venerdì 30 agosto 2013

GLI AMERICANI E LA TERRA


Tratto da : “L’America degli americani” 
di John Steinbeck

E' stupefacente lo spirito selvaggio e la sconsideratezza con cui i primissimi coloni hanno affrontato l’America, paese quanto mai ricco.
Essi vi sbarcarono come se fosse il nemico , il che naturalmente era vero.
Bruciarono le foreste e cambiarono le precipitazioni piovose; scacciarono i bisonti dalle pianure, inaridirono i fiumi, incendiando i pascoli e calarono colpi di accetta sul vergine legname delle foreste. Forse pensavano che questo legname fosse illimitato, che non si potesse mai esaurirlo e che un uomo potesse continuare all’infinito a procedere oltre verso nuove meraviglie.
La gran parte delle genti arrivate nei primi tempi saccheggiarono il continente come se lo odiassero, come se dovessero restarci temporaneamente o potessero esserne scacciate in qualunque momento.
Questa tendenza all’irresponsabilità continua ancor oggi in molti americani.
I fiumi sono inquinati dai rifiuti industriali e dagli scarichi delle fogne, l’aria delle città è sudicia e pericolosa a respirare dal vomito incontrollato di prodotti della combustione del carbon fossile, del carbone comune, del petrolio e della benzina. Le città sono circondate da una cintura di rottami e di rifiuti dei loro giocattoli, cioè le loro automobili, i loro divertimenti in scatola. Con una vaporizzazione sfrenata contro un solo nemico, hanno rotto l’equilibrio naturale che la sopravvivenza richiede. Tutti questi mali possono e devono essere eliminati se l’America e gli americani vogliono sopravvivere, ma molti di loro si comportano, ancora, come i loro antenati, rubando al futuro il loro profitto limpido e attuale.
Coloro che inquinano i fiumi e avvelenano l’aria si presume che siano gli eredi dell’antica
convinzione che il cielo e l’acqua non siano proprietà di nessuno e inoltre siano del tutto illimitati.
Quando i primi coloni sbarcarono in America e si addentrarono lungo la costa, si raccolsero in villaggi chiusi dal mare da un lato e da una serie infinita di foreste dall’altro, per difendersi dai Pellirosse, cosa ancor più terribile, dal mistero di una terra sconosciuta che si stendeva nessuno sapeva fin dove. E per un certo tempo pochissimi si curarono o ardirono scoprirlo.
I primi americani si organizzarono e vissero in uno stato di vigilanza militare; ogni comunità costruì il suo fortino a propria difesa. Per legge gli uomini andavano armati e costretti a tenere le loro armi pronte e a portata di mano. Molti di essi indossavano armature costruite sul posto o anche importate; sulla costa atlantica portavano la corazza e l’elmo e gli spagnoli, sulla costa del Pacifico, indossavano un’armatura d’acciaio e di cuoio pesante per difendersi dalle frecce.
Sulla costa atlantica ed in particolare nella Nuova Inghilterra, i coloni coltivavano delle strisce di terra vicino alle loro comunità e alla sicurezza. Ognuno era in servizio permanente di difesa del proprio villaggio e della propria famiglia; perfino i gruppi che andavano a caccia penetravano nelle foreste in forza, più come incursori che come cacciatori, e gli scontri susseguenti con gli indiani, culminanti in scorrerie e perfino massacri, ci fanno notare che il pericolo era reale. Un uomo portava con sé il fucile quando andava a coltivare la terra e le donne restavano in vicinanza delle loro case dalle mura molto spesse, giorno e notte in attesa del segnale d’allarme. I villaggi che i coloni fondarono erano permanenti e la maggior parte di queste comunità sussistono ancor oggi, con le loro registrazioni d’incursioni indiane, di massacri, di scotennature e contro- incursioni punitive. Il capo militare della comunità divenne l’autorità principale in periodi di torbidi e passò molto tempo prima che il pericolo diminuisse e si potesse esplorare il mistero.
Dopo un certo periodo di tempo i coloni cominciarono a spingersi a casaccio verso occidente per cacciare, mettere le loro trappole e alla fine trattare per le pellicce, che erano il bene negoziabile più prezioso che l’America producesse per il commercio e l’esportazione. Poi furono stabiliti centri di scambio come punti di raccolta e gli uomini delle partite di spedizione risalirono e scesero lungo il corso dei fiumi e varcarono le montagne, strinsero amicizia per reciproco profitto con gli indiani, appresero le tecniche di quel mondo selvaggio e solitario, così che questi commercianti –esploratori in breve cominciarono a vestirsi, a mangiare e a condursi in generale come le popolazioni indigene che li circondavano.
Però il sospetto continuava a durare, alimentato da scontri e imboscate che spesso divenivano guerra vera e propria; ma ormai questi americani si battevano, seguivano piste, attaccavano e si difendevano esattamente come facevano gli indiani e si spinsero perfino a scotennare i nemici vinti.
Per parecchio tempo gli americani furono soprattutto viaggiatori, che scorazzavano nel Paese per raccoglierne le cose più preziose, ma con poca intenzione di restarvi; il loro cuore era radicato nelle cittadine che si venivano sviluppando lungo la costa atlantica.
I pochi che restarono, rimasero a vivere con gli indiani, ne adottarono le usanze e alcuni che avevano sposato donne indiane furono considerati come esseri bizzarri e in un certo qual modo col tradimento annidato nel cuore. Quanto ai loro figli mezzosangue, mentre la tribù talvolta li adottava, erano considerati inferiori dalle comunità dei bianchi.
Quindi lo stillicidio d’immigrati cominciò a diventare un fiume, e la popolazione cominciò a trasferirsi verso occidente, per fissarsi stabilmente, almeno così pensavano. 
I nuovi arrivati erano di ceppo contadino e le loro radici erano in Europa, dove quegli uomini non avevano mai posseduto una terra, dato che il possesso di terra era la prerogativa e la prova di una più elevata classe sociale. In America quegli uomini trovarono terre magnifiche e sconfinate ed essi le occuparono.
Abbatterono e bruciarono le foreste per fare posto ai loro raccolti e dimenticarono le
attenzioni nei confronti della terra per conservarne l’utilità.
Dopo aver mietuto un raccolto su un pezzo di terra, si trasferivano più avanti, devastando il Paese come invasori veri e propri. Lo strato superficiale del suolo, trattenuto dalle radici e concimato dalle foglie cadute rimase indifeso sotto le inondazioni, eroso e denudato con gli spuntoni d’argilla e di roccia affioranti. La distruzione delle foreste mutò le precipitazioni piovose, perché le nubi in disperata ricerca non potevano più trovare boschi verdi e ben disposti che le attraessero per mungerle di tutta la loro umidità.
Lo spietato Ottocento fu come una spedizione ostile che si dedicasse a un saccheggio, che aveva tutta l’aria di essere illimitato.
Innumerevoli quantità di bisonti furono ammazzati, scuoiati e lasciati poi a marcire, con l’eliminazione, in tal modo, di una riserva di cibo permanente. Peggio ancora, la distesa delle Great Plains, le immense pianure ai piedi delle Montagne Rocciose, furono derubate del concime lasciato dai branchi di bestiame. Quindi intervennero gli aratri e strapparono lo strato protettivo delle lunghe erbe che alimentavano i bisonti, aprendo il suolo indifeso all’irrompere delle acque e alla siccità che si stabiliva lentamente, oltre che ai venti dannosissimi che spazzavano la Great Central Plains. Vi sono sempre state in America più regioni desertiche di quanto occorressero e i nuovi coloni ne hanno create di nuove.
Poi le ferrovie portarono nuove orde di uomini affetti dalla follia della terra e i nuovi americani si sparsero come locuste attraverso il continente finchè il mare occidentale stabilì una barriera ai loro movimenti. Il carbone, il rame e l’oro li attrassero ulteriormente; quegli uomini infierirono sulla terra, setacciarono e dragarono i fiumi alla ricerca di oro fino a ridurli scheletri di sassi e di detriti.
Un governo pavido emanò leggi per la distribuzione delle terre pubbliche: un quarto a testa, vale a dire sessanta ettari, e il diritto all’assegnazione aveva bisogno di prove e controprove, ma vi erano dei modi per aggirare quelle difficoltà e legalmente per giunta. E molti ne approfittarono. Una delle maggiori famiglie latifondistiche della California si prese le tenute più ricche mediante un raggiro. Per legge, un uomo si poteva prendere tutta la zona paludosa, o la terra ricoperta d’acqua che voleva. Il fondatore di questa immensa tenuta montò una chiatta su quattro ruote e spinse i suoi cavalli per alcune migliaia di ettari di terra dal fondo migliore, e poi riferì d’aver esplorato tutte quelle terre in barca, il che era vero e confermò il suo diritto a quelle terre. Steinbeck non fece mai il nome di quella famiglia perché i suoi discendenti vivono ancora e se lo ricordano.
Troppo tardi gli americani si accorsero che il continente non si estendeva all’infinito; c’erano limiti alle infamie a cui potevano assoggettarlo.
Dopo aver massacrato le balene, spazzato via le lontre marine e la maggior parte dei castori, i cacciatori di mestiere si dedicarono agli uccelli, anitre e quaglie furono decimate e il colombo viaggiatore eliminato. Le sardelle della costa del Pacifico erano un tempo la materia prima per una grande industria durevole. Lo scrittore ricorda di aver visto, da giovane, il fucile di un cacciatore di mestiere, uno schioppo con triplice mirino affrancato ad un telaio e carico fino alla bocca di chiodi a mitraglia; puntato contro un lago e tirato il grilletto con una funicella, quello schioppo massacrava ogni creatura vivente che si trovasse su quel lago.
Le grandi foreste di abeti rossi delle montagne dell’Ovest attrassero presto l’attenzione dell’uomo e si scoprì che avevano un grande valore commerciale. I taglialegna attraversarono le grandi boscaglie come una diga, abbattendo le cime di quegli alberi, alcuni dei quali avevano oltre due millenni, senza lasciare un solo germoglio, una sola pianticella, un solo seme su quelle alture denudate.
Fin dai primordi, gli americani rimasero colpiti ed ammirati dagli aspetti fantastici della natura, come il Grand Canyon, lo Yosemite e lo Yellowstone Park. Gli indiani li avevano riveriti come luoghi sacri, visitati dagli dei. Le fonti di energia scoperte in questi ultimi tempi spargono l’inquinamento nel territorio americano, così che fiumi e corsi d’acqua stanno divenendo tossici e privi di vita. Gli uccelli muoiono per mancanza di cibo; sopra le città incombe una nuvola mortale che brucia i polmoni e arrossa gli occhi. Quasi ogni giorno aumenta l’incubo del danno fra gli americani. Non si accontentano più di distruggere il loro caro paese, sono lenti ad imparare.
Ma l’America è un popolo esuberante, incauto e distruttore, come bambini in azione. Creano strumenti forti e potenti e poi li devono usare per dimostrare che esistono.
Sotto la pressione della guerra, sono alla fine riusciti a creare la bomba atomica e per ragioni che parvero giustificabili in quel periodo la gettarono su due città giapponesi, ed allora finalmente furono colti dallo sgomento.

Tratto da : “L’America degli americani” di John Steinbeck
http://rsicontinuitaideale.blogspot.it/2013/08/di-ercolina-milanesi-i-miei-studi_29.html



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