venerdì 29 aprile 2016

COME IL CAPITALISMO AMERICANO È STATO COSTRUITO SULLA SCHIAVITÙ

- How Slaves Built American Capitalism
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Counter Punch pubblica un pesante articolo storico sulle origini del capitalismo americano. Gli Stati Uniti sono emersi così rapidamente a superpotenza economica sulla scena mondiale non grazie ai loro ideali e al “sogno” di libertà – ma più prosaicamente grazie allo sfruttamento intensivo della schiavitù. È così che si costruiscono gli imperi. Grandi imprese e banche americane, celebri ancora oggi, hanno costruito le loro fortune sulla schiavitù. Nella seconda parte l’articolo argomenta che la discriminazione razziale presente ancora oggi in America, la profonda frattura sociale, la violenza contro gli afroamericani di cui ci parla quotidianamente la televisione, sarebbero la conseguenza di un passato che non si è ancora concluso, di una mai avvenuta riconciliazione.
di Garikai Chengu
18 dicembre 2015

Oggi [18 dicembre, NdT] è l’anniversario dei 150 anni di abolizione della schiavitù in America e, contrariamente alla credenza popolare, la schiavitù non è un prodotto del capitalismo occidentale. È il capitalismo occidentale ad essere un prodotto della schiavitù.

L’espansione della schiavitù nei primi otto decenni dopo l’Indipendenza Americana ha guidato l’evoluzione e la modernizzazione degli Stati Uniti.

Lo storico Edward Baptist illustra come, nell’arco di tempo di una vita umana, il Sud crebbe da una stretta fascia costiera di piccole piantagioni di tabacco ad un impero continentale del cotone, e gli Stati Uniti divennero un’economia moderna, industriale e capitalista.

Attraverso la tortura e i maltrattamenti i proprietari degli schiavi ottennero la massima efficienza, che permise agli Stati Uniti di prendere il controllo del mercato mondiale del cotone, la materia prima fondamentale della Rivoluzione Industriale, e diventare così una nazione ricca e potente.

Il cotone era nel diciannovesimo secolo ciò che il petrolio è stato nel ventesimo secolo: il bene che determinava la ricchezza delle nazioni. Il cotone contava per un sorprendente 50 percento delle esportazioni statunitensi, e scatenò il boom economico che l’America conobbe allora. L’America deve alla schiavitù la sua stessa esistenza di paese appartenente al primo mondo.

In termini astratti, il capitalismo e la schiavitù sarebbero due sistemi fondamentalmente contrapposti. Uno è fondato sul lavoro libero, l’altro sul lavoro forzato. Però in pratica il capitalismo stesso non sarebbe stato possibile senza la schiavitù.

Negli Stati Uniti gli accademici hanno dimostrato che il profitto ottenuto dalla schiavitù non riguardava soltanto il Sud, che vendeva il cotone o la canna da zucchero raccolta dagli schiavi. La schiavitù è stato un elemento centrale anche per la creazione delle industrie che oggi dominano l’economia statunitense: il settore immobiliare, il settore delle assicurazioni e la finanza.

Wall Street è stata fondata sulla schiavitù. Furono schiavi africani a costruire perfino il muro fisico da cui Wall Street prende il nome, che costituiva il confine settentrionale della colonia olandese, costruito per respingere i nativi che rivolevano indietro le loro terre. Per formalizzare il colossale commercio di esseri umani, nel 1711 i funzionari di New York stabilirono a Wall Street il mercato degli schiavi.

Molte importanti banche americane, tra cui JP Morgan e Wachovia Corp costruirono delle fortune sulla schiavitù, e accettavano gli schiavi come “garanzia”. JP Morgan ha recentemente ammesso di avere “accettato circa 13.000 persone in schiavitù come collaterale sui prestiti, e di essersi impossessata di circa 1.250 schiavi“.

La storia che i libri di testo scolastici americani raccontano che la schiavitù era regionale, anziché nazionale, e dipingono la schiavitù come una brutale aberrazione rispetto alle regole di democrazia e libertà che l’America si è data. La schiavitù viene raccontata come una sfortunata deviazione dalla marcia del paese verso la modernità, non certo come il motore che ha guidato la prosperità economica dell’America. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero.

Per apprezzare davvero l’importanza che la schiavitù ha avuto per il capitalismo americano, basta guardare la scabrosa storia di un’azienda che prima della Guerra Civile Americana confezionava abiti, chiamata Lehman Brothers. Warren Buffet è l’amministratore delegato di Berkshire Hathaway, nonché il miliardario più ricco d’America. L’azienda da cui Berkshire Hathaway è nata era una produttrice tessile dello Stato di Rhode Island, e approfittava della schiavitù.

Nel Nord, New England è stata la patria dell’industria tessile americana e la culla dell’abolizionismo, ma si è arricchita sulla schiena degli schiavi costretti a raccogliere il cotone nel Sud. Gli architetti della rivoluzione industriale di New England controllavano costantemente il prezzo del cotone, e i loro stabilimenti tessili si sarebbero fermati senza il lavoro degli schiavi nelle piantagioni.

Il libro “Complicità: Come il Nord ha promosso, prolungato e tratto profitto dalla schiavitù“, di Anne Farrow, illustra come la borghesia del Nord era collegata al sistema della schiavitù da milioni di fili: compravano la melassa, che era prodotta dal lavoro degli schiavi, e vendevano il rum nel Triangolo del Commercio; prestavano denaro alle piantagioni del Sud, e molto del cotone che veniva venduto alla Gran Bretagna era imbarcato nei porti di New England.

Nonostante sia stato poi dipinto come un eroe dei diritti civili, Abraham Lincoln non pensava affatto che i neri fossero uguali ai bianchi. Il piano di Lincoln era quello di rispedire i neri in Africa e, se non fosse stato assassinato, il rinvio dei neri in Africa sarebbe stato con ogni probabilità la sua politica dopo la Guerra Civile. Lincoln ammise persino che i proclami sull’emancipazione, secondo le sue stesse parole, erano solo “una misura pragmatica per la guerra” finalizzata a convincere la Gran Bretagna che il Nord era mosso “da qualcosa di più che dalla propria ambizione“.

Per i neri la fine della schiavitù, centocinquanta anni fa, è stato solo l’inizio di una ricerca ancora non conclusa di equità democratica ed economica.

Fino a prima della Seconda Guerra Mondiale, l’élite americana vedeva la civilizzazione capitalista come un progetto razziale e coloniale. Ad oggi, il capitalismo americano può essere visto solo come “capitalismo razziale”: l’eredità della schiavitù segnata dal concomitante emergere della supremazia e del capitalismo bianco nell’America moderna.

I neri in America vivono in un sistema di capitalismo razziale. Il capitalismo razziale esercita la sua autorità sulla minoranza nera attraverso l’oppressiva serie dei linciaggi da parte della polizia, incarcerazioni di massa e istituzionalizzazioni guidate dalla disuguaglianza economica e razziale. Il capitalismo razziale è senza dubbio uno dei moderni crimini contro l’umanità.

Vedere un afroamericano al vertice del potere in quella che è stata la terra della schiavitù sarebbe esaltante, se solo gli indicatori sulla disuguaglianza dei neri non si stessero impennando. Di fatto, durante l’amministrazione di Obama il divario tra la mediana della ricchezza delle famiglie nere e quella delle famiglie bianche è aumentato del 7 per cento. Il divario tra la disoccupazione dei neri e dei bianchi si è anch’esso ampliato durante l’amministrazione Obama, del 4 per cento.

La polizia nazionale storicamente ha agito per mettere in atto il capitalismo razziale. Le prime forze di polizia moderne in America furono le pattuglie per il controllo degli schiavi e le ronde notturne, che erano finalizzate a controllare gli afroamericani.

La letteratura storica esprime chiaramente che prima della Guerra Civile esisteva una forza di polizia legittimata che aveva il solo scopo di opprimere la popolazione schiavizzata e proteggere la proprietà e gli interessi dei padroni. Le lampanti somiglianze tra le ottocentesche pattuglie per il controllo degli schiavi e l’attuale brutalità della polizia americana contro la comunità nera sono troppo evidenti per essere ignorate.

Da quando le prime forze di polizia sono state stabilite in America, i linciaggi sono diventati il fulcro della legge e dell’ordine imposto dal capitalismo razziale. Nei giorni seguenti all’abolizione della schiavitù, si costituì la peggiore organizzazione terroristica della storia americana, con la benedizione del governo statunitense: il Klu Klux Klan.

La maggioranza degli americani crede che i linciaggi siano una forma antiquata di terrorismo razziale, che ha macchiato la società americana fino alla fine dell’era delle leggi di Jim Crow. Tuttavia la propensione dell’America verso il massacro sfrenato degli afroamericani è solo peggiorata nel tempo. Il Guardian ha recentemente riportato come gli storici ritengano che tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, in media venissero linciati due afroamericani ogni settimana.

Confrontate questo dato con la serie incompleta stilata dall’FBI, che mostra che l’omicidio di un nero da parte di un poliziotto americano avviene più di due volte a settimana, ed è chiaro che la brutalità della polizia verso le comunità afroamericane sta aumentando, non diminuendo.

I linciaggi non significano solo l’uccisione. Spesso includono l’umiliazione, la tortura, le ustioni, le mutilazioni e la castrazione. Il linciaggio era un classico rituale pubblico in America, che spesso avveniva davanti a una grande folla, che a volte contava migliaia di persone, tra cui bambini che giocavano.

Poco dopo l’abolizione della schiavitù, nel 1899, il settimanale Springfield Weekly ha descritto così un linciaggio condotto dal KKK: “al Negro sono state tolte le orecchie, le dita e i genitali. Supplicava pietosamente per la propria vita durante la mutilazione … Prima che il corpo fosse freddo, è stato tagliato in pezzi e le ossa frantumate in piccoli pezzettini … il cuore del Negro è stato tagliato a pezzi, e così il suo fegato … si vendevano i pezzetti di ossa a 25 cent …“.

Il terrorismo razziale è fondamentale per la perpetuazione del capitalismo razziale, ed è per questo che ancora oggi il governo americano rifiuta di riconoscere il KKK come un’organizzazione terroristica.

Terrorizzare le comunità afroamericane va a braccetto con l’imprigionamento e il confinamento sistematico dei neri. In gran parte con la scusa della guerra alla droga, gli Stati Uniti incarcerano più afroamericani oggi, in percentuale, che il Sud Africa al culmine dell’Apartheid.

Le prigioni private sono state progettate dai ricchi a vantaggio dei ricchi. Il sistema delle prigioni a scopo di lucro dipende dall’imprigionamento dei neri per sopravvivere. Un po’ come gli stessi Stati Uniti. Dopotutto, ci sono più neri in prigione, in libertà vigilata o condizionale, di quanti fossero in schiavitù nel 1850 o prima che iniziasse la Guerra Civile.

Il decollo economico dell’America nel diciannovesimo secolo non è avvenuto “nonostante” la schiavitù. È avvenuto in larga parte proprio grazie ad essa. Il capitalismo è stato creato con la schiavitù, e la schiavitù a sua volta ha creato una persistente eredità di capitalismo razziale che è ancora presente nell’America di oggi.

Storicamente c’è sempre stato un netto contrasto tra i nobili ideali americani da una parte e lo status di eterna inferiorità degli afroamericani dall’altra. Alla fine del diciannovesimo secolo, per ironia, è stata eretta una statua detta “della libertà” a osservare l’arrivo nel porto di New York di milioni di stranieri, mentre i contadini neri del Sud – non degli alieni, ma profondamente alienati – erano mantenuti in condizioni di schiavitù ai margini della società. È l’ipocrisia di un’ideologia razzista che ha messo apertamente in discussione la dignità della vita dei “negri”, e che è sopravvissuta alla sconfitta del nazismo. Ad oggi l’America non può dirsi una nazione “post-razziale”, e gli indicatori sull’uguaglianza razziale in America sono di nuovo ai minimi.

Il problema razziale in America è ancora un grande dilemma nazionale che continua minacciare l’esperimento democratico americano. Il malcontento nelle comunità afroamericane continuerà a crescere verso un pericoloso punto di ebollizione, a meno che la più grande eredità della schiavitù, cioè il capitalismo razziale, non sarà apertamente svelato e smantellato completamente.



December 18, 2015

Today marks the 150th anniversary of the abolition of slavery in America and contrary to popular belief, slavery is not a product of Western capitalism; Western capitalism is a product of slavery.

The expansion of slavery in the first eight decades after American Independence drove the evolution and modernization of the United States.

Historian Edward Baptist illustrates how in the span of a single lifetime, the South grew from a narrow coastal strip of worn-out tobacco plantations to a continental cotton empire, and the United States grew into a modern, industrial, and capitalist economy.

Through torture and punishment slave owners extracted greater efficiencies from slaves which allowed the United States to seize control of the world market for cotton, the key raw material of the Industrial Revolution, and become a prosperous and powerful nation.

Cotton was to the early 19th century, what oil was to the 20th century: the commodity that determined the wealth of nations. Cotton accounted for a staggering 50 percent of US exports and ignited the economic boom that America experienced. America owes its very existence as a first world nation to slavery.

In the abstract, capitalism and slavery are fundamentally counterposed systems. One is based on free labor, and the other, on forced labor. However, in practice, Capitalism itself would have been impossible without slavery.

In the United States, scholars have demonstrated that profit wasn’t made just from Southerners selling the cotton that slaves picked or the cane they cut. Slavery was central to the establishment of the industries that today dominate the U.S. economy: real estate, insurance and finance.

Wall Street was founded on slavery. African slaves built the physical wall that gives Wall Street its name, forming the northern boundary of the Dutch colony designed to ward off resisting natives who wanted their land back. To formalize the colossal trade in human beings, in 1711, New York officials established a slave market on Wall Street.

Many prominent American banks including JP Morgan and Wachovia Corp made fortunes from slavery and accepted slaves as “collateral”. JP Morgan recently admitted that it “accepted approximately 13,000 enslaved individuals as collateral on loans and took possession of approximately 1,250 enslaved individuals”.

The story that American schoolbooks tell of slavery is regional, rather than national, it portrays slavery as a brutal aberration to the American rule of democracy and freedom. Slavery is recounted as an unfortunate detour from the nation’s march to modernity, and certainly not the engine that drove American economic prosperity. Nothing could be further from the truth.

In order to fully appreciate the importance of slavery to American capitalism, one need only look at the torrid history of an antebellum Alabama dry-goods outfit called Lehman Brothers. Warren Buffet is the CEO of Berkshire Hathaway and the richest billionaire in America. Berkshire Hathaway’s antecedent firm was a Rhode Island textile manufacturer and slavery profiteer.

In the north, New England was the home of America’s cotton textile industry and the hotbed of American abolitionism, which grew rich on the backs of the enslaved people forced to pick cotton in the south. The architects of New England’s industrial revolution constantly monitored the price of cotton, for their textile mills would have been silent without the labor of slaves on distant plantations.

The book Complicity: How the North Promoted, Prolonged, and Profited from Slavery by Anne Farrow illustrates how the Northern bourgeoisie were connected to the slave system by a million threads: they bought molasses, which was made with slave labor, and sold rum as part of the Triangle Trade; they lent money to Southern planters; and most of the cotton that was sold to Britain was shipped through New England ports.

Despite being turned into a civil rights hero, Abraham Lincoln did not think blacks were the equals of whites. Lincoln’s plan was to send the blacks in America back to Africa, and if he had not been assassinated, returning blacks to Africa would likely have been his post-war policy. Lincoln even admitted that the emancipation proclamation, in his own words, was merely “a practical war measure” to convince Britain, that the North was driven by “something more than ambition.”

For Blacks, the end of slavery, one hundred and fifty years ago, was just the beginning of the as yet unachieved quest for democratic and economic racial equality.

In the era before WWII, the American elite consensus viewed capitalist civilization as a racial and colonial project. To this day, capitalism in America can only be described as “Racial Capitalism”: the legacy of slavery marked by the simultaneous, and intertwined emergence of white supremacy and capitalism in modern America.

Black people in America live in a Racial Capitalist system. Racial Capitalism exercises its authority over the Black minority through an oppressive array of modern day lynchings by the police, increasing for-profit mass incarceration and institutionally driven racial economic inequality. Racial Capitalism is unquestionably a modern day crime against humanity.

Seeing an African American at the pinnacle of power in the land of slavery would be exciting if only black equality indicators were not tumbling. In fact, during Obama’s tenure the black-white median household wealth gap is down to seven black cents on the white dollar. The spread between black unemployment and white unemployment has also widened by four points since President Obama took office.

The nation’s police historically enforced Racial Capitalism. The first modern police forces in America were Slave Patrols and Night Watches, which were both designed to control the behaviors of African Americans.

Historical literature is clear that prior to the Civil War a legally sanctioned police force existed for the sole purpose of oppressing the slave population and protecting the property and interests of white slave owners. The glaring similarities between the eighteenth century Slave Patrols and modern American police brutality in the Black community are too salient to dismiss or ignore.

Ever since the first police forces were established in America, lynchings have been the linchpin of racial capitalist law and order. Days after the abolition of slavery, the worst terrorist organization in American history was formed with the US government’s blessing: The Klu Klux Klan.

The majority of Americans believe that lynchings are an outdated form of racial terrorism, which blighted American society up until the end of the era of Jim Crow laws; however, America’s proclivity towards the unbridled slaughter of African Americans has only worsened over time. The Guardian newspaper recently noted that historians believe that during the late nineteenth and early twentieth century on average two African-Americans were lynched every week.

Compare this with incomplete data compiled by the FBI that shows that a Black person is killed by a white police officer more than twice a week, and it’s clear that police brutality in Black communities is getting worse, not better.

Lynching does not necessarily mean hanging. It often included humiliation, torture, burning, dismemberment and castration. A lynching was a quintessential American public ritual that often took place in front of large crowds that sometimes numbered in the thousands and children played during the festivities.

Shortly after the abolition of slavery in 1899 the Springfield Weeklynewspaper described a lynching by the KKK chronicling how, “the Negro was deprived of his ears, fingers and genital parts of his body. He pleaded pitifully for his life while the mutilation was going on…before the body was cool, it was cut to pieces, the bones crushed into small bits…the Negro’s heart was cut into several pieces, as was also his liver…small pieces of bones went for 25 cents…”.

Central to the perpetuation of Racial Capitalism is racial terrorism, which is why to this day, the US government refuses to designate the KKK as a domestic terrorist organization.

Racially terrorizing Black communities goes hand in hand with the systematic containment and imprisonment of Blacks. Thanks in large part to the racially motivated War on Drugs, the United States right now incarcerates more African-Americans as a percentage than South Africa did at the height of Apartheid.

Private prisons were designed by the rich and for the rich. The for-profit prison system depends on imprisoning Blacks for its survival. Much in the same way the United States was designed. After all, more Black men are in prison or jail, on probation or parole than were enslaved in 1850 before the Civil War began.

America’s “take-off” in the 19th century wasn’t in spite of slavery; it was largely thanks to it. Capitalism was created by slavery and slavery in turn created the enduring legacy of Racial Capitalism that persists in America today.

There has historically been a sharp contrast between America’s lofty ideals, on the one hand, and the seemingly permanent second-class status of African Americas, on the other. The late 19th century irony of a statue named Liberty overseeing the arrival in New York’s harbor of millions of foreigners, even as black Southern peasants, not alien, just profoundly alienated, were kept enslaved at the social margins. The hypocrisy of a racist ideology that openly questioned the Negro’s human worth surviving America’s defeat of the Nazis. To this day, far from being a “post-racial” nation, American racial equality indicators and race relations are at a new low.

The race problem is America’s great national dilemma that continues to pose the greatest threat to America’s democratic experiment. Simmering discontent in Black communities will continue to rise towards a dangerous boiling point unless and until slavery’s greatest legacy of ongoing Racial Capitalism is exposed and completely dismantled.

Garikai Chengu is a scholar at Harvard University. 
Contact him on garikai.chengu@gmail.com.
 
 

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