mercoledì 16 gennaio 2013


Rutilio

Rutilio Sermonti


Oggi pubblichiamo volentieri uno scritto del Maestro Rutilio Sermonti. Una analisi lucida ed accurata di come siamo arrivati alla attuale “civiltà”… moderna. Per chi esita nella lotta, o decisamente non lotta, consiglio di imprimere nella mente le parole che ho evidenziato nello scritto. Buona lettura. A.P.
Tutti sappiamo bene, e cerchiamo di convincerne gli altri, che lo stato di estremo degrado della c.d. società moderna, che la rende ormai del tutto insostenibile sia dai popoli che dall’ecosfera, è conseguenza soprattutto del degrado dell’umanità. Se così non fosse, non si spiegherebbe come miliardi di esseri umani sopportino di essere umiliati, vessati e dissanguati da una ristretta casta di spregevoli usurai, superiori a ogni legge.
Se abbiamo deciso di votare la nostra vita alla lotta contro tale infamia, non possiamo quindi limitarci agli atti di accusa contro i responsabili di questa o quella ingiustizia o disfunzione, e tanto meno formulare proposte di rimedi a una classe politica per cui le cose stanno benissimo come sono. Occorre avere ben chiare le cause prime di quel degrado umano e studiare come cancellarle. Non siamo così sciocchi da pensare che si possa ingranare alla storia la retromarcia, ma si può – individuando le cause del male – cercare di invertire, in termini attuali, le nefaste tendenze, iniziando la risalita.
Con la presente comunicazione, intendo sottoporvi le mie conclusioni, in gran parte ricavate dal vostro pensiero.
Il fatale errore, l’autentico “peccato originale”, dal quale, gradualmente ma inevitabilmente, è cominciata la caduta, va collocato all’inizio del Neolitico, circa un centinaio di secoli addietro.
Va tenuto presente che la moderna suddivisione “tecnologica” della preistoria fa del Paleolitico (e dell’Alitico- senza pietra), nella coscienza popolare, una premessa rozza del Neolitico, e invece i primi coprono, cronologicamente, la quasi totalità della presenza dell’Uomo sulla Terra, mentre Neolitico e storia sommati non ne coprono che 1/200, o giù di li. Dalle loro origini tuttora misteriose, che sempre più si perdono nella lontana notte dei tempi, gli Uomini e le loro spontanee aggregazioni, a somiglianza di tutti gli altri esseri viventi, provvidero a soddisfare le loro materiali esigenze di vita e riproduzione con la dotazione propria della loro specie (rilevanti, tra gli Uomini, intelligenza e versatilità). L’”economia” di sempre fu quindi quella diretta, ossia “autarchica”: unica naturale. Fino a tutto il Paleolitico, lo “scambio” ebbe solo carattere di dono, o marginale (limitato a certe materie rare e non ubique, come l’ossidiana). Patrimonio di ogni persona, come di ogni gruppo, erano solo le proprie capacità, e ciò creava un continuo impegno ad aumentarle con l’esercizio. E’ noto come con quell’esercizio si siano raggiunte dai nostri “selvaggi “antenati vette tali da apparire oggi incredibili.
Solo col Neolitico fu compiuto il passo fatale: la specializzazione. Tutto fu all’insegna della praticità, della comodità e della qualità dei prodotti, criteri apparentemente lodevoli, e, con essa, nacque l’”economia di scambio”, che prese subito il sopravvento, spazzando via la precedente. Diffondendosi la prassi di dedicarsi, ciascuno, al sopperimento di una sola delle esigenze umane, ma continuando ognuno ad averle tutte, il “produttore” doveva necessariamente, per le altre, “scambiare” i propri manufatti con quelli di molti altri specialisti. Era del tutto conseguenziale. A titolo di esempio: il fabbisogno di aghi di osso per cucire, da parte dello specialista nella confezione di detti aghi, non era superiore a quello di qualsiasi altra famiglia, e quindi del tutto trascurabile rispetto alla massa di altri fabbisogni, per i quali egli doveva necessariamente scambiare i propri aghi con qualcos’altro. Persino per l’uso dei propri aghi, l’autarchia familiare fu in seguito sostituita dal ricorso a specialisti in perfette cuciture (sarti). Scambio di beni e di servizi, si disse.
Il sistema specializzazione-scambio permise così di disporre di manufatti più raffinati e funzionali dei precedenti. Ma ebbe, già di per se, due conseguenze negative che, pur essendo prevedibili, nessuno previde. La prima fu che gli specialisti, dedicandosi a una sola attività, e quindi esercitando solo alcune delle proprie attitudini, finiscono con l’atrofizzare le altre e ipertrofizzarne poche; divengono così esseri disarmonici (deformazione professionale), e anche le loro concezioni di vita tendono a deformarsi. Anche la versatilità -virtù naturale dell’Uomo- comincia ad abbandonarlo. La seconda fu che lo scambio diretto apparve subito ben di rado possibile e agevole. L’abile fabbricante di lame per ascia, abbisognando di un vaso, non solo doveva cercare uno specialista vasaio, ma un vasaio che abbisognasse di lama per ascia ! Ed ecco emergere, necessariamente, altre due necessità:
Prima: quella di “specialisti in scambio” (mercanti), che non producono alcun bene, ma forniscono il “servizio” di agevolare lo scambio di essi, essendo abili ed attrezzati per la bisogna ( ma anche forniti di una ulteriore e diversa mentalità, ben nota, e di un elevatissimo “potere contrattuale”). Seconda: quella di un “intermediario” anche materiale, che fosse di piccolo volume, non deperibile e aritmeticamente frazionabile, in grado così di esprimere il valore di scambio di una mucca come di una barca, senza bisogno di trascinarsele materialmente dietro.
Posta l’economia di scambio, l’invenzione del denaro fu quindi più che utile: indispensabile. Ma lo fu altresì sul piano umano, e cioè civile ? Migliorò esso la condizione umana ? La domanda appare umoristica , tanto vasto e concorde in tutto il mondo il pensiero sapienziale si levò a definirlo più o meno “sterco del Diavolo”. Nessun cataclisma, morbo o carestia arrecò alle genti tanto dolore, distruzioni e stragi, e nessuna follia ne devastò le menti come l’”economia monetaria”. Ma quel che vale osservare, al fine di queste riflessioni, è come non sia individuabile una precisa malvagia volontà, ma si sia trattato semplicemente della leggerezza consistente, dopo il primo fatale passo, nel lasciare che l’economia si sviluppasse secondo proprie leggi, senza un potere superiore che severamente la riconducesse al suo rango di serva dell’Uomo. Così, i passaggi da una fase all’altra, sempre più grave e disumana, del “mezzo di scambio”, avvennero tutti per evitare frodi, per diminuire il rischio, per facilitare gli scambi e altri innocenti scopi, e vennero universalmente apprezzati per la loro comodità, mentre andavano istaurando la più fosca tirannia che il mondo avesse conosciuto.
Sappiamo che, all’inizio dell’avventura civile del denaro, si trattava solo di scaglie di metallo pregiato, il cui peso e pregio era certificato da stampi impressivi a caldo dall’autorità politico-sacrale, a scanso di frodi. Ma i veleni sociali che essa conteneva erano gravissimi. Semplicemente perchè il bisogno di qualsiasi determinato bene (come cibo, tessuti, utensili, abitazioni) è pur sempre limitato, anche ai massimi livelli di opulenza. Soddisfatto quello, lo stimolo ad accrescerlo si spegne; mentre, per il denaro, atto ad acquistare qualsiasi cosa, compreso il potere, la brama di possederne, non solo non diminuisce con la quantità posseduta, ma aumenta , sino al livello paranoico. In tal modo, chi è più astuto nel trarre profitto dal predetto scambio può giungere a possederne in quantità spropositata, ben oltre le sue pur lussuose “esigenze di vita”. E’ così che il profitto diviene l’unico fine dell’attività economica. E’ l’alba del capitalismo: tabe moderna, che sovverte ogni civiltà. Simboli di esso: l’autentica mostruosità delle “società anonime”, con cui il denaro diventa giuridicamente persona-padrone, col diritto di sfruttare vere persone umane per i propri fini di auto-accrescimento. Progresso ?
Ma i continui spostamenti di denaro insiti nel capitalismo nascente non tolleravano ovviamente la prassi del traffico di carretti o carriole colmi di monete. Assai più sicuro e conveniente apparve che oro e altri preziosi fossero custoditi in luoghi ben guardati, e ai depositanti fossero rilasciate “fedi di deposito” al portatore che, pur prive di valore intrinseco, servissero agli scambi commerciali, rappresentando il valore depositato altrove. A rilasciare dette fedi di deposito provvidero le banche, pronte sempre a “pagarle in oro” a chi le presentasse. Sappiamo anche tutti che, generalizzatosi prontamente l’uso di portafogli, anzichè di forzieri, le banche considerarono che ormai ben di rado i depositanti avrebbero richiesto la permuta delle banconote in lingotti, e poteva quindi farsi luogo all’emissione di circolante con copertura aurea non totale, ma “congrua”.
Il limaccioso torrente era ormai in piena, e Meyer Amchel Rothschild, massimo “specialista in denaro” poteva dichiarare: “Datemi il controllo dell’emissione, e non mi importerà più niente di chi faccia le leggi:” Da quel momento, la speculazione finanziaria, autrice e sfruttatrice insieme del ballo delle “quotazioni” e creatrice soltanto di miseria, prese a consentire profitti ben superiori a quelli dei più fortunati produttori, e potè costringere quelli ad abbandonare del tutto ogni criterio di sopperire ad esigenze sociali (originaria funzione dell’economia) ed aggiogare anch’essi al carro dei grandi usurai-azionisti.
Dal re che apponeva il suo sigillo certificante sul metallo prezioso, si era giunti al sigillo apposto dal banchiere su un pezzo di carta; ma questo- in parte crescente- non certificava un valore: lo creava, come Dio si affermava avesse creato l’Uomo alitando su un pezzo di volgare creta. Mammona legiferava ormai dal trono del compianto Onnipotente. E a ciò si era giunti grado a grado, sempre salmodiando immortali principi e proclamando fini umanitari, sempre lusingando gli aspetti inferiori della natura umana, sempre lasciando che l’economia…facesse il suo corso.
Il seguito, Bretton Woods, il F.M.I., l’Europa delle banche, il collocamento a riposo del Bolscevismo, la B.C.E, erano, secondo la logica dell’economia regnante, talmente ovvii e conseguenziali che non mette conto, per noi, neppure di dimostrarlo.
Giova invece soffermarsi su quanto accadde dopo il primo conflitto mondiale, che fu un’effimera boccata d’aria per il folle sistema economico “libero” di cui abbiamo sintetizzato la maturazione. Accadde che l’Italia, e poi la Germania ebbero semplicemente il coraggio di ripristinare il giusto rapporto di dipendenza tra economia e politica, che il capitalismo (privato come di Stato) aveva stravolto. L’effetto apparve addirittura miracoloso, mentre era semplicemente una guarigione. In pochi anni, una nazione nata miserabile e un’altra resa volutamente tale balzarono a una concordia, a una potenza e a un’efficienza così prorompenti da destare emulazione e invidia persino tra i “popoli ricchi”. Nessun miracolo. Era semplicemente il collaudo del sano principio che per fare il bene di un popolo, nel senso più vasto del termine, occorreva perseguire tenacemente quel bene, e non aspettarsi che saltasse fuori da sè dalla conflittualità incontrollata, secondo la strana pretesa liberista e “democratica”. E gli altri lo capirono; certo che lo capirono, ma gli usurai capirono anche che il metodo adottato da Mussolini significava la fine del loro grifagno impero. Non in Italia: in tutto il mondo. Ciò spiega abbondantemente perchè Mussolini abbia tentato di tutto per evitare la guerra, mentre l’emissario degli Usurai, F.D. Roosevelt abbia fatto carte false (complici gli Inglesi e i Giudei) per provocarla e portarla in Europa, nonchè per condurla con la ben nota disumana ferocia, a carico di popoli verso cui gli U.S.A. non avevano il minimo motivo di ostilità.
A che giova -mi chiederete forse- questo rievocare cose che tutti ben conosciamo?
Giova, miei cari amici, a tener sempre presente che SOLTANTO riuscendo a invertire la tendenza e a procedere nel senso opposto a quello ancora in atto, si può sperare nel riscatto dell’Uomo e nella salvezza per tutti noi, dai Pigmei agli Eschimesi, e per le gerazioni future. Ogni palliativo è solo pericolosa illusione.
E’ questo ancora possibile ? E’ una domanda che rifiutiamo di porci.
Rifiutiamo, perchè, non esistendo altra alternativa al proseguire nell’auto-genocidio, non vi è margine di scelta. Rifiutiamo perchè, della nostra concezione eroica della vita, fa parte l’imperativo di fare, sempre e comunque, il nostro dovere. E rifiutiamo anche perchè, se un “miracolo” potè accadere nell’Europa della seconda e terza decade dello scorso secolo, non si vede perchè un miracolo analogo non potrebbe accadere oggi, che lo stato di salute del sistema degradante e folle può definirsi pre-agonico, e che i suoi frutti velenosi stanno divenendo emetici per sempre maggiori popoli. Mussolini non tornò certo al Paleolitico: eppure riuscì, in tempi moderni, ad eludere del Neolitico i negativi effetti.
Tale è ora la nostra missione: difficile, certo, e anche pericolosa, perchè l’avversario, come un pugile alle corde, non lesina testate e colpi bassi, e l’arbitro è distratto. Ma fermeranno difficoltà e pericoli noi, decima legio del XXI secolo?
Come ? Con quale strategia? Con quali tappe ? Con quali alleati? Sono interrogativi che possono trovare risposta solo da una fervida collaborazione di pensiero, non certo in una breve mia proposta come questa. Mi sia però consentito di rammentare alcune direttive che determinarono il successo delle rivoluzioni precedenti, e di quella italiana in particolare.
1°- Partire sempre dalla realtà attuale: non da un ipotetico paradiso futuro, procedendo a ritroso. I “meccanismi” sociali del secolo scorso, e molto più gli attuali, sono talmente complicati, che menare sciabolate furiose (alla maniera bolscevica) può produrre solo disastri.
Per quanto assurdo sia un sistema, se ne può uscire solo gradualmente, se pure rapidamente.
2°- Sopprimere gli istituti economicistici, solo se non sia possibile cambiar loro il segno e le finalità, associandoli alla rinascita ( v. quanto fece il Fascismo coi sindacati).
3°- Adottare un tipo di rappresentanza per funzioni (stato organico) in luogo di quello per presunte opinioni (partitocrazia).
4°- Tendere all’”Uomo integrale”, sviluppando istituzioni e logiche gestionali che sviluppino in ogni persona, non tanto gli attributi che ne determinano l’assegnazione a una categoria economica, quanto gli altri (padre, cittadino, sportivo, artista, ecc.).
5°- Fondarsi sui doveri anzichè sui diritti. Se ognuno fa il suo dovere, anche i diritti vengono soddisfatti, mentre nessun diritto giova (come i tanti oggi “proclamati”), se chi deve assicurarli non fa il proprio dovere.
6°- Programmare l’economia a finalità extraeconomiche.
7°- Soddisfare le vere esigenze, e scoraggiare la pletora di quelle artificiali e surrettiziamente indotte.
Sono suggerimenti che ci vengono dal passato, ma che ci promettono un avvenire di risalita. A noi il resto.
Enos, Lases, iuvate !
RSMC

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