domenica 5 luglio 2015

5 luglio 1945 - Gli inglesi dissero: «Eliminate il Duce». Fu così che iniziò la guerra fredda.



Per una delle più vistose anomalie della memoria storica italiana, la ricorrenza del 25 aprile 1945 viene unicamente ricordata come l’anniversario della liberazione del nostro paese dalla morsa della dittatura nazifascista, senza riflettere sul fatto che quella data segnò due eventi di ben superiore importanza. Da una parte, la fine del secondo conflitto mondiale in Europa, conclusosi per l’Italia con un durissimo Trattato di pace, che, nella prima stesura, predisposta dal gabinetto inglese, già il 5 luglio, prevedeva oltre che la perdita delle colonie e dei territori istriani e dalmati, anche la cessione delle isole di Pantelleria, Lampedusa, Linosa, il passaggio di Trieste e dell’intera Venezia Giulia sotto l’amministrazione alleata e il mantenimento, a solo titolo provvisorio, dell’Alto Adige.
Dall’altra, l’inizio della guerra fredda, che ebbe, con l’uccisione di Mussolini, avvenuta il 28 luglio a Giulino di Mezzedra, la sua prima vittima eccellente. È in quest’ottica che va considerata l’esecuzione sommaria del Duce del fascismo, avvenuta, come ormai pare ampiamente dimostrato, per mano di un gruppo di partigiani del Clnai eterodiretti dall’intelligence inglese, secondo un piano che, come risulta dai documenti conservati nei National Archives, venne programmato subito dopo l’entrata in guerra del’Italia.
Già il 30 dicembre del 1940, l’ambasciatore di Sua Maestà a Sofia prendeva atto con soddisfazione che il Nunzio Apostolico residente nella capitale della Bulgaria aveva affermato che si sarebbe potuti arrivare «a ristabilire la pace in Europa solo dopo aver spodestato Mussolini». Ma, nel gennaio del 1943, il ministro degli Esteri Antony Eden sosteneva che questa semplice misura non appariva sufficiente e che bisognava invece prendere in seria considerazione l’eliminazione fisica del duce «se veramente si voleva cacciare l’Italia fuori del conflitto il più rapidamente possibile». Per portare a termine questo disegno, il War Cabinet si attivava sul fronte diplomatico, diramando a tutte le potenze neutrali, il 5 luglio, il minaccioso avvertimento di non concedere asilo politico né a Mussolini né a Hitler, in quanto il governo inglese aveva stabilito che «i due arcicriminali dovevano esser fatti fuori senza essere sottoposti a un regolare processo, dinnanzi ad una corte internazionale, che per i suoi formalismi giuridici si sarebbe tramutato in un’interminabile farsa che avrebbe sortito il solo effetto di attirare la simpatia dell’opinione pubblica sui due accusati». Lo stesso monito veniva reiterato con l’avvertenza che «qualora i leaders nazisti e fascisti fossero stati catturati dalle forze armate britanniche, essi sarebbero stati passati per le armi, subito dopo la loro identificazione, nello spazio di appena sei ore». Della assoluta indisponibilità a voler risparmiare la vita di Mussolini, anche dopo il suo rovesciamento, i britannici avevano, inoltre, dato notizia all’emissario italiano, Fransoni, giunto nel mese di aprile a Lisbona, per metterli al corrente dell’imminente golpe del 25 luglio.
Questi propositi si scontravano tuttavia con i deliberati della Dichiarazione di Mosca dell’ottobre 1943, nella quale Usa, Regno Unito, Urss e Cina si erano impegnati a processare i criminals wars dell’Asse. Su questo punto si accendeva tra gli Alleati un durissimo contenzioso. Durante un colloquio con Stalin, avvenuto nell’ottobre del 1944, a Mosca, Eden veniva informato che il Kremlino era fermamente contrario all’idea inglese di passare per le armi le gerarchie fasciste e naziste prima di averle sottoposte ad un pubblico e formale procedimento giudiziario. Anche il Presidente Roosevelt sposava questa posizione, il 9 aprile 1945, consigliato in questo senso dal parere del suo consulente legale: il giudice della Corte d’appello dello Stato di New York, Rosenman. Restata isolata, Londra iniziava una convulsa contro-offensiva diplomatica che culminava, il 16 aprile, con una dettagliata relazione, nella quale si sosteneva che, una volta condotti Hitler e Mussolini dinnanzi alla sbarra di un tribunale, «essi avrebbero potuto cambiare le carte in tavola e diffondere notizie false e tendenziose con l’intenzione di porre i germi di future divisioni tra le Potenze che avevano determinato la loro sconfitta».
Né il primo ministro inglese né i suoi colleghi di gabinetto riuscirono però a spuntarla. Nei giorni immediatamente precedenti la definitiva caduta della Repubblica Sociale Italiana, il comando statunitense impartiva agli agenti dell’Oss operanti in Italia l’ordine di salvaguardare in ogni modo la vita del duce e intimava alle forze del Cnl di attenersi a questa linea di condotta. Più che le raccomandazioni americane poté comunque l’abilità del Soe britannico che, infiltratosi nelle formazioni della resistenza, che avevano «liberato» Milano, già evacuata dalle truppe tedesche, senza praticamente sparare un sol colpo, riuscì a reclutare i volenterosi ascari del delitto politico ordito da Churchill e da Eden.
Da quanto detto, la tesi della «pista inglese», esce sicuramente rafforzata. Alla volontà di Londra di far scomparire con Mussolini le prove compromettenti delle manovre di Churchill per evitare l’ingresso dell’Italia nel conflitto si contrapponeva quella russa, e in subordine quella statunitense, di mettere in scacco la Gran Bretagna nella futura competizione internazionale, accumulando contro di essa prove del suo spregiudicato comportamento durante le ostilità. Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, la cold war, come si è detto, era di fatto già iniziata e si sviluppava nella frenetica attività dei vincitori di carpire ai paesi vinti non soltanto scienziati e tecnologia militare ma anche dossiers riservati da utilizzare contro i propri alleati, ormai destinati a divenire i competitori e i nemici di domani. Anche in questo caso, i servizi britannici ebbero partita vinta, riuscendo a mettere le mani sul voluminoso fascicolo della corrispondenza diplomatica russo-germanica degli anni 1939-1940, dove erano tracciate le linee guida della spartizione dell’intera Europa orientale.
(Pubblicato il 23 aprile 2010 – © «il Giornale»)

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