sabato 6 settembre 2014

FASCISMO E POVERTA'


  Molti anni fa, l'ex tenente della Decima Mas, Walter Annichiarico, in arte Walter Chiari, si fece scappare una azzardata battuta che dovette poi pagare con anni di ostracismo anifascista. 
Disse, il povero Walter, che “quando appesero per i piedi la Buonanima, dalle tasche di Benito non cadde nemmeno una monetina e che se i nuovi reggitori d'Italia avessero subito la stessa sorte chissà cosa sarebbe uscito dai portafogli di lorsignori “.


   L'onestà del Duce nessuno ha mai osato contestarla. 
E' uno storico di matrice socialista, Silvio Bertoldi, che lo ammette. "Mussolini non tradì cupidigia d denaro...egli non mostrò mai interesse alla ricchezza: e non si può contestare che un uomo che ebbe come lui in mano per vent'anni una nazione, e che non subì alcun controllo in nessun campo, avrebbe avuto facoltà, pur che avesse voluto, di costruirsi una fortuna..
Invece quando morì, alla vedova non lasciò praticamente nulla, la già citata villa Carpena e una casetta a Riccione, e basta; e la sua famiglia uscì netta da qualsiasi indagine della commissione per gli illeciti arrichimenti". 


1) Prima della morte, a Gargnano, viveva in povertà certosina. 
Giovanni Dolfin racconta che non volle accettare nemmeno lo stipendio di capo della RSI, dicendogli: "Ma di che cosa ho bisogno io, ormai? Mangiare, non mangio più nulla. Vestiti non me ne occorrono. Cento lire al giorno mi bastano". 
Quinto Navarra, il fedele e pettegolo cameriere, testimonia che nei due anni di permenenza sul Garda, si comprò solo due paia di stivali e, per gli abiti, mandò a stringere da un sarto quelli che aveva per non comprarne di altri. 

2) Chiavolini, suo segretario particolare, narra che dovendo il Duce venire a Roma da Milano ed alloggiare in albergo, prese con sè venti biglietti da dieci lire ed era turbatissimo poichè pensava di avere addosso un patrimonio. 
Come si sa, per tutta la durata del Regime, non prese mai lo stipendio di Primo Ministro e viveva scrivendo articoli sulla stampa estera. 
Lo conferma anche Nicola De Cesare, che fu suo segretario dal '41 al '43, il quale aggiunge: "Tutti i denari che gli pervenivano come lasciti, elargizioni e altro, li consegnava a me perchè li amministrassi. Andavano, fino all'ultima lira, in sussidi e beneficenza. Distribuivamo circa diciotto milioni di sussidi all'anno, milioni di allora".

3)   Dice ancora Bertoldi esser assodato che Mussolini "non tenesse in molto conto il denaro, che addirittura ne conoscesse male il valore, che non cedesse alle lusinghe della ricchezza, che per sè si è sempre accontentato di poco". 
E sapete come Mussolini utilizzava i cosiddetti "fondi di polizia"? "Adoperava quei denari per finanaziare lavori straordinari e impegnarvi mano d'opera disoccupata e in sussidi a povera gente che arrivava fin da lui per domandargli soccorso". 

4) Proprio come è successo dopo, con Scotti, Scafaro, Mancino e democristiani viminaleschi vari.

   Ma era una caratteristica di Mussolini, tutta sua, personale, quella del piacere dell'onestà che fatalmente conduce al dovere della povertà? No, è l'essenza esistenziale del fascismo. 
Questo "male del secolo" non sarebbe tale se non fosse incarnato in una diversità "antropologica" rispetto alla mentalità borghese e all'"ideologia" amerikana. 
E non c'è maggior verifica se non quella del sacrificio personale, della rinuncia volontaria, della testimonianza umana di saper vivere una vita di valori rifiutando il ricatto del Dio Denaro. 
E' sempre, eternamente, ogni giorno, la guerra del sangue contro l'oro, dello spirito contro lo "sterco del diavolo".

    Una generazione di "fascisti" o "parafascisti" è morta disprezzando il denaro e la ricchezza. 
E' stata l'ultima grande lezione di vita di una schiatta umana eroica, alternativa all'homo oeconomicus.
   Gabriele D'Annunzio, il Vate, è noto per essere stato uno spendaccione incedibile, indebitato per tutta la vita, assolutamente incosciente del valore dei soldi. Tutta una vita vissuta tra miseria e nobiltà. 
Quando Mussolini gli finanziò i lavori del Vittoriale, fece scrivere sul suo ingresso "Io ho quel che ho donato" e regalò la villa all'Italia. 


5)    Marinetti non era da meno. In un quarto di secolo era riuscito a dissolvere completamente il cospicuo patrimonio multimiliardario ereditato dal padre, rimanendo sul lastrico. 
I soldi li aveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da Marinetti, si faceva più scrpolo del marito ad accettare quei soldi e scrisse a Morgagni che, in tempo di guerra, "tra il sentimento materno e la disciplina patriottica" essa esitava a prendere quei soldi. 
Il vecchio Marinetti aveva ormai 66 anni, ma gli apparvero sufficienti per andare ad arruolarsi volontario sul fronte russo. Ritornò malatissimo, per aderire alla RSI. Morì poco dopo in una modesta abitazione, il cui affitto glielo pagava l'Ambasciatore giapponese Hidaka, dal momento che morì come visse: sempre con le tasche vuote.


6)   Di Achille Starace, il "cretino ubbidiente" più potente d'Italia dopo il Duce, scrive Bruno Gatta che, durante la RSI, "conduceva a Milano una vita da sbandato. ..I familiari, di tanto in tanto, gli facevano trovare in portineria un piatto di minestra...Viveva in una piccola stanzetta e frequentava la mensa colletiva di guerra istituita dal Comune. Si metteva disciplinatamente in coda nella fila sempre molto lunga e aspettava il suo turno". 
Indossava sempre una tuta blù da ginnastica (che costituiva tutto il suo guardaroba) e lo uccisero così, nella sua nuda povertà, in piazza Loreto, con ai piedi delle scarpette di tela, davanti al cadavere del suo Duce.

   Carlo Alberto Biggini, per anni Ministro dell'Educazione Nazionale, uomo sensibilissimo e colto, morì povero in clandestinità alla fine del '45. Antonio Segni, che negli Anni Trenta, era stato suo collega come docente all'Universtà di Sassari, dispose poi che alla vedova Maria Bianca, rimasta senza alcun sostentamento per vivere, fosse dato un piccolo assegno vitalizio, che Maria Bianca rifiutò optando per una misera pensione sociale.

   Bombacci, si sa, visse sempre in gravi ristrettezze economiche, nonostante la sua intima amicizia con Mussolini, il quale dovette faticare per fargli arrivare, di tanto in tanto, qualche piccolo aiuto finanziario.


   Angiolo Bencini, il direttore del Selvaggio, per campare faceva il vinaio.
   Uno scrittore come Marcello Gallian, ammalatosi precocemente di nostalgismo squadrista, finì miseramente i suoi giorni, vendendo clandestinamente sigarrette alla Stazione Termini di Roma.
   Araldo Di Crollalanza, per tanti anni Ministro dei Lavori Pubblici, nel dopoguerra, per sbarcare il lunario, dovette mettersi a fare il rappresentante di libri e bussare di porta in porta.


   La Commissione provinciale per le sanzioni contro il fascismo, il 19 maggio 1947, nel giudicare Giuseppe Caradonna, il ras di Capitanata, scriveva: "il suo disinteresse vien messo in evidenza dal fatto che egli ha preferito sempre sostenere le ragioni del povero contro il ricco, del debole contro il forte, dell'umile contro il prepotente".
   Ed a Piacenza, il ras degli squadristi, Bernardo Barbiellini Amidei, veniva chimato il "conte rosso" per le sue strenue battaglie in difesa dei poveri e degli emarginati. Un'altra razza, un'altra Italia.


   Un male del secolo, il fascismo, un male universale. Alcuni anni fa, in una intervista televisiva,  Ileana Codreanu, la moglie del Capitano romeno, raccontò di Corneliu: "Era molto caritatevole con  tutte le persone povere. Quando si procurava del denaro, prima lo divideva tra coloro cui intendeva donarlo, poi tornava a casa con quello che gli era rimasto. Se non gli rimaneva nulla, si rivoltava le fodere delle tasche e diceva: 'Non ho niente. Non ho più niente. Tutto quello che avevo l'ho già distribuito'. Davanti a dichiarazioni di questo genere, che potevo dire? Non c'era niente da dire. Dovevi accettare, e basta".



   Simone Mittre narra che il dottor Louis-Ferdinand Destouches, in arte Celine, la presenza più "terribile" e inquietante della cultura "fascista" (comunque il più grande scrittore che io conosca) a Sigmaringen "s'installò con la moglie in una stanza minuscola, senza comfort, con un vetro alla finestra rotto, e faceva un freddo glaciale. In quella stanzuccia e sul proprio letto egli riceveva, esaminava e curava gli ammalati. La miseria era grande; alcuni, costretti a dormire sotto le tende, o nell'atrio delle stazioni, avevano contratto la scabbia. Celine curava tutti senza far distinzioni. Indipendente per natura, faceva soltanto quel che gli suggeriva il cuore, incurante del proprio interesse e dei commenti della gente. Se lo chiamavano di notte, partiva con la neve alta, e spesso per posti lontani, senza una lampadina elettrica. E non domandava mai un centesimo a nessuno. Capace anche d'andare ad acquistare lui stesso dal farmacista le medicine per i malati". 
Finì i suoi giorni, quasi d'inedia, in una misera catapecchia alla periferia di Parigi, in compagnia del suo cane Bebert.


   E il  Dopoguerra? Non fu certo felice per i superstiti.

   Augusto De Marsanich girava coi calzoni rivoltati e Giorgio Almirante, dice Giancarlo Perna, "era l'uomo più disinteressato della Terra. Non aveva mai una lira in tasca. Era magro come uno stecchino, aveva la barba di due giorni e vestiva come un barbone. Viaggiava con una Dauphine che doveva parcheggiare in discesa per poterla riavviare". 

Erano ancora, tutti, dei refrattari alla modernità economicistica e tutti "condizionati dalle economie arcaiche, dove la prativa del dono era più importante e più frequente di quella del mercato" come lucidamente osserva Giano Accame.

   Poi...poi tutto è cambiato. La tentazione parlamentare ha sostituito il cuore col portafoglio e la Grande Meretrice democratica se li è portati quasi tutti nell'inferno di Mammona. 

Guardatelo bene, oggi, il "nuovo che avanza". 
Ancora una volta, l'oro contro il sangue, con le trincee rovesciate. 

Perchè tanti rinnegati e riciclati in Alleanza Nazionale, se non per la brama del potere, del successo, dell'accumulo bancario?
   E ci meravigliamo che la sciocchina-nipotina Alessandra è coinvolta in Affittopoli andando ad abitare in una appartamento di ben 120 metri quadrati, in via Nomentana, vicino a Villa Torlonia, di proprietà pubblica, e pagando 350.000 lire al mese? Che gliene frega all'ex modella di Playmen se il Nonno può anche rivoltarsi nella tomba?
   E ci stupiamo se a Bari l'on. Giuseppe Tatarella vive in un appartamento dell'INA Casa, nella centralissima via Abate Gimma?
   E se lo stesso fa a Roma, il Segretario Generale della Cisnal?
   E ci scandalizziamo se anche il Buontempo, che una volta conviveva con le pecore di Carunchio, oggi manda i figli a studiare negli esclusivi colleges inglesi e di notte si tramuta nel re del Gilda on the beach, abbrancato alle nobili e prosperose forme di Giorgia Martini e Stafania Barberini?
   O se il ricco Larussa mefistofelicamente se la spassa in tutti i nights con personaggi eccelsi come Heather Parisi e il trans Maurizia (o) Paradiso?
   Non seguono anche loro l'esempio di Lady Daniela Di Sotto in Fini, scatenata e scosciatissima danzatrice rock, oltre che tatuatissima dark?
   Pensate un po': da Donna Rachele a lady Daniela, da Benito a lord Gianfranco, da "fascismo e povertà" ad antifascismo e mangiatoia.
   Aveva proprio torto Chamfort ad asserire che "la società si divide in due grandi categorie: quelli che hanno più pranzo che appetito e quelli che hanno più appetito che pranzi"?

Pino Tosca

Le “proprietà” del Duce

Mussolini di beni immobili possedeva poco o nulla. 
La Rocca delle Camminate gli era stata donata dalla Provincia di Forlì,(in verità era stata donata dagli abitanti di Ravenna, che l'avevano acquistata pagandola una lira pro-capite-) mentre una  modesta villetta  a Riccione se l'era comprata con i risparmi dei suoi articoli e la Villa Carpena era stata acquistata dalla moglie Rachele in anni lontani con i propri risparmi. 

Il Duce non riscosse mai lo stipendio da Primo ministro, al contrario dei suoi successori del dopoguerra, che non solo lo presero, ma quasi tutti lo cumularono con quello di dipendente dello Stato,(docente universitario, magistrato,ecc) essendosi messi tutti prudentemente in aspettativa.

 Il suo ultimo segretario , Nicolò De Cesare, testimoniò: "Ritirava soltanto l'dennità di deputato e la consegnava a me. Io avevo l'incarico di investirla in Buoni del Tesoro. L'importo di quelle economie, alla vigilia del 25 aprile 1945, dopo 23 anni di potere, consisteva in un milione e cinquecento mila lire, depositate presso la Banca d'Italia di Brescia. Per il periodo che gli sono stato a fianco, posso assicurare che viveva degli introiti del “Popolo d'Italia,” versati due volte all'anno dall'amministratore del giornale, Barella. Le altre sue entrate provenivano da articoli per la  stampa estera, specie quella americana, pagati profumatamente. Tutti i denari che gli pervenivano da lasciti, elargizioni e simili li consegnava a me, perchè li amministrassi. Andavano tutti fino all'ultima lira in beneficenza. Distribuivamo circa diciotto milioni di sussidi all'anno, diciotto milioni d'allora."



Un'idea precisa dei beni liquidi di Mussolini la si può ricavare dalle carte della segreteria personale del Duce, conservate all'Archivio di Stato. 
In esse figura un prospetto della situazione preparato  in occasione della loro consegna, durante il governo Badoglio, al figlio Vittorio :
"Lire 431. 308,30 in contanti;
500.000, assegno bancario n°43/109259 del Banco di Roma;
100.000, quattro ricevute provvisorie della Banca d'Italia(n.274),del Banco di Sicilia(n.142),del Banco di Napoli(N.457) e dell'Istituto di Credito delle Casse di Risparmio Italiane(n.10) di lire 25.000 ciascuna relative alla sottoscrizione in buoni del tesoro quinquennali 5% 1948;
4.000.000, quaranta cartelle di lire centomila ciascuna di BTN 1949 con cedola scadente il 15 febbraio 1944;
1.000.000, dieci cartelle da centomila ciascuna di BTN 1950 (1.a emissione) con cedola scadenza 15 febbraio 1944;
900.000, nove cartelle da centomila ciascuna di BTN 1950 (2.a emissione) con cedola scadenza 15 marzo 1944;
700.000,sei cartelle da centomila ciascuna  e due cartelle da cinquantamila ciascuna di BTN 1951 5%  con cedola scadenza 15 aprile 1944;
500.000,cinque cartelle da centomila ciascuna di BTN 4%1951 con cedola scadenza 15 marzo 1944;
500.000 con una ricevuta provvisoria della Banca d'Italia (n. 49) per altrettante nominali sottoscritte in buoni del tesoro quinquennali 5% 1948;
25.000 cinque obbligazioni del PNF per la costruenda casa Littoria , di lire 5000 ciascuna , 5% con cedola scadenza 1 ottobre 1943;
10.000 ricevuta provvisoria della Soc. An. Cooperativa Edificatrice di abitazione per gli operai di Como (n. 4277) per altrettante nominali sottoscritte"





1 commento:

  1. Caro Pocobello, la ringrazio per il confortante articolo. Una sola affettuosa correzione: Bébert, il caro Bébert di Céline, era un gatto, non un cane... ma questo non conta nulla.
    Con simpatia, Alberto Molinari (meseprede@gmail.com)

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