Anche questo nostro intervento per smentire le
fandonie di RAIBUFALA
di Filippo Giannini
Agli inizi degli anni Trenta fu concepita
una apertura fra il Governo di Roma e i Paesi arabi.
Tra il 1930
e il 1936 Roma cercò di accentuare la una azione culturale ed economica nel Medio
Oriente e nell’area araba-islamica in generale.
Nel 1930 fu
concepita la Fiera del Levante di Bari.
Convegni
furono organizzati dai Gruppi Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934
allo scopo di far incontrare a Roma gli studenti islamici.
Radio Bari
iniziò a trasmettere in lingua araba notiziari e programmi culturali.
Tutto ciò
mirava ad una penetrazione pacifica politica-culturale nel mondo arabo.
Si diede
anche maggior impulso agli studi arabi e a quelli sull’islamologia. L’impulso
era orientato principalmente verso il mondo giovanile arabo che rispose creando
affiliazioni fra le quali il Partito Giovane Egitto (Hisb al Folà)
di Ahmad Hussayn e le Falangi Libanesi (al-Kadr al Lubnòniyya), e
le Camicie Azzurre (al-Qumsàn az Zarqǎ) organizzazioni egiziane
che si ispiravano, anche se vagamente, al Fascismo.
Per
conferire maggior impulso a questa politica, dal 12 al 21 marzo 1937 il Duce si
recò in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea, detta
Baldia opera gigantesca che si estendeva dai confini della Tripolitania a
quello della Cirenaica con l’Egitto con un percorso di 1882 chilometri. Tempo
impiegato: un anno; inaugurò, quindi la Fiera di Tripoli. Pose la prima
pietra per la costruzione di un sanatorio e per una scuola elementare. “Quando
il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, esplose il triplice grido “Ulad!”
I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante dell’Islam in oro
massiccio intarsiato (…) Il Duce snuda la spada e l’alza fieramente puntata
verso il sole, lanciando a voce altissima il grido “Ulad!” (…). Il Duce lascia
la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti” (Il
Popolo d’Italia, 19/3/1937).
La Spada dell’Islam, in oro
massiccio, finemente cesellata dagli artigiani berberi, assumeva un notevole
valore simbolico e venne consegnata al Duce da uno dei capi berberi Lusuf
Kerbisc: era il riconoscimento di una sostanziale parte del mondo islamico, per
la politica filo-araba del fascismo.
Il viaggio
in Libia fu programmato in previsione di un piano quinquennale per
l’insediamento di 53mila coloni in Tripolitania.
Negli anni
1938-39, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20mila coloni veneti
scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi
vennero assegnate case coloniche con apprezzamento di terreno; ogni casa era
fornita da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua
potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia
riforniva le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrezzi e
sementi per rendere quelle terre aride in verdi di piante.
La stessa
assistenza veniva fornita anche ai libici, i cui possedimenti
furono inseriti fra quelli dei coloni italiani affinché apprendessero le
tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo.
Così in
quegli anni mai si dovette assistere a carrette dei mari che, come in
questi periodi trasportano disperati che navigano verso l’Europa e che tanti
morti hanno causato.
E tu, caro
lettore, non ti chiedi perché RaiBufata, e i suoi coi detti storici,
mai trattano anche questo argomento?
A Tripoli e Bendasi vi erano due ospedali,
di moderna concezione, dove potevano accedere – al contrario di quanto accadeva
al di fuori delle nostre colonie - anche cittadini autoctoni.
Le stazioni
dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo
più avanti, considerati Italiani della Quarta Sponda; la criminalità era
inesistente.
Per ritornare al viaggio del Duce in Libia,
è interessante ricordare alcune tappe.
Mussolini visita la piccola città di Sirte dove “la
popolazione indigena adunata intorno ai vessilli dell’Islam, lo accoglie con
fervide dimostrazioni di fedeltà e di entusiasmo; il Duce, che traversa la
città in piedi sull’automobile risponde con il saluto romano alle intense
acclamazioni della folla”. Quindi si sposta a Tauroga, poi a
Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta
a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare
tremila ettari di terreno. Quindi è la volta di Tripoli, ove giunto al tramonto
scende dalla macchina, monta a cavallo e, alla testa di duemilaseicento
cavalieri entra in città.
Il giorno
dopo, in occasione dell’inaugurazione della Fiera di Tripoli, loda il
lavoro compiuto in poco meno di un decennio “le città si sono trasformate e
abbellite e nelle campagne i forti rurali italiani svegliano, col vomero
temprato, una terra che dormiva da secoli”.
Prima di rientrare in Patria affermò: “Nei Paesi della cosiddetta democrazia,
questo continuo allarmismo nevrotico, questa seminaggione di panico e sospetto
non serve certamente alla causa della pace, perché turba profondamente
l’atmosfera fra i popoli. Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di
vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino
un’identica volontà”.
Ricordiamo che questo discorso
fu tenuto nel pieno ella guerra civile spagnola, quando tutto il mondo era
schierato contro il nostro Paese.
Appena rientrato, il 18 marzo Mussolini
concesse un’intervista al giornalista Ward Price del Daily Mail, e così
espresse il suo pensiero in merito ad una paventata guerra europea: “Anche
soltanto dal punto di vista pratico del profitto e delle perdite, nulla potrei
guadagnare da una guerra europea, mentre esporrei l’Italia a un terribile rischio”.
Alla domanda di Price se “fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente soddisfatta> il Duce così rispose: <Sì, dichiaro che dal punto di vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso, colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici”.
Alla domanda di Price se “fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente soddisfatta> il Duce così rispose: <Sì, dichiaro che dal punto di vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso, colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici”.
Proprio in quei giorni si verificherà un
avvenimento unico nella storia e che, da solo, dovrebbe vanificare le bufale
raccontate da soggettini come RaiBufala e dai suoi cosiddetti storici,
sempre se si raccontasse la STORIA, quella vera e non le bufale
raccontate per annullare il valore di quell’Uomo e di quel Regime.
Ecco i fatti:
NELLA
179° RIUNIONE DEL “GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO” TENUTASI IL 26 OTTOBRE 1938,
ESAMINANDO LA POSIZIONE DELLA LIBIA, RELATORE ITALO BALBO, VENNE APPROVATA UNA
MOZIONE CHE STABILISCE “CHE LE QUATTRO
PROVINCE DELLA LIBIA ENTRANO A FAR PARTE DEL TERRITORIO NAZIONALE”.
Questo
provvedimento non è che l’estensione del R.D.Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012
e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, nel quale l’articolo 4 riconosce: “una
cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province
libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia”.
Con questa legge i libici divennero gli ITALIANI
DELLA QUARTA SPONDA.
Un
decreto veramente rivoluzionario: mai nulla di simile era stato realizzato da
alcun Paese coloniale.
Ma questo
determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal
sopportavano qualsiasi mutamento allo status quo che considerava le
colonie delle semplici terre di sfruttamento e gli autoctoni degli schiavi.
Anche e sottolineo anche in questo
caso la soluzione si trova ispirandosi alla politica del mai
sufficientemente deprecato ventennio.
La
dissennata politica dell’accoglienza è un danno per noi europei e per coloro
che fuggono dall’inferno.
C’è un solo modo di risolvere il problema:
portare la civiltà europea e la capacità di lavoro sul posto: in Africa.
All’incirca come si fece nell’infame periodo. Che sempre sia benedetto.
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