giovedì 21 agosto 2014

Con il "Che": sempre e comunque!

Con il "Che":
sempre e comunque!

Maurizio Barozzi (agosto 2014)    

«La nostra azione è tutta un grido di guerra contro l'imperialismo e un appello all'unità dei popoli contro il  grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d'America»



«Ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato a qualunque altro uomo»
Guevara

«La nostra azione è tutta un grido di guerra contro l'imperialismo e un appello all'unità dei popoli contro il grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d'America»
Guevara
                                    
In questo articolo parliamo di Ernesto "Che" Guevara, esprimendo non solo ammirazione e onore per il combattente e il rivoluzionario, ma anche una solidarietà ideale e politica.
Come il socialista rivoluzionario Nicola Bombacci, e il fascista Giuseppe Solaro si ritrovarono entusiasti sul piano della rivoluzione socialista nazionale di Mussolini e per la lotta del sangue contro l'oro, contribuendo alla edificazione della RSI, così ci ritroviamo noi sulla stessa barricata della rivoluzione socialista cubana di Guevara e contro l'imperialismo americano. Questo ci spinge a dire che la rivoluzione fascista, approdata alla RSI e la rivoluzione di Guevara, pur partendo da presupposti ideologici diversi, possono, anzi devono, incontrarsi e non essere antitetiche.

INDICE GENERALE


Con il “CHE” sempre e comunque  
Il "comunista" Guevara     
Il non "comunista" Guevara
L'utopia comunista
Guevara rispetto al fascismo      
Internazionalismo e imperialismo
La Repubblica Sociale Italiana
La Repubblica di Cuba, Stato socialista
I Fascisti della Fncrsi e Guevara 23
Le menzogne del mondo borghese
La bufala di Guevara ebreo
Breve riassunto storico biografico
L’ultima lettera a Fidel
La lettera ai figli
Il "Che" immolato a Jalta e fregato dai “compagni al caviale”
Il martirio di Guevara

Con il "Che":
sempre e comunque!

Di fronte alla figura e persino alla effige del "Che", divenuta leggenda e mito, non sono pochi i singoli o i gruppi politici che lo prendono a riferimento ideale o politico, ma tutta questa ostentazione risente di molta superficialità e strumentalizzazione e comunque sia è bene precisare che se non è molto appropriato stirare" Ernesto "Che" Guevara della Serna, medico, scrittore, idealista, ma anche organizzatore e soprattutto rivoluzionario, come un comunista, in virtù dei suoi scritti e del suo operato rivoluzionario che si richiama al comunismo, perché rispetto alla visione classica, anche se eterogena, del comunismo storico e del bolscevismo, le differenze sono notevoli, ancor meno appropriato e corretto è tirarlo verso "destra" (valorizzandone l'idealismo delle sue eroiche attitudini di combattente e ignorando il suo solidarismo umano e socialista).
Come vedremo è invece possibile, non una identificazione ideologica totale, ma una assimilazione ideale e politica con il fascismo repubblicano, realizzatore della Repubblica Sociale Italiana e una comunanza di lotta contro l'imperialismo americano e le plutocrazie internazionali. Non a caso, infatti, in apertura, abbiamo citato Nicola Bombacci. Ma ne riparleremo più avanti.
Cominciamo con il dire che Guevara resta un grande rivoluzionario, con peculiarità e ideali propri che si sostanziano anche nel marxismo leninismo, ma non solo.
E questo, in un certo senso, vale anche per Fidel Castro, nonostante che Castro, per il suo ruolo di capo di Stato di una piccola nazione esposta alle mire statunitensi, dovette appoggiarsi ai sovietici, recitando un certo ruolo e mitigando le posizioni rivoluzionarie più estreme. Non a caso molti scritti di Guevara fortemente avversi all'URSS e al cosiddetto "socialismo reale" rimasero a Cuba inediti se non occultati, fino agli anni '90.
Oltretutto, nel suo lungo iter di capo di Stato, Castro ha dovuto rinunciare, trasformare o adattare molti originari progetti ideali determinando anche alcuni dissidi con il "Che", che però, seppur non indifferenti, non trascesero mai oltre un certo limite.
Guevara aveva una concezione della "verità", per la quale essa è sempre rivoluzionaria, mentre per Castro è subordinata alla politica e alla possibilità o meno di dirla. Egli inoltre aveva ben percepito le contraddizioni e i limiti dei "paesi socialisti" e vari suoi scritti critici sull'URSS, che potevano pregiudicare i rapporti di Cuba con quella nazione, restarono per molto tempo inediti.

Il "comunista" Guevara


Che Ernesto Guevara avesse una visione socialista della società è indubbio (in particolare il voler togliere potere al privato e passarlo al pubblico, assicurando così il bene di tutti, proprio come l'aveva sempre avuta Mussolini) e inoltre egli concepiva la realizzazione del socialismo attraverso la prassi rivoluzionaria del marxismo leninismo, al quale però dava una valutazione tutta sua.
Resta comunque difficile inquadrare il pensiero e la prassi rivoluzionaria di Guevara rispetto alla ideologia del comunismo e alla sua storia, anche a causa delle profonde differenze che si riscontrano nelle varie interpretazioni del marxismo leninismo e nelle stesse realizzazioni pratiche che si sono avute nei paesi dove il comunismo è stato imposto dall'esterno o si è affermato con la rivoluzione e poi magari si è evoluto e trasformato in qualche cosa di diverso (per esempio dal bolscevismo di Lenin allo stalinismo, per non parlare della Cina di Mao o delle tante involuzioni nel riformismo, fino ad arrivare ai giorni nostri dove è definitivamente "collassato").
Una cosa è certa: se il pensiero di Guevara non è facilmente inquadrabile in qualche schemapropriamente comunista (e questo è un suo pregio, non una mancanza), è altrettanto vero che sulle attitudini pratiche di come utilizzare il comunismo per le trasformazioni rivoluzionarie, non si lasciava confondere o deviare da troppe elucubrazioni intellettuali, prendendo piuttosto a punto di riferimento, Stalin:
«Io credo che nelle questioni fondamentali su cui si fondava, Trotskij commetteva degli errori; credo che il suo comportamento posteriore fu erroneo e negli ultimi tempi anche oscuro. Credo che i trozkisti non abbiano apportato nulla al movimento rivoluzionario, in nessun paese, e dove hanno fatto di più hanno fallito perché i metodi erano sbagliati».
 (E. Che Guevara, Discorso al ministero dell'Industria, 5 nov, 1964). E in altra occasione ebbe ad affermare:
«In Stalin sta la differenza tra la Rivoluzione e il Revisionismo. Dovete guardare a Stalin nel contesto storico in cui egli si muove, non dovete guardarlo come un bruto, ma in quel particolare contesto storico. Sono approdato al comunismo a causa di papà Stalin, e nessuno deve venire a dirmi che non devo leggere Stalin».
In ogni caso, sono sempre state alquanto sostenute, all'interno dell'area comunista o comunque di sinistra, le polemiche sul considerare Guevara un comunista o meno.
Tra queste restano significative le osservazioni e le valutazioni di Antonio Moscato insegnante diStoria del Movimento operaioStoria contemporanea e Storia dei paesi afroasiatici presso l'Università di Lecce, decisamente propenso a considerare Guevara un comunista, e all'opposto, invece, quelle di Giovanni Scuderi, segretario generale del Partito Comunista Marxista Leninista italiano da lui fondato, che distrugge spietatamente la tesi di un Guevara comunista.
Citeremo appresso alcuni stralci delle loro tesi, ma in caso rimandiamo alla loro lettura, reperibile on line, del testo integrale.
Noi da spettatori esterni a queste polemiche, non possiamo che rilevare, intanto, la solita interminabile diatriba sulla vera interpretazione del comunismo, un bizantinismo che spesso raggiunge il livello di una discussione sul sesso degli angeli, e poi il fatto che Guevara, a prescindere da come lo si voglia interpretare, mostra nel corso della sua vita, attraverso la propria esperienza, un continuo adattamento pratico e intellettuale delle sue idee, un percorso questo comune ad altri rivoluzionari marxisti, compreso il Mussolini del 1914.
Comunque sia Guevara non è un Lev Trotskij, una Rosa Luxemburg e neppure un Bèla Kuhn, ma forse possiamo definirlo un compendio del tutto particolare e in continua evoluzione di Marx, Lenin, Mao, Peron, Martì, Castro, e dei vari fermenti politici, sindacali e rivoluzionari, con tutte le loro contraddizioni tipiche di quel magma agitatorio dell'America latina. Forse anche una certa influenza da Trotskij, è possibile in un rivoluzionario a tutto campo come Guevara.
Il comunismo a Cuba, un isola dalla composizione etnica alquanto particolare, come partito, grosso modo affondava le sue radici nel Partito Rivoluzionario Cubano, di José Martí (L'Avana, 1853 - Rio Cauto, 1895) e in un piccolo partito d'ispirazione marxista-leninista (riformista), creato nel 1925.
Ad aprile del 1961 Fidel Castro proclamò la Rivoluzione cubana di carattere socialista e quindi, dall'unione delle forze rivoluzionarie che avevano combattuto contro Batista, vale a dire: il Movimento del 26 luglioil Partito Socialista Popolare e il Direttorio Rivoluzionario 13 marzo, nascerà il Partito Unitario della Rivoluzione Socialista di Cuba.
Successivamente, almeno formalmente, il nome di questo partito venne cambiato dal Comitato Centrale in Partito Comunista di Cuba (che presentava riferimenti martiani e marxisti leninisti, ma non trozkisti), nell'ottobre del 1965.
A nostro avviso non è esagerato dire che Castro e soprattutto Guevara non sono pienamente assimilabili all'ideologia del comunismo e in questo ha ragione Scuderi, basta leggere tutto quello che costoro ci hanno lasciato e gli atti da essi compiuti (anche se spesso, per necessità geopolitiche e tattiche, hanno usato un certo linguaggio) per rendersene conto e non è un caso che scrittori marxisti, ogni volta che hanno sostenuto il contrario, hanno dovuto fare i salti mortali, ma senza riuscire a documentare adeguatamente, al di là dei dettagli e di una certa fraseologia, questo comunismo di Guevara.
Non basta, per esempio, per definirlo un "comunista", ricordare, anche se qui giustamente, che Guevara non è stato solo un "idealista", ma anche un politico e un organizzatore (prassi leninista) come si evince da un suo noto discorso ai giovani:
«Molte grandi iniziative sono fallite, sono cadute nell'oblio per la mancanza del necessario apporto organizzativo, per sostenerle e portarle a buon fine (…) se non c'è l'organizzazione le idee dopo il primo impulso vanno perdendo efficacia, cadono nella routine, nel conformismo e finiscono per essere semplici ricordi.»
Scorrendo anche vari altri enunciati e riflessioni del "Che", che si cerca di spacciare come espressione di una ideologia comunista, ci accorgiamo che invece non necessariamente si devono inquadrare in una visione comunista, né tanto meno nella idolatria comunista nel partito, ma rispecchiano più che altro l"idealista":
* O siamo capaci di sconfiggere le idee contrarie con la discussione, o dobbiamo lasciarle esprimere. Non è possibile sconfiggere le idee con la forza, perché questo blocca il libero sviluppo dell'intelligenza.
*  È sempre invincibile un popolo che abbia chiara coscienza delle proprie forze e in mano le armi per difendersi; restando uniti al governo, questa è la nostra lezione più grande da dare al mondo.
* Contro l'Imperialismo sempre!!! L'imperialismo non può mutare è per sua natura aggressivo, anarchico, contraddittorio e perfino incoerente. Ma deve cercare nuove vie per trovare il modo di sopravvivere. Sta provando tutte le manovre, mentre cammina sull'orlo di una guerra mondiale, che segnerà la sua definitiva scomparsa.
* Abbiamo imparato con la rivoluzione, che quando in Cile, Argentina, Cuba, Vietnam, in qualsiasi altro Paese del Mondo, vi è un uomo oppresso o ferito, in quel momento è intaccata la nostra dignità.
* Sono Cubano e sono anche Argentino. Sono patriota dell'America Latina, di qualsiasi paese dell'America Latina, nel modo più assoluto, e qualora fosse necessario sarei disposto a dare la mia vita per la liberazione di qualsiasi paese Latino-Americano, senza chiedere niente a nessuno, senza approfittare di nessuno.
* Nessuna persona nell'intero mondo può sentirsi libera se c'è una sola persona in catene.
Non siamo i depositari della verità, nè di tutta la sapienza del mondo, e dobbiamo imparare giorno per giorno, e nel momento in cui smetteremo di apprendere, o crederemo di sapere tutto, o avremo perso la capacità di capire il popolo e la sua gioventù, quello è il momento in cui avremo smesso di essere dei rivoluzionari.
Se io muoio, non piangere per me: fai quello che facevo io e continuerò a vivere in te.
* Potrebbe accadere che in alcuni di questi giorni ci sia dato lasciare il nostro ultimo respiro, su qualsiasi terra di questa nostra America, tanto nostra perché innaffiata col nostro sangue. Cosa contano i pericoli e i sacrifici di un uomo o di un popolo, quando è in gioco il destino dell'intera umanità?
Vi chiedo di essere essenzialmente umani, ma così umani da avvicinarvi al meglio di ciò che è umano, purificare il meglio dell'uomo attraverso il lavoro, lo studio, l'esercizio della solidarietà continua con il popolo e con tutti i popoli del mondo".
* Fino a quando il colore della pelle non sarà considerato come il colore degli occhi noi continueremo a lottare.
Il già citato Antonio Moscato ("Riscopriamo il Che sconosciutohttp://62.149.226.72/rifondazionepescara/?p=1336), nel tentativo di trovare in Guevara il comunista, anche nelle sue critiche al sistema sovietico («un originale "riscopritore" del marxismo, capace di prevedere e intuire le ragioni di un possibile crollo del sistema "socialista" che pure, al tempo suo, appariva nel pieno della sua potenza», già nei termini adoperati: "riscopritore originale", ne mostra involontariamente invece tutta la problematicità.
Moscati, dopo aver studiato molti testi di Guevara, rimasti inediti a Cuba, e aver ritenuto che «Guevara consigliava di fare con Lenin [cioè leggerlo, N.d.R.] , con cui pure aveva un disaccordo sulla Nep», ha selezionato molti passaggi del suo pensiero, tra tanti altri, egli cita i seguenti:

(Si parla qui dei kholchos nelle campagne che il Che pensa siano da considerare "presocialisti") «Guevara osserva più volte che quanto è descritto nel Manuale è proprio dell'URSS e non del socialismo. Guevara è implacabile con tutte le formule vuote, come il «centralismo, uno dei miti largamente diffusi».
«Le ultime risoluzioni economiche dell'URSS somigliano a quelle adottate dalla Jugoslavia quando scelse la strada che l'avrebbe portata a un graduale ritorno al capitalismo. Il tempo dirà se si tratta di un incidente passeggero o se implica una decisa tendenza all'arretramento. Tutto parte dalla concezione erronea di cercare di costruire il socialismo con elementi di capitalismo, senza cambiarne effettivamente il senso. Per cui si perviene a un sistema ibrido che finisce in un vicolo cieco».
«Una delle pecche gravi del sistema sovietico» è che «gli incentivi morali sono dimenticati o marginali».
Di fronte a un'affermazione trionfalista sulla Banca di Stato dell'URSS che sarebbe «la banca più potente del mondo» grazie alle filiali collocate nella capitali delle repubbliche sovietiche, dei territori e regioni, e in quasi tutti i distretti del paese, Guevara scrive maliziosamente:
«Possiede anche filiali a Londra e a Parigi (un poco mimetizzate). Ci si può chiedere se tutto ciò non influirà sui metodi e le concezioni della direzione sovietica, così come gli istituti creditizi di proprietà del partito argentino influiscono sulla sua linea di intervento politico».
Entrando qui nel delicato "campo bancario" facciamo una parentesi per dare un cenno al sia pur breve periodo di Guevara nominato nel novembre 1959 da Castro presidente della Banca Nazionale di Cuba, carica da lui detenuta fino al 1960 per divenire poi, nel febbraio 1961 Ministro dell'Industria. È una storia che mostra ancora una volta come si venga messi all'indice quando si toccano i delicati temi attorno ai traffici delle Banche nazionali o centrali.
Alcuni , infatti, sostengono che fu la nazionalizzazione della Banca Centrale cubana (anche se la Banca centrale continuò ad avere partecipazioni di banche private) a provocare, non solo le proteste dell'ambasciata americana, ma un definitiva rottura tra Castro e Wall Street.
Il dittatore Fulgencio Batista y Zaldivar il 1 gennaio del 1959 era stato costretto alla fuga, ma questo figuro che era anche legato al banchiere mafioso Meyer Lansky, come tutti i falsi patriottardi reazionari e di destra, buttate le bandiere della Patria, era fuggito portandosi dietro l'oro dello stato cubano, una cui parte era depositata presso la American Bank Note Company, in contropartita di banconote da 1.000 e 500 pesos emesse negli anni precedenti. Sembra che i "batistiani" si portarono 424 milioni di dollari negli Stati Uniti.
Crepato il Batista nel 1973 sembra poi che l'oro venne riciclato in Svizzera. Ovviamente non fu mai più recuperato da Cuba.
In ogni caso il Banco Nacional de Cuba, ritenendo di poter far valere la proprietà su quell'oro, aveva emesso banconote con la scritta: "convertibili in oro". Quelle emesse tra il 1959 ed il 1960 e forse inizi del 1961, erano firmate dal Presidente del Banco Nacional, con il breve nomignolo "Che" (durante la cerimonia del suo insediamento alla Presidenza, Guevara si era impuntato di non firmare con il suo nome esteso e così restò solo "Che"). Quella firma, ma ovviamente non era solo per la firma, determinò la chiusura dei conti e il ritiro delle "carte", come disse Castro, da parte delle banche e proprietari privati.
Comunque sia Guevara, nel suo periodo alla presidenza della Banca Nazionale, varò un sistema bancario di stato, unico e centralizzato, che doveva portare alla nazionalizzazione delle banche e di tutti gli Istituti finanziari. Sarebbe oggi interessante una attenta indagine in questo campo, dove molte precise notizie latitano per vedere come venne poi a configurarsi questo sistema centralizzato di Staton, non dimenticando che durante lo stalinismo in URSS la banca centrale sovietica, Gosbank, non si contrappose affatto al Federal Bank System, dell'Impero mondiale capitalista, e anzi contò nella sua proprietà importanti capitali privati statunitensi. E sappiamo come Guevara fu un duro critico del sistema economico sovietico. Andiamo avanti e torniamo al Moscato.
Il paragone di Guevara con il Partito comunista della sua Argentina è interessante, e spiega bene che la critica del Che alla maggior parte dei partiti comunisti latinoamericani non era solo ideologica o morale, ma partiva dalla consapevolezza del loro inserimento, subalterno, ma totalmente complice, nel sistema capitalistico.
Nel corso del grande dibattito economico del 1963-1964 (…) alcune raccomandazioni [di Guevara] erano decisamente scomode: ad esempio puntare ad aumentare la produttività; lottare contro gli sprechi e il parassitismo, le assunzioni clientelari, il rigonfiamento degli organici indipendentemente da una valutazione rigorosa di costi e ricavi: «Dobbiamo funzionare meglio del capitalismo, se vogliamo batterlo».
L'ultimo Guevara aveva cominciato a riflettere anche sulla deformazione burocratica della rivoluzione. Ci sono alcuni articoli, un discorso franco ed autocritico alla gioventù algerina del giugno 1963 «un freno per l'azione rivoluzionaria», ma anche «un acido corrosivo che snatura [... ] l'economia, l'educazione, la cultura e i servizi pubblici».

Il non "comunista" Guevara


Del tutto all'opposto le valutazioni di Giovanni Scuderi (vedesi: Alcune riflessioni su un diversivo creato dai neo revisionisti e dai trotzkisti:
 "Dove porta la bandiera di Guevara"http://www.pmli.it/Guevara.html) il quale comincia con l'osservare che:
«Guevara nasce a Rosario, in Argentina, il 14 giugno 1928, da una famiglia borghese da cui riceve una formazione borghese che egli coltiva fin quando diventa adulto. A 25 anni è ancora seguace di Freud e della psicanalisi. Questa origine borghese e questa formazione borghese non l'abbandoneranno mai.
Nemmeno quando a 26 anni, in Guatemala, legge alcune opere di Marx, Lenin e Mao, e quando partecipa, due anni dopo, inizialmente come medico e poi come spalla di Castro, alla rivoluzione cubana. Pur gettandosi anima e corpo nella rivoluzione, e dando prova di abnegazione, di spirito di sacrificio, di coraggio e di disprezzo del pericolo, - sono questi gli aspetti che più colpiscono i giovani rivoluzionari che non hanno ancora maturato la coscienza di classe e marxista-leninista - egli però non riesce a trasformare la propria concezione del mondo e a rigettare l'individualismo, l'idealismo e l'avventurismo di cui era impregnato».
Di fatto, guarda caso sono, più o meno, gli stessi argomenti che vennero usati contro Mussolini quando abbandono il Partito Socialista nel 1914.
Nella costruzione del socialismo Guevara occupa posti e svolge funzioni di fondamentale importanza nelle relazioni estere, in campo militare e soprattutto sul fronte economico. Nel settembre del '59 viene nominato Capo del Dipartimento dell'industrializzazione dell'Istituto nazionale della riforma agraria, due mesi dopo diventa Presidente della Banca nazionale e nel febbraio del '61 è nominato ministro dell'industria. Anche in questa fase, egli continua a essere la spalla di Castro.
Ne riconosce l'autorità e la direzione. Ne condivide la politica interna ed estera.
Precisato questo, Scuderi, per sottolineare l'avventuriero e l'idealista, antitetico al rivoluzionario comunista marxista leninista, ricostruisce buona parte degli atti, delle iniziative e del pensiero di Guevara. Anche qui ne riportiamo alcuni stralci:

Il 1 aprile '65, prima di lasciare Cuba per l'impresa guerrigliera nel Congo (attuale Zaire), Guevara scrive in una lettera ai suoi genitori: «Molti mi diranno un avventuriero, e lo sono; solo che di un tipo diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità».
In un intervento all'ONU, nel dicembre '64, Guevara afferma: «La mia storia di rivoluzionario è breve: comincia realmente sul `Granma' (il battello su cui erano imbarcati gli 82 rivoluzionari che vanno a liberare Cuba dalla dittatura di Batista, N.d.A.) e continua tuttora. Non ho mai appartenuto al partito comunista fino ad oggi che sto a Cuba».
E questo mentre aggiunge subito dopo: «Possiamo proclamare tutti di fronte a questa assemblea che il marxismo-leninismo è la teoria politica della rivoluzione cubana».
Un anno dopo la vittoria della rivoluzione cubana, siamo esattamente al 28 gennaio 1960, Guevara lo esalta (Martì, N.d.R.) ancora così in un raduno di massa:
«Martí era nato, aveva sofferto ed era morto per l'ideale che noi adesso stiamo realizzando, e non solo: Martí fu il mentore della nostra rivoluzione, l'uomo alla cui parola è stato sempre necessario ricorrere per interpretare giustamente i fenomeni storici che stavamo vivendo, l'uomo alla cui parola e al cui esempio bisognava rifarsi ogni volta che nella nostra pratica si voleva dire o fare qualcosa di importante».
Da queste parole risulta chiaramente che è Martí il suo modello di vita, il suo maestro ideologico e politico e il suo punto di riferimento programmatico, e non i grandi maestri del proletariato internazionale e l'esperienza storica della rivoluzione socialista e degli Stati socialisti.
Parlando dell'ideale del guerrigliero afferma: «Questo ideale è semplice, puro, senza grandi pretese e, in generale, non va molto lontano: ma è così tenace e chiaro che è possibile sacrificargli la propria vita senza esitare minimamente. Per la quasi totalità dei contadini, è il diritto di avere un pezzo di terra propria da coltivare e di godere di un trattamento sociale giusto. Per gli operai, è avere un lavoro, ricevere un salario adeguato e anche lui un trattamento giusto. Fra gli studenti e fra i professionisti si trovano idee più astratte, come il significato della libertà per la quale combattono».
Rileviamo [stiamo sempre riportando stralci dell'articolo di Scuderi, N.d.R.] che nel pensiero e nell'opera di Guevara non c'è traccia degli insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Lo dimostra anche il fatto che uno dei suoi primi viaggi all'estero, in rappresentanza del governo cubano, lo fa, nell'agosto '59, in Jugoslavia, il primo Stato revisionista della storia, già in rotta di collisione con l'allora campo socialista, riportandone una buona impressione.
Sul piano concettuale, l'internazionalismo di Guevara è tutt'altro che proletario. Non a caso lo chiama "Internazionalismo rivoluzionario'' e non proletario nel comunicato N. 4 "al popolo boliviano'', che diffonde quando si trova in Bolivia.
La sua concezione internazionalista è umanitaria, ecumenica, interclassista, assolutamente estranea al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ed è mutuata da Martí. Lo dimostrano queste sue parole:
«Dobbiamo praticare il vero internazionalismo proletario, sentire come un'offesa personale qualsiasi aggressione, qualsiasi offesa, qualsiasi azione che vada contro la dignità dell'uomo, contro la sua felicità in qualsiasi parte del mondo. Dobbiamo tenere sempre alta la stessa bandiera di dignità umana che alzò il nostro Martí, guida di molte generazioni, presente oggi con la sua freschezza di sempre nella realtà di Cuba: `ogni uomo vero deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia di qualsiasi uomo' (citazione di Martí, N.d.A.)».
In una famosa lettera alla Tricontinentale, Guevara scrive:
«…Le nostre aspirazioni, in sintesi, sono queste: distruzione dell'imperialismo mediante l'eliminazione del suo baluardo più potente: il dominio imperialista degli Stati Uniti d'America. Come obiettivi tattici assumiamo la liberazione graduale dei popoli, a uno a uno, o per gruppi, attirando il nemico in una lotta difficile fuori dal suo terreno, liquidando le sue basi di appoggio: i territori dipendenti. Come potremmo guardare a un futuro luminoso e vicino se due, tre, molti Vietnam sbocciassero sulla superficie del globo, con le loro parti di morti e di immense tragedie, con il loro eroismo quotidiano, con i loro ripetuti colpi all'imperialismo, con l'obbligo, per esso, di disperdere le sue forze sotto l'urto del crescente odio dei popoli del mondo!»
Mai prima di allora, ma anche successivamente, idealismo, soggettivismo, spontaneismo, volontarismo, avventurismo, fantasia e lirismo avevano pervaso in simile misura il cervello di un piccolo borghese rivoluzionario.

[Qui è d'obbligo una nostra osservazione: come accennato accuse simili, sia pure in un altro contesto, vennero spesso elevate dai marxisti a Mussolini per aver abbandonato il massimalismo marxista, uscendo dall'ortodossia, per il socialismo nazionale e la valorizzazione degli ideali combattentistici].

Nella stessa occasione [in sede della Tricontinentale, ed è sempre Scuderi che scrive, N.d.R.] contro l'evidenza dei fatti, arriva addirittura a mettere sullo stesso piano la Cina di Mao e l'URSS di Breznev causando un danno incalcolabile alla causa del socialismo. Queste le sue parole veramente imperdonabili [secondo Scuderi, N.d.R.]:
«Sono altrettanto colpevoli coloro (l'URSS, N.d.A.) che nel momento decisivo esitarono a fare del Vietnam una parte inviolabile del territorio socialista, correndo sì il rischio di una guerra mondiale, ma obbligando a una decisione gli imperialisti Usa. E sono colpevoli coloro (la Cina, N.d.A.) che continuano una guerra di insulti e colpi di spillo, iniziata già da tempo dai rappresentanti delle due massime potenze del campo socialista.
Chiediamo, esigendo una risposta onesta: si trova o no isolato il Vietnam, in pericoloso equilibrio fra le due potenze in lotta?».
Nelle teorizzazioni di Guevara c'è poco posto per la classe operaia e per il partito della classe operaia. Le sue attenzioni maggiori sono tutte rivolte all'uomo e all' "avanguardia guerrigliera'', non alla classe operaia e al suo partito. Come il Papa e gli ideologi borghesi, egli incentra il suo discorso sull'uomo in generale, non curandosi della sua origine e collocazione di classe.
Guevara, in ultima analisi, parlando dell'uomo, secondo schemi umanitari borghesi, idealistici e non materialistici, in realtà parlava dei problemi dei piccoli borghesi e alludeva alle libertà democratico borghesi che voleva esistessero nel socialismo.
In verità a Guevara non andava proprio giù l'idea di assegnare al partito della classe operaia il ruolo dirigente della rivoluzione cubana. La concezione del Partito marxista-leninista non faceva parte del suo bagaglio culturale e della sua esperienza pratica. Il fatto che la rivoluzione cubana era stata fatta senza la direzione del partito della classe operaia gli era rimasto talmente impresso da convincerlo che tale partito non sia assolutamente necessario per la rivoluzione e che il suo ruolo possa essere assolto dall' "avanguardia guerrigliera''.
Guevara non aveva un'idea chiara e corretta della costruzione del socialismo. Anche in questo campo non tiene conto dell'esperienza storica del socialismo e della teoria marxista-leninista. Cosicché oscilla tra il revisionismo di destra e quello di "sinistra''.
E con questo, Scuderi o non Scuderi, il comunismo di Guevara, è bello che liquidato!

L'utopia comunista


Fin qui abbiamo dato un parzialissimo sguardo alla diatriba sul "Guevara comunista" che divide i marxisti. A nostro avviso è una polemica e una discussione assurda che è falsata in partenza dal fatto che il Comunismo è una vera e propria utopia per la quale nelle persone più attente, più schiette ed ovviamente in buona fede, produce divergenze dottrinali e di prassi politica e non di rado (vedi Mussolini) li spinge a rotture traumatiche ed a perseguire altri sentieri.
Siamo certi che qualcosa di simile sarebbe accaduto anche a Guevara se non fosse morto prima, e i sintomi di questo scollamento, se non addirittura di un mai pieno allineamento al marxismo, sono emersi dagli stessi studi di matrice marxista.
Consideriamo allora anche la nomenklatura comunista, presente nella Repubblica cubana, che tanto spaventa il borghese e il destrista che ha paura che gli portano via la casa, la bottega, il crocefisso: ah quei cavalli dei Cosacchi che volevano venire ad abbeverarsi nella fontane di San Pietro (magari! Ci sarebbe da dire oggi, visto come siamo andati a finire, che società degli spettri e da "Grande Fratello" si è instaurata in Occidente e come abbiamo totalmente perso ogni residuo di sovranità nazionale).
La storia ci ha dimostrato che le nazioni che hanno conosciuto decenni di dittatura comunista, una volta imploso il comunismo, dileguatosi come una "brutta nottata", hanno mostrato che il popolo, nonostante le violenze subite e la privazione delle libertà personali, è rimasto sostanzialmente integro, mentre invece dove è arrivato il "mondo libero", l'americanismo, tutto è andato perduto: tradizioni, culture, peculiarità dei singoli popoli, tutto annientato dall'Occidente, il vero nemico dell'Uomo.
Questo perché il comunismo, nella sua accezione marxista leninista è una utopia, una concezione impossibile per la natura umana. Può essere transitoriamente imposto con la forza, ma inevitabilmente la natura umana, il suo spirito, le profonde ed ineliminabili differenze ontologiche degli uomini finiscono per imporsi.
Ed infatti, nei paesi dove il comunismo è andato o è stato imposto al potere, una vera società comunista non si è mai riusciti a realizzarla e una volta collassato il sistema, del comunismo non restava più nulla.
Ma invece non è così per l'Occidente, il vero nemico dell'uomo, con il suo edonismo e il suo iper individualismo che sono un killer spietato dello spirito umano.
Come disse un poeta coreano negli anni '50: «dopo sei mesi che erano arrivati questi americani in Corea, non riconoscevo più il mio popolo distrutto dal vizio, dalla corruzione, dalla Coca Cola».
Figuratevi oggi noi, dopo quasi 70 anni di colonialismo americano, dove abbiamo addirittura perso la gioventù disintegrata dalle mode, dalle musiche, dagli stadi demenziali, dalle discoteche, dai tatuaggi, dai piercing, dagli Ipood e dai videogiochi. Per non parlare dell'altro "regalo" dell'Occidente: sballo e droghe.
E qui è doveroso far notare come fosse errata ed anche strumentale a certe strategie degli opposti estremismi, la tesi di certa destra che sosteneva che, in ogni caso, bisognava difendere il "mondo libero" rispetto al male peggiore che era il comunismo.
Tutto questo per far notare che quando si parla di comunismo e di comunisti e soprattutto di nazioni comuniste (sostenere per esempio che il Vietnam e l'eroico popolo vietnamita che hanno combattuto contro l'Occidente, sia una nazione comunista, è da mentecatti), non bisogna dar di matto, ma considerare anche tutto quello che abbiamo appena detto e rendersi anche conto quanto sia problematico dare la patente di "comunista" ad un uomo come Guevara.

Guevara rispetto al fascismo


Sgombriamo subito il campo da un particolare, a nostro avviso, insignificante: è stato fatto notare che Guevara in alcuni suoi discorsi usa i termini "fascismo", "hitlerismo", in senso negativo. Questo è del tutto ovvio.
La sconfitta militare degli stati fascisti nel secondo conflitto mondiale, ha determinato che l'antifascismo abbia vinto la guerra delle parole e imposto la sua propaganda di guerra con i suoi schemi mentali.
Quel ciclo storico però è finito e le nuove generazioni sono nate in tutt'altro contesto. Nel dopoguerra è quindi invalso l'uso di dare al termine "fascista" il senso di "male assoluto" e se dobbiamo considerare molti movimenti e Stati di destra del dopoguerra, che si sono anche spacciati per "pseudo fascismo", non possiamo dargli torto. Noi che sappiamo come stanno le cose, non useremmo mai in negativo il termine "fascismo", ma la stragrande maggioranza delle persone non "sà" e quindi non può ragionare nel nostro stesso modo. Del resto anche noi fascisti italiani se ci dovessero dire che il MSI è un partito fascista, non potremo non rispondere che: «allora noi siamo antifascisti».
Questo per dare una idea di quale sia l'andazzo dell'uso improprio di certi termini. Quel fascismo che Guevara addita in senso negativo, di fatto è un "antifascismo" che anche noi additeremmo allo stesso modo.
Comunque sia, dopo aver strappato Cuba alla dittatura di Fulgencio Batista (l'uomo degli yankee e delle oligarchie parassitarie cui, è bene ricordare, non pochi destristi di vari paesi del mondo, a cominciare dal missista Ernesto Brivio, vantavano amicizia) che aveva ridotto quell'isola al tempio del vizio, della corruzione, riserva delle mafie statunitensi e con tutte le scarse ricchezze del paese nelle mani di pochi speculatori e latifondisti (mentre il popolo moriva di fame), Castro ha compiuto un vero miracolo geopolitico e sociale.
Qualche imbecille di destra o benpensante di questa società dei consumi, che è passato per Cuba, cieco di fronte alle conquiste sociali di Castro, ha notato che i cubani non hanno il frigorifero ultimo modello e che il paese è sottosviluppato, non rendendosi conto della situazione geopolitica, drammatica, di quel paese e del fatto che pur è stata garantita la sanità, l'istruzione ed addirittura un minimo di alimentazione a tutti, ma che soprattutto le conquiste di un popolo non si valutano solo in termini di "modernità" con quel che questo "sviluppo" comporta come sfruttamento e speculazione e soprattutto di distruzione dell'ambiente e alienazione della vita.
Orbene, la nazionalizzazione o il controllo delle imprese e dei servizi, la riforma agraria con la ridistribuzione delle terre ai contadini, le case per il popolo, l'istruzione per tutti, realizzate da Castro e dal "Che", tra difficoltà indicibili e scarsezza di materiale umano residuo di una piccola colonia, sono anche state, ancor prima di Castro, un patrimonio sociale del fascismo repubblicano.
Il fascismo inoltre, nemico dell'individualismo, non solo ha profuso grandi impegni nello "stato sociale, ma ha sempre praticato il principio antiliberale, della "mutualità", una mutualità messa al servizio del paese e del popolo per riequilibrare gli squilibri sociali tra le diverse aree geografiche.
Non molto di diverso, a parte le dimensioni i diversi contesti, è stato fatto con la RSI e per Cuba.
Noi abbiamo un solo appunto a fare alla rivoluzione di Castro: quello di non aver ostacolato il meticciato. Ma era inevitabile: affondando certe radici ideali nell'egualitarismo, che Castro procedesse su quella strada, se così non fosse stato si sarebbe parlato di rivoluzione fascista, ma non si possono "unificare" tutti i movimenti storici, oltretutto di epoche diverse.
Possiamo quindi chiudere questo paragrafo con le considerazioni, veramente pertinenti, di un amico, in risposta a certe critiche alla Cuba di Castro:
«Un movimento politico, soprattutto nelle condizioni in cui si trovò ad agire il castrismo, costretto ad appoggiarsi ad un imperialismo per non cadere nelle fauci dell'altro ed operante in un ambiente geopolitico irto di difficoltà (l'America latina, "cortile di casa" dei nordamericani), non merita giudizi assoluti; è buona norma, piuttosto, valutare cos'era Cuba prima della Rivoluzione e verificare se rispetto a quella situazione sono stati fatti dei passi in avanti. Ammetto dunque senza problemi che Castro non ha realizzato il paradiso in terra (ma forse qualcuno lo ha fatto? E perchè si addebita solo a Castro tale prevedibile limite?); ma vediamo cos'era Cuba prima della Rivoluzione (illuminante, a tale proposito, la lettura del libello difensivo "La historia me absolverà", dello stesso Fidel):
latifondo improduttivo per l'ottanta per cento in mano a pochi proprietari terrieri; analfabetismo; sanità inefficiente ed elevata mortalità infantile; turismo e case da gioco per il sollazzo dei ricchi nordamericani in mano ad una ristretta oligarchia complice degli sfruttatori stranieri, col corollario di gangsterismo, malaffare e prostituzione; salari di fame per la classe media (medici, insegnanti, professionisti), per citare soltanto gli aspetti più eclatanti.
La Rivoluzione ha ridistribuito le terre, ha eliminato l'analfabetismo -istituendo la gratuità dell'istruzione-, ha garantito cibo e sanità per tutti, ha tolto le principali risorse dell'isola dalle grinfie degli speculatori stranieri. Non è abbastanza? Non c'è libertà d'espressione? È ancora meta di turismo sessuale? Gli oppositori stanno in galera? D'accordo, ma la situazione è migliorata ed è perfettibile.
E che dire della inestimabile soddisfazione di vedere al lungomare del Malecon, proprio di fronte alle coste della Florida, un cartello recante la scritta: "Esta tierra es 100% cubana"?».
Ogni fascista non può che sottoscrivere in pieno.
Come possa poi evolversi la rivoluzione cubana, oggi già abbastanza annacquata e forse verso il tramonto, non possiamo saperlo. Non si possono mantenere certe posizioni per molti decenni, quando a pochi chilometri, ti sbattono in faccia l'opulenza della Florida, quando i richiami della società consumista ti arrivano da tutte le parti. I primi anni post rivoluzione puoi tenere il campo, ma poi a poco a poco, il richiamo dell'edonismo prevale, e specialmente nei giovani, a livello di masse, passano in secondo piano tutte le considerazioni di cosa sia il portato del consumismo: distruzione dell'ambiente, sperequazioni e ingiustizie, dissolvimento dei valori veri della vita, schifezze rese indispensabili ad una massa acefala di consumatori.
Per tenere certe posizioni ideali sarebbe stato necessario un certo sviluppo industriale e un forte messaggio culturale. Ma contro Cuba hanno sempre remato contro: le criminali sanzioni imposte dagli Usa; lo scarso, anzi nullo, apporto in questo senso dato dall'Unione Sovietica; la componente etnica dell'isola che non ha certo agevolato lo sviluppo di alte capacità manageriali e imprenditoriali.
Ma il valore ideale della rivoluzione cubana resta tutto quanto.

Internazionalismo e imperialismo

Una concreta differenza ideologica tra il fascismo e il guevarismo, semmai, la si riscontra sul fatto che l'idealismo di Guevara è "internazionalista", si badi bene, non in senso delle Internazionali comuniste, ma nel senso che Guevara nella lotta di liberazione dei popoli non fa differenze di razza e nazioni, ed ha implicita una visione dell'uomo che presuppone la uguaglianza in natura di tutti gli esseri umani, uguaglianza che sarebbe solo stata alterata dai meccanismi di sfruttamento del capitalismo, dalle ingiustizie del potere, dal dominio e lo sfruttamento esercitato su gli altri popoli dall'imperialismo, ecc.
Il fascismo invece parte dalla considerazione che l'uguaglianza tra gli uomini non esiste, perché vi sono nette e profonde differenze tra gli esseri umani di cui bisogna tenere conto e che comunque emergerebbero sempre nonostante le si voglia negare, perché i meccanismi dello sfruttamento capitalista possono accentuare e addirittura criminalizzare differenze ed ingiustizie, ma non ne sono la sola causa.
Il fascismo quindi propugna una sua visione di liberazione e di socialismo nazionale, in cui queste differenze siano valorizzate, ma non scantonino in sopraffazioni e ingiustizie, un socialismo nazionale da realizzarsi nello specifico della propria etnia, cultura e nazione, un "messaggio" universale di civiltà a cui tutti potrebbero partecipare o federarsi come era nella visione dell'Impero, del diritto e della giustizia che già fu di Roma.
Ad esempio nelle forme di colonialismo e imperialismo (ma già qui lo stesso nome "imperialismo" risulta inadeguato) anglo americano soprattutto, ma non solo, laddove queste nazioni pirata conquistarono e si impadronirono di terre altrui da colonizzare o schiavizzare, tutto il meccanismo imperialista di questi conquistatori era basato sullo sfruttamento del territorio, della mano d'opera locale e delle materie prime delle terre conquistate, riducendo o lasciando la popolazione locale in condizioni di semi schiavitù e forzandone l'adeguamento alla cultura dei conquistatori per neutralizzarne ogni forma di ribellione. Quel poco di infrastrutture che venivano edificate erano solo finalizzate allo sfruttamento pratico e razionale di ciò che quelle terre o quella gente poteva dare.
Diverso il comportamento dell'Italia fascista (seppure risentiva dell'andazzo conservatore e delle tradizioni sabaude proprie del ventennio) che costruì ogni genere di infrastrutture e servizi, comprese le scuole, di cui le stesse popolazioni locali potevano beneficiare, in pratica contribuendo alla crescita e sviluppo di quelle terre, da secoli rimaste allo stato primitivo e apportando un beneficio a tutti esteso.
Quindi sull'Internazionalismo c'è una pregiudiziale di fondo che, a grandi linee, si può esprimere così: il contesto culturale di Guevara, per quanto poliedrico, parte comunque dalla premessa che l'Imperialismo è determinato dal processo produttivo controllato e in mano del capitalismo, il quale produce gli squilibri, lo sfruttamento e le necessità di praticare la "pirateria" internazionale ovvero dominio, aggressioni e guerre. Eliminando il capitalismo, realizzando il socialismo in tutto il mondo, non dovrebbero più esserci imperialismo e guerre.
Per il fascismo invece, questa è una utopia, perché l'imperialismo e la guerra non sono determinati solo dal capitalismo, ma sono insiti nella natura dell'uomo, nel suo archetipo immutabile dalla notte dei tempi. Le guerre e le conquiste ci saranno sempre, mentre la società idilliaca a livello planetario che addirittura le eliminerebbe, non ci sarà mai. Ergo, ogni Stato, ogni cultura deve attrezzarsi e organizzarsi secondo le proprie peculiarità e tradizioni, realizzando i principi di giustizia sociale, del diritto e di elevazione del popolo dalle bassezze, soprattutto spirituali, della condizione umana.
Noi siamo certi, intuendolo dalle pieghe del pensiero e dell'azione di Guevara, che con il tempo, accomunate tutte le necessarie esperienze, il "Che" che era un uomo intelligente, idealista, in buona fede e non sottomettibile alle idolatrie del partito, quelle di bolscevica o staliniana memoria, sarebbe prima o poi arrivate alle stesse conclusioni, perché sono realtà evidenti e connaturate alla natura umana.
Anche ai giorni nostri, alcuni osservatori hanno notato che c'è tutta un area, definita impropriamente "rosso bruna", come un tempo era definita "nazi maoista" che è attestata su posizioni anti imperialiste, esalta Putin, ha sostenuto Gheddafi e soprattutto Assad. Ma si osserva che questi "rosso bruni" non sono antimperialisti perché pacifisti a prescindere, ma perché vorrebbero un imperialismo, italo mediterraneo, o euro asiatico. La considerazione non è peregrina ed ha un fondo di verità, a prescindere da questi gruppi su cui non diamo qui un parere più approfondito.
E torniamo sempre al punto di partenza: la vita non è regolata dalla "pace", ma dalle tensioni, dalla violenza, dalla guerra che non è altro la prosecuzione della politica con altri mezzi. Sono tutti questi stati naturali degli esseri umani, così come la prevaricazione, lo sfruttamento e l'assassinio degli altri esseri umani sono sempre esistiti, perché, anche se uniti a tante altre virtù positive nell'uomo, fanno parte della loro natura: homo homini lupus.
Ecco quindi che il fascismo, considerando questi archetipi, prospetta la sua "visione" Imperiale a cui tutti possono riconoscersi e partecipare.
Il pacifismo a prescindere, purtroppo, non esiste in natura e quindi una visione costruita su questa premessa è destinata a diventare una utopia.
Considerando, quindi, la buona fede ideologica di Guevara, non solo può esserci una comunanza di lotta contro il comune nemico, l'Imperialismo occidentale, ma di fronte alla realtà della vita e del mondo, si sarebbe anche potuti arrivare ad un minimo di visione comune, cosa che ovviamente non è potuta avvenire per le contingenze storiche.
Nel tentativo di negare ogni sia pure parziale assimilazione del pensiero di Guevara con il fascismo (attenzione, se per fascismo intendiamo quello che, dal dopoguerra ad oggi, hanno manifestato le destre neofasciste, ovvero una destra reazionaria e conservatrice, possiamo dargli piena ragione) alcuni intellettuali di sinistra hanno messo insieme quelle per loro sono delle esplicite antitesi tra Guevara e il fascismo (ad esempio vedesi: A. Moscato: "Ernesto Guevara un comunista",http://mobile.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/1590/), vediamole:
«La vera incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce dalle caratteristiche essenziali del pensiero e dell'azione di Guevara.
Prima di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero, per evitare di farsi la concorrenza). Altrettanto lontano dal fascismo, anzi anti-fascista, il suo «dobbiamo saper essere duri senza perdere la tenerezza», che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i pericoli di involuzione autoritaria».
Ora, di tutte queste valutazioni messe insieme, come abbiamo visto, solo la prima regge alla verifica, ovvero quella di una visione "internazionalista" di Guevara, , ma tutto sommato non ci sembra motivo di una diversificazione netta e definitiva in quanto ogni visione della vita e del mondo deve poi sempre fare le verifiche con la realtà, con la specificità umana. E in questa verifica, Guevara e il fascismo repubblicano si sarebbero certamente incontrati, laddove la "lotta del sangue contro l'oro" sembra proprio accomunarli dietro una comune barricata.
La storiella "etica", dello "schiaffo" è addirittura ridicola se si vuol negare, a prescindere, a un fascista la sensibilità verso le ingiustizie e le prepotenze e cosa dovremmo allora dire delle atrocità del bolscevismo e dello stalinismo? Va ad onore di Guevara averla esternata, ma non è di certo una prerogativa dei soli comunisti.
Per quel che è l'intento di stabilire intese economiche con gli altri paesi produttori dello zucchero è questo un concetto economico internazionale di mutualità e socialità, anticapitalista, ma lo si riscontra anche nella storia del fascismo, la sua lotta per l'autarchia e le plutocrazie e addirittura nel nazionalsocialismo se, per esempio, andiamo a considerare gli intenti della Germania di instaurare con gli altri paesi il "baratto" ovvero il pagamento di materie prime, non tramite l'oro e le banconote (gli strumenti della finanza speculatrice), ma con i prodotti finiti dell'industria, quindi con il lavoro, rendendo un vantaggio alle nazioni ricche di lavoro, ma povere di oro e di valuta e ai paesi produttori di materie prime, ricchi di queste materie, ma poveri di prodotti finiti.
Ed infine, sempre per considerare le "differenze" accennate da questi ambienti di sinistra, ci sarebbe da chiedere chi lo ha stabilito che un fascista non potrebbe "essere duro, senza perdere la tenerezza"?
Ma andiamo avanti. A sinistra si sostiene che per Guevara il militante comunista è: «un lavoratore instancabile, che, con abnegazione, pone al servizio della rivoluzione le sue ore di riposo, la sua tranquillità personale, la sua famiglia o la sua vita… deve essere sempre il più giusto (…). Non può essere un buon comunista colui che pensa alla rivoluzione solo quando arriva il momento del sacrificio, della battaglia, dell'avventura eroica, di ciò che esce dal volgare e dal quotidiano, mentre nel lavoro di ogni giorno è mediocre o peggio.»
Ebbene, cambiano le espressioni utilizzate, i termini di riferimento politici, il modo di porre le definizioni etiche e morali, ma non siamo poi così distanti dall'enunciato della "dottrina del fascismo" che recita:
«La vita quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in un mondo sorrettodalle forze morali e responsabili dello spirito. Il fascista disdegna la vita "comoda"».
Basterebbe considerare che il "vivere" religiosamente, non è dato dal fatto di professarsi o meno di una tal religione, ma dagli atti concreti, quotidiani di vita, quelli che si elevano dalle necessità, dalle meschinità e dagli interessi materiali dell'uomo; quotidianità di vita che è ancor più sensibile e pregna di impegni e doveri per chi si è consacrato alla "politica", alla "rivoluzione", ovvero per chi deve necessariamente essere di esempio agli altri con cui convive e che vuol convincere e chiamare alla lotta e magari al sacrificio della vita.
In definitiva, per un "ateo" o un "religioso", la vera differenza non sta in ciò che uno razionalmente o per fede, crede o predica, ma nel suo comportamento quotidiano, essendo la propria dimensione spirituale racchiusa nell'equazione personale di ciascun individuo e nel modo con cui affronta la vita.
In termini storico – politici Guevara scrive:
«il merito di Marx risiede nell'aver prodotto di colpo nella storia del pensiero sociale un cambiamento qualitativo.
Non solo egli interpreta la storia, ne comprende la dinamica e ne prevede il futuro, ma oltre questo, che segnerebbe il limite del suo dovere scientifico, esprime un concetto rivoluzionario: non basta interpretare la natura, bisogna trasformarla.
L'uomo cessa di essere schiavo e strumento del mezzo e diventa architetto del proprio destino».
Anche in questo caso, vi è un apprezzamento sociologico e rivoluzionario che può essere più o meno condiviso, ma che per i fascisti non costituisce di certo uno scandalo ideologico, anche perché non tutti gli studi marxiani sono da buttare.
Come abbiamo visto, considerandone gli atti e gli scritti ci accorgeremo che il comunismo di Guevara, al di là delle definizioni appunto utilizzate, ha poco a che vedere con i regimi bolscevichi o stalinisti, ma è costituito da alcune enunciazioni di principio che possono benissimo essere condivise dal fascismo repubblicano, socialista e rivoluzionario che, è sempre bene ricordarlo, costituì un momento di rottura epocale con il fascismo del ventennio e nulla ha a che vedere con il "neofascismo" dal dopoguerra in avanti.
In sostanza il "comunismo" di Guevara, di certo influenzato da Martì e anche dal peronismo, si esplicita in alcuni presupposti ideali che più o meno riguardano la lotta per la libertà e per l'eguaglianza dei popoli attraverso una rivoluzione, la nazionalizzazione dei mezzi di produzione (che poi nella sua attuazione pratica avrà delle eccezioni), l'elevazione morale e materiale del popolo. Per conseguire questi obiettivi Guevara ha sempre sostenuto l'importanza di una "avanguardia" di partito e la necessità della critica degli errori e l'autocritica, quali strumento di correzione e allo stesso tempo di crescita politica collettiva di un'organizzazione.
A nostro avviso non siamo poi così agli antipodi del fascismo, che si prefigge gli stessi obiettivi con la differenza di realizzarli attraverso le specificità e diversità dei singoli popoli e culture e non in un egualitarismo indistinto, inesistente in natura.
Ovviamente non sosteniamo che così come non vi è una piena assimilazione tra Guevara e l'ideologia comunista, ci possa invece essere una completa assimilazione con l'ideologia fascista, ma il semplice fatto che, molti programmi e progetti della rivoluzione cubana, attitudini rivoluzionarie di Guevara e la sua irriducibile lotta contro l'imperialismo americano, si pongono sullo stesso piano socialista e realizzativo del fascismo repubblicano della RSI e della lotta del fascismo contro le plutocrazie. Un po' come è avvenuto con Nicola Bombacci, tra i fondatori del comunismo nel 1921 e tra i realizzatori, assieme a Mussolini, del programma sociale della RSI nel 1943 -'45.

La Repubblica Sociale Italiana

Per gli immemori e i distratti è quindi bene ricordare alcuni dei punti del Manifesto di Verona, voluti da Mussolini e patrimonio del Partito Fascista Repubblicano:
«1) Sia convocata la Costituente, potere sovrano d'origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l'ultimo Re traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il Capo.
3) La Costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino - soldato, lavoratore e contribuente - il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione. Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica.
4) La negativa esperienza elettorale già fatta dall'Italia e l'esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concili le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei ministri per parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.
9) Base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
11) Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria dello Stato…
12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonchè all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili per parte dei lavoratori…
13) Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l'iniziativa stessa viene a mancare. L'esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia agricola».
Questi sono i punti salienti del socialismo della RSI, ma non finiscono qui, perché poi ci sarebbe da parlare dei progetti di cooperative per la distribuzione di vestiario e alimenti, per i loro elementi indispensabile e primari e quelli per il settore immobiliare che doveva essere in grado di assicurare la casa al popolo, ecc. Il tutto poi, all'interno di una legislatura all'avanguardia del mondo per i settori della previdenza, della sanità e della costruzione di infrastrutture utili alla vita del popolo.
Come riferì Ermanno Amicucci, al tempo direttore del Corriere della Sera:
«Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI».
Il 15 marzo 1945 in piazza De Ferrari a Genova, dove un eccellente e genuino oratore, che era stato socialista, poi tra i fondatori del comunismo nel 1921 ed aveva conosciuto Lenin anche nelle ore pericolose della rivoluzione bolscevica, cioè il romagnolo Nicola Bombacci, classe 1879, arringò una enorme folla che, più che altro, degli operai delle industrie navali liguri e delle fabbriche siderurgiche e meccaniche di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente, di Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera.
Nicola Bombacci, che con grande passione aveva lavorato alla realizzazione delle riforme sociali della RSI con Mussolini, parlò con il cuore in mano:
«Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l'amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre… . Ed aggiunse:
Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzionecredevo che il bolscevismo fosse all'avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell'inganno… Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent'anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…».
Tenendo tutto questo ben presente spostiamoci in un'altra area geografica ed in un'altra epoca.


La Repubblica di Cuba, Stato socialista dei lavoratori


Per quanto riguarda la Repubblica socialista di Cuba, dopo il trionfo della rivoluzione del 1 Gennaio 1959 seguirono, nell'anno stesso, forme miste di governo a cui parteciparono anche esponenti della borghesia non compromessi dai precedenti regimi. Fidel Castro, invece, ricoprirà la carica di Primo Ministro. Sfumati poi, grazie all'intransigenza castrista i tentativi di far defluire le istanze rivoluzionarie della rivoluzione cubana, i ministri più conservatori e borghesi dovranno capitolare e molti fuggiranno in Florida.
Nell'ottobre del 1960 ci sarà la sacrosanta nazionalizzazione delle banche e delle imprese con più di 24 dipendenti, iniziative queste che provocheranno varie reazioni, ritorsioni ed embarghi americani e spingeranno Castro ad appoggiarsi ai sovietici. Dopo di che Cuba potrà contare su un unico partner commerciale: i paesi socialisti (Cina, URSS ed Est Europa), rendendola da questi dipendenti.
A Novembre del 1959 vi è la creazione dell' "Instituto Nacional de Reforma Agraria" (Inra) che ha il fine di ricostruire l'economia cubana in senso socialista, annullare la produttività capitalista che era funzionale solo agli interessi della borghesia nazionale e straniera, e assicurare l'equa distribuzione di lavoro e compensi.
Ecco come uno studio appropriato riassume le riforme rivoluzionarie cubane:
«Di fronte ad un panorama di industrie produttive, altre abbandonate dai proprietari emigrati all'estero con i capitali, altre ancora improduttive perché i padroni si erano arricchiti a spese dell'erario in quanto legati al regime di Batista, il Dipartimento Industriale nel 1960 unisce i fondi di tutte le fabbriche nazionalizzate (inizialmente solo quelle con più di 24 dipendenti) in un unico fondo centralizzato in cui i vari stabilimenti depositano i ricavi e ricevono i FINANZIAMENTIprogrammati in accordo ad un bilancio prefissato.
In tal modo si contribuisce al contenimento della disoccupazione e si permette alla popolazione di continuare a ricevere i prodotti necessari anche in presenza di una temporanea non redditività di tutte le aziende. Il personale che risulta eccedente viene trasferito in altri settori produttivi, mentre i lavoratori per i quali non é possibile il trasferimento vengono creati corsi di qualificazione tecnica e culturale.
La Banca Nazionale é depositaria del fondo centralizzato, essa amministra il capitale finanziario (anch'esso nazionalizzato) e ad essa il Dipartimento Industriale invia copia dei bilanci delle unità produttive mentre le agenzie bancarie, da parte loro, non effettuano pagamenti superiori alle cifre stabilite nel bilancio generale. A guida della Banca Nazionale é "Che" Guevara in qualità di Presidente dal Novembre del 1959. Nel 1961 il 70% del settore industriale é nazionalizzato.
Riforma Agraria                                                                                 
L'1% dei proprietari terrieri cubani controllava quasi la metà di tutto il territorio agricolo dell'isola. Le compagnie "American Sugar Refinig Company", "Vertientes y Camaguey", "Francisco Sugar", "Atlantica del Golfo", "Cuban American Sugar", possedevano circa 2.684.000 ettari, di cui coltivavano meno della metà. I1 salario dei braccianti agricoli era di 50 centesimi al giorno!
I1 17 Maggio del 1959 la legge di Riforma Agraria sancisce l'attribuzione dei titoli di proprietà a 150.000 contadini che si dividono tutte le proprietà superiori ai 400 ettari disintegrando una volta per tutte i latifondi e varando un progetto di istituzione di cooperative agricole sotto la direzione dell'Inra.
Nel 1961 una seconda Riforma Agraria riduce a 63 ettari il limite della proprietà privata».
Altre riforme poi riguarderanno i trasporti, i servizi, la sanità (gratuita e a carico dello Stato), ecc. e la necessaria opera di alfabetizzazione del popolo.
Parliamoci chiaro: molto di quello che ha fatto Castro, lo avremmo fatto anche noi fascisti se fossimo nati in quella piccola isola sfortunata, passata nel 1898 dal dominio ispanico a quello yankee, con una popolazione non molto numerosa (al tempo della rivoluzione di Castro, si contavano circa 6 milioni di abitanti) e con etnie eterogenee (i bianchi, in prevalenza di origini ispaniche, erano maggioritari, ma molto alta era la percentuale dei meticci e alquanto sostenuta quella dei neri ex Africa).
Molte quindi le similitudini ed ovviamente anche le differenze, tra la RSI e la Repubblica socialista di Cuba.
Similitudini e differenze che si riscontrano anche nel determinare le necessarie gerarchie nel partito e nello Stato, sia nel modo in cui le stava progettando e organizzando la Repubblica Sociale Italiana e sia come si cercò di attuarle nella repubblica laico socialista di Cuba, dove pur si recepirono alcuni principi tratti dalle categorie marxiane ed hegheliane.
Ed entrambe queste due rivoluzioni, pur con i loro distingui, sono l'antitesi delle gerarchie e delle oligarchie, dei paesi democratici occidentali, determinate dal possesso del denaro, dalle manipolazioni e illusioni dell'elettorato.
Da notare, en passant, che nei paesi capitalisti, anche nelle stesse imprese, tempio del padronato, le gerarchie si determinano attraverso dei falsi valori. Tutto al più vi è la ricerca di abili tecnici e manager da porre al servizio della proprietà per mandare avanti l'Azienda (capacità tecnico e meritocratiche), ma per il resto, nei posti di lavoro, si "fa carriera" attraverso il leccaculismo, la delazione al padrone, l'entrare nelle grazie dei superiori, il valutare tutto in termini di resa economica. Questo perché i proprietari dell'impresa, a parte una certa abilità tecnica e manageriale, hanno bisogno di schiavi totalmente asserviti.

La concezione delle "Gerarchie" nel Fascismo

Qualcuno potrebbe obiettare: ma il fascismo è per la Gerarchia identificata nei valori di merito, eroici e spirituali, mentre il comunismo ne è la negazione.
Certamente la weltanschauung del fascismo parte da un principio anti egualitario degli esseri umani e del resto qui non stiamo parlando di comunismo vero e proprio, ma di Guevara, e il "Che", deciso ad abbattere le differenziazioni economiche e di casta e a dare a tutti le stesse possibilità realizzative, distribuendo equamente le ricchezze del paese e del lavoro, né più e né meno di quello che aveva fatto il fascismo con la RSI, non aveva una visione della vita e del mondo esclusivamente materialista.
E allora anche qui bisogna mettersi d'accordo. Consideriamo quindi il fascismo della RSI il quale ci mostra anche il suo modello di Stato e il tentativo di costituzione delle Istituzioni, pur rimasto in parte incompiuto per la guerra e lasciando perdere il neofascismo conservatore e le sue varianti "evoliane".
Il fascismo, giustamente anti egualitario, prospetta uno stato organico di gerarchie delle capacità a seconda delle qualifiche personali: quindi capacità tecniche, manageriali, intellettuali, ecc. Sopra di queste le attitudini eroiche e spirituali, ovvero il predominio di quelle specificità e virtù che distinguono le individualità eticamente superiori. Questa è la concezione gerarchica del fascismo, che non ha nulla a che vedere con gerarchie di carattere plutocratico.
Ma attenzione: questa concezione dell'uomo e delle gerarchie, che si configura nella dottrina del fascismo e trova ispirazioni nella sapienza antica (in questo caso ben illustrata e ricostruita da J. Evola), il fascismo l'ha intesa come punto di riferimento per la realizzazione dello Stato organico non come la vedeva, in senso reazionario, lo stesso Evola che politicamente era rimasto a Metternich..
Il fascismo, fenomeno del XX Secolo, queste indicazioni le configurava in una concezione di comunità social nazionale, adeguata ai tempi moderni, mentre Evola, di fatto, andava poco più in là delle caste e ancora coltivava speranze nelle aristocrazie d'Europa i cui squallidi residui, invece, erano intenti nei loro amorazzi da rotocalco e si dilettavano nei CASINÒ e nelle stazioni termali.
Non a caso Evola non aderì alla RSI sentendo lontano dalla sua concezione la istituzione repubblicana, i riferimenti ideali a Mazzini e la composizione socialista della società.
Il fascismo, per uno di quei miracoli della Storia, pur venendo, almeno in parte, dal fiume carsico della Rivoluzione francese e del Risorgimento, fenomeni storici di carattere sovversivo e antitradizionale, ne interpretava le necessarie istanze rivoluzionarie e al contempo finiva per riallacciarsi al solco metastorico della Tradizione e ai sui valori.
Questo perché "indietro" non si poteva tornare e il vecchio mondo delle aristocrazie aveva fatto il suo tempo, dissolto dalle leggi del divenire e spesso affogando nel sangue e nella corruzione.
Anche nei rapporti sociali, non eravamo più al tempo delle caste dove il rapporto era stabilito secondo una ontologica natura, e neppure eravamo più ai tempi delle "fedeltà feudale". Oggi il rapporto padrone – lavoratore è regolato dalla paga, dalla mercede, e quindi il fascismo pretendeva, intanto il massimo possibile della giustizia sociale e quindi tutta l'economia doveva essere subordinata agli interessi dello Stato, del popolo.
Il fascismo della RSI, inoltre, si era ben reso conto che il sistema gerarchico del ventennio, quello delle "cariche dall'alto", non aveva funzionato ed aveva espresso gerarchie di buffoni e di approfittatori, palesatesi in pieno il 25 luglio del '43.
Mussolini in repubblica disse chiaramente che il fascismo, con la sua Repubblica Sociale, senza scantonare nella democrazia, doveva però trovare una via di mezzo tra le cariche dall'alto e le nomine elettive che pur assicuravano la necessaria critica, sprone e controllo.
Questa concezione di uno stato "Nazional popolare", con la società socialmente ridefinita in termini di socialismo nazionale e la fine dei privilegi economici di casta o di sfruttamento (nella RSI si progettò anche la riforma del mercato azionario), era stata stroncata dalla guerra che l'aveva poi anche occultata al mondo, ma è in buona parte simile a quella vagheggiata da Guevara e da Castro, non ci sono molte differenze sostanziali, ma soltanto un diverso adattamento nelle specificità storiche, culturali e geografiche dei due paesi e l'uso di un diverso linguaggio di propaganda, a causa delle alleanze del tempo e i diversi presupposti ideali e culturali.
A differenza delle tradizioni, culture ed etnie del nostro paese, per le quali il fascismo ne interpretò la valorizzazione nazionalista e di stirpe, per Castro e Guevara la composizione multietnica della popolazione cubana, non poteva che indirizzarli verso politiche di uguaglianza razziale e convivenza multietnica, ma questo non impediva a Guevara di intuire e capire le profonde differenze tra gli esseri umani, dandocene qualche volta cenni in proposito.

I Fascisti della FNCRSI E Guevara


I fascisti della Federazione Nazionale Combattenti della RSI (FNCRSI), fautori di una società socialista, da realizzarsi in ambito nazionale e fautori di una lotta di liberazione nazionale dal colonialismo americano e dalle lobby sioniste, ben valutarono e condivisero la lotta del "Che".
Non solo onorando nel "Che", il ruolo rivoluzionario, l'eroe e il combattente, il compagno di lotta contro il colonialismo americano, ma anche condividendone tutte quelle posizioni e istanze politico sociali che trovano similitudine nel fascismo repubblicano.
È una comunanza ideale che non ammette ambiguità.
Il fascismo, come recita la sua Dottrina, è pensiero a cui segue l'azione, ed è per questo che non ammette falsi scopi, e non ci facciamo incantare da certi "intellettuali" di destra, parliamo per esempio dello scomparso Giano Accame, missista, già collaboratore del massone Pacciardi e della sua Nuova Repubblica, subdolo esperimento politico di marca "strategie stay behnd", una delle migliori menti della destra, da sempre filo sionista, che poi se ne esce con il "fascismo immenso e rosso" nel tentativo di dare qualche contenuto culturale ad un area di destra priva di tutto.
Potremmo anche apprezzare certi suoi sforzi "intellettuali" per una riscoperta sociale del fascismo, dopo anni di conservatorismo missista, e soprattutto le sue valutazioni di Ezra Pound e Giacinto Auriti, che allargano il discorso economico e sociale, mettendo a nudo la truffa legalizzata della usura internazionale e il signoraggio monetario, ma noi pretendiamo di più, siamo "estremisti", vogliamo posizioni nette e definitive, non ambiguità e soprattutto coerenza di condotta per la quale il MSI, il filo atlantismo e il filo sionismo, praticati da Accame, sono tradimento del fascismo e degli interessi nazionali e quindi tutto il resto non conta più.
Così come ben poco ci incantano certe onoranze e apprezzamenti, al combattente Guevara da parte di una presunta "destra movimentista".
Non vorremmo, e Guevara non lo meriterebbe, che una certa "infatuazione" a destra per il "Che", abbia similitudini con l'infatuazione del destrismo, negli anni '60 e '70 per i "mercenari". Lo ricordiamo.
Quello dei "mercenari" era un "immaginario avventuroso" importato da una certa letteratura e filmografia, una tipologia umana alla quale, nei primi anni '60, il "Cabaret" del Bagaglino, dedicò una canzone (dedicandone anche una con Gabriella Ferri, non a caso, al "Che").
Torme di giovani destristi, non solo missisti, sognavano avventure come "mercenari" da qualche parte dell'Africa.
Quella che, al limite, poteva essere una aspirazione avventurosa, riservata a pochissime persone e dettata dalla loro equazione personale ed esistenziale, divenne il classico "sogno di mezza estate" degli insoddisfatti, degli sfaccendati, in genere i più frustrati e potenzialmente "borghesi", ma oltretutto, questa aspirazione venne sostanziata dai peggiori messaggi politici del destrismo.
A parte il fatto che i "mercenari" della Legione Straniera erano stati i nostri nemici in guerra, tra questi giovani destristi passava il messaggio che i "mercenari", in genere individui con tendenze criminali, assoldati da multinazionali e governi assassini, fossero una "figura" positiva, da emulare.
Ma gratta, gratta, tutte le ambiguità vengono al pettine e noi le vogliamo stanare indicando appunto la nostra adesione non solo al Guevara eroico combattente e vero rivoluzionario, ma anche al Guevara politico e la sua Repubblica socialista di Cuba.
Come abbiamo accennato, già nel 1967, mentre le destre missiste osteggiavano Guevara e inneggiavano ai Colonnelli greci (pochi anni dopo, senza vergogna, inneggeranno a Pinochet), i veri fascisti ex combattenti della RSI, irriducibili nemici del missismo e di tutte le destre, presero netta e decisa posizione su Guevara, così come a favore del Vietnam, dei popoli arabi aggrediti dal sionismo e del popolo palestinese.
Tempo dopo i fascisti FNCRSI realizzarono anche il volantino qui in calce esposto comparando, non a caso, Mussolini e Guevara e prospettando appunto nel "Che" quel "giovane" che, aveva vaticinato Mussolini, avrebbe ripreso il messaggio rivoluzionario e universale del fascismo repubblicano.

Le menzogne del mondo borghese


Prima di riassumere le vicende di Guevara dal momento in cui decise di lasciare Castro e Cuba per incamminarsi nel suo ultimo cammino rivoluzionario, dobbiamo spendere due parole per denunciare e smascherare l'abietto tentativo del potere, dei suoi manutengoli e dei cretini e creduloni di turno, per smitizzare la figura del "Che", attraverso menzogne e imbecillità varie. Si da il caso, infatti, che il ribellismo rivoluzionario di Guevara, non è mai stato digerito né dagli americani, nè da tutte quelle classi e oligarchie che gli furono contrarie.
Il fatto che oggi, il consumismo e il capitalismo più speculativo, siano riusciti a mettere la sua effige sui prodotti di consumo, usandola come réclame, è un altro indice, non causale, della volontà di distruggere questo mito. Un mito che dà enormemente fastidio in vista della creazione di un potere mondiale assoluto e globalizzato che non deve avere reali opposizioni.
Si da il caso, però, che la scelta rivoluzionaria di Guevara, che lo portò a lasciare quella che poteva essere una prestigiosa carriera, gratificante di onori, ai vertici del governo cubano, per perseguire la dura e pericolosa strada delle rivoluzione antimperialista, dimostra da sola tutte le idiozie vomitate in questi ultimi anni, nel tentativo di distruggere il "mito" Guevara, accampando pretese inclinazioni alla vita borghese del "Che" adagiato nelle posizioni di potere raggiunte a Cuba.
Vili attacchi che si basano sull'accatto, spesso interessato o remunerato, di "ricordi" e "rivelazioni" di soggetti che spuntano dal nulla o dalle miserie della loro storia personale e che fanno il paio con le elucubrazioni di certi giornalisti benpensanti, autentici imbecilli, che mirano a tratteggiare il Guevara come l'esatto contrario del pacifista ed anzi un sanguinario torturatore.
Che Guevara non sia stato un pacifista (e per fortuna!) è un fatto acquisito e positivo, con buona pace dei pacifisti e dei benpensanti, ma non ha neppure senso che ci si sforzi di costruire ogni evento e situazione, magari con informazioni di seconda mano, se non false, per mostrare il "Guevara sanguinario", visto che stiamo parlando di un rivoluzionario, per anni impegnato in una guerriglia sanguinosa da ambo le parti e nella difesa, non certo facile, della rivoluzione cubana, avvenuta nella riserva di caccia americana e accerchiata da tutte le parti.
Insomma, siamo in presenza delle balorde "ricostruzioni" pseudo storiche, modello "History Channel", ovvero la storia rivista e manipolata ad uso e consumo dei tossico teledipendenti della società dei consumi. Non meritano di sprecarci altro inchiostro.

La bufala del Guevara ebreo

Poteva mancare una insinuazione sugli ascendenti materni di Ernesto Che Guevara, con la quale si voleva asserire che questi fosse figlio di madre ebrea e addirittura cugino del boia Ariel Sharon? No di certo, oltretutto una pacchia per gli imbecilli di destra che, una volta messa in giro, ci si buttarono subito a capofitto.
Questa bufala, neppure ci avrebbe toccato, se non per il fatto di un Guevara, che una volta scoperto di essere ebreo, avesse abbracciato la causa sionista e avesse cambiato idee sul ruolo imperialista e criminale di Israele.
Ma niente di tutto questo è vero.
La bufala ha inizio quando un quotidiano israeliano, il Maariv, ospitò un servizio nel quale si asseriva che: «la madre di Guevara, Cefalalia de la Serna, era in realtà un'ebrea russa sfuggita ai pogrom, il suo cognome originario sarebbe stato Sheinerman, sorella minore di Shmuel Scheinerman, padre di Ariel Sharon, emigrato in Palestina all'inizio del XX secolo».
Ai fini della bufala, ovviamente, si dice che Celia nascose sempre le sue origini, senza parlarne nemmeno al marito.
«Alla fine però, nel 1965, poco prima di morire, ella confidò il segreto al figlio Ernesto. Il "Che" stupito venne a sapere che, secondo la tradizione talmudica, essendo figlio di madre ebrea egli stesso era ebreo. Le rivelazioni della madre producono un vero e proprio sconvolgimento nell'animo del Che, che fino ad allora non si era mai interessato di Israele e degli ebrei; comincia a studiare accanitamente tutti i testi sacri, i libri e le documentazioni che può procurarsi d'ebraismo(informazioni del tutto inventate di sana pianta, N.d.R.)».
Cosicché, secondo questa telenovela, Guevara, scopertosi ebreo, partirebbe per l'Egitto, la Repubblica Araba Unita, dove rimarrà per una settimana fino al 24 di febbraio. Il 1° marzo ricompare nella Valle del Nilo, trascorrendo, così, in tutto due settimane in Egitto. Dove è che Ernesto Guevara, passa la settimana intermedia?
Risposta preconfezionata da parte dei bufalari:
«Nel 2007 sono stati declassificati alcuni importanti documenti CIA che dicono che il 24 febbraio, Guevara salpa dall'Egitto per Cipro e da lì raggiunge Israele calcando per la prima volta con i propri piedi la terra dei suoi avi. Guevara raggiunge Israele in incognito con lo scopo preciso di incontrare e stabilire relazioni personali e politiche con la famiglia dello zio Samuel. Scopre di avere un cugino di primo grado della sua stessa età. Ernesto Che Guevara non perde tempo e va a incontrare a Tel Aviv il fantomatico cugino: si tratta del generale Ariel Sharon comandante della Iª Divisione Corazzata di Tsahal!»
La bufala è così servita, anche se è buona solo per i gonzi on line di Internet, visto che non si citano, nè si mostrano questi fantastici documenti CIA.
La bufala ovviamente non regge: dalle stesse fonti israeliane non trova conferma e sarà, oltretutto, un autorevole storico e studioso israeliano, Efraim Davidi, tra l'altro autore di una biografia su Guevara, a smontarla.
Davidi dopo aver escluso che il servizio ospitato dal giornale Maariv abbia fondamento, precisa quello che già si sapeva ovvero che la madre del "Che" non aveva radici russe, bensì spagnole, certamente cattoliche.
Negli anni Sessanta, ha anche precisato Davidi, Guevara visitò in due occasioni (con l'assenso del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser) i campi profughi palestinesi di Gaza, suscitando grande entusiasmo: ma NON entrò in Israele.
Né fece mai parte, secondo Davidi, delle delegazioni ufficiali cubane che pure in quegli anni visitarono lo stato ebraico. Possibile, ritiene Davidi, che il testo bufala sia stato divulgato da ambienti nazionalisti russi, determinati a dimostrare legami fra 'l'ebraismo internazionale" e movimenti rivoluzionari.
Precisato questo, ci preme ricordare che proprio non molto tempo addietro, il deputato Mijael Ben Ari, ha dichiarato «Guevara fu un nemico del mondo libero, un comunista e un ateo la cui ideologia conduceva all'anarchia. In un discorso che pronunciò nell'ONU attaccò acidamente il mondo libero, ma il suo maggior attacco fu contro lo Stato di Israele. Nel mondo arabo Guevara si è convertito in un simbolo di lotta contro lo Stato di Israele, e che molti di quelli che lottavano contro i soldati di Israele a Bilin e Nilin (due paesi palestinesi nei quali si protesta ogni venerdì contro il muro di occupazione) portano la maglietta di quell'individuo».
Se ci riportiamo poi a quel marzo 1964, quando secondo i bufalari Guevara avrebbe abbracciato la religione ebraica e l'amore per Israele, il "Che", proprio il 26 marzo 1964, denunciava il supporto"imperialista" ad Israele.
E con questo tutti gli imbecilli sono serviti.

Breve riassunto storico biografico

Rievochiamo adesso, alcuni passaggi della lotta rivoluzionaria di Guevara dopo la meravigliosa impresa della liberazione di Cuba, e lo facciamo con la analisi, fatta proprio dai fascisti della Federazione nazionale combattenti della RSI, nella rivista "Corrispondenza Repubblicana" del novembre 1967:
«[Guevara], ministro dell'Economia e direttore della Banca Centrale, al temine della rivoluzione crede che la cosa più importante sia di costruire lo Stato socialista a Cuba.
È colui che dà maggior impulso alle nazionalizzazioni dei beni statunitensi, e per ciò che riguarda l'attuazione della riforma agraria tenta di impostare un sistema di incentivizzazione ideale, in contrasto in ciò con Fidel Castro che invece vuole degli incentivi di carattere economico.
Col maturare degli eventi, dopo il 1962, mentre si fa sempre più pesante il condizionamento sovietico, Guevara si scontra nelle sue teorie economiche con Fidel e con l'Unione Sovietica (del resto si rende ben conto che sovietici e americani, si scontrano sul piano tattico, ma sono concordi sul piano strategico di controllo del pianeta, N.d.R.).
Voleva spingere l'economia cubana su una strada di forte industrializzazione, ma l'appoggio sovietico presupponeva aiuti limitati per l'industrializzazione e una grossa produzione di zucchero da esportare nei paesi comunisti.
Guevara lascia il Ministero dell'Economia, perde completamente la sua fiducia nell'appoggio «rivoluzionario» dell'Unione Sovietica (parlerà molto raramente dell'URSS, ma questo silenzio, in una certa misura, è molto indicativo), comincia a fare viaggi in alcuni Paesi dell'Asia e dell'Africa.
Non crede più nel nazionalismo o «socialismo cubano» di Castro, ma comincia ad intuire un disegno più vasto.
Guevara lascia il Ministero dell'Economia, perde completamente la sua fiducia nell'appoggio «rivoluzionario» dell'Unione Sovietica (parlerà molto raramente dell'URSS, ma questo silenzio, in una certa misura, è molto indicativo), comincia a fare viaggi in alcuni Paesi dell'Asia e dell'Africa.
Non crede più nel nazionalismo o «socialismo cubano» di Castro, ma comincia ad intuire un disegno più vasto.
Nell'aprile del 1964 è ad Algeri a colloquio con Ben Bella. Il «radicale» Ben Bella che concepisce ben altri disegni che quelli rivoluzionari, orientato decisamente su una via riformista e tecnocratica e con in più un progetto di forti legami con il capitale americano, delude profondamente Guevara e gli conferma anzi la sua intuizione sulla logica fine di una rivoluzione a sfondo nazionale.
Ormai ha chiaro in mente che la lotta «anti-imperialista» non può che comprendere un vasto fronte internazionale se vuole avere qualche possibilità di vittoria.
Nei primi mesi del '65 tenta di organizzare la guerriglia nel Congo, ma questa volta è il materiale umano a deluderlo: le bande tribali del Congo non sono addestrabili per nessun tipo di lotta seria e con delle parole più o meno simili lascerà in breve il tentativo nell'Africa Occidentale.
Il viaggio a Pekino e l'esperienza del Vietnam sono quelle che più influenzano il «Che». La Cina aveva condotto tempo addietro un tentativo di collegamento della politica di alcuni Paesi del terzo mondo per tentare su queste basi una lotta internazionalista. Il fallimento del viaggio di Ciu En Lai in Africa aveva fatto scartare definitivamente questa idea, mentre la via della lotta nel Vietnam in una delimitata area di influenza, nella quale si potevano far sentire concretamente un appoggio economico e dei motivi di carattere nazionale e razziale, aveva portato la Cina a restringere l'orizzonte della sua politica, ma ad aumentare l'efficacia della lotta rivoluzionaria.
Il viaggio a Pekino non fece di Guevara un «cinese» come comunemente è dato di pensare, ma anzi fece maturare in lui la presa di coscienza della inutilità dell'internazionalismo a sfondo cosmopolita, e della validità della via delle lotte nell'ambito delle grandi aree nazionali.
Ecco il compiersi del lungo viaggio di Guevara. Da solo, mentre il castrismo aveva abbandonato la lotta, e i partiti comunisti ufficiali sotto la guida dell'esperienza sovietica si impegnavano sulla via politica subordinando a questa la guerriglia o addirittura, come nel Venezuela, tradendo i guerriglieri, egli gira l'America Latina nel tentativo di riallacciare le maglie della rivoluzione.
L'esperienza vietnamita che cerca di ripercorrere nell'America Latina è l'unica possibilità rivoluzionaria che possa attuarsi nella regione, ma è molto più difficile organizzare la lotta nel continente sudamericano che ai confini della Cina.
Il Vietnam ha grandi aiuti militari ed economici, i guerriglieri sono facilmente riforniti in continuazione e, nello stesso tempo, gli Stati Uniti sono costretti in quella regione ad agire con le mani legate avendo a che fare con delle possibili complicazioni che essi non desiderano e vogliono evitare (il bombardamento della Cina avrebbe come riflesso, quasi certamente, il colpo di stato militare nell'Unione Sovietica con la fine della distensione).
I pochi rivoluzionari sudamericani avevano comunque iniziato a dare grossi fastidi. In Bolivia era stata occupata una cittadina e nella regione di Vallegrande i rivoluzionari avevano cominciato ad avere un certo appoggio dalla popolazione locale. Nel Venezuela, in Colombia, nel Guatemala la lotta ha degli alti e bassi ma già è impossibile sradicarla.
Non crediamo che Guevara si facesse soverchie illusioni sui risultati immediati della sua azione, comprendeva bene le difficoltà che il movimento rivoluzionario aveva di fronte. L'importante era tenere deste le coscienze, dare un punto di riferimento per la rivoluzione, mettere in moto il piccolo motore. L'appello che lanciò nei primi mesi di quest'anno si chiude con queste parole:
«In qualsiasi posto ci sorprenda la morte sia essa benvenuta, purché questo nostro grido di guerra giunga ad un orecchio sensibile, e un'altra mano si tenda ad impugnare le nostre armi, e altri uomini si apprestino ad intonare il canto funebre con il crepitio della mitraglia e nuove grida di guerra e di vittoria».
(Corrispondenza Repubblicana N. 13 novembre 1967 - visibile in: http://fncrsi.altervista.org/).

L'ultima lettera del "Che" a Fidel
Fu ad Algeri, il 24 febbraio 1965, che Guevara intervenendo al "Secondo seminario economico sulla solidarietà afro-asiatica" tenne il suo ultimo discorso pubblico internazionale. Disse:
«In questa lotta fino alla morte non ci sono frontiere. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a quanto accade in ogni parte del mondo. Una vittoria di qualsiasi nazione contro l'imperialismo è una nostra vittoria, come una sconfitta di qualsiasi nazione è una nostra sconfitta (…). I paesi socialisti hanno il dovere morale di liquidare la loro tacita complicità con i paesi sfruttatori del mondo occidentale».
A Cuba ritornò il 14 marzo '65, accolto all'aeroporto dell'Avana da Fidel Castro e altre autorità.
Un paio di settimane dopo, di Guevara si persero le tracce.
Nell'ultima drammatica e bellissima lettera, scritta a Fidel (ci sono però dubbi che sia stata data integralmente), resa nota da Castro, questi esplicita le sue intenzioni rivoluzionarie e si "confida" davanti al vecchio amico e compagno di lotta.
Sarà forse un caso, ma parla di rivoluzione, Patria o morte, ma non cita la parola "comunismo" i cui paesi del socialismo reale, URSS in testa lo avevano profondamente deluso:
«L'Avana, Anno dell'agricoltura [31 marzo 1965],
 Fidel (...) Facendo un bilancio della mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente lealtà e dedizione per consolidare il trionfo della rivoluzione. Il mio unico errore di una certa gravità è stato di non aver avuto maggiore fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e rivoluzionario.
Ho vissuto giorni meravigliosi e al a tuo fianco ho provato l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi. Poche volte come in quei giorni uno statista ha brillato tanto; e sono orgoglioso anche di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare, di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi. Altre terre del mondo reclamano il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare ciò che a te è negato per le tue responsabilità alla direzione di Cuba, ed è giunta l'ora di lasciarci.
Facendo un bilancio della mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente lealtà e dedizione per consolidare il trionfo della rivoluzione. Il mio unico errore di una certa gravità è stato di non aver avuto maggiore fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e rivoluzionario.
Ho vissuto giorni meravigliosi e al a tuo fianco ho provato l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi. Poche volte come in quei giorni uno statista ha brillato tanto; e sono orgoglioso anche di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare, di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi.
Altre terre del mondo reclamano il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare ciò che a te è negato per le tue responsabilità alla direzione di Cuba, ed è giunta l'ora di lasciarci (...)
Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l'imperialismo ovunque esso sia; ciò riconforta e cura ampiamente qualsiasi lacerazione. Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l'imperialismo ovunque esso sia; ciò riconforta e cura ampiamente qualsiasi lacerazione (...).
Che ovunque andrò, sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come tale agirò. Che non lascio a miei figli e a mia moglie niente di materiale, ma ciò non mi preoccupa e mi rallegro che sia così. Che non chiedo nulla per loro, perché lo Stato darà loro quel che è sufficiente per vivere ed istruirsi.
Avrei molte cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che non sono necessarie: le parole non possono esprimere ciò che vorrei e non vale la pena di imbrattare altra carta. Fino alla vittoria sempre. Patria o Morte!         
Ti abbraccio con tutto il fervore rivoluzionario. Che».


Questa invece la sua lettera ai figli


Anche qui (Guevara sposatosi due volte ebbe 5 figli) più che presupposti comunisti vi troviamo forti impegni e tensioni ideali:
«Ai miei bambini, Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto.
Se mai leggerete questa lettera, sarà perché non sono più con voi. Non vi ricorderete quasi più di me, e i più piccoli non mi ricorderanno affatto.
Vostro padre è stato un uomo che si è comportato secondo il suo credo, ed è stato pienamente fedele alle sue convinzioni.
Crescete da bravi rivoluzionari. Studiate tanto e imparate a usare la tecnologia, che ci permette di dominare la natura. Ricordatevi che la rivoluzione è quello che conta, e che ognuno di noi, da solo, non conta niente.
Ma più di ogni cosa, imparate a sentire profondamente tutte le ingiustizie compiute contro chiunque, in qualunque posto al mondo. Questa è la qualità più importante di un rivoluzionario.
Per sempre, bambini miei. Spero comunque di rivedervi.
Un grosso bacio e un grande abbraccio, Papà».
Cosicchè, dopo un certo peregrinare alla ricerca di realtà rivoluzionarie, Guevara finisce in Bolivia. Probabilmente vi è anche un segreto accordo tra lui e Fidel, a cui il "Che" è sempre legato, ma il capo di Stato cubano, non può compromettersi troppo.
Il resto è noto: il fallimento della guerriglia in Bolivia, la cattura e la morte.

Il "Che" immolato a Jalta e fregato dai "compagni al caviale"

Considerando il mancato sostegno che venne negato a Guevara dal partito comunista boliviano" (Mario Monje, segretario del PC boliviano, lasciò il "Che" senza contatti nella zona inadatta per una guerriglia in cui pur lo aveva mandato) e la posizione di non appoggio che dovette assumere Castro, possiamo ben dire che Guevara fu una vittima sacrificata a Jalta, alla spartizione del mondo in due sfere di influenza USA-URSS e gli accordi segreti per la "coesistenza pacifica" tra loro.
Ma non indifferenti sono state anche le valenze negative, e le sicure delazioni, che poterono venirgli da tutti quegli ambienti europei di "comunisti al caviale", falsi rivoluzionari, editori e noti gli intrufolamenti, esterni ovviamente, tra gli ambienti della guerriglia di Guevara del regista francese, pseudo comunista, Règis Debray, che sarà anche collaboratore di Mitterand, ovvero della sinistra francese massonica), altri benestanti neo radicali o pseudo comunisti e le solite logge massoniche, con epicentro a Praga (reduce dalla Tanzania, Guevara si fermò a Praga, al tempo nell'area di Mosca, ma da sempre tempio di Logge massoniche), tutti ambienti che al tempo "cavalcavano" l'immagine rivoluzionaria di Guevara, un mito che purtroppo tornava utile anche per alimentare certe strategie della tensione a livello internazionale (non è un caso che il mito di Guevara sia stato agitato più che altro dai movimenti trotsckisti, nella loro polemica con l'URSS e come sappiamo inquinati da centrali di intelligence statunitensi e sioniste).
Ma un sostegno indiretto a Guevara in quegli anni '60, tornava utile anche a certe forze che avevano interesse a destabilizzare la vecchia Amministrazione americana al fine di conseguire un passaggio dei poteri, che poi avverrà con il Watergate, in favore di lobby finanziarie, ma non solo, che poi non lasceranno più il controllo degli Stati Uniti.
Dopo il Watergate, infatti, si esaurirono tutte le forme contestative, anche perché venne meno ogni appoggio trasversale (interessato), si spense tutta la contestazione alla guerra nel Vietnam, il ribellismo, le rivolte razziali, le proteste musicali, la filmografia impegnata in opere di contestazione, ecc.
Insomma è noto che nella storia, quando si verificano fenomeni di rivolta, c'è sempre qualche forza, qualche potere, che segretamente cerca di utilizzarli ai propri fini. Lo stesso, ad esempio, accadde alla Brigate Rosse in Italia, che più di una volta ricevettero l'invito degli israeliani per aiuti e sostegni. Anche Guevara non poteva sfuggire alla condizione che il suo operato, poteva, transitoriamente e indirettamente, tornare utile a qualcuno. Di certo però chi controllava una certa sinistra, al caviale o massonica, o trotschista, agitava anche Guevara per turpi interessi, che i militanti ovviamente non potevano percepire. Le collusioni con i Servizi, con le Intelligence occidentali, con le massonerie, non sono un fenomeno che riguarda solo la destra, anche se a destra è talmente diffuso da coinvolgerla praticamente tutta.

Il martirio di Guevara


L'8 ottobre 1967 Guevara ferito viene catturato da forze anti-guerriglia dell'esercito boliviano, coadiuvate da forze speciali statunitensi, a La Higuera, nella provincia di Vallegrande (Bolivia). Il 9 ottobre Guevara venne ucciso nella scuola del villaggio e poi gli amputarono le mani.
Aveva 39 anni essendo nato a Rosario, in Argentina il 14 giugno 1928.
Il suo cadavere venne ritrovato solo nel 1997 e fu portato nel Mausoleo di Santa Clara di Cuba.
Al di là di alcune diverse vedute nella visione della vita e del mondo, noi fascisti repubblicani rivendichiamo il Che Guevara in tutto e per tutto senza sé e senza ma.
Hasta siempre, Comandante!

Maurizio Barozzi    


Nessun commento:

Posta un commento