giovedì 11 settembre 2014

GLI ‘ALLEATI’ E LA RINASCITA DELLA CAMORRA

Vito Genovese indivisa americana ripresoin Sicilia insiemea Salvatore Giuliano.

Tratto da HISTORICA anno 1 numero uno Ottobre - Dicembre 2006

di Giovanni Bartolone

La crocifissione di Napoli

SI GETTANO LE BASI DEI FUTURI GRANDI AFFARI,
DELLE FUTURE CONCESSIONI. SU QUESTO
PRIMO NUCLEO SI VA COSTITUENDO

LA NUOVA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA




Da qualche tempo Napoli occupa le prime pagine dei quotidiani per i numerosi ed eclatanti omicidi di stampo camorristici. Eppure la camorra, in quanto setta, fu debellata nel 1912 dopo il processo Cuocolo, grazie all’opera del capitano Carlo Fabbroni, come la mafia fu sconfitta nel 1928 dal prefetto Cesare Mori (1).  “Nel 1915 l’allora capo della camorra napoletana Del Giudice la dichiarò sciolta” (2). 
Col processo Cuocolo i camorristi persero quell'alone di potere tenebroso e indiscutibile che avevano ereditato, nell'opinione dei ceti diseredati, dalla favorevole stagione ottocentesca.
Il governo fascista impiegò nelle zone di tradizione camorristica i metodi sperimentati dal prefetto Mori in Sicilia.
Su scala inferiore, ma con eguale efficacia, fu presa di mira anche la camorra rurale,  extra-urbana: nella sola zona di Caserta furono eseguiti circa 4 mila arresti e tanti facinorosi, affiliati o meno, guappi isolati e gruppi d’aspiranti camorristi finirono in prigione e al confino. Il fascino protervo dei camorristi non trovava facilmente platee favorevoli nemmeno nei bassi della  Napoli più disgraziata. Resistette il mito del "guappo", ma ormai era il richiamo ad una Napoli lontana nel tempo, fatta d’immagini sfocate e un po' patetiche, come quelle delle vecchie cartoline del tempo della nonna. La fine della camorra come consorteria organizzata non significò, naturalmente, la fine della criminalità a Napoli e nei centri limitrofi.
Il richiamo ai codici camorristici, al gergo dei capintriti e dei guappi rimase vivo nelle prigioni e nelle isole, nei vicoletti della vecchia Napoli dove delinquenti isolati ostentavano atteggiamenti da guappi. Il fascino canagliesco della "bella mamma" non c'era più negli  anni Venti e Trenta del secoloscorso, non c'era soprattutto la sua capacità d'intimidazione e non c'era il gioco ambiguo dei pubblici poteri che in precedenza s'erano serviti della camorra.
Erano ancora vivi tanti camorristi di vecchia scuola, ma nel clima autoritario di quegli anni non ci tenevano a mettersi molto in vista. Si spiega, quindi, perché allora in molti dichiarassero morta e sepolta la camorra. Nei centri della provincia, nelle campagne, si segnalavano di tanto in tanto regolamenti di conti fra malavitosi, ma c'era la convinzione che la consorteria criminale non avrebbe né osato né potuto ricompattarsi nell’Italia di Mussolini (3). 
Il regista americano JohnHuston, testimone deldegrado napoletano

Era ormai un fenomeno residuale, senza alcuna presa sui giovani educati al clima della nuova Italia fascista.
Di chi sono dunque le responsabilità per la sua rinascita?
E quando è tornata a nuova vita? La rinascita della camorra, insieme alla “formidabile ripresa” della mafia origina dal pernicioso, corrotto e corruttore Governo Militare Alleato d’Occupazione (AMGOT) (4), seguito allo sbarco in Sicilia.
Napoli fu occupata dalle truppe anglo-americane il 1° ottobre 1943. Subito dopo la città, che aveva con dignità ed orgoglio sopportato i sacrifici di una guerra, che la maggioranza voleva vittoriosa, divenne oggetto della “big robbery”, la “grande ruberia”. La nefasta azione delle truppe ‘alleate’d’occupazione, insieme ai traffici di una minoranza di napoletani, trasformò la città. Napoli, utilizzata come retrovia dello sforzo bellico angloamericano, diventò conosciuta nel mondo come la “Shangai del Mediterraneo” e furono gettate le basi per la rinascita della Camorra. 

La fame allentò in molti ogni freno morale e tutto diventò possibile. 
La storia di Napoli dalle cosiddette“quattro giornate” (5) alla fine della guerra fu per colpa di una minoranza un calvario umiliante.
Durante questo vergognoso periodo la delinquenza, giunta al seguito delle salmerie delle truppe “alleate”, spadroneggiò.
Le province del "Regno del Sud" erano flagellate dall'inflazione galoppante provocata dalle Am-lire, stampate senza alcun limite dagli "Alleati". Nella King’s Italy, così gli anglo-americani chiamavano  il Regno di Vittorio Emanuele III, il costo della vita aumentò del 750 per cento (il settecentocinquanta!), mentre i salari erano stati incrementati appena del 30%: un operaio aveva una paga mensile oscillante tra le 1.000 e le 1.500 Lire quando un soldato americano ne prendeva 6 mila, un tenente 27, un capitano inglese 26. Ufficiali e soldati "alleati", in combutta con camorristi, mafiosi e profittatori nostrani, partecipavano alla "big robbery"'. Vendevano tutto, .tutto si avviava al mercato nero, tutto si poteva comprare, ma a caro prezzo. Eroismi, idealismi, principi morali che avevano guidato il comportamento delle persone negli anni precedenti, furono seppelliti da un mare di fango e di moneta d’occupazione.
Per sopravvivere in quei tristi giorni bisognava rinunziare a dettami etici ormai "antiquati", superati dalla "nuova civiltà" democratica. Era una quotidiana, contaminante lezione di vita. Una lezione in negativo che fece smarrire la
via a molti. Chi non volle o non seppe scendere a patti con la propria coscienza, per sopravvivere dovette sacrificare quel che aveva ereditato o conquistato in una vita d’onesto lavoro e di duri sacrifici. 
In molti scelsero la via del Nord, della Repubblica Sociale Italiana, o dell’adesione al Fascismo clandestino.
L’ “avventura” del noto mafioso Tommaso Buscetta cominciò nel 1943, quando se n’andò a fare il “protagonista” a Napoli contro i tedeschi. Il quindicenne “Masino”, già bello e grosso, partì in compagnia di quattro giovani già ammessi
in “Cosa Nostra”, tutti stipati dentro una ‘Topolino’.
Al termine di un viaggio pieno di peripezie i mafiosi ricevettero dai partigiani le armi con le quali fecero fuoco contro i
tedeschi. Tra i partecipanti alla squadra di Buscetta c’era un “picciotto”, Enzo Castellano, poi morto sotto le bombe americane
(6). Trovare un’auto, la benzina, un permesso di viaggio e di attraversare lo Stretto di Messina, passare le linee ecc., con le strade interrotte, a volte bloccate per giorni per il passaggio dei convogli “alleati”, erano tutte difficoltà quasi insuperabili nella Sicilia e nel sud della Penisola di fine settembre del 1943, a meno di avere alte protezioni tra i vertici“alleati”. 
Oltre il consenso dei boss di Cosa Nostra.
Per il famoso regista John Huston: “Gli uomini e le donne di Napoli erano un popolo diseredato, affamato, disperato,
disposto a fare assolutamente tutto per sopravvivere.
L'anima della gente era stata stuprata. 
Era veramente una città senza Dio”. 
Charles Polettigovernatore ‘alleato’dell’Italia

Una città dove: “Le sigarette erano la merce di scambio comunemente impiegata e per un pacchetto si poteva fare qualsiasi cosa. I bambini offrivano sorelle e madri in vendita…” (7). 
Con un pacchetto di sigarette si potevano comprare tre chili di pane (8). 
Nell’agosto del 1944 un militare “alleato” poteva portare a letto una ragazzina di 12 anni regalandole una coperta: equivaleva alla paga settimanale di un operaio (9).
A Napoli poté essere distribuita fino al 10 dicembre 1943 solo una razione giornaliera di 100 grammi di pane in città e di 50 in provincia e, fino al 7 febbraio, una di 125 grammi nel capoluogo e di 100 in provincia.
Alla fine del 1943 potevano essere fornite solo 478 calorie, salite nel marzo successivo, nella migliore delle ipotesi, a 620, una quota molto distante non solo dalle 2.623 calorie della dieta media dei napoletani di prima della guerra, ma anche dalle 2 mila calorie giornaliere previste originariamente nei piani “alleati” e poi diminuite più realisticamente a 1006 dal gennaio del 1944 (10).
Mortificato di quanto vedeva, Alan Moorehead, australiano, scriveva: “Stavamo assistendo al crollo morale di un popolo. La lotta per l'esistenza dominava tutto. Il cibo. Nient'altro contava...” (11).
La fame induceva molti napoletani a far qualsiasi cosa pur di guadagnare una scatoletta di corned beef o di razioni K, facendo infrangere ogni legge, lacerare principi e sentimenti tradizionali. 
i mafiosiCalogero Vizzini e GencoRusso nominati da Poletti,quand’era Governatore inSicilia, sindaci di Villalta edi Mussomeli.

Tutto era in vendita. Tutto si poteva trovare.
Bastava chiedere e poi pagare. Perfino a qualche scugnizzo, d’otto nove anni, finirà bene: imbrogliando, commerciando,
rubando, affittando stanze, offrendo zie e sorelle, farà un sacco di soldi senza nemmeno saperli contare. Dato che la prostituzione era il commercio più redditizio, in decine di migliaia vi si dedicavano.
Alcuni autisti partecipando al contrabbando di merce ‘alleata’ potevano guadagnare anche 100 mila lire al giorno (12). Forcella, da anni sulla cronaca nera dei giornali, nasce come mercato nell’ottobre del 1943, quando dei soldati americani bontemponi in servizio in un deposito di via Sant’Agostino alla zecca, regalarono a dei bambini alcune
scatole di chewing gum, stecche di sigarette, “scatole di paraschegge”, eufemismo per intendere i profilattici. La merce
fu venduta in alcune bancarelle improvvisate. L’amicizia tra i forcellesi e i militari si rafforzò dando luogo a proficui affari. 
I militari erano alla ricerca di denaro per l’acquisto di souvenir, vino o d’alcune ore di piacere con le segnorine.
Fino a quel momento a Forcella la borsa nera era stata praticata nella stessa misura di qualsiasi altro rione di Napoli.
Criminalità zero o quasi (13).
Mercato nero e inflazione riducevano il livello di vita dei ceti medi a reddito fisso e di quelli popolari. Al disagio di molti faceva riscontro il rapido e facile arricchimento di coloro che s’inserivano nel circuito parassitario extralegale del mercato nero. Il contrabbando era il vagone di merce scomparso alla stazione o al porto, le tipografie che stampavano le tessere annonarie false, i rifornimenti UNRRA (14) non distribuiti alla popolazione e fatti affluire al mercato nero, ed, ancora, le tonnellate di farina sottratte alla produzione di pane per il mercato legale e destinati al mercato nero, la falsa qualifica di partigiano venduta per poche centinaia di lire.
Una capillare organizzazione criminale, che prosperava nel clima d’illegalità esistente, sorreggeva la rete dell’intrallazzo.
Le bande agivano per zone. Le più importanti erano le bande di Iorio, La Marca, Nardiello e Nasti che operavano specialmente nel Nolano e nell'area vesuviana. 
Il mercato nero si alimentava – ed a sua volta, contribuiva a propagare modelli di comportamento illegali, diffusi a livello di massa.
Centro organizzativo del racket, di borsaneristi e militari statunitensi, era la stazione di Scafati della ferrovia Vesuviana.
Qui confluivano le derrate alimentari provenienti dalla piana del Sele e dalla Terra di Lavoro, frutto del racket ortofrutticolo,
e i beni rubati dai depositi militari americani.
Trasportate su autocarri dell’esercito, guidati dagli stessi militari americani, cose e prostitute erano scaricate, giorno e notte, sotto controllo armato, per poi essere avviate a destinazione su autocarri e treni nel resto del Meridione.
La perfetta rete di distribuzione, creata da Vito Genovese, si rivelò così perfetta da fornire un modello operativo al successivo racket dei mercati ortofrutticoli, gestito dalla camorra.
A causa della politica dell’AMGOT che, soprattutto nei primi mesi dell’occupazione, sottovalutò l'importanza di un rifornimento adeguato di generi alimentari alla popolazione, si creò così uno squilibrio tra l'abbondante dotazione dell'esercito “alleato”, gli stracolmi spacci militari e, conseguentemente, tra le disponibilità individuali dei soldati e la scarsità di beni disponibili per i civili. Fu questo il motivo principale che favorì il mercato nero. Il quale altrimenti avrebbe avuto un ruolo
meno importante nell'economia cittadina.
Oltre alla mancanza di beni, l’alto livello raggiunto dall’inflazione nella King’s Italy era provocato anche dalle pesanti condizioni d’armistizio
- il costo dell'occupazione anglo-americana era interamente a carico dello Stato italiano
- e dai pesantissimi cambi lira-dollaro e lira-sterlina stabiliti. Al momento dello sbarco in Sicilia il cambio della Lira fu fissato, grazie alle pressioni inglesi che volevano far pagare all’Italia la ribellione al vecchio ordine mondiale
dominato dagli inglesi, conquistando l’Etiopia, a 400 per sterlina inglese e a 100 per un dollaro.Il peggioramento delle
condizioni di vita, seguito all’occupazione della città, portava molti a Napoli, come già a Palermo, a dire: “Quando
c’erano i tedeschi mangiavamo una volta al giorno. Adesso che sono venuti gli americani mangiamo una volta alla settimana” (15).
Non c’erano confini tra malavitosi e faccendieri. Per tutti la speranza di far soldi cominciava con l'acquiescenza o la collusione di un paisano.
“Spostati, bari, camerieri di transatlantici, parassiti, conducenti di camion, ruffiani e lestofanti, riescono, in questo quotidiano disordine che a poco a poco diventa stabile e prende forma, a costruirsi una posizione. Basta loro incontrare qualche conoscente italoamericano per aprirsi una strada...
S'intruppano cosi nei comandi, dove ottengono una carica e indossano perfino la divisa cachi... Si gettano le basi
dei futuri grandi affari, delle future concessioni, dei permessi dell’AMGOT. 
Su questo primo nucleo si va costruendo la nuova classe dirigente italiana” (16). 
Si rubava di tutto e in mille modi dai depositi alleati. Sigarette, sale, zucchero, scarpe, filo del telefono, vestiti, automobili, animali ecc. 
I ladri si spacciavano per carabinieri, M.P., funzionari pubblici, reduci, epuratori, sindacalisti, vedove di guerra, deportati. “Con i proventi del furto... la camorra torna in auge, dividendosi in zone la città, e, insieme, lucrosi profitti.
Intorno ai mercati clandestini, essa organizza un’efficiente cintura di sicurezza, fatta di spie, di posti d'avvistamento, e di una serie di corrieri a voce che segnalano ogni movimento sospetto, compreso l'arrivodegli agenti...” (17).
Il 60 per cento delle merci scaricate finiva nei traffici clandestini. Il mercato nero della roba americana nasceva nei depositi del porto, dai quali sottufficiali traffichini facevano uscire casse di liquori, stecche di sigarette, razioni K, scatole di carne e fagioli, sacchi di polvere d'uovo, di zucchero o di farina, coperte. 
A volte erano gli ufficiali a vendere un autotreno carico di vettovagliamenti. Prezzo richiesto 6 milioni. 
Qualcuno fece addirittura scomparire 7 camion, autisti e soldati di scorta compresi (18).
Si diceva che i depositi americani scarseggiassero di penicillina, le farmacie n’erano rifornite raramente, gli ospedali
ne ottenevano un numero insufficiente di dosi, ma sul mercato nero - a prezzi altissimi - ce n'era un’infinità. Era, questo, il commercio sottobanco più odioso. 
Urlava ipocritamente il governatore Charles Poletti al microfono di Radio Napoli: “Un nucleo d’organizzati vampiri fa pesare sul popolo l'incubo del mercato nero. Considero questa speculazione come il peggior banco di strozzino che abbia mai conosciuto”(19). 
Aveva al suo fianco il capomafia Vito Genovese, colui che reggeva le fila della great robbery. Era stato arrestato 11 volte negli Stati Uniti: omicidio, furto, rapina ecc. Genovese era fuggito
dagli States nel 1939 perché accusato d’omicidio. “Don Vitone” aveva alte protezioni: faceva l’interprete e l’autista personale di Charles Poletti, capo dell’AMGOT, ed era capo di una vasta rete di contrabbandieri.
Trattavano dollari, grano, olio, merce ed autocarri “rubati” nei depositi dell’esercito americano. Egli aveva il parziale controllo del complesso che forniva elettricità al circondario di Nola (Quartier generale di Poletti) e ne usava a scapito d’imprese industriali e commerciali.
Ritornato nel 1945 negli States, Genovese fu processato e fu assolto per assassinio. Eppure tutte le sue attività erano
ben note al C.I.C. (20), sapevano che era stato il numero due della “famiglia” mafiosa di New York, chi aveva preso il posto di Lucky Luciano imprigionato. Il C.I.C. però aveva “imparato in fretta a tenersi alla larga da qualsiasi affare in cui ci fosse lo zampino di Genovese” (21). 
Oltre a far nominare numerosi sindaci nel Nolano, Genovese riuscì, grazie agli appoggi goduti nell’AMGOT, a far nominare
un amico giudice al Tribunale di Napoli (22).
Poletti al ritorno a casa sarà accusato di essere stato inviato su indicazione di Lucky Luciano.
Fu denunciato, inoltre, da alcuni industriali italiani, primo tra tutti Remo Cademartori di Milano, che erano stati suoi soci in certi affari e che si ritenevano da lui danneggiati.
Poletti smenti sempre (23).
In precedenza Poletti aveva ricoperto l’incarico di governatore in Sicilia. Parte dell'inquinamento delle pubbliche  amministrazioni in Sicilia, è figlio della "epurazione ragionevole" degli “Alleati”. Numerosi mafiosi o “amici degli
amici” furono nominati a ricoprire cariche pubbliche.
"Erano mafiosi, sicuramente, Calogero Vizzini, fatto sindaco di Villalba, Serafino Di Peri di Bolognetta, Vincenzo Landolina di Misilmeri, Giuseppe Scarlata di Lercara Freddi”(24). Giuseppe Genco Russo di Mussomeli. Il molto" chiacchierato" Salvatore Malta a Vallelunga (25). Forse non è vero che tutti gli uomini nominati dagli “Alleati” sindaci
in Sicilia fossero mafiosi, ma "è vero che quasi tutte le nomine fatte dagli angloamericani riguardavano uomini dal sentire mafioso , il chepoi è la stessa cosa" (26).
Un attento osservatore della criminalità organizzata napoletana, Vittorio Paliotti a proposito della rinascita della camorra scrive: “All'origine della ricomparsa in Italia della camorra e della mafia, c’è l'America: quella dei «gangster», ma anche quella dei «liberatori». 
Fu l'oriundo siciliano Lucky Luciano, esponente del Sindacato del Crimine, a collaborare, dal chiuso di un penitenziario, con la Naval Intelligence, attivando vecchi mafiosi per favorire lo sbarco in Sicilia; e fu l'oriundo napoletano (nolano per la precisione) Vito Genovese, scampato alla sedia elettrica, a cucire i rapporti, indossando la divisa di ufficiale americano, fra il responsabile del Governo Militare Alleato a Napoli, Charles Poletti, e gruppi di vecchi e nuovi malviventi a vocazione camorristica…accanto al governatore Charles Poletti troviamo, in qualità di interprete e in divisa dell'esercito americano,
Vito Genovese, ex vicecapo del Sindacato del Crimine, sostituto di Lucky Luciano.
Dire che Genovese prendesse contatti con gli esponenti della vecchia camorra significherebbe sostenere una cosa non vera, dal momento che la Bella Sociétà Riformata era stata sgominata trent'anni prima e che i capi storici erano ormai vecchi: è accertato, tuttavia, che l'ex gangster, oltre a invischiare nell'affarismo le autorità di occupazione, stabilì
una rete di interessi con i grossisti del contrabbando e della borsa nera. La popolazione di un'intera città, a quell'epoca, riusciva a sfamarsi e a sopravvivere grazie solo ai mercati clandestini. Dilagavano traffici illeciti e prostituzione. Era fatale
che prima o poi, esponenti del contrabbando e della borsa nera diventassero succubi di taglieggiatori: a meno che non fossero taglieggiatori essi stessi.
Caratteristica della delinquenza vincente è quella di allargarsi ed espandersi; non solo il mercato nero, ma anche il mercato ortofrutticolo caddero in preda a taglieggiatori che, se non proprio camorristi, erano almeno guappi. Guappi e dunque autonomi e non appartenenti a una associazione. Li chiamavano e si facevano chiamare «carte di tressette».
Zumpate e dichiaramenti furono sostituiti da duelli alla pistola, disputati in strade affollate, come nella Chicago del proibizionismo” (27).
Le conseguenze della guerra, la crisi del sistema produttivo, il quasi totale isolamento dalle altre province del Regno, l’inadeguatezza dei rifornimenti alimentari predisposti dagli anglo-americani facevano sentire tutto il loro effetto su Napoli.
Era impossibile che i vertici dell’Amministrazione alleata non si accorgessero della “big robbery”. Forse doveva essere assai consistente il cointeresse dei fornitori negli States, ovviamente coinvolti per vendere e lucrare di più. Inoltre chi nel porto di Napoli vendeva ai contrabbandieri doveva necessariamente essere interessato a mantenere affamato il territorio occupato per fare durare il mercato nero.
Molti, nel 1945, ritornarono alla normalità cercando di far dimenticare quanto successo, addossando ogni colpa alla guerra, altri continuarono nelle loro attività delinquenziali, ricostituendo la “malanapoli”.
Fu su questo terreno preparato dagli “Alleati” che la camorra rinacque. Un decisivo contributo alla rinascita della camorra fu dato dall’arrivo a Napoli nel 1946 di Lucky Luciano, espulso dagli USA come “indesiderabile”, in realtà come ricompensa per i meriti “patriottici” acquisiti durante la guerra, leggasi “controllo” mafioso dei porti americani contro i sabotaggi a favore dell’Asse e collaborazione di Cosa Nostra con le truppe anglo- americane durante l’occupazione dell’Italia. Nella relazione sulla camorra della commissione antimafia si legge che Luciano “si occupa, senza problemi, di contrabbando di tabacchi e di traffico di stupefacenti importati dalle case farmaceutiche del Nord“.

Giovanni Bartolone

NOTE

(1)V. Paliotti, Storia della camorra, Newton Compton Editore, Roma, 1993, p. 215.
(2)S. Scarpino, Storia della camorra, Fenice 2000, Milano, 1995, pp. 52.
(3)S. Scarpino, op. cit., pp. 53 e sgg.
(4)Allied Military Government for Occupied Territory, Governo Militare Alleato per i Territori Occupati.
(5)E. Erra, Napoli 1943- Le quattro giornate che non ci furono, Longanesi, Milano, 1993.
(6)L. Galluzzo, Tommaso Buscetta. L’uomo che tradì se stesso, Musumeci editore, Quart - Aosta, 1984, p. 9.
(7)R. Ciuni, L'Italia di Badoglio, Rizzoli, Milano, 1993., 334.
(8)C. Malaparte, La pelle, La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2003, p. 194.
(9)N. Lewis, Napoli ’44, Adelphi, Milano, 1993, p.194.
(10)P. De Marco, L’occupazione alleata a Napoli, in N. Gallerano (a cura di) , L’altro dopoguerra. Roma e il Sud 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 262.
(11)A. Moorehead, Operazione eclissi, Garzanti, Milano, 1969.
(12)V. Paliotti, Forcella, p. 40 e sgg.
(13)V. Paliotti, Forcella, p. 15, p. 51 e sgg,, p. 95 e sgg.
(14)United Nations Relief and Rehabilation Administration, ossia Amministrazione delle Nazioni Unite per gli aiuti e la ricostruzione.
(15) N. Lewis, op. cit., p. 100.
(16)L. Longanesi, Parliamo dell’elefante, Longanesi, Milano, 1983.
(17)S. Lambiase – G.B. Nazzaro, Napoli 1940-1945, Longanesi, Milano, 1978.
(18)V. Paliotti, Forcella, pp. 43 e sgg.
(19)R. Ciuni, op. cit., p. 341.
(20)Counter Intelligence Corp. Il Servizio di controspionaggio americano.
(21)N. Lewis, op. cit., pp. 163- 164.
(22)E. Reid, La mafia, Parenti, Firenze, 1956, pp. 115-130 e 227 e sgg.
(23)V. Paliotti, Forcella, p. 49.
(24)R. Ciuni, op. cit. ,pp. 105 -106.
(25)S. Attanasio, Cromosoma mafia, Sigma edizione, Palermo, 1991, p. 140.
(26)S. Attanasio, Ibidem.
(27)V. Paliotti, Storia della camorra, pp. 215-218.







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