore di Mussolini. Ed egli annuì scrollando il capo, senza smentire.
-
Comandante Oreste Gementi “Riccardo”
Gementi racconta come , per tutto il mese di maggio di quel 1945, avesse insistito, presso il comunista Michele Moretti, che aveva portato a Como una tranche del tesoro di Dongo (30 milioni di lire e 35,880 chili d'oro), per ottenere la ricevuta dell'avvenuta consegna. Ma non poté ricavare soddisfazione, in quanto, anziché consegnare i valori all'autorità legale, il partigiano “Pietro” li aveva fatti recapitare, per canali interni, alla direzione del suo partito.
-
Così l'autore riferisce il racconto di Oreste Gementi: La sera del giorno 28 Aprile, (Gementi) ebbe modo di raccogliere, insieme a “Gina”, dalla voce dell'ex prefetto, Renato Celio, il racconto delle ore in cui in Prefettura, ebbe a snodarsi quella che è stata definita la veglia funebre della Rsi: ossia la concitata discussione fra Mussolini e i suoi gerarchi, circa i possibili sbocchi del transito da Como.
I contrasti più violenti furono quelli tra il Duce e il segretario del Partito fascista Repubblicano Alessandro Pavolini e il capo delle forze armate della Repubblica neofascista Rodolfo Graziani.
Pavolini era fautore di una linea intransigente, con la soluzione militare del Ridotto Alpino valtellinese che avrebbe dovuto segnare le Termopili del fascismo. Graziani, al contrario, si era già smarcato dal terreno dello scontro, con una exit-strategy che lo avrebbe visto, di lì a poco, consegnarsi nelle mani degli americani, per il tramite delle Ss di frontiera di Cernobbio, un autentico avamposto della linea negoziale, farcito di doppiogiochisti.
(Da “Gli archivi del silenzio” di Roberto Festorazzi)

Mi preme ringraziare Alessandro Russo per il suo egregio lavoro, e l'autore di questo libro-inchiesta, Roberto Festorazzi: è, il suo, un volume destinato a far parlare a lungo di sé. Grazie per questo contributo di verità alla nostra storia e grazie per il trattamento di favore riservato al Giornale d'Italia nel permetterci la pubblicazione di questi stralci. La prima cosa che farò al mio rientro a Roma da Imola, da dove scrivo, sarà acquistare questo volume per divorarlo. C'è un argomento che mi preme sottolineare, e mi ripropongo di parlarne con Roberto Festorazzi non appena ve ne sarà l'occasione, volentieri anche di persona. Si tratta dell'ora della morte di Benito Mussolini e Claretta Petacci. Ho esaminato più volte e con estrema attenzione il Teorema Alessiani, e ne ho parlato anche sul Giornale d'Italia. Secondo gli studi scientifici di Alessiani - noto medico legale che fece questa indagine "tardiva" ma pur basata su elementi di scienza - l'ora della morte non può farsi risalire al pomeriggio del 28 aprile, ma al mattino. Il buon medico fornisce tutti gli elementi del caso e basa le sue deduzioni su calcoli scientifici difficilmente confutabili. Ne riparleremo, magari proprio con l'autore di questo libro straordinario, e potrebbe essere anzi una buona occasione per il collega Alessandro Russo per organizzare un'intervista con lo storico e scrittore sin dai prossimi giorni. 
Emma Moriconi


tratto da: http://www.ilgiornaleditalia.org/news/la-nostra-storia/874840/Cominciano-a-cadere-i-veli-dai.html
 

Nessun commento:

Posta un commento