domenica 7 settembre 2014

Beppe Niccolai


«Non è importante la vita. Importante è ciò che si fa della vita»

«Denunciare nemici mortali che sono dentro di noi: la partitocrazia che genera professionismo politico contro la militanza; la casta contro l'impegno morale; la burocratizzazione; la corte e i cortigiani; la tendenza a ridurre il partito periferico ad una rete di piazzisti del voto, e che conduce ad una selezione verticistica della classe dirigente secondo le fedeltà, non alle linee ideali, ma alle persone che hanno il potere».

In queste parole di Beppe Niccolai si racchiude la concezione militante dell'eretico della politica, di chi intende la lotta come trasgressione a fronte del conformismo della "casta" dei politicanti e come coerenza con l'impegno morale del combattente dell'Idea. 

Un combattente di razza che sa, come Berto Ricci, cosa stanno a significare «le Inghilterre che stanno dentro di noi» e che quelle ha cercato sempre di abbattere. 

Con l'impegno febbrile, con l'esempio, con l'abnegazione generosa, con la denuncia, con l'insegnamento di vita. 

Maestro di pensiero ma ancora prima di stile. 

Fuori dagli steccati, avendo come nemici il conformismo, il burocratismo, l'assistenzialismo. 

Odio e amore: che vivono in maniera forte, nell'intensità e nell'inquietudine di chi non conosce la resa, di chi rifiuta la via della fuga.

Tutto questo e tanto altro ancora apprendiamo dai suoi articoli, dai suoi appunti, dai suoi interventi parlamentari, dal "Rosso e Nero e da "Duello al Sole", le rubriche curate da Niccolai sul "Secolo d'Italia", su "Pagine Libere", su "L'Eco della Versilia".

In molti -"camerati" ed avversari- hanno ricordato dopo la morte il «Fascista corsaro».

Molti di quei camerati hanno abbandonato la trincea della trasgressione o hanno preteso realizzarla su posizioni di comodo "altre". Novelli "babbuini" che non hanno saputo far loro l'insegnamento di vita di quello che a lungo ritennero essere il loro maestro. Carità di patria -o forse soltanto il fastidio- ci spingono a non elencarli.

Ci piace, invece, ricordare le parole di Pietrangelo Buttafuoco, che lo vide come il riferimento degli eretici. 
«Beppe Niccolai aveva la capacità di vedere la realtà senza l'affanno elettorale. Raccoglieva intorno a sé il "mondo degli umili e degli indifesi" e diede alla militanza politica un senso ed un imperativo categorico. Il senso e l'imperativo categorico di un impegno costruito con il cemento del progetto. 
A lui, infatti, un uomo già monumento per stile e dirittura morale, si rivolsero gli inquieti e tutti quelli che dopo avrebbero lasciato la Destra alle loro spalle. Non c'è oggi in circolazione un fascista che non abbia avuto da Niccolai un regalo: la fotocopia di una pagina importante, un libro sottolineato nei punti giusti, una lettera». (4)

Un «libro sottolineato», non suo: egli non scrisse libri. 

Come non ne scrissero Berto Ricci e Antonio Carli. 

Anche questo rappresenta un segno distintivo di chi vive la trasgressione inviando segnali di vita e fornendo esempi di stile che, a ben riflettere, è il modo di concepire la lotta lontano dalle cattedre imbalsamate e dagli orpelli degli intellettuali.

Nel febbraio del 2002 si tenne a Roma, presso l'affollatissima sala "Marinetti" del Ripa All Suites Hotel, un Convegno su Beppe Niccolai e Antonio Carli al quale parteciparono Pietrangelo Buttafuoco, Giampiero Mughini -suo caro amico e caro "nemico"- (5), e Domenico Mennitti. 

L'incontro, organizzato dal Fronte Sociale Nazionale, non volle «avere il sapore cinereo di una commemorazione», ma volle essere una riproposizione di Niccolai «per l'attualità del suo pensiero, che non ha certo perso di smalto con l'andare degli anni ma dimostra di aver saputo cogliere "prima" le avvisaglie di situazioni politiche che si sarebbero "poi" puntualmente appalesate». 

Un incontro voluto fortemente da me che non potei nei "tempi giusti" conoscerlo e frequentarlo, perché impegnato su posizioni altre o sequestrato nelle galere del sistema. 

Un incontro la cui centralità fu rappresentata dalla necessità avvertita di riprendere la via tracciata da Niccolai prima e da Antonio Carli poi -da "L'Eco della Versilia" a "Tabularasa"- per marciare ancora più convinti lungo quei sentieri che «già sono delineati innanzi a noi».

Al suo, al loro fianco -uomini «difficili da raccontare» nella loro maledetta toscanità non fiorentina ma versiliana- furono sempre i più «moderni», i ragazzacci irriducibili, insofferenti ad ogni forma di compromesso e di ipocrisia.

Non a caso Beppe Niccolai fu l'unica voce fuori dal coro nel Congresso missino di Roma del 1984, con la mozione "Segnali di Vita" sottoscritta con entusiasmo dalle componenti giovanili e creative del partito. 

Il MSI: quel partito al quale aveva aderito sin dal ritorno dalla terribile esperienza del "Fascist's criminal camp" di Hereford nel Texas, in cui era stato internato insieme a Giuseppe Berto, a Roberto Mieville, a Carlo Tumiati -solo per ricordarne alcuni-, senza mai piegarsi e mai collaborare. Da quella esperienza, anzi, attinse ancora più forza per le sue battaglie politiche, mai allineate. 

Dalla relazione di minoranza alla Commissione antimafia (che gli valse l'elogio di Leonardo Sciascia), all'interrogazione parlamentare che fece esplodere il caso dell'Argo 16 "sabotato" dagli agenti del Mossad, all'elogio al Vietnam vittorioso sull'imperialismo americano si snodò un percorso non-conforme, culminato non a caso con il rifiuto nel 1976 di una nuova candidatura parlamentare. 

Al «gusto del Palazzo», alla poltrona preferì, insomma, la militanza avviandosi in una dura autocritica che cercò, senza risultati, di estendere a tutto il partito.

Gli anni '80 furono gli anni della rilettura puntuale e feroce degli errori compiuti verso la contestazione giovanile ed in politica estera. 

Gli anni in cui con la rivista "L'Eco della Versilia" Niccolai costituì il più forte punto di riferimento per il dissenso interno e di dialogo con l'Area delle forze antagoniste al sistema di potere.

Alla sua morte sarà Antonio Carli, divenuto direttore di "Tabularasa" a raccogliere l'eredità spirituale del suo Fascismo rosso, rivoluzionario ed anarchico.
 
Memento Audere Semper      
postato su Internet, 22 aprile 2007


Giuseppe "Beppe" Niccolai(Laurea in giurisprudenza - Giornalista - Dirigente industriale)
nato il 26 novembre 1920 a Pisamorto il 31 ottobre 1989 a Pisa
riposa nel "Cimitero della Misericordia" di Pisa (Via Pietrasantina)


Abbiamo scelto di «raccontare» qualcosa della vita di Beppe con «frasi» estrapolate da vari articoli.
«Niccolai nacque a Pisa il 26 novembre 1920 e respirò fin da bambino nel clima umanistico di casa sua, grazie soprattutto al padre, preside di liceo e provveditore agli studi. Nella grande biblioteca paterna si formò una coscienza politica e divenne fascista. Laureato in giurisprudenza, militante nelle organizzazioni giovanili fasciste, Niccolai con grande coerenza sposò il pensiero e l'azione e fu volontario di guerra in Africa Settentrionale dove si distinse per coraggio e valore»
(Gennaro Malgieri, dal "Secolo d'Italia", mercoledì 1 novembre 1989)

«Se n'andò in Africa, leticando con Buffarini Guidi, abbandonando il Corso Allievi Ufficiali e lasciando quella Divisione Folgore in formazione a Tarquinia, nei cui ranghi era corso primo fra i volontari universitari italiani, insieme a Luigi Bertini e Luciano Ciucci. Anche l'andare in guerra era ritenuto bisogno primario della Nazione, sacrificio di sé, quindi, in pro d'Altro». 
("Beppe Niccolai", Vito Errico, da "Tabularasa", anno IV, n° 4)


«Al momento della disfatta della 1ª Armata Italiana, Beppe Niccolai viene catturato dagli inglesi e insieme ad altri volontari italiani finisce nel "fascists' criminal camp" di Hereford, nel Texas. Molti anni prima delle rivelazioni di Bacque sul genocidio dei soldati tedeschi, Niccolai aveva più volte rievocato le dure condizioni nei campi di prigionia americani e la non civiltà degli statunitensi. La vita fu molto dura per i 15.000 italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati. Gli americani aggirarono la convenzione di Ginevra definendo, i soldati tedeschi fatti prigionieri, "forze armate disarmate" e non "prigionieri di guerra"».
(postato da Julius su Internet)
 
Eletto alla Camera dei Deputati, collegio di Pisa, nelle file del MSI:
1968 (Vª Legislatura)
Componente
 * VII Commissione (Difesa) dal 12 ottobre 1970 al 24 maggio 1972
X Commissione (Lavori Pubblici) dal 10 luglio 1968 al 12 ottobre 1970
1972 (VIª Legislatura)
Componente
 * Commissione (Difesa) dal 25 maggio 1972 al 4 luglio 1976
Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia
dal 28 luglio 1972 al 23 gennaio 1973 e dal 22 febbraio 1973 al 4 luglio 1976

Eletto Membro della Direzione del MSI-DN:
Novembre 1970 (IX Congresso - Roma)
Gennaio 1973 (X Congresso - Roma)
Gennaio 1977 (XI Congresso - Roma)
Ottobre 1979 (XII Congresso - Napoli)
Febbraio 1982 (XIII Congresso - Roma)
Dicembre 1984 (XIV Congresso - Roma)
Dicembre 1987 (XV Congresso - Sorrento)

Consigliere MSI al Consiglio Provinciale di Pisa:
dal 6 novembre 1960 al 27 gennaio 1969
dal 7 giugno 1970 al 20 dicembre 1972

Consigliere MSI al Consiglio Comunale di Pisa:
ininterrottamente dal 1951 al 1980

Federale della Federazione Provinciale di Pisa:


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