di Giuseppe Biamonte
Uccidi gli Italiani, il libro del senatore Andrea Augello, uscito per i tipi di Mursia nella nuova edizione ampliata e aggiornata, è stato recentemente presentato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Un gremito parterre ha assistito, quasi in religioso silenzio, agli interventi dei vari oratori, invitati per l’occasione (giornalisti, politici, storici).
Tra questi si è distinto, per il suo puntuale rigore storico-scientifico, il prof. Giuseppe Parlato, docente di storia contemporanea presso la libera Università S. Pio V di Roma e presidente della Fondazione Ugo Spirito, autore di numerosi saggi storici (ricordiamo in particolare la preziosa trilogia di studi sul fascismo: Fascisti senza Mussolini, Il sindacalismo fascista, vol. II, e La sinistra fascista, storia di un progetto mancato).
L’opera di Augello ha il pregio principale di aver definitivamente messo in soffitta la vulgata pseudo storica che ha sempre dipinto lo sbarco alleato in Sicilia come una sorta di passeggiata, che gli invasori avrebbero intrapreso, tra ali di folle osannanti alla liberazione dalla tirannide nazifascista, senza trovare alcun ostacolo sul loro cammino.
Come ha invece rigorosamente dimostrato l’autore nel suo saggio di microstoria, attraverso la pubblicazione di documenti inoppugnabili, testimonianze dei superstiti e dei parenti di chi allora subì sulla propria pelle la ferocia gratuita degli invasori statunitensi, la Sicilia del 1943 fu l’isola dell’eroica resistenza dei militari italiani della “Livorno” e di quelli germanici della “Goering”, ma soprattutto dei civili siciliani, che con il loro coraggio, la loro abnegazione e il loro sacrificio resero durissimo lo sbarco delle soverchianti forze d’occupazione alleate (tre divisioni britanniche, tre statunitensi e una canadese).
La 7a armata statunitense era comandata dal generale George Smith Patton. Tra questi campioni di democrazia d’esportazione – definizione oggi più che mai di grande attualità guardando le cronache belliche contemporanee, dalle quali emerge il perpetuarsi degli stessi crimini compiuti all’ombra della bandiera a stelle e strisce - si distinse in particolare la 45a divisione Thunderbirds della Guardia Nazionale per le violenze, le spoliazioni dei prigionieri, le fucilazioni sommarie contro i militari italiani dopo la resa e gli eccidi di inermi civili (vecchi, donne, bambini).
Mandante morale di tali crimini contro l’umanità fu lo stesso Patton, che, nell’inchiesta che seguì, ne uscì, grazie alla “ragione di Stato”, candido come un agnello.
Il cowboy californiano, che, stando ai suoi biografi, amava esibirsi con tanto di cinturone e Colt Single Action Army nella fondina odiava in modo particolare gli italiani, da lui apostrofati col gentile epiteto di sons of bitches (figli di puttana).
Un odio atavico il suo, che, come ha ricordato il prof. Parlato, scaturiva forse da una vicenda legata all’attività industriale della madre, Ruth Wilson (figlia del ricco uomo politico e sindaco di Los Angeles Benjamin Davis Wilson), i cui affari nel settore tessile subirono un tracollo che il clan famigliare imputava agli scioperi degli operai dell’azienda, in massima parte immigrati italiani dal nostro Meridione.
Per inciso la ricca famiglia Patton aveva inoltre investito molti dei propri capitali in attività immobiliari (investimenti che riguardavano anche il porto californiano di San Pedro e l’isola di Santa Catalina, situata a circa 35 km a sud di Los Angeles) e il padre del generale killer (“Kill, kill and kill some more” è una delle sue ricorrenti frasi di indottrinamento dei soldati liberatori) fu anche uno dei fondatori della Sunkist Company, l’odierna multinazionale californiana dei succhi di frutta.
Celebre per l’agghiacciante cinismo fu l’appello che il rude George indirizzò alle truppe prima dello sbarco: “Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! E finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!”.
Tra i componenti dell’orda selvaggia primeggiarono per zelo omicida il sergente Horace T. West e il capitano John C. Compton: 37 furono gli italiani assassinati da imputare al primo, perlomeno 36 al secondo. Grazie alla caparbia e puntuale ricerca di Augello si è risaliti finalmente all’identità di tutti gli assassinati e i parenti potranno ora piangere sulle sepolture dei propri cari.
Teatro degli eccidi fu il territorio di Biscari (odierna Acate), nel Ragusano, dove infuriarono i combattimenti per la conquista dell’aeroporto di San Pietro.
Una curiosità storica di un certo rilievo è la presenza tra i militari germanici dell’atleta Carl Ludwig Long, medaglia d’argento nel salto in lungo alle olimpiadi berlinesi del 1936, che videro la vittoria del mitico negro americano Jesse Owens.
Sull’avvenimento si è molto ricamato di fantasia. La solita vulgata vedrebbe nel biondo atleta tedesco addirittura un “antinazista” che sarebbe stato punito per aver stretto la mano al vincente Owens e spedito perciò in Sicilia, vale a dire su un fronte da considerare all’epoca di gran lunga il più tranquillo del resto d’Europa.
Una notizia che anche il giornalista televisivo tedesco, Udo Gümpel, presente tra gli invitati, ha definito inattendibile.
Qui Luz (così era popolarmente chiamato l’atleta di Lipsia) troverà sfortunatamente la morte, adempiendo fino in fondo, a dispetto delle menzognere illazioni di taluni “storici” a senso unico, al suo dovere di soldato tedesco.
Stessa cosa dicasi per il caso Owens e le ridicole affermazioni di alcuni autori “democratici” (Hitler non volle salutare il vincitore USA perché negro), platealmente smentite, con grande scorno dei soliti noti, dallo stesso atleta di colore, non solo nella sua autobiografia (The Jesse Owens Story, 1970), ma anche nelle interviste della stampa dell’epoca, come quella apparsa su The Pittsburg Press del 24 agosto 1936. Usando parole cortesi nei confronti del cancelliere tedesco, del quale riconobbe i pressanti impegni politici che limitavano la sua presenza ai giochi, Owens disse:“(…) Accadde che dovette [Hitler n.d.r.] lasciare lo stadio prima della cerimonia di premiazione dei 100 metri. Ma prima di andarsene – io mi accingevo a raggiungere una postazione radiofonica – passai accanto alla sua tribuna. Egli, allora, mi salutò con un cenno della mano e io feci altrettanto. Penso che sia stato di cattivo gusto criticare l’uomo del momento di un Paese estero” (l’articolo in originale è consultabile in http://news.google.co.uk/newspapers?id=zsoaAAAAIBAJ&sjid=IkwEAAAAIBAJ&pg=1814,6536771&dq=jesse-owens+hitler&hl=en).
Tornando ai fatti siciliani, Biscari non fu un caso isolato. Altri efferati episodi si registrarono all’aeroporto di Comiso e a Canicattì. A Comiso 110 militari dell’Asse furono sterminati a colpi di mitragliatrice (50 italiani e 60 tedeschi), mentre a Canicattì si fece strage della folla di civili che aveva tentato di saccheggiare una fabbrica (cfr. anche http://archiviostorico.corriere.it/2004/giugno/24/prigionieri_italiani_uccisi_Dite_che_co_9_040624039.shtml).
Indi nella zona di Stella, in provincia di Agrigento, fu perpetrato l’eccidio della comunità contadina e lo stesso territorio comunale di Gela fu teatro della barbarie dei liberatori, con numerosi episodi di massacri di civili e militari dell’arma dei carabinieri. Ad onor del vero, di queste stragi ne troviamo ampi e documentati resoconti anche in altre pubblicazioni che si sono occupate in questi ultimi anni dello sbarco alleato in Sicilia, che le stesse autorità italiane, di comune accordo con quelle statunitensi, hanno sempre cercato di relegare nel dimenticatoio della storia della II guerra mondiale, ignorando persino le denunce degli stessi sopravvissuti. Nel 2004 è stato infatti pubblicato il libro di Gianfranco Ciriacono, Le stragi dimenticate. Gli eccidi americani di Biscari e Piano Stella (cfr. l’intervista all’autore a cura di Luciano Garibaldi pubblicata nell’ottima rivista “Storia in Rete”, n. 27, gennaio 2008, reperibile inhttp://www.storiainrete.com/3160/storia-militare/sicilia-10-luglio-1943-strage-liberatori-patton/) e, nel 2011, Gela 1943.
Le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia, di Fabrizio Carloni, edito sempre da Mursia. Una puntualizzazione doverosa, del tutto assente però negli interventi dei convenuti, riguarda il rapporto sbarco americano-mafia siciliana, con tutte le implicazioni politiche del dopoguerra, che taluni “scettici” si ostinano ancora a negare nonostante la vasta letteratura a riguardo (una sintesi bibliografica in http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Husky).
Siamo del parere che una sommaria analisi storica e geopolitica degli avvenimenti, al di là dei fatti nudi e crudi, metta in evidenza come lo sbarco alleato, definito “operazione Husky” (già nel termine si vuole evidenziarne la forza bruta), fu meticolosamente progettato anche dal punto di vista ideologico.
Le efferatezze che ne seguirono non furono fatti isolati addebitabili al sadismo criminale di singoli personaggi, bensì conseguenze dell’indottrinamento psicologico al quale furono sottoposte le truppe d’occupazione. Un documento approntato dal comando americano e citato dal prof. Parlato dipinge i siciliani come pericolosi trogloditi, ai quali i soldati portatori di democrazia avrebbero dovuto riservare “particolari attenzioni”.
Come non scorgere in esso i prodromi del disegno di dominio atlantico (politico, militare, economico, culturale) che, dallo sbarco di Sicilia e dalla devastazione dell’Europa, passando da lì a pochi anni per la Corea e il Vietnam, giunge fino ai giorni nostri con l’assalto all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia e ora alla Siria e, prossimamente, forse anche all’Iran.
Con l’aggiunta della onnipresente longa manus dello zio Sam dietro alle politiche golpiste, stragiste e destabilizzanti negli affari interni dei singoli stati nazionali, sia in Europa che in America Latina, nonché i tentativi di “rivoluzioni colorate” nell’est europeo di questi ultimissimi tempi.
Difficilmente sulla stele a ricordo dei caduti, promessa dall’assessore siciliano Missineo nel luogo del martirio, leggeremo: “Agli eroi di Sicilia barbaramente trucidati nel luglio 1943 per aver difeso la Patria dagli invasori alleati”
Andrea Augello, Uccidi gli italiani. Gela 1943, la battaglia dimenticata, Milano, Mursia, 2012. € 16,00
14/04/2012
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