di Rosalba Valente
Come un giglio lacerato in mezzo ai rovi.
Piccolo mio, in nome dell’infanzia maltratta, la tua agonia durata due lunghi interminabili anni sta per finire stai per entrare nella gloria al cospetto del Cristo Risorto, al cospetto della tua diletta mamma che hai amato, così tanto da subire ogni martirio in silenzio, senza emanare un lamento per timore che ti sentisse e si affliggesse per la tua sorte .
Credevi che fosse ancora nella prigione sopra la tua cella ma era già morta decapitata da tempo e conosceva il tuo martirio e così pure tuo padre.
Caro figlio, ti hanno visto e udito quando ti costringevano a cantare versi osceni “sulla puttana austriaca” e “sul porco raccorciato” .
“Ognuno ha dei genitori da onorare” rispondesti rifiutando di cantarle.
Fosti punto: ti fu lanciato addosso la paletta del camino.
Contuso in silenzio ti rifugiasti sul tuo letto pregando …
Grave errore quando imperversa l’ateismo per il tuo Gesù e imperversa il culto dell’Essere Supremo!: Ricevesti addosso una bacinella di acqua fredda .
Era inverno, era sera, rannicchiato sul tuo cuscino, l’unico posto asciutto , non ti fu concesso questo asilo per la notte.
A colpi di frusta fosti costretto a passare tutta la notte tremolando nel freddo letto bagnato.
Mille e mille di questi episodi dovesti attraversare , in ogni giorno dei tuoi otto anni, sotto la tutela del tuo carceriere che doveva rieducarti ai principi di libertà e uguaglianza della gloriosa Repubblica.
Ma tu venisti al mondo generato dal “tiranno” , doveva farti scordare che nascesti nella stirpe secolare di Re.
Grave colpa avesti in questo! “Che volete che ne faccia”, chiese il tuo maestro ai padroni della Francia, seduti nella “Montagna” , quando fu scelto per educarti.
Nella minuta di Sénar, è la risposta: “Non è stato ucciso, non è stato deportato, ce ne siamo disfatti.”. “Sono qui per comandarti, animale!”, la risposta arrivò puntuale quando chiedesti perché, perché ti trattava con tanta brutalità quando non avevi fatto niente di male.
Amare lacrime soffocate nel silenzio, imparasti a non proferire che un sì o un no ma se sceglievi male la sillaba, i colpi raddoppiavano e allora provasti a tacere del tutto e sbagliavi ancora!: sollevato da terra afferrato per i capelli “maledetta vipera, mi viene voglia di sfracellarti contro il muro” una parola la dovevi proferire, altroché la supponenza di non rispondere!
Tremare, tremare, tremare di angoscia, è stata le giornaliera razione che ha nutrito il sentimento.
La tua firma stentata, tremolante, tumefatta , Oh! Che cambiamento dalla scuola di tuo padre nei primi mesi di prigionia!
Era fluida tracciata nel conforto.
Un ultimo atto terribile ti spettava: firmare l’accusa per la condanna a morte di tua madre.
Non ne sapevi niente di incesti o più semplicemente di atti sessuali.
Fu tutto scritto in anticipo dall’ufficiale di Parigi Herbert, presente il sindaco Chaumette … era indispensabile la tua firma per il sabato 21 settembre 1793 su quella prova d’accusa.
Per una intera settimana il tuo carceriere ti preparò a tracciarla, tuo malgrado: ingozzato e ubriacato per un giorno, a digiuno e a sete per due giorni, poi di nuovo ingozzato e ubriacato , e ancora a digiuno.
Eri pronto, nell’ebbrezza, nello scompiglio organico, nella debolezza totale per eseguire la traccia “Louis Charles Capet” senza pensare, senza capacità di comprendere o di resistere.
Intuisti solo, circondato da adulti impietosi e su di te onnipotenti, che qualcosa di terribile accadeva : la tua firma era trasfigurata, sudava sangue come il viso nel Getsemani.
Essa, per sempre, testimonia i tremori di terrore e la deriva motoria della coscienza spezzata ed ebbra.
Essa prefigura la decapitazione di tua madre. Così è stato. Non lo saprai mai durante il tuo inferno in terra.
Questo tormentoso soggiorno forse finisce, forse viene la fine del tuo supplizio con l’uscita del tuo padrone dal Tempio.
Forse la tua salute alterata, il tuo morale spossato, le tue forze esaurite … forse la tua guarigione …
Ma che! Dalla compagnia bruta all’essere seppellito vivo ti spetta.
E’ colpa tua se sei re senza saperlo.
E’ colpa tua se in Vandea combattono in nome di Luigi XVII “Per Dio e per il Re” .
E’ colpa tua se i governi tutti, in Europa, ti riconoscono il XVII della dinastia regnante in Francia.
E’ colpa tua se il Re non muore mai, neanche dopo decapitato.
La Repubblica non può permettere, piccolo intrigante, che la tua esistenza metta a repentaglio la conquista rivoluzionaria.
Tu devi sparire, la tua esistenza va cancellata!
Si ersero muri a tutte le entrate della tua camera, anche all’apertura che dava accesso alla latrina nella torre del Tempio.
La tua finestra, tanto in alto, già con possenti barre, fu chiusa alla luce e all’aria: ci inchiodarono pannelli di legno . Non si sa mai, ti fosse venuto di gridare nella disperazione dell’isolamento
Non sapevano che da tempo ormai eri sprofondato nell’abisso del silenzio, avevi compreso che per te, ovunque ti girassi, ovunque ti rivolgessi, salvezza non c’era
Non si mai che, nel trambusto ovunque in Francia e in Europa contro la Convention, si fosse tentato di liberarti … dopo tutto la Francia aveva appena affermato l’era della libertà!
Non importa che tuo padre, quattordici anni prima, aveva imposto e fatto costruire a proprie spese “finestre più grandi e adeguatamente arieggiate nelle prigioni, con infermerie”. L’aveva imposto, era una modalità tirannica!
Ironia nella tua sorte: Atroce calcolo? Fatale coincidenza? : Iniziasti il tuo cupo isolamento il 2 Pluvioso Anno II della Repubblica una e indivisibile, il 21 gennaio 1794, esattamente lo stesso giorno in cui, tuo padre saliva sul patibolo, l’anno precedente.
Ti liberasti dai maltrattamenti per essere seppellito nella disperazione della solitudine continua, fino al 27 luglio, fino alla caduta dell’incorruttibile Robespierre.
Per più di sei mesi! Ma per te non esistevano più ne date ne anniversari; l’anno, i mesi, la settimana, tutto era confuso nella tua mente.
Credesti di entrare al riparo dagli uomini, entrasti nel tormento del tempo che non passa mai, nella penombra tenace.
Qualcosa accadeva: ogni due ore, durante la notte come di giorno, in ogni santo giorno, con fracasso assordante i chiavistelli dell’anticamera della tua cella si aprivano, un grido: “Capeto ! Rispondi, vieni qui “. “Si, signore, eccomi “. “vatti a ricoricare” intimava la voce ogni volta diversa.
Chi può dire l’angoscia, il freddo al cuore, i pianti soffocati, in questo incubo spaventevole incessante in cui non è dato nemmeno di vedere la mano che consegna la brodaglia guarnita di alcune lenticchie, attraverso la piccola nicchia girevole!
Chi può narrare le tue lotte contro i mostri invisibili al confine tra la ragione e la demenza generati dall’ interminabile isolamento?
Una solitudine più pesante del piombo, nel tuo cuore di nove anni; privato di ogni occupazione, di una qualsiasi lettura o di un qualsiasi giocattolo od oggetto o di una parola che potesse svegliare il tuo orecchio, svagare la tua mente.
E quando, la sera, le tenebre scacciano la penombra, oh!, chissà le ore di tormento prima del sonno!
Oh! La febbre dolorosa di riflessioni amare!
Chi può raccontare la tua paura scura come la notte fonda, i sussulti del perenne senso di pericolo, i fantasmi inafferrabili del costante senso di minaccia.
Così di giorno in giorno se n’è andata la tua energia, la vita fiaccata dai traumi si andò esaurendo in un respiro oppresso, lo spirito si annebbiò.
L’eccesso delle sofferenze esaurì lacrime, preghiere e disperazione, tutto era finito. Non restò più che una mente disorganizzata e un corpo roso di piaghe sul materasso di paglia vecchia, in pasto alle pulci ; un tumore al ginocchio destro e uno al polso sinistro, rachitismo: lunghe membra, tronco ridotto, riversamento nella pleura, peritonite acuta. Fa male tanto ma la fioca energia non è sufficiente per emanare un lamento. E a che serve!?
Ti sentisti dire “Ce ne sono tanti che crepano e che sono più necessari di lui!”.
10 Termidoro dell’Anno II della Repubblica (28 luglio 1794).
La Francia porta addosso la spossatezza della ghigliottina che ha lavorato, su e giù , per decine di volte per ogni giorno in troppi mesi, da quell’ attonito 21 gennaio 1793.
Il grosso del lavoro si compie: 73 esecuzioni. Si annienta la “Montagna” .
Robespierre fu. Con lui i suoi accoliti, fra cui il calzolaio Antoine Simon, il tuo impietoso carceriere.
Al carro che li conduceva al patibolo, in mezzo alla folla ululante di rabbia, si fece largo con forza e si accostò un giovane vestito con distinzione; considerò per alcuni istanti Robespierre nell’abito che portava il giorno della festa dell’Essere Supremo, la mascella fracassata , un occhio che gli pendeva verso la guancia, gli si avvicinò al viso e gli dichiarò imperiosamente: “Sì, Dio esiste!”.
Quel giorno stesso furono tolte le barriere che ti murarono vivo.
Troppo tardi. “Voglio morire” dichiarasti quando ti chiesero perché non hai preso il cibo da giorni.
Alcuni mesi ancora, si prese la tua debole vita prima di liberarti.
La luce, l’aria, il rispetto per la tua integrità giunsero impotenti, oramai.
Ti ha voluto bene il tuo ultimo carceriere, Gomin. Egli ha raccolto i tuoi ultimi momenti di vita e ci li ha tramandati:
“Spero che non soffrite in questo momento” – “Oh! Sì, soffro ancora, ma molto meno: la musica è così bella!”
Ora non si suonava nessuna musica ne nella torre ne al di fuori, nessun rumore arrivava in quella camera che accoglieva la morte.
“Da che parte udite questa musica” – “Da lassù!”- “Da quanto tempo?” – “Da quando siete in ginocchio. Non avete sentito? Ascoltate ! Ascoltate! “ E sollevasti con un movimento fremente la mano tremula, aprendo grande gli occhi illuminati dall’estasi.
Ti volle lasciare questa suprema gioia, il tuo guardiano, si atteggiò all’ascolto con pietoso desiderio di ascoltare ciò che non poteva udire.
Dopo alcuni istanti trasalisti di nuovo, scintillarono i tuoi occhi, in un trasporto indicibile la rivelazione: “In mezzo a tutte le voci, ho riconosciuto quella di mia madre!” Questo nome sulle tue labbra, orfano, sembrò toglierti ogni dolore. Il tuo sguardo irradiava la serenità della certezza. liberazione e vittoria. Captato da uno spettacolo ai vivi invisibile, l’orecchio aperto al cantico lontano che l’orecchio terreno non percepisce, sentivi sbocciare nella tua giovane anima una esistenza tutta nuova.
La tua pupilla errava lentamente nel vago e poi si fissava sulla finestra. Non rispondevi su cosa ti teneva occupato verso di là.
Lasne entrò a sostituire Gomin che non prevedeva ancora la tua fine prossima, da questo mondo.
Lasne si sedette sul letto. Lo fissasti a lungo “Credi che mia sorella abbia sentito la musica? Come gli avrebbe fatto del bene!”.
Non ne sapeva niente, Lasne, per rispondere.
Slanciasti il tuo sguardo del morente, avido verso la finestra.
Un grido di gioia guardando Lasne: “Ho una cosa da dirti …” Principe, poggiasti la testa sul petto del guardiano che ascoltò invano.
Dio volle tenersi per sé solo la tua ultima confidenza.
Erano le due e un quarto del pomeriggio del lunedì 8 giugno 1795.
Tu piccolo martire di 10 anni, sei il protettore dell’infanzia maltrattata.
Da 219 anni tu sei la consolazione del bambino martoriato. Nessuno lo sa ma comunque ci sei.
Autore: Rosalba Valente
Quello che ho raccontato è tutto vero. E' la reale sorte toccata a Luigi XVII di Borbone Francia. Per un anno intero ho cercato di conoscere che fine avesse fatto e ho trovato. Il suo cuore, rubato durante l'autopsia, dopo vari passaggi lungo due secoli, si trova ora in una teca a Saint-Denis, a Parigi. Nel 2010 l'esame del DNA, con i resti di Maria- Antonietta sua madre e di suo padre Luigi XVI hanno fugato ogni dubbio.
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