Camerati,
Questa vostra assemblea si trova dinanzi a due fatti compiuti il rapporto dei 92' prefetti del Regno, molto importante, come vi dimostrerò fra poco, e la nuova sistemazione del Governo, la cui notevole portata vi illustrerò in seguito, sebbene io pensi che sia già dal vostro spirito chiaramente intuita.
Le mie parole, come sempre da oramai un ventennio di battaglie politiche, delle quali un decennio di battaglie fasciste, vengono dopo i fatti, i quali non traggono origine da assemblee, né da preventivi consigli od ispirazioni di individui, di gruppi o di circoli: sono decisioni che io maturo da solo e delle quali, come è giusto, nessuno può essere a preventiva conoscenza: nemmeno gli interessati che possono essere gradevolmente sorpresi anche quando lasciano il posto. Un uomo solo tempestivamente è informato, il Capo dello Stato, la Maestà del Re.
Per quanto sembri, dopo una settennale esperienza, quasi assolutamente superfluo, voglio ripetere che ritengo questo riserbo assolutamente necessario e comunque appartiene oramai a quello che si è convenuto chiamare il mio stile di Governo, al quale intendo di restare naturalmente fedele. Da ciò potete dedurre quale credito si debba accordare ai cosiddetti «uffici voci», composti in massima parte di delusi, di sfaccendati e di imbecilli.
Un terzo ordine di fatti, che più da vicino vi riguarda, voi apprenderete nel corso stesso delle mie parole.
I capi della provincia, dei quali almeno una quarantina vengono più o meno direttamente dalla vostra gerarchia, mi sono apparsi, dopo gli esaurienti e spesso minuti colloqui, sempre più all'altezza del loro delicato compito, che abbraccia tutta la vita di una provincia in tutte le sue espressioni politiche, amministrative, economiche, sociali, morali. Sono soddisfatto in genere ed in particolare ,per aver constatato che è stato raccolto il mio monito concernente la verità che bisogna sempre dirmi, in ogni caso, soprattutto quando è spiacevole, poiché tacendola si impedisce di correre in tempo ai ripari. Gli argomenti sui quali io avevo invitato i Prefetti a riferirmi in particolare, mi permettono di tracciarvi il panorama generale della Nazione in questa fine dell'anno.
Andamento della bonifica integrale: il piano di questa bonifica è gigantesco. Si tratta di un milione e seicento mila ettari di terreno, per un importo di oltre due miliardi e trecento milioni di lire. Dalla Valle del Po, con le bonifiche di Cremona, Parmigiana-Moglia, Burana, Bassano, Friuli, Ferrara e Ravenna, al Consorzio di Piscinara, prima gloriosa tappa nella marcia di redenzione delle paludi Pontine, da Coltano in terra di Toscana a Siguri in Calabria, alla Stornara Jonica, da Lentini in Sicilia a Torralba in Sardegna, dovunque si compie uno sforzo, che può inorgoglire un popolo e creare un titolo imperituro di gloria per il Regime fascista. È la terra riscattata e, con la terra, gli uomini, con gli uomini, la razza.
Ma queste grandi opere, che danno quotidiano lavoro oggi a diecine di migliaia di operai, che lo daranno domani a centinaia di migliaia di contadini, sono accompagnate dalla esecuzione di altre opere, non meno necessarie; quelle di irrigazione, per le quali sono in corso lavori per l'importo di 374 milioni: bacini montani, canali derivatori da fiumi e da laghi, sfruttamento di acque sotterranee. Anche in questo campo si procede innanzi e due provincie, quella di Piacenza e quella di Alessandria, meritano di essere messe all'ordine del giorno, perché sono risolutamente all'avanguardia in fatto d'impianti.
I fatti, che nessuno può smentire e se qualcuno vi fosse, io lo munirei di un gratuito biglietto circolare, perché si convincesse della loro verità, bastano a gelare il sorrisetto ebete, che in questi ultimi tempi i residui dell'antifascismo straniero avevano sulle labbra. Come se la bonifica si facesse nel volgere di una giornata, come se la bonifica non richiedesse lunga preparazione, molto denaro, moltissimi strumenti e uomini e qualche volta il sacrificio della vita.
Disoccupazione: voi avete seguito la curva di questo fenomeno: da 489.000 disoccupati e sussidiati, nei febbraio dell'anno corrente, siamo discesi a un minimo di 193.000 alla fine di giugno, per risalire a 201.000 alla fine di luglio, 34.000 in meno che nel corrispondente mese del 1928. Andiamo, quindi, verso il periodo della ineluttabile disoccupazione stagionale.
Allo scopo d'attenuarne le conseguenze, un programma di lavori è stato concretato per un importo di 130 milioni, interessanti quaranta provincie, più 9 milioni d'annualità, che corrispondono ad un altro centinaio di milioni, più alcuni tronchi dell'autostrada pedealpina, più i lavori dell'Azienda della strada, che occuperanno non meno di sessantamila operai, e altri lavori in corso, come la direttissima Bologna-Firenze.
A proposito dell'Azienda della Strada affiora qualche movimento d'insoddisfazione. Basterà ricordare agli impazienti, i quali pretendono il miracolo immediato, che l'Azienda della Strada è nata il primo ottobre del 1928 e organizzò i suoi uffici nei tre mesi successivi, fu sorpresa dai rigori eccezionali dell'inverno, ha potuto por mano ai lavori solo a primavera con ditte spesso ridicolmente attrezzate: sei mesi, e i risultati sono visibili a tutti e più si vedranno nel 1930. Il programma di sistemazione dei primi 6000 chilometri di strade nazionali in cinque anni sarà pienamente realizzato. Tutti sanno che io ho una specie di passione romana per le strade, nelle quali scorgo uno degli elementi fondamentali del benessere e dell'unità del popolo.
Ma un altro problema, sempre in materia di lavori pubblici, mi rende particolarmente ansioso: quello degli acquedotti civici e rurali. Mentre l'acquedotto pugliese avvia a compimento la sua colossale impresa, altri acquedotti sono alle viste per essere attuati; cito quelli che interessano decine e centinaia di comuni, come l'acquedotto del Monferrato, quello dell'Istria, quello di Schievenin nel Veneto, quello del Ruzzo in provincia di Teramo e non ricordo i minori in costruzione, come quelli di Siena, di Sassari, di Ravenna. Il Regime fascista ha qui un altro motivo d'orgoglio e di gloria: ha dissetato milioni d'Italiani, che attendevano l'acqua da decenni e talvolta da secoli! Anche l'industria meccanica e metallurgica avrà, fra Marina da guerra e Ministero delle Comunicazioni, lavori per circa un miliardo.
Gli accordi lateranensi sono presi di mira dai neri e dai verdi gli uni e gli altri sono stati sconfitti, gli uni e gli altri anelano ad una specie di rivincita e al momento in cui potranno dire trionfalmente : l'avevamo detto noi! Sconfitti sono stati i temporalisti, i quali erano rimasti al 1849 e sognavano impossibili restaurazioni di istituti, travolti dal fatale volgere della storia, e si accorciano molto «obtorto collo» a uno stato ridotto a una città e questa città ridotta ad una superficie di pochi ettari; sconfitti sono i «verdi» i quali avrebbero voluto incancrenire il conflitto, eternizzarlo, non per il bene dello Stato, ma per la mortificazione della Chiesa. Queste due categorie di sconfitti, una volta nemiche, sembrano quasi alleate.
La voce diffusa all'estero che il Governo fascista, dopo aver distrutte entrambe le massonerie, vedrebbe di buon occhio il ricostruirsi di una terza per fronteggiare il clericalismo, è semplicemente puerile. Non abbiamo bisogno di ricorrere a questa specie di trucchi. Bastiamo noi a noi stessi. E siamo d'altra parte troppo intelligenti per non aver veduta la manovra e per non evitare i due estremi che a vicenda si condizionano: il clericalismo ed il suo avversario. Le polemiche che si sono svolte al Parlamento e nei giornali non devono essere drammatizzate oltre misura. Le speranze di taluni circoli d'oltre Alpe sono destinate a rimanere speranze più o meno pietose, almeno per quanto ci concerne. Si tratta di polemiche che io vorrei chiamare «di assestamento», di precisazione di posizioni, e sono perfettamente comprensibili, poiché mentre nel campo fascista si è considerato l'evento nelle sue imponenti ma reali proporzioni e significazioni e limiti, alcune voci nel campo cattolico, specialmente laico, hanno rilevato sbandamenti ed illusioni che era necessario di rettificare, il che è stata fatto con tempestive sanzioni.
Ma dal sequestro di qualche dozzina di oscuri giornaletti dell'estremismo cattolico, con venature popolaresche alla «Kultrukampf» di Bismarck, alle lotte napoleoniche, corre molto spazio e moltissimo tempo! È quasi banale dichiarare che la lotta fra la Chiesa e lo Stato nuoce allo Stato; ma non giova nemmeno alla Chiesa. Può essere, alle volte, una fatalità, non può essere mai un programma od un ideale, specialmente in uno Stato come il nostro, che potrà in altri dominii mostrare la sua unità e la sua forza.
Del resto le posizioni in Italia sono nette così come dovevano essere.
La Chiesa conosce la dottrina fascista dello Stato ed è del 1925 la mia formula: «Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, niente contro lo Stato».
Ora, dai rapporti dei prefetti risulta che il clero italiano è nello Stato italiano, cioè ossequiente alle leggi dello Stato e spesso entusiasta del Regime. Salvo alcune provincie di confine e tre provincie dell'Alta Italia, in tutto il resto, e soprattutto nelle provincie del Mezzogiorno, il clero è perfettamente a posto e non chiede che di collaborare con le autorità costituite.
I parroci sono figli del nostro popolo, gente della nostra gente, che non vive nelle nuvole sublimi dell'assoluto, ma nel relativo, modesto e interessante, della vita di ogni giorno.
Li vedete in talune regioni inforcare la bicicletta, e anche la motocicletta, frequentare le fiere e i mercati, mescolarsi alla profana umanità. Ora questa massa di parroci non ha, nella sua enorme maggioranza, che un desiderio: quello di collaborare con le locali e centrali gerarchie fasciste, non solo per un comprensibile bisogno di tranquillità, ma perché i parroci non dimenticano i tempi antichi e li sanno intelligentemente confrontare con gli odierni.
Del resto migliaia di preti, come cappellani delle nostre legioni anziane e giovanili, sono da sette anni legati molto intimamente alla vita del Regime. Del resto il Regime ha novemila vedette in ogni angolo d'Italia, pronte a segnalare eventuali sconfinamenti e un Governo sensibile e vigile a Roma. Ha le sue forze, i suoi ideali, il suo avvenire, garantito dall'educazione fascista delle nuove generazioni. Dato l'atteggiamento volonteroso del clero maggiore e minore, non v'è dubbio che il color optimus è destinato a riapparire tanto più presto, quanto più rapidamente si rinunzierà a intentare processi a personalità e a vicende del Risorgimento, sulle quali oramai il nostro e il giudizio del popolo italiano sono definitivi, quanto più presto si rinunzierà a «forzature» giornalistiche, organizzative, oratorie, che non hanno uno scopo preciso in un Regime come il nostro e non fanno che sollevare più o meno legittimi motivi di divisione e di sospetto; quanto più presto si smetterà d'avanzare la tesi del «Potere indiretto» della Chiesa, tesi che noi nella maniera più categorica respingiamo, in quanto non ci è dato conoscere dove questo potere cominci e dove finisca e di quali mezzi si giovi e per quali scopi. Questo quadro ha, come dicevo, in talune provincie, specie di confine, le sue ombre, che vanno però a poco a poco disperdendosi.
Un altro argomento all'ordine del giorno dei colloqui coi prefetti è stato l'esame della situazione che si determinerà con la fine del vincolismo in materia di pigioni. Il Governo fascista ha abituato gli Italiani al mantenimento di quanto afferma: col 30 giugno 1930 è stata decisa la fine del vincolismo, durata sedici anni: col giugno questo inevitabilmente avverrà. Ma la situazione è, nel complesso, rassicurante. La certezza della fine della politica vincolistica ha già provocato una sicura ripresa dell'attività edilizia.
Del resto, solo in due città, Milano e Roma, il problema ha carattere di gravità. Ma tanto a Roma quanto a Milano si sta costruendo una riserva imponente di locali da gettare sul mercato allo scadere del vincolo, per alloggiare gli sfrattati. Questa misura gioverà anche a contenere gli eventuali aumenti delle pigioni, offrendo una maggiore disponibilità di case. Ma i proprietari di case, che sono riuniti in una associazione nazionale e hanno desiderato e ottenuto il riconoscimento giuridico e l'alto privilegio di chiamarsi fascisti, dovranno dimostrare coi fatti che la loro libertà non si tramuterà in licenza.
Nel qual caso non si ripristineranno gli aboliti vincoli, ma si farà ricorso ad altri provvedimenti forse più duri ed efficaci. Solo spezzando coraggiosamente e antidemagogicamente la politica del vincolismo ci saranno gradualmente le case per tutti. E, nell'attesa, lavoro assicurato a centinaia di migliaia di terrazzieri, muratori, manuali, cementisti, falegnami fabbri, tappezzieri, elettricisti, nonché all'industria siderurgica, così legata all'edilizia moderna. Mantenendo i vincoli, il nodo diverrebbe inestricabile e condurrebbe ad un immenso demanio edilizio dei Comuni e dello Stato con una nuova ponderosa burocrazia, che dovrebbe amministrarlo e che graverebbe naturalmente sul costo delle pigioni. Esperimenti del genere possono essere imposti dalle necessità del tempo di guerra, ma sono una pura follia in tempo di pace.
Dal rapporto dei prefetti risulta ancora che i contributi sindacali facoltativi sono stati aboliti dovunque, e che il prossimo 28 ottobre un complesso grandioso di opere rurali da inaugurare imprimerà uno speciale carattere alla celebrazione della nostra Rivoluzione in armonia con le direttive generali del Regime.
Dopo il rapporto dei prefetti, di cui vi ho dato gli estremi, l'altro fatto compiuto, che avete dinanzi, è il mutamento nella compagine del Governo. Mutamento non soltanto di uomini. I caratteri di questo mutamento non sfuggono alla vostra attenta riflessione. Prima di tutto, una netta accentuazione fascista.
Come siamo lontani dal primo Ministero di coalizione e come si appalesa potente questa nostra Rivoluzione che, al contrario di molte altre, più procede e più si colora del suo ideale! Nel Governo sono presenti - come ministri - tre dei quadrumviri della Marcia su Roma.
Si diceva che i sottosegretari erano destinati a rimanere tali per tutta la vita. Ed ecco che ben nove di essi salgono, dopo l'indispensabile periodo di tirocinio, al primo posto nella responsabilità del Governo. Io non dimentico coloro che se ne vanno, - quando è l'ora, - senza darsi l'aria di sbattere la porta.
Valendomi dell'art. 4 della legge sul Primo Ministro, ho trasformato il Ministero dell'Istruzione Pubblica in Ministero dell'Educazione Nazionale. Con questa decisione, che sembra puramente nominale, ho inteso invece riaffermare, nella forma più esplicita, un principio; e cioè che lo Stato ha non solo diritto, ma dovere di educare il popolo, e non soltanto quello d'istruirlo, per la qual cosa potrebbe bastare, alla fine, anche un appalto e un'impresa privata. È quindi di stretto rigore logico che l'Opera Nazionale Balilla passi al Ministero dell'Educazione Nazionale, tanto più che l'O.N.B. ha assunto il compito dell'educazione fisica in tutte le scuole e sta, a tale scopo, egregiamente preparandosi. Deve quindi entrare a far parte del Ministero dell'Educazione Nazionale.
Un altro Ministero che cambia non solo nome, ma contenuto, è quello della Economia Nazionale. Sta di fatto che questo Ministero è andato, in questi ultimi tempi, riducendosi a sempre più modeste proporzioni. Toltigli la statistica, il commercio estero e la direzione generale del lavoro, della previdenza e del credito, che sta più convenientemente domiciliata al Ministero delle Corporazioni, il nucleo essenziale del Ministero dell'Economia si riduce all'agricoltura. Diamogli, dunque, questo nome, anche a confermare l'indirizzo fondamentale della nostra politica economica. mentre al Ministero delle Corporazioni, rinforzato, passano nuove funzioni. L'Agricoltura ha ancora bisogno di un organo propulsore centrale, cioè di un Ministero. L'Industria no: i suoi interessi stanno tra le corporazioni da un lato e le finanze dall'altro. Solo un'agricoltura sviluppata e ricca darà un progrediente mercato interno all'industria nazionale. È naturale che tutti i servizi aderenti alla legge Mussolini siano concentrati nel Ministero dell'Agricoltura, con apposito sottosegretario.
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Il carattere più saliente degli attuali mutamenti è la mia rinuncia ai Ministeri militari che ho tenuto per quattro anni, durante i quali si è lavorato moltissimo. Quello che si poteva fare dal punto di vista della unificazione spirituale tra tutte le Forze Armate, Milizia compresa, è stato compiuto. Il Ministero della Difesa nazionale avrebbe proporzioni troppo grandiose per un uomo solo. Tutte le Forze Armate, d'altro canto, hanno un supremo dirigente nella persona del Capo di Stato Maggiore Generale, il quale è alle dirette dipendenze del Capo del Governo. Provvedimenti in corso di elaborazione porteranno alle mie dirette dipendenze, oltre la Milizia V. S. N., il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, l'Avvocatura erariale, la Polizia. Quest'ultima è istituto troppo importante e geloso perché non debba dipendere direttamente dal Capo del Governo.
La figura del Primo Ministro va così prendendo solida consistenza e si realizza non solo nella lettera, ma nello spirito l'apposita legge, che è una tra le più innovatrici e rivoluzionarie della nostra legislazione. Qualcuno non cadrà nell'errore, veramente imperdonabile, di credere che la sistemazione del Governo significhi una modificazione nelle sue direttive. È un Governo con una maggiore accentuazione di Fascismo: le direttive non possono essere quindi che accentuatamente fasciste. Solo dei rimbambiti nostalgici o tepidamente convertiti o comunque rimorchiati, possono vaneggiare o pargoleggiare di «tempi» a colorazione o scivolamento demo-liberale. Non mai come in questo momento io ho misurato la miserevole vanità e la patente menzogna del demoliberalismo. Non mai come in questo momento ho sentito tutta la viva attualità della nostra dottrina dello Stato accentrato e autoritario. Questa, che gli idolatri del numero informe chiamano, con gesto di vana esecrazione, «dittatura», noi la riconosciamo: la dittatura è nei fatti, cioè nella necessità del comando unico, nella forza politica, morale, intellettuale dell'uomo che la esercita, negli scopi che si prefigge.
Ciò significa forse chiusura ermetica di ogni spiraglio dal quale possa filtrare il dissenso o la critica?
Affatto. Un conto sono le direttive fondamentali della Rivoluzione, sulle quali non bisogna discutere e, se necessario, discutere con una estrema discrezione e in apposita sede, com'è del resto accaduto sempre dall'ottobre 1922 in poi, e un conto sono le gestioni amministrative ed i servizi dello Stato. Non cade il mondo e meno ancora il Regime se le grandi amministrazioni centrali dello Stato e quelle autocratiche periferiche potranno essere, com'è già avvenuto, oggetto di discussione e di critica da parte dei componenti. Non cade il mondo, e meno ancora il Regime, se d'ora innanzi, come da istruzioni già impartite, i podestà di Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti dovranno convocare la Consulta una volta al mese. Non cade il mondo, e meno ancora il Regime, se la Camera fascista svolgerà in tutta tranquillità e utilità la sua funzione di controllo su tutta l'amministrazione dello Stato. La critica per la critica è insulsa, la critica in malafede è antifascismo; ma la critica fatta senza secondo fine e con un solo fine - quello cioè di perfezionare incessantemente lo Stato nella sua amministrazione - è feconda e deve essere accolta dagli uomini responsabili, e non infallibili, non con acrimonia, ma con soddisfazione. Il fatto di passare a controllo severo, ma obiettivo, le amministrazioni statali, avrà benefiche ripercussioni anche nell'alta burocrazia.
Insomma deve realizzarsi nell'ambito dell'attività amministrativa e legislativa una viva, continua, cameratesca collaborazione tra Camera e Governo, fra fascisti della Camera e fascisti del Governo, gli uni e gli altri di una sola cosa ansiosi e pensosi: della vita, dello sviluppo, della gloria, della potenza della Rivoluzione e dello Stato fascista.
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Ricordo il Dopolavoro, i Comitati intersindacali, germe del Consiglio nazionale e dei futuri Consigli provinciali delle Corporazioni, le Milizie universitarie, la fascistizzazione delle forze sportive, la riforma dello statuto del P. N. F. secondo i dettami della nostra dottrina, le opere assistenziali, l'Associazione degli ufficiali in congedo. Immense forze numeriche e morali, che erano fuori del Regime, vi sono state introdotte.
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Taluni articoli, buoni nella sostanza ma alquanto ondivaghi nella forma, hanno provocato interpretazioni estensive ed arbitrarie. Si è parlato di una autosoppressione del Partito Nazionale Fascista. Qui, meglio che all'Aja, si può dire che la cosa è veramente grottesca e ridicola.
Coloro che hanno avanzato tale insensata ipotesi, sono degli incoscienti, o dei traditori, o dei vendicativi, che vorrebbero annullare il Partito Nazionale Fascista, che ha fatto la Rivoluzione, che vorrebbero togliere al Regime una forza spirituale per lasciargli solo le forze materiali. Di pleonastico non c'è che la loro meschina perfidia o la loro palese insufficienza mentale! Non si tratta di sapere se il Partito debba esistere o meno, perché, se il Partito non ci fosse, io lo inventerei e lo inventerei così come è il Partito Nazionale Fascista, numeroso, disciplinato, ardente, a struttura rigidamente gerarchica. Si tratta di «situare» il Partito nello Stato. Ma questo è già stato fatto, o immemori dell'antifascismo, sino dal 1921, nelle dichiarazioni programmatiche del Fascismo, come ha ricordato Michele Bianchi alla Camera e sin dal 6 gennaio 1927, o ancora una volta smemorati, nella mia circolare ai Prefetti, non dimenticata né dimenticabile.
Sin da allora io proclamavo che il Partito non è che una forza civile e volontaria agli ordini dello Stato, così come la M.V.S.N. è una forza armata agli ordini dello Stato. Il Partito è la organizzazione capillare del Regime. La sua importanza è fondamentale. Esso arriva dovunque. Più che esercitare un'autorità, esso esercita un apostolato e con la sola presenza della sua massa inquadrata esso rappresenta l'elemento definito, caratterizzato, controllato, in mezzo al popolo. È il Partito con la massa dei suoi gregari che dà all'autorità dello Stato il consenso volontario o l'apporto incalcolabile di una fede. Ogni dualismo di autorità e di gerarchia è scomparso.
Il Capo della Provincia ha ai suoi ordini tutte le forze periferiche, nelle quali si esprimono lo Stato ed il Regime: quindi anche il Partito, quindi anche il Segretario federale, il quale assume la sua funzione e la sua precisa fisionomia di subordinato collaboratore del Capo della Provincia, di vero e proprio funzionario extra ruolo della R. Prefettura. A nessuno di voi potrà sembrare arida e umiliante questa definizione. Io stesso non sono che un funzionario del Regime e voi stessi sentite che la vostra forza, la vostra dignità, il vostro prestigio è in questa vostra accettazione e dedizione. Quanto al lavoro, ce n'è per il prefetto e per il segretario federale!
D'ora innanzi, quindi, il Segretario del P. N. F. sarà nominato con decreto reale su mia proposta. I segretari federali saranno nominati con decreto del Capo del Governo su proposta del Segretario del Partito Nazionale Fascista.
In questo procedimento, di una logicità assoluta, sarà ancora una volta la consapevole definitiva solenne subordinazione del Partito allo Stato. Tutto ciò può sembrare originale e nuovo a coloro i quali per il fatto che si chiama ancora «Partito» considerano il nostro organismo politico alla stregua degli altri Partiti: ma i caratteri, le attribuzioni, il funzionamento del Partito Nazionale Fascista ne fanno nel totalitario Stato fascista una istituzione assolutamente diversa. Grande cammino si è fatto dal 1927 in poi, tanto che tutti i Prefetti mi hanno fatto l'elogio dei Segretari Federali. E questo elogio io rivolgo a voi che avete dimostrato di essere all'altezza del vostro compito. Del resto le posizioni sono chiare. Se nel Fascismo tutto è nello Stato, anche il Partito non può sfuggire a tale inesorabile necessità, e deve quindi collaborare subordinatamente cogli organi dello Stato. Si opina che dopo il plebiscito il Partito dovrebbe rinunziare alla sua esistenza autonoma, distendersi, dilatarsi fino a comprendere tutta la nazione, per evitare la distinzione fra italiani fascisti e italiani non fascisti o antifascisti. Vi rimando su questo argomento al mio discorso della «Sciesa» di Milano. Queste distinzioni sono fatali e necessarie.
Fra coloro che hanno fatto la Rivoluzione e tutti gli altri che non l'hanno fatta, fra coloro che hanno creduto e quelli che hanno irriso alla fede, fra coloro che hanno sofferto e quelli che hanno atteso e tradito, una differenza si impone.
Ma accade forse che la divisione fra fascisti e non fascisti determini una permanente situazione di privilegio per i primi? Affatto. I fascisti fedeli alla nostra dottrina non chiedono, non vogliono chiedere privilegi. Essi si sentono cittadini privilegiati solo e in quanto hanno l'impegno di essere i migliori cittadini, i più dotati di senso di responsabilità e di dovere, i primi cittadini quando si tratta di lavoro, di disciplina, di sacrificio.
Il Partito non è una casta chiusa, poiché ogni anno riceve un alimento quasi automatico dall'affluire delle nuove generazioni. Casta chiusa un organismo che alla data del 7 settembre dell'anno VII può mettere in linea queste cifre: inscritti ai Fasci maschili 1.020.000, ai Fasci femminili 93.495, alle giovani italiane 85.949, alle piccole italiane 560.251, alle alunne 53.600; ai gruppi studenti universitari fascisti 25.440, ai professori ed assistenti fascisti 2212!
Non bisogna confondere il P. N. F., che è forza politica primordiale del Regime, col Regime che questa forza politica e tutte le altre di varia natura convoglia, abbraccia, armonizza. Il Regime non ha bisogno di aspettare altri tempi per dilatarsi fino ai confini della Nazione. Sta già divenendo, e lo strumento di questa dilatazione è il Partito con le sue masse. Si vuole forse togliere il catenaccio alle nuove iscrizioni per dare modo ai troppo ritardatari di entrare magari con l'animo degli ulissidi nascosti nel famoso cavallo? Non è necessario e può essere pericoloso. Come si può bizantineggiare su ipotetici distacchi tra Fascismo e Nazione, quando la realtà è che tra forze controllate direttamente dal Partito Nazionale Fascista e forze controllate direttamente da altre istituzioni, il Regime raccoglie sotto i suoi gagliardetti la enorme maggioranza degli italiani che contano qualche cosa? Quando mai in Italia si vide una unità morale più profonda? Forse quando l'Italia era divisa fra dieci rissanti partiti e alcune più o meno internazionali massonerie? Quando mai, in Italia, si vide un Regime così ansioso, come il nostro, delle sorti del popolo? Io vorrei invitarvi a diffidare di coloro che parlano un linguaggio troppo involuto ed ermetico, di coloro che hanno delle sintomatiche «tolleranze» in un'epoca di ferro come l'attuale, che hanno l'aria di scoprire a ogni istante le più lapalissiane verità. Non vorrei che si trattasse di gente fascista per errore, stanca di questa nostra Italia ordinata e severa, e forse nostalgica dell'Italia gesticolatrice, chiacchierona, superficiale, carnevalesca che i nostri amici d'oltre Alpe, restati all'Italia del 1914, sono «desolati», ohimè, di non trovar più.
Tornando al Partito Nazionale Fascista, è evidente tuttavia che il suo statuto ha bisogno di qualche ritocco sostanziale e formale, dopo tre anni di esperienza.
Più importante è poi modificare la composizione del Gran Consiglio. Cinquantadue persone oggi, aumentabili domani, sono troppe per un organismo che deve discutere e decidere in segreto. È una assemblea di corpi, invece di essere un'assemblea di capi. È inutile che Governo, Partito, Sindacati siano rappresentati al completo. Uno Stato Maggiore deve essere ridotto al minimo in fatto di componenti, se si vuole che sia efficiente e realmente segreto.
In questi ultimi tempi, generalizzando episodi isolati, le forze dell'antifascismo hanno tentato di inscenare una nuova questione morale. Nel 1924 la «questione morale» consisteva nel far apparire gli uomini del Fascismo come dei criminali; oggi la questione morale, tipo 1929, consiste nel far credere che gli uomini del Fascismo, quelli che coprono posti di responsabilità, siano dei disonesti. Attraverso un caso si vorrebbe colpire migliaia di autentici galantuomini per infangare il Regime.
Davanti a questo tentativo vile e miserabile, io trovo gli accenti del 3 gennaio. La verità vera e inconfutabile è che le gerarchie del Regime fascista si compongono, nella loro quasi totalità, di uomini onesti e disinteressati, di uomini che meritano tutta la stima del popolo. Non permetteremo che questo infame tentativo generalizzatore sia continuato. Non permetteremo che la bavosa calunnia dei nemici - aperti ed occulti - riesca ad avvelenare l'animo del popolo.
È questa la vana speranza che oggi fa tripudiare tutti i nemici del Regime. Abbiamo punito e continueremo a punire il soldato che manca o sgarra, ma puniremo anche coloro i quali tentino, attraverso la defezione di un singolo, bollare di ignominia tutto l'esercito. I cosiddetti «scandali» del Regime sono, per proporzione e numero, infinitamente minori di quelli che avvengono in tutti i regimi ed in tutti i tempi; e per convincersene, senza disturbare la storia, ci si può limitare alle cronache, da quelle dell'Italia prefascista, che aveva inventato i «carrozzoni» a quelle recentissime, odierne dei paesi europei e d'oltre Oceano!
È su questi episodi, inseparabili da ogni grande movimento rivoluzionario, che rinverdiscono le grame speranze dell'antifascismo. Ma si tratta di speranze di gente che spera sempre e che finirà sperando, e non si accorge del piramidale ridicolo che l'affoga. Anch'io ho una innocente malinconia collezionista: io colleziono diligentemente tutte le profezie catastrofiche degli antifascisti. È divertente: divertiamoci. In data 3 luglio 1927 un giornale fuoruscitista stampava: «La situazione in Italia è così seria che ci si aspetta, entro la fine dell'anno, di assistere a gravi avvenimenti». Il '27 è passato, è passato anche il '28; sta per passare il '29. Nel numero successivo del 7 luglio 1927: «I giorni di vita del Fascismo sono contati» . Tre giorni dopo rincalzava: «L'acqua alla gola. Il Regime fascista pericola. È lecito attendersi le conseguenze più gravi ed impreviste». Il 14 luglio aggiungeva: «Mai il Regime è stato così debole come oggi. Bisogna farsi sotto...».
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In data 5 agosto, il Fascismo viene di nuovo immerso «con l'acqua alla gola» . Il 17 settembre si annuncia l'uccisione del podestà di Mantova, vivo tuttora, ed una sollevazione non mai avvenuta. Il 27 settembre dello stesso anno si parla «di una primavera italica, che fiorirà quando sfiorirà l'autunno». Due giorni dopo, si giura che «la rivoluzione antifascista si avvicina a grandi passi». Un altro giornale parla di «campane funebri». Questa documentazione potrebbe continuare, con altri giornali, fino a oggi 14 settembre. Sono sette anni che dai cagoiardi dell'antifascismo viene regolarmente annunciata la fine imminente del Regime Fascista. Le scadenze passano; il Regime dura; è anzi oggi più solido di prima, perché, col passare dei tempo, fa le ossa, si immedesima sempre più nella Nazione, diventa granito, e questi profeti scornati continuano a imbottire e a imbottirsi reciprocamente i crani. Si può essere più ridicoli di così? E si dovrebbe concedere l'amnistia ad un branco di pecore, affette da così mortificante stupidità? A una manica di criminali, capaci di compiere attentati come quello recente di Nizza?
Non solo il Regime dura, ma l'interesse del mondo per la nostra Rivoluzione invece di diminuire aumenta. Aumenta per una ragione profonda, e cioè che noi anticipiamo di gran lunga un sistema politico sociale perfettamente intonato alle necessità moderne e che dovrà fatalmente essere adottato da altri paesi. Siamo i primi ad avere avvertito l'inconsistenza della dottrina della lotta di classe e la precarietà di tutta la letteratura marxista, di fronte alle caratteristiche del capitalismo moderno, radicalmente cambiato da quello di un secolo fa. Siamo i primi ad avere realizzato la politica pura, non la politica dei partiti, la quale è ovunque in decadenza e non interessa più le masse, come forti studiosi di sociologia hanno constatato.
Siamo i primi ad avere affermato, di fronte all'individualismo demoliberale, che l'individuo non esiste, se non in quanto è nello Stato e subordinato alle necessità dello Stato, e che, man mano che la civiltà assume forme sempre più complesse, la libertà dell'individuo sempre più si restringe.
La libertà, di cui parlano le democrazie, non è che una illusione verbale, offerta intermittentemente agli ingenui. Già si levano oltr'Alpe voci rinnegatrici del famoso trinomio dell'89. Si lancia un trinomio che in Regime fascista non è una formula soltanto, ma una realtà: autorità, ordine e giustizia. Questo trinomio è il risultato fatale della civiltà contemporanea, dominata dal lavoro e dalla macchina.
Reazionari noi? No: precursori, anticipatori, realizzatori di quelle nuove forme di vita politica e sociale che appaiono tentate talvolta, sotto altre forme, anche nei paesi che rappresentano gli ideali, ormai sopraffatti, dello scorso secolo.
Il Fascismo è l'unica cosa nuova che i primi trent'anni di questo secolo abbiano visto nel campo politico e sociale.
Ecco perché agisce così intensamente sull'animo dei giovani, modellandone il carattere, facendoli osservatori tenaci e disciplinati.
Gli osservatori stranieri notano che il popolo italiano parla poco, gestisce meno e sembra dominato da una sola volontà: è la politica del Fascismo, la quale insegna che per divenire grandi secondo la massima della filosofia del superuomo «bisogna avere la gioia di obbedire a lungo e in una stessa direzione ».
«Cosa ho fatto?» si domandava Napoleone tracciando il consuntivo della sua vita straordinaria, e rispondeva: il bel bacino di Anversa e quello di Flessinga, capaci di contenere la squadra più numerosa; le opere idrauliche di Dunkerque, di Havre, di Nizza, le opere marittime di Cherbourg, le strade da Anversa ad Amsterdam, da Magonza a Metz, da Bordeaux a Bajona, i valichi del Sempione, del Moncenisio, del Monginevra, della Cornice che aprono le Alpi in quattro direzioni e sorpassano in ardimento, grandezza e sforzo tutti i lavori dei romani. Le strade dai Pirenei alle Alpi, da Parma a Spezia, da Savona al Piemonte, i ponti di Jena, di Austerlitz, delle Arti, di Sèvres, di Tours, di Roanne, di Lione, dell'Isère, il canale che congiunge il Reno col Rodano, il prosciugamento delle paludi di Bourgoin, di Cotentin, di Rochefort.
Il Codice civile, il museo napoleonico, il ristabilimento della maggior parte delle chiese demolite durante la rivoluzione; la costruzione del Louvre, gli acquedotti di Parigi... ecco un tesoro che durerà nei secoli! Ecco dei documenti che faranno tacere la calunnia!
Noi ci guardiamo bene dallo stabilire confronti che sarebbero assurdi; vogliamo soltanto dire che sette anni appena di Regime fascista hanno non meno vastamente e profondamente operato nella realtà italiana. Il pensiero trova oramai difficoltà ad abbracciare l'immenso panorama delle trasformazioni materiali e morali che abbiamo compiuto. Coloro che abbandonarono per viltà o antifascismo l'Italia avranno un giorno la suprema vergogna di non più riconoscerla nelle città, nelle campagne, negli uomini!
Camerati!
Portate a tutti i vostri gregari fino ai più remoti villaggi questo orgoglio e questa certezza! Fatene lo stimolo quotidiano del vostro lavoro, il cemento della vostra infrangibile disciplina, l'assillo della vostra fede che deve essere - in ogni momento - pura e diritta come un'arma levata nella luce del sole!
Benito Mussolini
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