mercoledì 16 gennaio 2013

I campi degli Alleati



TEDESCHI NEI CAMPI CECOSLOVACCHI.
Il ministro e deputato britannico R.R. Stokes, in una lettera al 'Manchester Guardian' dell'ottobre 1945, riferisce quanto egli vide e accertò: 'Ho tentato di trovare alcuni di questi campi di concentramento (della cui esistenza ho saputo qualche mese fa) e ho avuto la fortuna di scoprirne uno a Hagibor, presso Praga... Le baracche erano tipiche di un Lager, con tre letti disposti a castello, senza la più primitiva comodità e con servizi sanitari orrendi. Vi trovai ogni sorta di persone: alcune erano là solo da pochi giorni, altre da mesi e nessuno con cui parlai aveva la benché minima idea del motivo per cui era stato internato. Una signora settantaduenne, da 55 anni residente a Praga, vi si trovava da due settimane per il solo motivo di essere austriaca. C'era pure un settantenne professore d'arte drammatica di Belgrado, con la moglie, quasi del tutto cieco. Aveva lasciato la Russia nel 1911 e da allora viveva in Yugoslavia. Recatosi a Vienna per consultare uno specialista, era stato arrestato dai nazisti perché jugoslavo. Il giorno della Liberazione i cechi lo incarcerarono, probabilmente perché russo 'bianco'. Poi vidi una signora settantacinquenne, vedova di un ammiraglio zarista, il cui solo desiderio era di raggiungere la figlia nel Tirolo. Si trovava lì da alcuni mesi e veniva nutrita a pane e acqua... In Cecoslovacchia si trovano 51 Lager del genere, nei quali migliaia di persone vegetano e fanno fame: e se dico fanno fame lo intendo letteralmente! Ho davanti a me la razione settimanale di questo Lager; ogni giorno é la medesima: colazione - caffè nero e pane; pranzo - zuppa di verdure; cena - caffè nero e pane. La razione giornaliera di pane é di 250 g. a persona... 250 g. di pane e caffè nero non possono tenere assieme corpo e anima e neppure consentire di muoversi. Secondo la mia valutazione le loro razioni forniscono giornalmente 750 calorie, inferiori dunque a quelle di Bergen-Belsen [il Lager nazista liberato dagli inglesi, N.d.A.]'. (Dokumente zur Austreibung der Sudeten Deutschen, cit.). (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.213)
TEDESCHI NEI CAMPI POLACCHI.
Il 3 maggio, quando la regione di Teschen fu abbandonata dall'esercito tedesco, i coniugi Faricek convennero che il loro soggiorno nella città, dove erano sfollati nel febbraio, era divenuto del tutto superfluo e che il meglio che potessero fare era di tornarsene a Pless, loro città natale. [...] Non andarono oltre. Sulla strada incapparono in un posto di blocco della milizia polacca e dovettero presentare i documenti e poiché da questi risultava che erano cittadini tedeschi, due guardie intimarono loro di seguirli e li portarono alla sede del loro comando. [...] Non era escluso che fossero anche dei 'criminali nazionalsocialisti'. Li arrestò e l'indomani li consegnò alla Bespieka di Bielitz. [...] Pensava a suo marito e quasi non lo riconobbe quando se lo vide davanti, tant'era paonazzo in viso per le percosse ricevute. Ebbe il tempo di dirle che così l'avevano conciato perché volevano che dichiarasse di essere stato membro del partito nazionalsocialista e scomparve con gli altri uomini diretto al fabbricato vicino, dove lo rinchiusero nel sotterraneo lì adibito a prigione. [...] Tutto quanto poté apprendere era che nel sotterraneo c'erano uomini che per i maltrattamenti subiti non erano più in grado di muoversi. Trascorsero mesi e, un giorno, lei non era più prigioniera, un soldato tedesco d'origine polacca, miracolosamente riabilitato e rimesso in libertà, le fece sapere che, al terzo giorno di prigionia, a suo marito, per non aver voluto ammettere di essere nazionalsocialista gli avevano spaccato tutti i denti e poi lo avevano strozzato. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.180-181)
Fatale tutta la faccenda lo fu invece per Max Haller, il quarantacinquenne gestore dell'albergo della stazione di Tillowitz. L'avevano già accusato di essere stato nelle SS e ora gli ribadivano l'accusa che lui respingeva come aveva fatto a Tillowitz. Un colloquio tra sordi che si trascinò per un po' finché l'oste fu spinto in un camerino accanto all'ufficio, assieme al Proll di Schurgast, e otto miliziani li seguirono e riempirono tutti e due di botte. Ma più quelli picchiavano e più loro negavano di essere stati nelle SS, finché Haller, non sapendo più a cosa votarsi, li pregò di andare a informarsi presso tutti i suoi compaesani e le guardie, consenzienti, li portarono fuori. Avevano i vestiti strappati e in alcune parti si poteva vedere il corpo nudo e tutte queste parti nude sanguinavano. Haller s'illuse: non lo fecero passare davanti ai suoi compaesani, ma piegarono dietro l'angolo dell'ufficio e lì lo fucilarono. A controllo ultimato i vecchi furono raggruppati in una baracca dove avrebbero ricevuto così poco da mangiare da poter morire in pochi giorni, le donne ed i bambini in altre e così pure le ragazze. Si avviò ognuno al posto assegnato con in mano un pezzo di stoffa con una grande 'W', che voleva dire Wiezien, prigioniero, da cucire sulla giacca e con questo si chiuse il primo giorno d'internamento. [...] Fece bene, perché i miliziani il numero lo dicevano una sola volta e la seconda e tutte le successive volte picchiavano senza pietà tutti quelli che sbagliavano nel ripeterlo. Quel mattino tre suoi compagni per questo persero la vita: stramazzarono al suolo ed i guardiani li trascinarono per i piedi sin dietro le baracche delle donne. Toccò a lui, assegnato con altri sei alla squadra becchini, andare a raccoglierli. Giacevano nell'erba, il primo con la testa così spaccata che di essa restava solo la mascella inferiore, mentre cervello ed ossa erano sparsi di qua e di là, il secondo ed il terzo non erano che resti carbonizzati, bruciati nei vestiti che indossavano. Da quel giorno Johann Thill divenne l'involontario cronista dell'anno di esistenza del Lager. Vide i suoi connazionali crollare per le estenuanti fatiche e per le scarse razioni che nelle festività non venivano neppure distribuite; seppellì i vecchi e gli invalidi ed i bimbi spesso divorati dai pidocchi e dalle cimici, raccolse i corpi dei fucilati e dei torturati. Anche quello di Johann Lein, il suo conoscente di Bauerngrund. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.182-183)
Si formò in tal modo, dopo i colpiti dalle deportazioni e dal lavoro coatto sovietici e dopo i colpiti per nazionalsocialismo o per tradimento, una terza serie, la serie dei depauperati, una sorta di sottoproletariato disponibile per ogni incombenza. La Milizia la mobilitò in massa, prelevandola a seconda delle necessità e dove capitava: nei quartieri che abitava, per le strade dove passava, nei villaggi dove viveva, agli ingressi delle chiese, nei giorni di funzione, quando urgeva. La portava a demolire fabbricati, a sgombrare macerie, a riesumare e seppellire cadaveri; se ne serviva per riattivare settori industriali e fornire braccia all'agricoltura e, a lavori ultimati, lasciava che se ne tornasse ai propri luoghi, indebolita e malata per l'insufficiente vettovagliamento ricevuto e senza mezzi per poter procurarsi qualcosa per sostentarsi. [...] Finirono, in altri termini, dietro il filo spinato, in Lager che di cambiato non avevano che il nome e la nazionalità dei sorveglianti e dove, per il resto, sembrava che il tempo si fosse fermato ad un recente passato, cosicché chi vi capitò, rivisse quello che altri vi avevano vissuto: appelli, maltrattamenti, lavoro, fame, malattie, morte. [...] Renate Schulze arrivò al Lager di Potulice il 30 marzo 1946. Portava con sé i segni e le esperienze di un anno di prigionia e l'immagine ed il ricordo dei luoghi da dove era dovuta passare. Prigioniera l'avevano fatta i sovietici durante la fuga nel gennaio del 1945 e l'avevano rinchiusa a Crone sulla Brahe, nel circondario di Bromberg, a spidocchiare e ripulire, per tutto l'inverno, stracci e coperte e a liberare degli escrementi i luoghi che quelli, poco usi ai gabinetti o scientemente, imbrattavano. [...] Due miliziani l'afferrarono e la condussero nel sotterraneo della prigione, in una delle cellette, senza finestre ed aerazione, un tempo adibite per i peggiori criminali, e le ordinarono di spogliarsi. Sorpresa ed imbarazzata, quel giorno aveva le sue regole e perdeva sangue, cercò di tergiversare, ma un paio di sonori schiaffi le fecero capire che bisognava obbedire. Lo fece tra pianti e colpi di manganello e di calcio di fucile e quando restò nuda perdette pure i sensi: i miliziani le gettarono addosso un secchio d'acqua e se ne andarono e quando lei rinvenne si accorse che le mancavano alcuni denti. Al terzo giorno tornarono, non per darle da mangiare, ma per bastonarla ancora. [...] La tirarono fuori cinque giorni dopo con il divieto di riferire cosa era stato di lei e la rimisero a lavorare, fino a quando, ridotta inabile alle fatiche, la spedirono nel Lager di Langenau. Langenau sembrava un porto di mare. La Schulze vi trovò internati civili e prigionieri di guerra tedeschi e prigionieri di guerra stranieri che avevano servito nelle forze armate del Reich e perfino polacchi dell'armata di Anders venuti dall'Occidente in licenza al loro pese. Incontrò tedeschi nati e vissuti in quei luoghi in comunità coi polacchi e tedeschi nati, come lei, all'estero e ancora tedeschi del Reich, bloccati da quelle parti dagli eventi bellici. Vide pure arrivare gli internati di Kaltwasser e poi quelli di Hohensalza, questi ultimi ancora traumatizzati dai metodi di Wladislaw Dopierala, il 'terrore del Lager', che usava far distendere i colpevoli di mancanze o persone scelte a caso in bare disposte in fila e, lì, fulminarle con un proiettile alla testa. [...] Un saggio di questa lo ebbe già poco dopo il suo arrivo, il giorno in cui Heinrich Fischer e Willy Kalle, tenuti lì come prigionieri di guerra, avevano tentato la fuga. Lontano i due non erano riusciti ad andare; ad alcuni chilometri dal Lager la Milizia li aveva catturati e ricondotti indietro giusto al momento in cui gli internati erano schierati in cortile. Arrivarono trascinati come sacchi e i radunati si videro davanti due esseri che più nulla avevano dei due robusti giovanotti che tutti conoscevano, ma non ebbero il tempo di commuoversi perché furono sopraffatti da quello che seguì. Uno dei due miliziani estrasse la baionetta e colpì Fischer alla nuca e poi sommersero lui e Kalle di manganellate e di colpi di fucile e per ultimo li trascinarono ai cessi e li costrinsero a vuotarli con dei recipienti piccolissimi. Il sangue colava a Fischer e a Kalle ed il loro corpo era irrigidito dalle bastonate, per cui facevano fatica a portar via, con quegli aggeggi, il luridume senza versarlo e poiché facilmente sporcavano, ogni volta erano costretti a leccarlo o a distendervisi sopra, finché i miliziani si stancarono e i due rimasero inanimati per terra. Fischer morì qualche settimana dopo, Kalle fu portato via con un trasporto e di lui né la Schulze né altri ebbero più notizia. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.184-186)
In un rapporto al Foreign Office R.W.F. Bashford, nell'estate 1945, comunicava da Berlino: 'I campi di concentramento non sono stati aboliti, ma sono stati presi in consegna dai nuovi padroni e vengono per lo più diretti dalla Milizia polacca. In Swietnochlowice (Alta Slesia) i prigionieri che non muoiono di fame o non vengono bastonati a morte son costretti a stare notte dopo notte nell'acqua gelida finché periscono. A Breslavia ci sono sotterranei da dove provengono di giorno e di notte le urla delle vittime'. L'argomento é pure trattato in un rapporto al Senato americano (28 agosto 1945). In esso vengono citati diversi casi di violenza e viene confermato pure che a Breslavia la Milizia polacca infierisce sui detenuti nelle proprie carceri sotterranee, tanto che gli abitanti delle case circostanti vogliono traslocare, non potendo più sopportare le grida delle vittime (cfr. Zayas, Alfred M. De, Die Anglo-Americaner und die Vertreibung der Deutschen, Monaco, dtv, 1980). (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.187)
L'internata suor Maria Saroviz fece un giro attraverso il complesso di baracche destinate alle mamme nuove arrivate coi loro bimbi e, giunta alla baracca d'angolo, sentì, provenire dall'interno, sommesse grida accompagnate da pianti e da gemiti. Sorpresa, e allo stesso tempo curiosa, spinse la porta; il tanfo che la investì la fece retrocedere istintivamente, riuscì però a vincere il senso di repulsione che provava ed entrò. Sepolte nella paglia e nella sporcizia giacevano una quarantina di vecchiette pelle e ossa, irriconoscibili, quasi senza più sembianze umane che, al vederla, accentuarono i loro lamenti. Le guardò con aria inebetita e non seppe che dire e che fare; richiuse adagio la porta e si allontanò in fretta. Ci ritornò l'indomani, dopo il giro di distribuzione alle mamme dei buoni per la razione di brodaglia, per stabilire quante porzioni potevano occorrere per quelle poverette; trovò la porta spalancata e l'interno vuoto, salvo, sparsi qua e là, qualche straccio d'indumento e oggetti insignificanti. Fuggì inseguita dall'orribile sospetto che le era balenato a quella vista e arrivò, pallida e ansante, nella cucina del Lager. La videro le donne indaffarate ai paioli entrare e accasciarsi su una sedia e, spaventate e allarmate, le si fecero attorno, ma lei non ebbe il tempo di spiegare perché la miliziana di servizio, intuendo che cose le era capitato, la prevenne commentando seccamente: 'Che cosa c'è di male se si liquidano questi vecchi tedeschi puzzolenti. Non c'è posto disponibile e non c'è da mangiare, meglio dunque farli sparire. Tutte quelle persone sono state fucilate stanotte'. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.188)
Accadeva dopo mezzanotte: le donne, che nulla sospettavano, venivano svegliate e fatte uscire dalla baracca e condotte nel bosco che si trovava subito dietro il Lager. Là c'erano ancora molte trincee di approccio ai bordi delle quali le donne dovevano schierarsi e spogliarsi completamente e, quando erano pronte, ad un ordine partivano le raffiche delle mitragliatrici piazzate ai lati e quelle cadevano nei camminamenti. Era quindi la volta di farsi avanti della squadra spalatori, essa pure prelevata dalle baracche per riempire le fosse di terra. Il lavoro andava rapido senza badare a gemiti che da quelle fosse provenivano, ché non tutte erano morte, ed al mattino ogni traccia dell'accaduto notturno era scomparsa. [...] Nel Lager dunque non doveva esserci posto per i vecchi e nemmeno per i bambini ed i fanciulli, dato che quelli dai quattro ai quattordici anni erano quasi ovunque assenti. [...] A Potulice si erano accontentati del rombo dei motori in avviamento; i camion erano partiti e da quel momento i fanciulli erano entrati nell'avventura che da piccoli tedeschi avrebbero dovuto trasformarli in adulti polacchi. Le madri li videro allontanarsi senza sapere dove andavano e perché andavano; non necessitava che lo sapessero poiché anche i loro figli, come ogni cosa tedesca, animata ed inanimata, apparteneva allo Stato polacco. Alcune, tuttavia, sarebbero riuscite a rintracciarli, altre, invece, ne persero le tracce. [...] Il tempo trascorse, i Lager si sfollavano, gli internati venivano espulsi dal paese. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.189)
Nel 1950 e nel 1951 gli ultimi prigionieri lasciarono i campi ancora aperti. August Rosner poteva essere considerato la sintesi delle sofferenze dei suoi connazionali in quella parte d'Europa. La sua storia iniziò il giorno della grande offensiva sovietica e si concluse nell'anno 1950 in una cittadina dell'Assia. '... In quel giorno del 19 gennaio 1945, dunque, i sovietici mi arrestarono e mentre mia moglie e mia figlia, senza più i miei nipotini, si allontanavano sulla strada per Penczniew, mi condussero nel carcere di Schroda. [...] Dopo cinque settimane fummo trasferiti a Kalisch e aggregati ad altri tedeschi, molti dei quali versavano in condizioni assai pietose, e in circa 2.000 finimmo al Lager di Posen. Eravamo ora in 4.000, amministrati dai sovietici, ma strettamente sorvegliati da polacchi e per molti il destino si concluse qui davanti al plotone d'esecuzione. La nostra prossima destinazione doveva essere l'Unione Sovietica per cui, motivi ne avevo, mi diedi ammalato e la dottoressa della Commissione sanitaria che mi visitò mi dichiarò, con altre 174 persone, inidoneo ad essere trasportato e così mi fu risparmiata la deportazione. [...] Ci impacchettarono e ci portarono a Schroda per farci vivere, ci dissero, per la prima volta 'una accoglienza tedesca'; la provammo quando ci costrinsero a salire le scale della prigione sotto una gragnuola di colpi di bastone. [...] Ci davano poco da mangiare e moltissime botte. Soprattutto il polacco Darlinski, che ci odiava, ci maltrattava volentieri e, quando a tre prigionieri riuscì di fuggire, impose a tutti la divisa del galeotto e la rapatura dei capelli anche alle donne e alle ragazze. Non mancavano del resto le occasioni per tormentarci e anche da noi, come in altri luoghi, i prigionieri dovettero riesumare morti (qui erano partigiani polacchi fucilati nel 1939 e seppelliti nel terrapieno della ferrovia) e baciarne le ossa per la gioia dei fotografi di Schroda. Era ormai il giugno del 1949 quando fui trasferito nel grande Lager di Lissa, dove ancora si trovavano un 4.000 prigionieri in attesa di essere rilasciati'. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.228-229)
TEDESCHI NEI CAMPI SOVIETICI.
Il comportamento sovietico con i prigionieri di guerra, dopo la fine del conflitto ha corrisposto ad una logica che occorreva lungo due binari; il primo riguardante i militari più qualificati, specialmente sul piano della tecnologia trattenendo il più possibile queste forze intelligenti e, quindi, utili alla ricostruzione di un paese ridotto allo stremo. Il regime sovietico fece questo soprattutto con i prigionieri tedeschi utilizzandone per oltre un decennio le loro capacità tecniche per cercare di mettere in piedi un po' di industria di pace, essendo stata tutta convertita per scopi bellici. Nei primi contatti fra i tedeschi di Bonn e i padroni del Cremlino, questi dissero che le decine di migliaia di soldati, specialmente quelli specializzati, erano morti: ci vollero l'organizzazione della appena nata Germania Federale e la fermezza del cancelliere Adenauer per fare cambiare opinione ai dirigenti sovietici [...] Adenauer fece un viaggio rischiosissimo a Mosca; litigò con Kruscev che continuava a negare l'esistenza di queste migliaia di prigionieri ed alfine ebbe partita vinta. Il cancelliere di ferro portò a casa nel giro di pochi mesi tutti i prigionieri. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.10-11)
Tesi nello sforzo disperato per non morire sulla strada sarebbero crollati appena giunti al campo. Coloro che sopravvivevano vi rimanevano per poco tempo: ne usciranno cadaveri a mucchi [...] Nel periodo di un anno, trascorso fra le mura di Oranki, vidi entrare migliaia di prigionieri ed uscire migliaia di cadaveri che vennero sepolti alla rinfusa, in fosse comuni, nei dintorni dell'ex convento. Ad Oranki la moria infieriva. La privazione, la scarsa alimentazione, il clima, la carenza di misure igieniche, la promiscuità, la penuria di medicinali, favorivano lo sviluppo delle malattie consuntive [...] Gli orrori del campo di Oranki cominciarono con l'arrivo dei prigionieri rumeni. Il 18 dicembre 1942, una giornata rigidissima, durante la quale il termometro segnò oltre trenta gradi sotto zero, affluì al campo una colonna di tremila uomini [...] In poche ore decine e decine di soldati si spensero [...] Quando si levò il pallido sole, i primi raggi illuminarono nel cortile una catasta di oltre quattrocento morti [...] Ogni cinque, ogni sei, o al massimo ogni sette giorni si era obbligati a fare il bagno. Fu in uno di questi che mi trovai con un gruppo di ufficiali tedeschi superstiti della battaglia di Stalingrado. Non mi rendevo conto come potessero esser vivi. Erano scheletri ambulanti ed alcuni camminavano perdendo escrementi dal retto. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.134-139)
I Gulag che accoglievano i deportati non si conciliavano col minimo di aspettativa che essi vi riponevano, dopo il lungo e debilitante viaggio, di un luogo che disponesse almeno delle più modeste necessità dell'esistenza. Erano complessi costruiti coi materiali forniti dall'ambiente ove erano stati impiantati, dall'incancellabile aspetto d'improvvisazione e di provvisorietà: baracche d'argilla mezzo sprofondate nel terreno, baracche in legno nelle zone boscose, riparo dalle intemperie, ma non dal clima, buone come dormitorio e infermeria o per i servizi, distribuite in un vasto piazzale delimitato da filo spinato e agli angoli le torri di guardia coi loro riflettori per la notte. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.165)
Non ci furono giorni di riposo. Inquadrate in brigate furono assegnate alla cava di pietra e alla costruzione di case e di strade ferrate. Käthe Hildebrandt imparò presto a spaccar pietre, a tirare su muri e a stendere binari. All'alba partivano e a sera tornavano, sfinite dalla fatica e dal clima. [...] Come sempre c'erano le adunanze e l'immancabile appello che, specie per le donne anziane, erano una vera sofferenza, e le solite angherie delle guardie e dei sorveglianti. Non mostravano pietà, pretendevano rispettosa obbedienza e per un nonnulla rinchiudevano, a rischio di farla morire per infezione, la malcapitata, nel locale adibito ad obitorio assieme alla trentina di salme, segnate dalle malattie più diverse, che regolarmente vi si trovavano in attesa di essere, ogni notte, calate nude in fosse comuni e ricoperte di sabbia. Sei mesi dopo, stroncate dalle fatiche e dalle epidemie, i due terzi delle deportate non esistevano più. Al loro posto arrivarono 2.000 deportati dall'Alta Slesia e da quel momento Krasnovodsk finì nel bagaglio dei ricordi delle sopravvissute. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.166)
In Lamsdorf le 8.460 persone chi vi furono internate vennero letteralmente decimate dalla fame, dalle malattie, dal duro lavoro e dai maltrattamenti. Secondo il medico del Lager, Heinz Esser, morirono 5.800 adulti e 628 bambini (Cfr. Esser, Heinz, Die Hölle von Lamsdorf, Münster, s.e., 1971). (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.182)
Affidati a questi personaggi gli internati si trovarono a subire i metodi ginnico-educativi del dottor Cedrowsky, che li costringevano a tenersi in piedi a lungo con le braccia dietro la nuca o a saltellare o a star fermi per ore a dorso nudo al freddo ed impararono a temere il 'Bunker', il complesso di celle ricavate nell'ex deposito di carne sotto la cucina, piccole, buie, gelide. Ce li mandava il dottore, senza fondati motivi, nudi e ve li lasciava, dopo averli fatti bastonare e irrorare d'acqua, per settimane a guazzare nel bagnato, spesso arricchito di cloruro di calcio. Uscivano, quando non morivano, piagati e denutriti, tenuti in piedi solo dalla volontà di sopravvivere, una determinazione che in coloro che finivano nelle squadre di Isidor Kujawski era invece ridotta a zero. Renate Schulze calcolò che due settimane di lavoro nelle squadre di Kujawski significavano morte certa. Non si sbagliava perché Kujawski accoglieva i destinati a lui, di preferenza donne non più tanto giovani, con cinquanta nerbate sulle natiche e solo ad operazione ultimata li assegnava ai lavori. Partivano allora le squadre verso i posti prestabiliti e le donne, sofferenti ed abuliche, seguivano Kujawski che di solito se le portava nelle torbiere dove, oltre a farle faticare, le costringeva, per suo spasso, a impastarsi, danzando e cantando, la testa di sterco di mucca o a mangiare rane crude e ad accoppiarsi con i prigionieri presenti. (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.187)
Polacchi e cechi seguirono l'esempio dei sovietici che, fin dal loro ingresso nel territorio del Reich, rimisero in efficienza Lager nazisti dove rinchiusero nazionalsocialisti, sospetti e civili da deportare. Nella zona d'occupazione sovietica tornarono in efficienza Buchenwald e Sachsenhausen, dove furono rinchiusi, fra gli altri, socialdemocratici e appartenenti ai partiti conservatori. Tra le vittime il socialdemocratico Karl Heinrich. Internato dai nazisti nel 1936 a Sachsenhausen, ne uscì nel 1945, divenne vice-capo della polizia di Berlino. Quindi, nell'autunno, arrestato dai sovietici e di nuovo rinchiuso a Sachsenhausen, vi morì nel 1948. Secondo i calcoli del deputato socialdemocratico di Berlino Hermann Kreutzer (che con la moglie ed il padre fu internato a Sachsenhausen), in quel Lager, dal 1945 al 1950, anno della chiusura, morirono circa 20.000 persone e almeno 13.000 a Buchenwald. ('Welt am Sonntag', 5 maggio 1985). (da 'E malediranno l'ora in cui partorirono', pag.205)
II metodo staliniano di trattare i prigionieri assomigliava molto a quello hitleriano. Su 3,1 milioni di soldati tedeschi catturati dai sovietici, ben 1,1 non sopravvisse al freddo, alla fame, alle fatiche e ai maltrattamenti. (da 'In nome della resa', pag.252)
TEDESCHI NEI CAMPI ANGLOAMERICANI.
Le rese in massa nell'ovest contrastavano fortemente con le ultime settimane sul fronte orientale dove le unità superstiti della Wehrmacht combattevano ancora contro l'Armata Rossa avanzante, per permettere al maggior numero possibile di camerati di sfuggire alla cattura da parte dei russi. Questa era l'ultima strategia del comando supremo tedesco agli ordini del grand'ammiraglio Donitz, che era stato nominato comandante in capo da Adolf Hitler dopo la resa all'ovest del maresciallo del Reich Goring. Dal punto di vista tedesco questa strategia consegnava milioni di soldati tedeschi nelle mani che essi credevano più pietose degli Alleati occidentali, sotto il supremo comando militare del generale Dwight Eisenhower. Tuttavia, dato l'odio feroce e ossessivo del generale Eisenhower non solo per il regime nazista, ma anche per tutto quanto fosse tedesco, questo credo risultava nel migliore dei casi un azzardo disperato. Più di cinque milioni di soldati tedeschi nelle zone americane e francesi erano costretti nei campi, molti letteralmente spalla contro spalla. Il terreno attorno a loro presto divenne una palude di sporcizia e malattie. Esposti alle intemperie, mancando anche delle più primitive strutture sanitarie, sottonutriti, i prigionieri cominciarono presto a morire di fame e malattia. A partire dall'aprile 1945, gli eserciti americano e francese annientarono con indifferenza circa un milione di uomini, per la maggior parte nei campi americani. (da 'Gli altri lager', pag.13)
Cercando, arrivai alla porta del colonnello Philip S. Lauben, il cui nome appariva nella lista di circolazione dei documenti dello SHAEF (Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force). Era stato il capo del German Affairs Branch dello SHAEF con l'incarico di rimpatriare e trasferire prigionieri per molti mesi critici, quindi sapevo che egli avrebbe dovuto sapere. Nel suo soggiorno, srotolai le fotocopie dei documenti cercando di stare calmo. Quello che avrebbe detto nei pochi minuti seguenti avrebbe vanificato tutto il lavoro fatto per oltre un anno o provato che avevamo fatto una scoperta storica importantissima. Lauben e io controllammo i titoli uno a uno, finché trovammo 'Altre perdite'. Lauben disse: 'Ciò significa morti e fughe'. 'Quante fughe?' chiesi. 'Molto, molto poche' disse. Come scoprii più tardi, le fughe erano meno dello 0,10 per cento. (da 'Gli altri lager', pag.16)
É fuor di dubbio che un enorme numero di uomini d'ogni età, assieme a donne e bambini, morì di fame, congelamento, condizioni malsane e malattia, nei campi americani e francesi in Germania e Francia, a partire dall'aprile 1945, fine della guerra in Europa. Le vittime ammontano indubbiamente a più di 800.000, quasi certamente a più di 900.000 e molto probabilmente a più d'un milione. Le loro morti furono intenzionalmente causate dagli ufficiali dell'esercito che avevano risorse sufficienti per mantenere in vita i prigionieri. Alle organizzazioni assistenziali che tentavano di portare soccorso ai prigionieri nei campi americani era rifiutato il permesso da parte dell'esercito. Tutto ciò venne nascosto al tempo e poi si mentì quando la Croce Rossa, 'Le Monde' e 'Le Figaro' tentarono di rendere pubblica la verità. I documenti sono stati distrutti, alterati o tenuti segreti. (da 'Gli altri lager', pag.16)
Nel maggio 1943, Eisenhower s'era lamentato con Marshall delle difficoltà di occuparsi di parecchie centinaia di migliaia di prigionieri tedeschi catturati dagli Alleati in Tunisia. 'E' un peccato che non abbiamo potuto ammazzarne di più' scrisse in un poscritto a una lettera che é stata soppressa da varie edizioni ufficiali delle memorie di Eisenhower. (da 'Gli altri lager', pag.33)
In marzo, molte volte le guardie americane, aprendo carri ferroviari di prigionieri provenienti dalla Germania, li trovarono morti all'interno. Il 16 marzo a Mailly le Camp ne furono trovati morti 104, e altri 27 a Attichy. Eisenhower era irritato di doversi occupare di questi casi, perché significava scusarsi con i tedeschi. 'Detesto di dovermi scusare con i tedeschi' egli scrisse a Marshall, a Washington, riferendo sulla sua inchiesta in merito alle morti dei tedeschi che erano morti 'soffocati accidentalmente' nei carri merci durante il trasporto. (da 'Gli altri lager', pag.34)
Il 26 aprile 1945, un messaggio dei capi degli Stati Maggiori riuniti ticchettò sulle macchine dello SHAEF a Reims in risposta al messaggio di Eisenhower del 10 marzo che creava lo status di DEF (Disarmed Enemy Forces). I CCS approvavano lo status DEF soltanto per prigionieri di guerra in mano degli americani. I membri inglesi dei CCS rifiutavano di adottare il piano americano per i loro prigionieri. Le principali condizioni fissate da Eisenhower erano le seguenti: [...] Non vi sarà alcuna dichiarazione pubblica riguardante lo status di forze armate tedesche o di truppe disarmate. Con quest'ultima clausola, la violazione della Convenzione di Ginevra era tenuta segreta. [...] Tanto gli americani che gli inglesi sapevano che i tedeschi soggetti allo status DEF non sarebbero certamente stati adibiti al lavoro. Molto probabilmente, essi sarebbero morti. Gli inglesi dissentirono inoltre anche sull'uso del termine americano di DEF per quei prigionieri che sapevano che non avrebbero trattato secondo la lettera della Convenzione di Ginevra. Usarono il termine 'surrended enemy personnel' (SEP) per distinguere i prigionieri catturati dopo la resa dagli altri prigionieri di guerra. (da 'Gli altri lager', pag.39-40)
Tutte le decisioni riguardanti il trattamento dei prigionieri venivano infatti prese soltanto dall'esercito americano in Europa, con l'eccezione di tre fondamentali, tutte in violazione della Convenzione: la decisione di impedire ai delegati della ICRC di visitare i campi americani (il divieto si applicò anche ai campi inglesi e canadesi); la decisione congiunta americana e inglese di trasferire prigionieri alla Francia come manodopera per le riparazioni, a condizione che la Francia osservasse le norme della Convenzione, e la decisione di inviare alcuni prigionieri in Russia contro la loro volontà. La più importante decisione, pure in violazione della Convenzione, era la creazione dello status DEF, ideato da Eisenhower e approvato dai CCS. (da 'Gli altri lager', pag.41)
Il 21 aprile 1945, un altro messaggio dello SHAEF firmato Eisenhower comunicava a Marshall che i nuovi campi dei prigionieri 'non forniranno ripari o altre comodità ...'. E aggiungeva che i campi sarebbero stati migliorati dai prigionieri stessi 'usando materiali locali'. I 'campi' erano terreni scoperti, circondati da filo spinato, chiamati 'campi temporanei per prigionieri di guerra' (PWTE). Non erano temporanei, ma erano certamente recintati, da filo spinato, fari, torri di guardia e mitragliatrici. Lungi dal permettere ai prigionieri di procurarsi dei ripari 'usando materiali locali', un ordine del genio militare, emesso il 1 maggio, proibiva specificatamente di fornire ripari nei campi. (da 'Gli altri lager', pag.43)
Le tende, i viveri, il filo spinato, i medicinali scarseggiavano nei campi non perché l'esercito mancasse di scorte, ma perché le richieste di rifornimenti venivano respinte. (da 'Gli altri lager', pag.44)
Gli ufficiali addetti ai rifornimenti sul campo non potevano ottenere ciò di cui avevano bisogno per i prigionieri, perché i comandanti superiori ne rifiutavano la consegna. [...] In alcuni campi gli uomini erano tanto ammassati che non potevano neanche stendersi. La situazione in un campo era riportata nel modo seguente: 'La più alta presenza di detenuti al campo n.18, Continental Central Prisoner of War Enclosure, era di 32.902 prigionieri di guerra. Si richiama l'attenzione sul fatto che la capacità del campo n.18, Continental Central Prisoner of War, non supera i 6.000/8.000 prigionieri di guerra'. (da 'Gli altri lager', pag.46)
Disastroso affollamento, malattia, malnutrizione ed esposizione alle intemperie erano la regola nei campi americani in Germania, a cominciare da aprile, nonostante il notevole rischio che i tedeschi avrebbero potuto vendicarsi contro i milioni di ostaggi alleati in Germania. [...] Nell'aprile 1945, furono catturate centinaia di migliaia di soldati tedeschi assieme a civili, ausiliarie, malati e amputati tolti dagli ospedali... Un prigioniero a Rheinberg aveva ottant'anni e un altro era un bambino di soli nove anni... La fame tormentosa e la sete straziante erano i loro compagni, e morivano di dissenteria. Un cielo crudele rovesciava su di loro, settimana dopo settimana, torrenti di pioggia... Nudi sotto il cielo giorno dopo giorno e notte dopo notte, giacevano disperati sulla sabbia di Rheinberg o morivano di stenti nelle loro buche che franavano seppellendoli. (da 'Gli altri lager', pag.47-48)
Tutto quello che potevano fare, per dormire, era scavare una buca con le mani e calarci dentro, stringendoci l'uno all'altro. Eravamo ammassati in uno spazio molto ristretto. Gli uomini ammalati dovevano defecare sul terreno. Presto, molti di noi furono così deboli che non potevano neanche calarsi i pantaloni. [...] In un primo tempo, non c'era acqua per niente, tranne la pioggia, poi, dopo un paio di settimane, potemmo avere un po' d'acqua da un tubo. [...] In quella primavera, la pioggia era quasi costante nella regione del Reno. Piovve in più di metà dei giorni e in più di metà dei giorni restammo senza cibo del tutto. [...] Protestai con il comandante americano del campo perché stava violando la Convenzione di Ginevra, ma egli disse soltanto: 'Dimenticatevi la Convenzione, perché non avete alcun diritto'. Entro pochi giorni, alcuni degli uomini arrivati al campo in buona salute erano morti. Vidi i nostri uomini trascinare i cadaveri alla porta del campo, dove venivano gettati uno sopra l'altro sugli autocarri che li portavano via. Un ragazzo di diciassette anni, che poteva vedere in lontananza il suo villaggio, stava di solito presso la barriera di filo spinato e piangeva. Una mattina i prigionieri lo trovarono ucciso da una fucilata, ai piedi della barriera. Le guardie sollevarono il suo corpo e lo appesero alla barriera, lasciandovelo come avvertimento. I prigionieri erano costretti a passare vicino al corpo e molti gridarono 'Moerder, moerder (assassini, assassini)!'. Per ritorsione il comandante del campo tolse ai prigionieri per tre giorni le magre razioni. Per noi che già eravamo affamati e potevamo a stento muoverci perché ammalati, era terribile; per molti significava la morte. (da 'Gli altri lager', pag.49-50)
In molti campi era proibito scavare buche per farsi dei ripari. Tutto quello che avevamo da mangiare era l'erba. [...] Non era il più giovane del campo, perché tra i prigionieri vi erano donne incinte, bambini di sei anni e uomini di più di sessant'anni. Poiché non vennero tenuti elenchi nei campi dei DEF, e molti degli elenchi dei POW furono distrutti negli anni '50, nessuno sa quanti civili vi furono rinchiusi, ma i rapporti dei francesi rivelano che tra le centomila persone che gli americani trasferirono loro come manodopera, c'erano 32.640 donne, vecchi e bambini. [...] George Weiss, un meccanico di carri armati, disse che il suo campo lungo il Reno era così affollato che non potevamo neanche stenderci a terra completamente. Dovevamo passare la notte seduti e stretti l'uno all'altro. Ma la mancanza d'acqua era la cosa peggiore di tutto. Non ricevemmo acqua per tre giorni e mezzo. [...] Vidi morire migliaia di uomini. I cadaveri venivano portati via con gli autocarri. (da 'Gli altri lager', pag.51)
Wolfgang Iff disse che nella sua sezione di circa 10.000 persone a Rheinberg, venivano trascinate fuori dai 30 ai 40 cadaveri al giorno. Facendo parte della squadra addetta ai seppellimenti, Iff era ben piazzato per vedere quanto succedeva. Riceveva vitto extra per aiutare a trascinare i morti dal recinto alla porta del campo, dove venivano caricati su carriole e portati in grandi baracche di lamiera. Qui Iff e la sua squadra li spogliavano dei vestiti, spezzavano a metà le piastrine d'alluminio, li ammassavano a strati di quindici o venti, vi gettavano sopra dieci palate di calce viva, ammassando quindi altri strati, fino all'altezza di un metro. Mettevano quindi gli oggetti personali dei morti in un sacco per gli americani che se ne andavano. Vi erano morti per cancrena a seguito dei congelamenti sofferti nelle notti fredde d'aprile. Una dozzina circa d'altri, compreso un ragazzo di quattordici anni, troppo deboli per tenersi in equilibrio sui tronchi gettati attraverso i fossi come latrine, vi erano caduti annegando. Alcuni venivano ripescati e il sudiciume veniva lasciato su di loro così com'erano. A volte morivano fino a 200 uomini al giorni. In altri recinti di dimensioni simili, Iff vide morire da 60 a 70 uomini al giorno. 'Poi gli autocarri portavano via il triste carico. Quale macabra immagine', egli disse. Non fu mai detto ai prigionieri cosa avveniva dei cadaveri, ma, operai edili tedeschi negli anni cinquanta, e addetti alle sepolture negli ottanta, hanno scoperto a Rheinberg resti umani con piastrine d'alluminio dell'esercito tedesco della seconda guerra mondiale gettati assieme in fosse comuni, senza tracce di bare o pietre tombali. (da 'Gli altri lager', pag.54-55)
Il prigioniero Thelen disse sottovoce a suo figlio attraverso il filo spinato che nel campo morivano da 330 a 770 persone al giorno. Il campo ospitava allora da 100.000 a 120.000 persone. (da 'Gli altri lager', pag.55)
Gli ufficiali di medio grado responsabili sul campo dei POW inoltravano dapprima le loro richieste di rifornimenti seguendo la via normale, ma ricevevano in risposta molto meno del necessario per mantenere in vita i prigionieri. [...] Aggiunse che non poteva fornire gli abiti e gli equipaggiamenti da campo necessari come le tende, perché il Ministero della Guerra non li approvava mai. Infatti, un gran numero di mie richieste di rifornimento é stato respinto. (da 'Gli altri lager', pag.66)
Il 6 per cento circa del surplus permanente di viveri dell'esercito in Europa avrebbe fornito cibo sufficiente a nutrire per 100 giorni (con 1.300 calorie extra al giorno) e tenere in vita 800.000 persone, che morivano di fame nei campi in mezzo all'abbondanza. (da 'Gli altri lager', pag.71)
Lo squallore dei campi derivava dallo squallore morale che contagiava gli alti gradi dell'esercito. Questi ufficiali erano così cinici verso i prigionieri che, mentre scrivevano i loro ansiosi memorandum, forse per restare esenti da critiche, se mai ve ne furono, i loro sottoposti in almeno sei casi rifiutavano di permettere ai civili tedeschi di portare viveri ai prigionieri nei campi. Molte donne tedesche dissero al tenente Fisher che era stato loro vietato di portare cibo ai loro mariti nei campi, presso Francoforte, nell'estate del 1945. [...] Il Dipartimento della Guerra aveva imposto il divieto più pesante che riguardava tutti i campi americani, alla spedizione di pacchi della Croce Rossa ai prigionieri. Il divieto era esteso perfino alle donazioni che i tedeschi prigionieri negli Stati Uniti volevano fare per contribuire alle necessità dei prigionieri in Europa. (da 'Gli altri lager', pag.72)
[...] un ordine di una sola frase firmato Eisenhower li condannò tutti alla peggiore delle condizioni. Con effetto immediato tutti i membri delle forze tedesche tenuti in custodia americana nella zona americana d'occupazione della Germania, saranno considerati come forze nemiche disarmate e non godranno più dello status di prigionieri di guerra. [...] la percentuale delle morti quadruplicò in poche settimane. [...] Ma i tedeschi morivano molto di più ora che s'erano arresi, di quanto erano morti in guerra. Nei campi francesi e americani morirono almeno dieci volte più tedeschi di quanti erano morti, dal giugno 1941 all'aprile 1945, nei combattimenti sul fronte occidentale in Europa. (da 'Gli altri lager', pag.73)
Nei campi lungo il Reno, tra il 1 maggio e il 15 giugno, gli ufficiali del Corpo Medico registrarono un'orribile percentuale di morte, 80 volte più alta di qualunque alta avessero mai osservata in vita loro. Con efficienza, sommarono le cause di morte: tante per dissenteria e diarrea, tante per febbre tifoide, tetano, setticemia, tutte a percentuali inaudite sin dal medioevo. La stessa terminologia medica era stravolta dalla catastrofe di cui erano testimoni: venivano registrate morti per deperimento ed esaurimento. Le tre maggiori causa di morte erano la diarrea e dissenteria, i disturbi cardiaci e la polmonite. Come dimostra l'ispezione condotta dai medici, altre importanti cause di morte erano quelle direttamente legate alla mancanza di assistenza sanitaria, al sovraffollamento e al congelamento. (da 'Gli altri lager', pag.74)
Entro la fine di maggio, c'erano stati più morti nei campi americani che per lo scoppio della bomba atomica a Hiroshima. Alla stampa non era giunta una parola. (da 'Gli altri lager', pag.77)
Il governo degli Stati Uniti rifiutò al comitato internazionale della Croce Rossa di entrare nei campi per visitare i prigionieri, in diretta violazione degli obblighi americani verso la Convenzione di Ginevra. (da 'Gli altri lager', pag.78)
I resoconti giornalistici dalla Germania venivano pesantemente censurati e influenzati, consentendo di condurre le cose nei campi POW e DEF in una segretezza che fu mantenuta nei confronti di tutti, tranne le vittime, per molti anni. Un altro importante diritto scomparve con la Svizzera, quello alla posta, eliminando la sola possibilità che i prigionieri avevano di avere cibo a sufficienza come pure il diritto di dare notizie di se stessi e riceverne da casa. Nessuna notizia filtrava dai campi per raggiungere osservatori imparziali. Pochi aiuti potevano arrivare nei campi. (da 'Gli altri lager', pag.79)
Ancora nel febbraio 1946, l'ICRC, come altre organizzazioni assistenziali, aveva la proibizione degli Stati Uniti a portare aiuto ai bambini tedeschi e agli ammalati nella zona americana d'occupazione. (da 'Gli altri lager', pag.81)
Curiosamente, un primo segno sinistro del futuro venne dall'America settentrionale, da dove una delegazione della Croce Rossa riferì che le razioni dei prigionieri tedeschi erano state ridotte appena erano stati rilasciati i prigionieri alleati. Quindi, nel tardo maggio o ai primi di giugno, il Comitato Internazionale della Croce Rossa caricò due treni merci di viveri tratti dai magazzini in Svizzera, dove ne aveva in deposito oltre 100.000 tonnellate. Inviò i due treni, seguendo la via normale prescritta dal governo tedesco durante la guerra, uno a Mannheim e l'altro a Augsburg (Augusta), entrambe città nel settore americano. I treni raggiunsero le loro destinazioni, dove i funzionari che li accompagnavano furono informati da ufficiali americani che i magazzini erano pieni e i treni dovevano tornare indietro. Tornarono indietro, pieni, in Svizzera. Perplesso, Huber, il capo del Comitato Internazionale della Croce Rossa, cominciò a indagare. Dopo una lunga inchiesta, in agosto, Huber scrisse infine al Dipartimento di Stato forse la lettera più offensiva che la Croce Rossa abbia mai inviato a una grande potenza. (da 'Gli altri lager', pag.84)
Nella zona francese, la razione ufficiale era di poco superiore a quella del campo di sterminio di Belsen. (da 'Gli altri lager', pag.92)
'É proprio come a Buchenwald e Dachau' pensava il capitano Julien, mentre camminava cautamente sul terreno devastato, in mezzo ai morti viventi in un ex campo americano. Egli aveva combattuto con il suo reggimento, il Troisiéme Régiment de Tirailleurs Algériens, contro i tedeschi perché avevano rovinato la Francia, ma non aveva mai pensato a una vendetta simile a questo terreno fangoso popolato da scheletri viventi, alcuni dei quali morivano mentre li guardava, altri nascosti sotto pezzi di cartone che tenevano stretti nonostante il giorno di luglio fosse caldo. Donne, che giacevano nelle buche con le pance gonfiate dall'edema da fame in una grottesca parodia di gravidanza, lo fissavano con occhi sbarrati, deboli vecchi con lunghi capelli grigi, bambini di sei, sette anni lo guardavano con gli occhi cerchiati e senza vita per la fame. Julien a stento sapeva da che parte cominciare. Nel campo di 32.000 persone a Dietersheim, egli non poté trovare viveri di sorta. I due medici tedeschi dell'ospedale, Kurth e Geck, stavano tentando di curare i tanti pazienti morenti stesi su sporche coperte sul terreno, sotto il caldo cielo di luglio, in mezzo ai segni delle tende che gli americani si erano portati via. Julien mandò immediatamente i suoi ufficiali della 7 Compagnia a ispezionare i civili e gli inabili al lavoro, per vedere chi poteva essere rilasciato subito. Le 103.500 persone nei cinque campi attorno a Dietersheim erano considerate parte della manodopera consegnata in luglio dagli americani ai francesi per riparazioni di guerra, ma i francesi vi contarono 32.640 vecchi, donne, bambini sotto gli otto anni d'età, ragazzi da otto a quattordici, malati inguaribili e amputati. (da 'Gli altri lager', pag.94)
Sembra che sotto i francesi siano aumentate le fucilazioni a caso, sebbene entrambi gli eserciti cercassero di nascondere i fatti e i dati possano risultare distorti. In ogni modo il rapporto del tenente colonnello Barnes in aprile, '27 morti per cause non naturali' era largamente superato in una notte dagli ufficiali francesi ubriachi che, a Andernach, guidarono la loro jeep attraverso il campo ridendo e gridando mentre sparavano sui prigionieri con i loro mitragliatori Sten. Le perdite: 47 morti e 55 feriti. Un ufficiale francese rifiutò il permesso alla Croce Rossa tedesca di dar da mangiare ai prigionieri su un treno nonostante il rifornimento fosse stato già concordato tra la Croce Rossa e il comandante francese del campo. Le guardie francesi di un campo, sostenendo di aver notato un tentativo di fuga, uccisero a fucilate dieci prigionieri nei loro recinti. [...] Nel 108 Reggimento di Fanteria la violenza raggiunse tali limiti che il comandante militare della regione, il generale Billotte, su suggerimento del comandante del reggimento, tenente colonnello de Champvallier, che aveva rinunciato a cercare di disciplinare i suoi uomini, raccomandava che il reggimento venisse sciolto. I treni che trasferivano i prigionieri dalla Germania in Francia erano talmente terribili che gli ufficiali responsabili avevano ordini permanenti di evitare soste nelle stazioni francesi, per timore che i civili potessero vedere come venivano trattati i prigionieri. L'allievo ufficiale Jean Maurice descrisse un convoglio che comandò nel viaggiò da Hechtsheim. Maurice scriveva che era difficile tener conto dei prigionieri perché i carri ferroviari erano scoperti e il tempo era cattivo. Molte volte il treno era costretto a fermarsi nei tunnel, dove i prigionieri fuggivano dai carri. I francesi aprivano il fuoco su di loro nelle gallerie buie, uccidendone alcuni, Maurice non poteva sapere quanti, perché i corpi venivano lasciati sul posto ai cani. A Willingen, Maurice abbandonò un morto e un morente sulla banchina della stazione. (da 'Gli altri lager', pag.98-99)
Durante le scorse settimane, molti francesi, che sono stati in passato prigionieri dei tedeschi, si sono rivolti a me per protestare contro il trattamento riservato ai prigionieri di guerra tedeschi dal governo francese. [...] La signora Dunning, ritornando da Bourges, riferisce che vi muoiono dozzine di prigionieri tedeschi alla settimana. [...] Mi ha mostrato fotografie di scheletri umani e lettere di comandanti di campi francesi che hanno richiesto d'essere sostituiti perché non possono ottenere alcun aiuto dal governo francese e non possono sopportare di vedere i prigionieri morire di fame. (da 'Gli altri lager', pag.101)
'Le Figaro' pubblicò le notizie mentre erano in corso i festeggiamenti per la vittoria degli Alleati, che le accolsero come il fantasma di Banco. Dapprima incredulo, il giornale era stato convinto dalle testimonianze equilibrate di persone ineccepibili, come il sacerdote, padre Le Meur, che aveva realmente visto gli uomini morire di fame nei campi. [...] Il giornalista Serge Bromberger scriveva: 'Le fonti più attendibili confermavano che le condizioni fisiche dei prigionieri erano peggio che deplorevoli. Si parlava d'un orribile indice di mortalità, non per malattia ma per fame, e di uomini che pesavano in media 35-45 chili (80-100 libbre). Dapprima noi dubitavamo che fosse vero, ma abbiamo ricevuto appelli da molte parti e non abbiamo potuto trascurare la testimonianza di padre Le Meur, cappellano generale presso i prigionieri'. (da 'Gli altri lager', pag.103)
'Le Monde' pubblicò un articolo Jacques Fauvet, che iniziava appassionatamente: 'Mentre oggi si parla di Dachau, tra dieci si parlerà nel mondo intero di campi come Saint Paul d'Egiaux', dove 17.000 uomini, presi in custodia dagli americani nel tardo luglio, stavano morendo così rapidamente che in poche settimane erano stati riempiti due cimiteri di duecento tombe ciascuno. Alla fine di settembre, l'indice di mortalità era di 10 al giorno, ossia oltre il 21 per cento all'anno. (da 'Gli altri lager', pag.108)
Nel gennaio 1946, poco più di mezzo milione di uomini erano nominalmente al lavoro per l'esercito o l'economia civile. Quasi tutti denutriti, mal vestiti, deboli, lavoravano molto al di sotto della normale capacità. Altri 124.000 erano così ammalati che non potevano lavorare. Quando, durante l'estate del 1945, 600 uomini morenti scesero dal treno a Burglose, presso Bordeaux, sotto gli occhi degli abitanti del villaggio stupefatti, 87 di loro erano in condizioni così cattive che la marcia di due chilometri fino al campo li uccise. (da 'Gli altri lager', pag.119)
Non vedemmo mai la Croce Rossa, né venne qualcuno a ispezionarci, fino a due anni più tardi, quando ci portarono delle coperte. Quella fu la prima volta che vennero e fu nel 1947. Noi stavamo mangiando l'erba tra le baracche. I francesi non erano i soli responsabili per quanto avvenne nei campi in Francia, perché un'enorme numero di tedeschi era già malridotto dal cattivo trattamento ricevuto in Germania. Quando si raccolgono centinaia di migliaia di uomini in un'area senza preoccuparsi del modo di dar loro da mangiare, é una tragedia. [...] Ogni giorno, tre o quattro o cinque uomini morivano nella sua baracca di circa 80 uomini. C'erano giorni in cui egli aiutava a trascinare fino a venti cadaveri all'ingresso del campo. (da 'Gli altri lager', pag.122-123)
Il comandante Zalay disse in agosto a Pradervand che almeno 2.000 uomini erano così malandati che non c'era più alcuna speranza per loro. Una lista tenuta da un prigioniero tedesco documenta i nomi di oltre 400 morti nel periodo da agosto a ottobre in una sola sezione del campo. La guardia Robert Langlais di Thorée, che, per sei mesi, fu addetta a scavare tombe a Thorée, aiutò a seppellire una media di 15 cadaveri al giorno, nel periodo da agosto ad ottobre. Dei 200.000 uomini che, secondo Pradervand, stavano per morire, circa 52.000 furono restituiti agli americani, mentre 148.000 restarono nei campi francesi. Non vi furono miglioramenti nei campi francesi quell'inverno, come sappiamo dagli americani, dalla Croce Rossa e anche da alcune fonti francesi, perciò sembra certo che tutti i 148.000 rimasti morirono come previsto. (da 'Gli altri lager', pag.125-126)
A questo punto il pamphlet del governo francese, forse inavvertitamente, usa un linguaggio stranamente simile alla fraseologia USFET, perché 167.000 dei dispersi non contati sono definiti perdus pour raisons diverses, dispersi per varia ragione. Una buona chiave per decrittare questo perdus pour raisons diverses é la previsione di Pradervand che 200.000, dei 600.000 uomini che egli aveva ispezionato, erano certamente destinati a morire durante l'inverno, se le loro condizioni non fossero migliorate. [...] La sola ragione per non riportare il totale dei rimpatriati, mentre tutti gli altri totali parziali venivano assiduamente aggiornati, é quella di nascondere i veri totali. E la sola ragione credibile é quella di nascondere le morti, il cui numero perciò deve essere stato tanto alto, che era meglio nasconderlo. E quindi, sebbene sia impossibile dire con grande esattezza quanta gente morì nei campi, é certo tuttavia che era tanta da causare preoccupazioni e imbarazzo ai francesi. [...] Un gruppo assistenziale di quaccheri scoprì che, nel gennaio 1946, in un campo di 2.000 uomini presso Toulouse i morti erano stati 600 in tre settimane. (da 'Gli altri lager', pag.128-130)
Non c'erano tende nel campo DEF di Gotha, ma solo il solito filo spinato attorno a un terreno subito trasformato in fango. Il primo giorno ricevettero una scarsa razione di cibo, che fu poi ridotta alla metà. Per riceverla, erano costretti a passare le forche caudine, correndo curvi tra due file di guardie che li picchiavano con i bastoni mentre passavano. Il 27 aprile, furono trasferiti in un campo americano a Heideshelm, più a ovest, dove non ci fu cibo per niente, per diversi giorni e poi molto poco. Esposti alle intemperie, affamati e assetati, gli uomini incominciarono a morire. Una notte di pioggia, Liebich vide le sponde della buca, scavata in terra soffice e sabbiosa, franare sugli uomini che erano troppo deboli per uscirne. Tentò di tirarli fuori, ma erano troppi. Soffocarono prima che gli altri potessero raggiungerli. [...] Vide dai 10 ai 30 cadaveri al giorno trascinati fuori dalla sua sezione, Campo B, che conteneva in principio 5.200 uomini. [...] Quando infine arrivò un po' di cibo, era guasto. Gli uomini dicevano che, a Rheinberg, avevano avuto 35 giorni di fame e 15 giorni di digiuno assoluto. L'indice di mortalità in campi come quello di Rheinberg, nel maggio 1945, era di circa il 30 per cento all'anno. In nessuno dei campi che aveva visto c'era un qualche riparo per i prigionieri. [...] Secondo le testimonianze degli ex prigionieri di Rheinberg, l'ultimo atto degli americani prima di consegnare il campo agli inglesi, verso la metà di giugno, fu quello di spianare con i bulldozer una sezione del campo dove c'erano ancora degli uomini vivi nelle loro buche. (da 'Gli altri lager', pag.133-134)
(I prigionieri) considerano un'ingiustizia, un crimine contro l'umanità il fatto d'essere trattati inumanamente, di morire di fame in pessime condizioni di vita e d'essere maltrattati... ciò li mette sullo stesso piano delle vittime dei campi di concentramento. E ciò porta alla conclusione che gli altri fanno le stesse cose per le quali essi sono biasimati. (da 'Gli altri lager', pag.137)
La politica inglese non nasceva da pura devozione a principi umanitari, o dalla leale difesa d'un valoroso nemico sconfitto. Preservando la forza dei tedeschi, ora sotto il comando alleato, gli inglesi agivano soltanto per cinico interesse. Gli inglesi sapevano, come il generale George S. Patton, che avrebbero potuto trovarsi nella necessità d'allearsi essi stessi con i tedeschi, contro la Russia, nella prossima guerra per l'Europa. E, come Patton, che liberò alla svelta i suoi prigionieri tedeschi nel maggio 1945, gli inglesi fecero lo stesso con i loro, finché ne rimasero soltanto 68.000, nella primavera del 1946. Gli inglesi agirono ancora una volta come Patton: per molti mesi mantennero intatti nelle loro formazioni, e armati, da 300.000 a 400.000 tedeschi catturati in Norvegia. Stalin protestò per questo con Churchill, a Potsdam. Falsamente, Churchill disse di non saperne niente. (da 'Gli altri lager', pag.138)
Non c'era fatale scarsità di viveri nel mondo occidentale, tranne che in Germania. La scarsità in Germania era causata, in parte, dagli Alleati stessi, con le requisizioni di cibo, la scarsità di manodopera derivante dall'imprigionamento di operai e l'abolizione della produzione industriale per l'esportazione. [...] Non solo la quantità di viveri nei magazzini alleati, ma anche la sbalorditiva ricchezza del Nord America, specialmente degli Stati Uniti, avrebbero reso assurda la notizia di fatali scarsità. [..] Una volta creato il mito della scarsità mondiale di viveri, le piccole quantità di viveri che raggiungevano i campi francesi e americani potevano ben essere definite come il massimo possibile nelle 'caotiche condizioni del tempo'. (da 'Gli altri lager', pag.142-143)
Gli americani fornivano lo stesso genere d'amenità, diffondendo la storia che alcuni loro comandanti di campi in Germania dovevano mandare via i prigionieri rilasciati, che tentavano di rientrare di nascosto nei campi per avere cibo e riparo. [...] Robert Murphy, che era consigliere politico civile di Eisenhower, quando fu, per pochi mesi, Governatore Militare, 'fu sconvolto nel vedere' durante la visita a un campo, 'che i nostri prigionieri erano tanto malridotti e emaciati quanto quelli che avevo osservato in un campo di concentramento nazista'. (da 'Gli altri lager', pag.147)
Gli americani cercarono, in un primo tempo, di deviare il biasimo sulle larghe spalle dei francesi. Il senatore Knowland, parlando al Senato degli Stati Uniti, nel 1947, andò molto vicino alla pericolosa verità, quando, parlando dei campi francesi, disse: 'Se non stiamo molto attenti, potrà arrivare ad imbarazzarci nei prossimi anni, una situazione in cui si potrà vedere come i prigionieri catturati dalle forze americane venivano trattati non molto meglio dei prigionieri che venivano gettati nei campi di concentramento della Germania nazista'. Il senatore Morse citò poi un articolo della famosa giornalista Doroty Thompson, che pure esprimeva sorpresa e orrore per la situazione dei campi francesi: 'Quel paese, con il nostro consenso o la nostra connivenza, e sfidando la Convenzione di Ginevra ha usato (prigionieri) come manodopera coatta proprio nello stesso modo in cui fu usato da Herr Sauckel (che fu giustiziato) a Norimberga...'. Pochi si curano di ricordare che il presidente Roosevelt diede una specifica garanzia al popolo tedesco nel settembre del 1944: 'Gli Alleati non trafficano in schiavitù umana'. (da 'Gli altri lager', pag.150)
Anche l'ICRC aveva dato informazioni fuorvianti che portavano i tedeschi fuori strada. A seguito delle richieste delle famiglie tedesche, l'ICRC aveva chiesto all'esercito degli Stati Uniti documenti sui dispersi, ricevendo in risposta la comunicazione che erano stati presi soltanto 3.500.000 DEF e circa 600.000 POW. Questi dati trascuravano circa 1.800.000 prigionieri catturati dagli americani durante la guerra. Assieme a quelli dell'indagine del 1947, creavano un sospetto mortale che andava a cadere come pioggia radioattiva sui russi. [...] Così si diffondeva a Knowland, al Senato americano, all'ICRC e al mondo, l'impressione che gli americani avessero catturato da 1.800.000 a 3.100.000 prigionieri meno del vero totale. [...] Ma le famiglie dei morti parlavano. Dopo la costituzione del governo della Repubblica federale tedesca, la loro voce collettiva cominciò a farsi sentire. Nel 1950 il cancelliere Konrad Adenauer fece una dichiarazione al Bundestag sull'argomento. 1.407.000 soldati risultavano ancora mancanti dalle loro case nella Germania occidentale dopo la guerra e la loro sorte era sconosciuta. Adenauer disse che c'erano '1.407.000 persone registrate come prigionieri di guerra o dispersi, 190.000 civili dispersi e 69.000 prigionieri dichiarati ancora in mano agli Alleati nei campi per criminali di guerra'. Mentre, negli anni 1950, cresceva il clima della Guerra Fredda, diventava molto più importante l'occultamento compiuto originariamente dagli ufficiali di SHAEF-USFET. Seppellite le colpe nazionali assieme a quelle personali, Francia e Stati Uniti potevano ora rovesciare le loro atrocità sui morti dei gulag russi. [...] Nel 1972, il senatore James O. Eastland prese la parola al Senato accusando i russi d'aver tenuto segretamente milioni di POW tedeschi in condizioni 'orribili'. (da 'Gli altri lager', pag.150-151)
Stalin diceva a Hopkins, a Mosca, nell'estate del 1945, che i russi avevano circa 2.000.000 di prigionieri adibiti al lavoro. Stalin non aveva bisogno, a quel tempo, di ridurre il dato vero, perché ogni parte stava tentando di ottenere la maggior parte possibile del credito della sconfitta di Hitler. Tuttavia, un articolo citato da molti scrittori americani e attribuito alla Tass, senza data o citazione precisa della fonte, si diceva attribuisse ai russi una cattura totale di 3.000.000 di prigionieri. Se ciò fosse vero, usando il dato di 837.828 di rilasciati, accettato dagli Alleati nel 1947, risulterebbe che i russi hanno mancato di 'tener conto', che, nel linguaggio della guerra fredda, significava liquidare, circa il 73 per cento dei prigionieri in mano loro in tempo di pace. (da 'Gli altri lager', pag.150-151)
Anche nei libri americani furono cancellate le verità imbarazzanti. Il poscritto di Eisenhower a Marshall nel maggio 1943, che diceva 'é un peccato che non ne abbiamo uccisi di più' riferendosi ai tedeschi, veniva tagliato, probabilmente per ordine del Dipartimento della Difesa, dalla versione delle lettere data alla stampa nell'apparentemente autorevole Papers of Dwight David Eisenhower. La frase era cancellata anche dal libro di corrispondenza di Eisenhower con Marshall intitolato 'Dear General'. (da 'Gli altri lager', pag.153)
Mancando della verità, i tedeschi incominciarono molto presto a credere ai miti. Uno era quello che la fame, che in ogni caso era non intenzionale e causata dal caos e dalla scarsità di cibo, veniva alleviata il più possibile dai generosi americani, che facevano del loro meglio in condizioni impossibili. Uno storico e archivista tedesco diceva all'autore che gli americani non avevano cibo sufficiente per loro stessi, ammettendo però di non aver visto alcun libro o documento in materia. [...] Il solo aspetto utile di tutta questa creazione di miti é stato quello di inserire profondamente nella coscienza tedesca un senso di colpa per il male fatto da quella nazione. Ma il senso di colpa per i campi nazisti era inevitabilmente associato, nella mente dei tedeschi, con l'odio per i campi degli Alleati. I tedeschi che sapevano com'erano quei campi, per esservi stati, trovarono le loro giustificazioni in ciò che facevano gli americani e i francesi. Accettando che gli Alleati fossero giustificati nel punirli per i loro crimini, giustificavano se stessi, cercando vendetta per i crimini di guerra impuniti degli Alleati. Questo desiderio di vendetta é impossibile da soddisfare e cerca perciò dei capri espiatori, manifestandosi nel neonazismo e nell'antiamericanismo. Molti tedeschi pensano oggi che i campi non furono una giusta punizione dalla quale impararono una dura lezione, ma piuttosto una ingiusta punizione contro la quale non osarono protestare. [...] 'Gli altri (gli Alleati) fanno le stesse cose delle quali i (tedeschi) sono incolpati', dicevano i prigionieri che tornavano dai campi alleati. (da 'Gli altri lager', pag.154-155)
Queste morti furono causate volontariamente, o era proprio impossibile per gli Stati Uniti e la Francia salvare le vite dei prigionieri? Se era impossibile, perché non li rilasciarono immediatamente? Il messaggio DEF del 10 marzo 1945 dimostra che la politica americana era pianificata in anticipo e ben prima che venissero catturate le grandi masse di prigionieri. Privare i prigionieri di riparo e delle razioni militari appena finita la guerra era una scelta politica dell'esercito americano. La privazione di cibo, acqua, tende e così via era incominciata settimane prima della fine delle ostilità, come notavano con sgomento Beasley e Mason. Già il 1 maggio si costruivano i recinti per prigionieri PWTE senza ripari, sebbene ci fosse un grande surplus di tende militari americane, e i primi prigionieri venivano privati dello status di POW il 4 maggio, quattro giorni prima del VE Day. In maggio si generalizzò la politica di privare i prigionieri di guerra del loro status e quindi del cibo che stavano già ricevendo. Fu una scelta politica quella che privò del loro status i rimanenti prigionieri, il 4 agosto, e fu ancora politica quella che impedì alle organizzazioni assistenziali civili di aiutare i prigionieri di guerra, i DEF e i civili in Germania. [...] Senza dubbio i DEF morirono in gran numero soprattutto a causa della fame, ma furono la mancanza di assistenza sanitaria e il sovraffollamento che causarono il maggior numero di morti tra i DEF e i POW. Una percentuale relativamente piccola, circa il 10 o il 15 per cento, morì per 'esaurimento o deperimento', mentre un numero molto alto per malattie direttamente associate con le condizioni malsane e il congelamento, come polmonite, dissenteria, diarrea, malattie respiratorie e così via. Cosa può spiegare il rifiuto di fornire beni e servizi prontamente disponibili che avrebbero potuto evitare tutto ciò?. (da 'Gli altri lager', pag.158-159)
L'esperienza dei 291.000 prigionieri tedeschi in mano all'esercito degli Stati Uniti, comandato dal generale Mark W. Clark, in Italia, dimostrava che era possibile, nel 1945, per i comandanti americani in Europa tenere in vita i prigionieri senza 'maltrattarli'. Nessuno ha mai denunciato maltrattamenti di quei prigionieri che, pesati in un campo americano in Germania subito dopo il loro ritorno dall'Italia, non risultarono sottopeso, mentre quelli tenuti in Germania 'erano tutti sotto peso'. L'esperienza inglese e canadese dimostra che era possibile tenere in vita milioni di prigionieri in Germania, nel 1945. Non é stata mai citata alcuna atrocità in tempo di pace contro gli inglesi e i canadesi, fatta eccezione per la fame, a quanto pare non causata intenzionalmente, di circa 400 prigionieri, nel campo inglese di Overijsche, in Belgio, nel 1945-46. L'indice di mortalità dal 3,5 al 5 per cento tra i civili nella zona britannica, nel 1945-46, raffrontato al 30 per cento o più dei campi americani nello stesso periodo, dimostra che i prigionieri dei campi americani avrebbero avuto una sorte molto migliore, se rilasciati tra la popolazione civile. E' chiaro che l'esercito in Germania era responsabile come é chiaro che non si trattò d'un incidente. Chi dunque era responsabile nell'esercito in Germania? Il responsabile era Eisenhower. Solo l'esercito aveva il compito di imprigionare, mantenere, rilasciare e trasferire i soldati tedeschi. (da 'Gli altri lager', pag.160-161)
Ovviamente la differenza tra i campi inglesi-canadesi e quelli americani non derivava soltanto dal migliore nutrimento fornito nei campi inglesi-canadesi. E' virtualmente certo, anche se non provato, che l'alta percentuale di sopravvivenza nei campi inglesi-canadesi era dovuta a fattori che non avevano niente a che fare con la scarsità mondiale di viveri. I prigionieri nei campi inglesi-americani avevano riparo, spazio, acqua potabile sufficiente, migliori cure mediche e così via. I prigionieri nei campi americani cercavano ancora di lanciare di nascosto, durante la notte, messaggi avvolti ai sassi chiedendo da mangiare, mentre quelli nei campi inglesi già ricevevano la posta regolarmente. L'esercito canadese permise ad almeno una unità tedesca di tenere tutto l'equipaggiamento telefonico e perfino di continuare a usare una radio trasmittente. Dopo pochi mesi, i prigionieri dei campi inglesi e canadesi ricevevano visite. [...] La colpa di tutto ciò va principalmente a Eisenhower, assieme a Hughes e Smith. Solo concedendo agli ufficiali subalterni di ricevere ciò di cui avevano bisogno dai depositi, avrebbe consentito di salvare molte vite. Permettendo la distribuzione dei 13.500.000 pacchi viveri della Croce Rossa destinati ai prigionieri, si sarebbero tenuti in vita per molti mesi, forse più d'un anno, tutti quelli che morivano di fame. Un solo ordine di rilasciare tutti quelli non necessari come manodopera, avrebbe ridotto rapidamente la percentuale dei morti da oltre il 30 per cento all'anno a quella dei civili del 3,5 per cento. Concedere il permesso alle organizzazioni assistenziali di visitare i campi, avrebbe portato a una tempesta di proteste pubbliche contro le atroci condizioni, suscitando nello tesso tempo la volontà politica e operativa necessaria ad alleviarle. (da 'Gli altri lager', pag.164-165)
'L'intenzione del comando dell'Army per quanto riguarda i campi dei POW tedeschi dal maggio 1945 alla fine del 1947 era di sterminare quanti più POW possibile finché la cosa si poteva fare senza controllo internazionale', secondo il tenente William Crisler, che all'epoca faceva parte del Military Intelligence dell'US Army di occupazione. Crisler fu testimone delle letali condizioni imposte ai prigionieri tedeschi in molti campi, compreso Regensburg presso Monaco. Egli vide anche un ordine affisso alla bacheca del Quartier Generale del Governo Militare Americano in Baviera e firmato dal Governatore Militare della Baviera, in inglese, tedesco o polacco, che diceva che era un crimine punibile con la morte per i civili tedeschi portare cibo ai campi per nutrire i prigionieri (interviste nel 1991 e 1992, oltre a lettere di Crisler, che ha approvato le stesse per la pubblicazione). I prigionieri stavano allora morendo di fame. Nel grande campo per prigionieri di guerra di Bretzenheim, dove le condizioni erano migliori che in molti altri campi, il registro ufficiale delle razioni, scoperto di recente, mostra che i prigionieri di guerra - quelli trattati meglio di tutti - ricevevano da 600 a 850 calorie al giorno. I prigionieri pativano la fame sebbene 'i viveri fossero ammassati tutt'attorno al recinto del campo', secondo il capitano Lee Berwick del 424 Reggimento di fanteria, che aveva in custodia il campo. Recentemente sono state scoperte anche prove che sono stati uccisi sia civili che prigionieri mentre tentavano di dare o ricevere cibo attraverso le barriere di filo spinato. E due tedeschi hanno rivelato che videro i bulldozer dell'US Army seppellire vivi dei prigionieri nelle loro buche di terra nei campi di Remagen e Bad Kreuznach. Fu solo un giorno dopo la fine della guerra, l'8 maggio 1945, che il Governo Militare di Eisenhower dichiarò che dar da mangiare ai prigionieri era un crimine capitale per i civili tedeschi. (da 'Gli altri lager', pag.169)
Il tenente William Crisler ha detto: 'Ho visto l'ordine in inglese e tedesco affisso per un breve periodo alla bacheca del Quartier Generale del governo militare della Baviera. Era firmato dal capo di Stato Maggiore del governo militare della Baviera. Più tardi fu affisso in polacco a Straubing e Regensburg, perché c'erano molte compagnie di guardie polacche ai campi. L'intenzione del comando dell'Army a proposito dei campi di POW tedeschi era molto chiara dal maggio 1945 fino a tutto il 1946. Era di sterminare quanti più POW possibile finché la cosa si poteva fare senza controllo internazionale. Questa era conosciuta come la politica degli alti gradi del comando'. Ex prigionieri hanno consentito anche la scoperta di prigionieri e di un civile che furono fucilati per il 'delitto' di aver passato cibo attraverso il filo spinato. Donne e ragazze civili furono uccise, prese a fucilate e imprigionate per aver portato cibo ai campi, sebbene l'ordine di Eisenhower avesse dato implicitamente ai singoli comandanti dei campi la possibilità di fare eccezione per i famigliari che tentavano di dar da mangiare ai loro congiunti attraverso il filo spinato. Il prigioniero Paul Schmitt fu ucciso nel campo americano di Bretzenheim dopo essersi avvicinato al filo spinato per incontrare la moglie e il giovane figlio che gli portavano del cibo. I francesi seguivano l'esempio: Frau Agnes Spira fu uccisa da guardie francesi a Dietersheim nel luglio 1945 mentre portava cibo ai prigionieri. (da 'Gli altri lager', pag.170)
Il prigioniero Hans Scharf, che ora vive in California, fu testimone dell'uccisione più raccapricciante. Vide una donna tedesca con i suoi due bambini venire verso una guardia americana nel campo di Bad Kreuznach, portando una bottiglia di vino. Chiese alla guardia di dare la bottiglia a suo marito che era proprio dietro al filo spinato. La guardia si scolò la bottiglia, e, vuota, la gettò a terra e uccise il prigioniero con cinque colpi. Gli altri prigionieri urlarono, attirando l'attenzione del tenente dell'US Army Holstman di Seattle, che disse: 'E' una cosa orribile. Mi accerterò che la cosa vada davanti a una corte marziale'. In mesi di lavoro negli archivi dell'Esercito a Washington, non é risultata alcuna corte marziale per quest'episodio o altri simili. (da 'Gli altri lager', pag.171)
Martin Brech, professore in pensione di filosofia del Mercy College di New York, che era di guardia ad Andernach nel 1945, ha confermato che la politica del terrore di Eisenhower era duramente imposta fino ai gradi più bassi delle guardie del campo. (da 'Gli altri lager', pag.171)
A Bad Kreuznach, William Sellner di Oakville, nell'Ontario, vide un giorno dei civili che gettavano cibo oltre il filo spinato mentre le guardie guardavano con indifferenza. Ma, di notte, quelle guardie sparavano a caso raffiche di mitragliatore nel campo, sembra per divertirsi. A Bad Kreuznach, Ernst Richard Krische, amputato a un braccio, scrisse non di meno nel suo diario il 4 maggio: 'Sparatoria selvaggia nella notte, proprio come i fuochi d'artificio. Dovrebbe essere la cosiddetta pace. La mattina dopo, 40 morti come vittime dei fuochi d'artificio soltanto nel nostro recinto, molti feriti. (da 'Gli altri lager', pag.172)
Quando, in luglio, gli americani si preparavano a lasciare il campo, fu detto a Buchal dai conducenti del 560 Ambulance Company che avevano trasportato cadaveri ed evacuato prigionieri ammalati, che durante le dieci settimane di controllo americano nei sei campi attorno a Bretzenheim, erano morti 18.100 prigionieri. Buchal non venne a sapere dove finivano i cadaveri. Egli udì lo stesso numero di 18.100 morti anche dai tedeschi che tenevano le statistiche dell'ospedale e da altro personale americano nell'ospedale. [...] Molti riferiscono un numero di morti superiore a 50 al giorno per un lungo periodo nel solo campo, senza contare l'ospedale. Uno riferisce di 120-180 cadaveri portati fuori dal campo ogni giorno, senza tener conto dell'ospedale. (da 'Gli altri lager', pag.173)
Il capitano Berwick aveva il comando dei capisquadra tedeschi che dovevano portare fuori dal campo ogni giorno i cadaveri. Egli valuta che da tre a cinque cadaveri al giorno venivano portati fuori da ciascuno dei 20 recinti compresi nel campo più grande, nel periodo peggiore, che durò circa sedici giorni. Ciò significa che solo dal campo, senza considerare l'ospedale, da circa 960 a circa 1.600 cadaveri vennero portati fuori in solo sedici giorni. (da 'Gli altri lager', pag.173)
Leggiamo anche a pagina 17 del rapporto della 106 che in maggio e giugno le ambulanze della 106 fecero 2.434 viaggi coprendo 193.949 miglia, evacuando 21.551 prigionieri. Come abbiamo visto nel caso delle truppe che si diceva fossero state trasferite al generale Clark nel 1945 in Austria, e che Clark riferiva non essere mai arrivate, c'è un solo modo di partire da un luogo e non arrivare in alcun altro, e questo modo é il morire. In ogni caso, un dottore tedesco, Siegfried Enke, di Wuppertal, che lavorò in una unità ospedaliera d'un campo americano, ha detto che i pazienti malati incurabili venivano trasferiti a un altro fabbricato (chiamato probabilmente ospedale d'evacuazione) e che non li vedeva più. (da 'Gli altri lager', pag.176)
Il dottor Joseph Kirsch scrive: 'Mi offrii volontario al Governo Militare del 21 (francese) Regione Militare (presso Metz)... Fui assegnato all'ospedale militare 'francese' situato nel piccolo seminario di Montigny... Nel maggio 1945, gli americani che occupavano l'ospedale di Legouest ci portavano con le ambulanze ogni notte barelle cariche di prigionieri moribondi in uniforme tedesca... Le ambulanze entravano dall'ingresso posteriore... Noi allineavamo le barelle nella sala centrale. Non avevamo niente a disposizione per le cure. Potevamo soltanto eseguire esami superficiali elementari (auscultazione). Soltanto per scoprire prima le cause della morte nella notte... Poi, al mattino, arrivavano altre ambulanze con bare e calce viva... I prigionieri erano in condizioni talmente cattive che il mio ruolo era ridotto a dar conforto ai morenti. Questo dramma mi ha ossessionato dalla guerra in poi; lo ricordo come un orrore'. Il lettore può giudicare quale opinione avessero gli americani di quegli 'ospedali' dal fatto che, assieme ai pazienti, trasportavano bare e calce viva. (da 'Gli altri lager', pag.176)
La prova che le evacuazioni erano quasi tutte morti nascoste divenne molto più forte con l'arrivo dei francesi in luglio. I francesi che rilevarono dagli americani in luglio l'intera area del Reno, compresi campi e ospedali, lamentarono il fatto che gli americani avevano detto che c'erano 192.000 uomini nei campi e negli ospedali, ma in realtà ne avevano trovati soltanto 166.000. Non solo i francesi non li trovarono, gli americani ammisero riservatamente che non c'erano. (da 'Gli altri lager', pag.177)
La più impressionante delle prove dettagliate di morti registrate da unità ospedaliere viene pure dalla 106 Divisione. Nelle unità ospedaliere della 106, escludendo 'ospedali d'evacuazione', in 70 giorni, morirono 1.392 persone su un carico di pazienti di 23.095. [...] A Bretzenheim, a tre miglia di distanza, Max Dellmann, il pastore protestante del campo nel 1946, seppe dai medici tedeschi del 50° Field Hospital HQ Detachment nel campo, che vi erano morti dai tremila ai quattromila uomini quando c'erano gli americani. (da 'Gli altri lager', pag.178)
Una notte nell'aprile del 1945, fui risvegliato di colpo dal mio sopore nella pioggia e nel fango da strazianti grida e da forti lamenti. Balzai i piedi e vidi in distanza (circa 30-50 metri) i fari di un bulldozer. Vidi poi che il bulldozer stava avanzando attraverso la folla di prigionieri stesi a terra. Aveva davanti una lama che tracciava una strada nel terreno. Non so quanti dei prigionieri finirono sepolti vivi nelle loro buche. Non fu più possibile rendersene conto. Odo ancora chiaramente le grida di 'Assassino!'. (da 'Gli altri lager', pag.184)
Una lettera di un funzionario del Dipartimento di Stato, confermata da un funzionario del Comitato Internazionale della Croce Rossa, stabilisce inequivocabilmente, nel gennaio 1946, che 'le condizioni sotto le quali i POW tedeschi sono stati tenuti nel teatro europeo d'operazioni ci espongono a gravi accuse di violazioni della Convenzione di Ginevra'. [...] L'ICRC riferiva dalla Francia, e l'esercito riferiva dall'Austria e Berlino, che i prigionieri in mano agli americani morivano di fame. (da 'Gli altri lager', pag.201)
Ma i francesi non erano i soli responsabili di quegli eccessi. Intenzionalmente interpretando a modo loro la direttiva 1067 dei capi di Stato maggiore, molti ufficiali alle dipendenze di Eisenhower avevano cominciato ad affamare i prigionieri che alla fine della guerra erano caduti in mano americana. (II consulente politico di Eisenhower, Robert Murphy, così riferì nel suo libro Diplomat among the warriors (Londra, 1964), pagg. 360-361, dopo una visita a uno di quei campi; 'Rimasi allibito quando constatai che i prigionieri in nostre mani erano deboli ed emaciati come quelli che avevamo trovato nei campi nazisti. Il giovane comandante tranquillamente ci disse di avere deliberatamente tenuto i prigionieri in una dieta da fame...
Quando andammo via il nostro direttore sanitario mi chiese se quel campo rappresentava l'essenza della politica americana in Germania'.) Così un milione di loro morì per fame, ipotermia e malattie. Anche nei territori orientali veniva selvaggiamente implementata una politica vicina a quella suggerita dal Piano Morgenthau: in cerca di vendetta, i comandanti dei campi di concentramento siti in quello che era nel frattempo diventato territorio polacco avevano dato inizio al sistematico assassinio dei prigionieri di guerra tedeschi. (da 'Norimberga ultima battaglia', pag.215-216)
ITALIANI NEI CAMPI SOVIETICI.
Per gli italiani, e questo è il secondo binario, i sovietici adottarono un'altra tecnica. Durante la guerra ci fu un continuo martellamento per fare disertare i nostri soldati. I risultati furono modestissimi [...] Nel dopoguerra invece i capi del Cremlino inviarono i nostri soldati nei campi di concentramento più duri, dove migliaia morirono di stenti. Non c'era bisogno di tante repressioni violente, che pure ci furono in alcuni campi; era sufficiente affidarsi alle sofferenze del rigido inverno per sopprimere una buona parte dei nostri poveri prigionieri. Questa inutile crudeltà era attenuata per chi accettava di seguire i corsi di antifascismo e di marxismo. Togliatti ed i suoi collaboratori come il cognato Robotti avevano cominciato questa opera durante la guerra: opera che fu intensificata finito il conflitto [...] cercarono di convincere i nostri prigionieri privi di qualsiasi altra informazione che anche nel nostro paese ormai il sistema politico vincente era quello comunista. Fu questa un'impostazione sbagliata, perché se in Italia si poteva dare ad intendere alle masse che il comunismo era la dottrina e la prassi più adatta per il riscatto dei poveri, invece per uomini che anche nei contatti con la gente si erano resi conto di quale era la drammatica condizione dell'uomo e della donna sovietici, quella propaganda degli attivisti italiani appariva una beffa inflitta a persone che stavano provando sulla loro pelle la disumanità del sistema comunista. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.11)
[...] sono il comportamento dei fuoriusciti italiani che da Mosca e dai campi di prigionia di Stalin aggiunsero sangue a sangue, pena alle pene e morte alla morte. Sono i campi di Tambov, Susdal, Oranki, con la mortalità del novanta per cento e quello famigerato di Krinowaja, dove si praticava lo sterminio, le cui atrocità avrebbero fatto impallidire i lager hitleriani e l'incredibile ritardo e i lunghi colpevoli silenzi sui nostri caduti. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.13)
E' difficile credere che i campi di prigionia sovietici al tempo di Stalin non fossero finalizzati all'eliminazione dei reclusi [...] Ne conseguiva il disegno di annientamento di quella massa, praticato certamente fino al maggio 1943, che si sarebbe differenziato da quello dei nazisti solo per il metodo, il cui esito era prodotto dalla denutrizione, dalla malattia e dal congelamento. Le stesse marce di deportazione, sotto temperature assurde per gli organismi mediterranei, faceva parte del processo d'eliminazione fisica; né può reggere lo stereotipo di taluni storici secondo cui le migliaia di morti sarebbero avvenute per l'asprezza delle battaglie, con i sublimi eroismi e la resistenza ad oltranza di interi reparti. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.81)
Dei duecentotrentamila soldati italiani poco meno di novantamila rimasero chiusi nella grande sacca. Di questi rivedranno la patria poco più di diecimila. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.86)
Dopo la resa e le estenuanti marce sulla neve, i prigionieri subivano una prima falcidia per causa delle basse temperature [...] Durante le marce del dawai, incitamento gutturale che chi ha sentito non dimenticherà mai, a migliaia furono colpiti da congelamento e dalla cancrena [...] Oltre il Don, nei centri ferroviari, si smistavano i prigionieri che, contati, venivano caricati e stipati entro vagoni, senza cibo, né acqua [...] I convogli a volte rimanevano fermi in binari morti per giorni e giorni perché le linee erano occupate per i transiti che andavano al fronte [...] vi sarà chi orinerà nella gavetta, per bere dopo che il liquido si fosse un po' raffreddato. [...] Una seconda falcidia avveniva già nei vagoni, che per i suoi orrori ricorre in tanti racconti dei superstiti [...] Giunti a destinazione ai prigionieri veniva intimato di scendere; i più validi vi riuscivano, gli altri, moribondi rimanevano accucciati e lamentosi. Allora le guardie saltavano sui vagoni e col calcio dei mitragliatori spingevano gli infelici che gementi trattenevano le urla [...] Una terza falcidia si avrà nella lunga marcia verso il lager, lungo la quale perderà i più deboli. Quelli che si accasciavano, stremati, erano finiti coi parabellum dei soldati di scorta [...] Durante la marcia del davai perirono altre trentamila militari italiani. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.93-96)
A Komorowka avvenivano le esecuzioni di massa per via delle foreste vicine, nelle quali era agevole occultare i cadaveri; Suslanka era un campo di punizione, i prigionieri finnici colà reclusi, tra stenti e freddo vi morirono tutti; la temperatura gravava sempre dai quaranta ai cinquanta gradi sotto zero. Anche a Vorkuta si moriva, nelle sue miniere di carbone, per cui questo grande campo sarà chiamato campo della morte [...] Quello di Kolyma era attivo già al tempo dei grandi processi di Stalin [...] E' questo, probabilmente uno dei più vecchi campi ancora esistenti e dei più grandi se negli anni Trenta deteneva più di ottocentomila infelici. [...] Lì, tutti i prigionieri che per qualche motivo non potevano produrre la loro norma erano consegnati a speciali squadre composte da tre individui, dette troikas, che generalmente li condannavano alla fucilazione sotto l'accusa di sabotaggio, eseguivano la sentenza, oppure prolungavano la pena [...] Ogni anno 100.000 prigionieri erano inviati al campo di Kolyma e soltanto circa 10.000 ne ritornavano [...] Il più orribile tuttavia, quello che verrà ricordato con più raccapriccio, era il campo di Krinowaja [...] Il solo nome ancor oggi terrorizza i pochi superstiti: questo lager non era secondo al più famigerato campo di sterminio della Germania nazista [...] E qui un alto ufficiale prigioniero, un italiano, a nome di tutti pregherà il comandante russo di essere fucilato assieme agli altri prigionieri [...] All'interno delle baracche del campo di Susslanka la temperatura scendeva a meno quarantasette: pochi furono i superstiti. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.97-99)
Era questo un campo (Susdal) per ufficiali, tra i quali tutti i cappellani superstiti: cinque. Alcuni di questi riuscirono a celebrare la messa: sempre in tempo di notte, tra il gelo mortale e il rischio di venire fucilati se sorpresi. La mortalità, comunque, superò il 90 per cento. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.121)
Dichiarare d'esser antifascisti non era sufficiente, bisognava essere comunisti. E ancora: in più di quattro anni di prigionia non ho mai visto un commissario del popolo, ed erano italiani come noi, avere una parola, un gesto, uno sguardo di commiserazione per noi, che morivamo a migliaia. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.127)
Ricordo che durante i primi bagni, continua Gherardini, dopo essermi spogliato in una stanzaccia sudicia entrando nel calidarium, svenivo in media dalle dieci alle quindici volte [...] Chi aveva la dissenteria sentiva improvvisamente acuirsi gli spasmi; c'era un buco in un angolo ed era una corsa frenetica, uno spingersi a vicenda, uno schifoso ribollire di escrementi liquidi [...] I corpi nudi erano spaventosi. La testa, rasata a zero, sembrava un teschio che avesse conservato la pelle, tra costola e costola apparivano dei solchi profondi, le ossa del bacino erano visibili sotto l'epidermide, tra le cosce passavano i due pugni congiunti [...] A Oranki su novecentotrentatrè prigionieri italiani, ne sopravvissero duecento. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.140-141)
Al centro della Russia, fra Mosca e Stalingrado, s'apriva, nella regione di Tambov il lager 188 [...] La morte s'affacciava al lager in ogni momento, e a decine si contavano i cadaveri in un crescendo che raggiunse e superò i cento decessi quotidiani. Portavano la morte, il freddo, la denutrizione e, conseguentemente, le malattie. Le calorie conferite al prigioniero non erano mai più di 600 (nei campi di concentramento hitleriani le calorie distribuite quotidianamente ad ogni prigioniero di guerra non erano inferiori alle 800 e difficilmente superavano le 1200) [...] E' fuor di dubbio l'intenzione del governo sovietico d'annientare i prigionieri di guerra. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.144)
La dissenteria fa strage [...] la dissenteria si estende in maniera impressionante, diventa quasi sempre sanguigna con effetto letale [...] Nessuno a un certo momento vorrebbe più essere ricoverato ai lazzaretti donde non si ritorna vivi [...] C'è chi arriva al punto, che la fame, per quanto grande e antica possa essere, non giustifica, di raccogliere il grano non digerito degli escrementi, per rimetterlo nella zuppa dopo la passatina con l'acqua fresca [...] Nel lager di Tambov su ventimila prigionieri, ne sopravvissero mille. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.147-151)
Il campo di Krinowaia era considerato da tutti coloro che ebbero la sventura di transitarvi e la sorte d'uscirne, un vero e proprio luogo di sterminio, non certo secondo al peggiore dei lager nazisti [...] Solo in questo campo, nell'arco di quindici giorni, s'ebbero più decessi che in tutti i campi dell'Unione Sovietica: si contarono ventisettemila morti. Per favorire lo sterminio ai prigionieri veniva negato il cibo per i primi sette giorni dal loro arrivo, poi si distribuiva la zuppa che era costituita da acqua calda con qualche buccia di patate e alcuni pezzi di bietola. [...] I decessi avvenivano in continuazione, tanto che non si riusciva a sgomberare i cadaveri se non con l'allucinante espediente di legarli al collo ed alle caviglie, formando lunghe catene che venivano trascinate da muli [...] A Krinowaja la morte giungeva anche attraverso le fucilazioni, le eliminazioni camuffate e lo scempio del cannibalismo sui moribondi: era praticata l'antropofagia. Anche gli italiani, come avevano fatto gli ungheresi, resi pazzi dagli stenti mangiavano i cadaveri. Il cannibalismo di Krinowaja, è scritto, è una macchia che rimarrà un incancellabile atto d'accusa contro il governo sovietico e contro i comunisti fuoriusciti, testimoni indifferenti della degradazione dei loro connazionali. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.152-153)
I prigionieri furono lasciati senza cibo... alcune migliaia morirono nel giro di poche settimane per mancanza di cibo, per assideramento, per intossicazione. Altri per eccessiva fame si diedero al cannibalismo: i cadaveri appena morti o in fin di vita venivano squartati; qualche pezzo di muscolo ancora conservato del dimagrimento, il fegato, le cervella estratti e mangiati crudi o semiarrostiti al fuoco di sterpi e di paglia. Alcuni in qualche gavetta facevano cuocere un po' quella poltiglia di carne umana [...] Le teste venivano aperte, i costati divelti, un fuocherello alcuni sorvegliavano che non venisse nessuno e la cosa era fatta. Non si curavano neppure di ricomporre i cadaveri, io stesso vidi slitte cariche di corpi mutilati [...] L'odore del cadavere attirava i mangiatori di carne umana e appena qualcuno mostrava i sintomi della fine prossima gli erano già intorno, pronti a farlo a pezzi; le squadre, messe insieme per impedirlo, non sempre arrivavano a tempo. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.153-154)
Negli archivi del KGB, l'erede dell'infausta Enkevedè, solo quest'anno aperti agli storici e ai giornalisti di tutto il mondo, sono emersi i fascicoli compilati con meticoloso zelo sui prigionieri di guerra. Quello che sembrava un olocausto dovuto a cause contingenti risulta oggi inequivocabilmente essere stato un disegno perfettamente pianificato. Vi sarebbe persino un numero esatto di militari italiani censiti dalla polizia segreta: 48.957. Da ciò si arguisce che nelle disperate marce del davai morirono trentaduemila prigionieri: era quella la prima fase dello sterminio programmato [...] I prigionieri dell'ARMIR che erano stati rimpatriati, furono circa diecimila, gli ultimi dei quali, in contrasto con le leggi internazionali, lo furono dopo ben dodici anni di deportazione e nove dalla fine della guerra. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.161)
La guerra era finita ma per coloro che avevano calpestato il suolo russo i conti erano ancora aperti. Non parliamo dei tedeschi e del raggruppamento di Camicie nere e di tanti bersaglieri i quali, troppo spesso, non venivano fatti prigionieri. Il solo riconoscimento costituiva una sentenza di morte. Risulterà poi che i prigionieri risparmiati avevano di che pentirsi di non essere stati subito uccisi. Li attendeva la marcia del davai, li attendevano i vagoni della morte e poi i campi d'annientamento. I sovietici, uccidendo, appena catturati, le camicie nere e i tedeschi, finivano così per privilegiarli perché con la morte avrebbero loro evitato le immense torture del gelo e della fame [...] L'eliminazione pianificata, oggi chiaramente dimostrata, era nei disegni del governo sovietico. E bene lo sapevano i fuoriusciti comunisti italiani che cercarono di recuperare, tra quella massa inebetita, coloro che avrebbero potuto diventare comunisti. Ancora nel 1948, in occasione del grande appuntamento elettorale italiano, il governo sovietico si disse disposto a liberare tutti i prigionieri dell'ARMIR qualora il signor Togliatti fosse andato al potere. Ricorda Enrico Reginato che quando si diffuse questa notizia i sovietici palesarono la certezza della vittoria comunista in Italia tantochè già da mesi prima di quell'aprile fervettero i preparativi per i rimpatri degli italiani [...] Nessuna Norimberga per i sovietici che hanno calpestato la convenzione di Ginevra e il diritto delle genti, e nessuna Norimberga per i sovietici che avevano voluto eliminare l'intellighenzia polacca con quindicimila ufficiali soppressi nelle fosse di Katyn [...] L'Unione Sovietica con i suoi lager di eliminazione, nei quali erano accomunati dissidenti e prigionieri di guerra, non ha mai saldato i conti verso l'umanità. Né più li salderà poiché il regime fallimentare del suo governo, retto dalla mostruosa ideologia comunista, proprio in questi tempi ha chiuso bottega. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.171-172)
Eppure l'Italia, dopo l'8 settembre, era passata dallo stato di nemico a quello di alleato e alla fine della guerra era stata firmata un'intesa con l'URSS, sulla base della convenzione di Ginevra, per il rimpatrio di tutti i prigionieri o delle loro salme, come è avvenuto in tutti i paesi del mondo, anche nei più lontani o ritenuti più incivili. Dalla Russia solo dopo cinquant'anni, dopo il crollo del comunismo si viene a sapere di oltre 60.000 nomi ben catalogati negli schedari del KGB, mentre per anni i dirigenti sovietici e i comunisti italiani hanno sempre sostenuto che non c'erano più notizie. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.197)
Il soldato italiano caduto nelle mani dei sovietici era meno di zero. I piccoli gruppi venivano passati per le armi col seguente ordine di precedenza : tedeschi, camicie nere, cappellani militari. Chi si salvò lo dovette al fatto di essere stato catturato con reparti di una certa consistenza. Il soldato russo di guardia alle colonne, i partigiani e le compagne della scorta sparavano sui prigionieri quando volevano, per qualsiasi capriccio, e di ciò non dovevano rendere conto a nessuno. Le truppe autocarrate che, si incrociavano durante il davai sparavano a loro volta con mitragliatrici, parabellum e fucili contro le colonne e quel macabro tiro al bersaglio apriva sempre vuoti paurosi tra i prigionieri. A chi toccava toccava. Tutti coloro che cadevano prostrati lungo il cammino, stroncati dalla fatica, dalla fame, dal congelamento o dalle ferite, venivano immediatamente eliminati col classico colpo di fucile alla nuca. Quelli che scampavano al colpo alla nuca perché la scorta non avrebbe materialmente potuto liquidarli, erano condannati a morte dal freddo. I sopravvissuti al piombo dei sovietici furono uccisi dalla sete e dalla fame. Di fame e di sete morirono i primi compagni e di tutte le malattie connesse alla totale mancanza di vitto. Collassi cardiaci, paurosi edemi fulminanti e via dicendo aumentarono la strage. Chi riusciva ad arrivare alla fine della marcia del davai si trovò a tu per tu con le epidemie: tifo petecchiale e dissenteria [...] Nella steppa e non sul fronte del combattimento restarono effettivi, secondo calcoli ufficiali, varianti dall'ottantatre al novantasei per cento. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.203-204)
La sofferenza fisica non bastava, c'era il tormento politico! Commissioni di ufficiali dell'NKVD irrompevano ogni tanto all'interno delle celle e sottoponevano ad interrogatori di ore ed ore, accusando di crimini, mai commessi, pretendendo notizie di carattere militare segreto, raddolcendosi promettendo protezione e benessere per il presente e per il futuro in Italia a patto dell'iscrizione al gruppo [...] Gl'interrogatori ai quali venivamo sottoposti erano estenuanti: in essi si voleva conoscere la posizione professionale e condizione dei nostri parenti ed amici in Italia, le nostre e le loro idee politiche, l'opinione nostra e dei nostri compagni di prigionia sull'Unione Sovietica e sul comunismo. (da 'Prigionieri italiani nei campi di Stalin', pag.225)
Poi, all'improvviso decisi di togliermi i distintivi di grado. Nella mia mente spossata si aggrovigliavano considerazioni e ricordi: gli ufficiali di fanteria che - come avevo visto - andavano spesso all'attacco senza gradi, ma soprattutto certi racconti di atroci supplizi inferti dai bolscevichi ad ufficiali italiani prigionieri. (da 'I più non ritornano', pag.55)
A costui il soldato ripeté d'essere stato effettivamente prigioniero dei russi. Faceva parte di un'enorme colonna d'italiani catturati [...] cui i russi avevano dichiarato che li stavano portando a Millerovo, per caricarli sui treni e spedirli a lavorare nelle retrovie. [...] Il soldato proseguì: improvvisamente i guardiani della colonna avevano cominciato a far fuoco coi loro mitra sugli italiani. (da 'I più non ritornano', pag.97)
Appena catturati subimmo la prima perquisizione; capi di corredo necessarissimi per quel clima ci furono tolti. Successivamente i feriti più gravi, circa 150, furono divisi dal resto, ammassati contro una vecchia capanna e mitragliati. I cingoli dei potenti T.34 completarono il misfatto stritolando quelle povere carni. La scena fu così fulminea che al momento restammo allibiti e quasi increduli di fronte a tanta crudeltà. Subito dopo un altro episodio ci fece chiaramente in quali mani eravamo caduti. Una trentina di ufficiali e soldati, non in grado di reggersi, che si trovavano ancora ricoverati in un'isba, furono barbaramente trucidati e l'isba stessa data alle fiamme. I mitra russi non dovevano però averli uccisi tutti perché non appena si levarono le prime fiamme si udirono grida di disperazione che si tramutarono in spasmodiche urla di dolore quando le fiamme stesse giunsero a mordere questi poveri corpi già straziati dalle ferite. (da 'I più non ritornano', pag.233)
Soltanto nel 1977, dopo la pubblicazione delle cifre dettagliate da parte dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore ci fu possibile concretare in cinquanta-sessantamila il numero degli italiani autosufficienti caduti in mano russa. Di essi ne rimpatriarono a guerra finita 10.030. Per gli altri non ci rimangono che le stime fatte dagli stessi prigionieri, secondo le quali il 40% circa dei catturati dovrebbe essere morto di fame e sfinimento, oppure ucciso perché non più in grado di camminare, durante le terribili marce del 'davai!' verso i luoghi di radunata al di là del Don; dei sopravvissuti, pure un 40% circa (cioè il 25% del totale catturati) dovrebbe essere morto sui treni glaciali che a piccola velocità li trasportavano verso i lager; infine un altro 40%, sempre dei sopravvissuti (cioè il 15% dei catturati) dovrebbe essere morto nei lager durante i primi quattro mesi di prigionia: ancora per stenti, ma soprattutto per epidemie di tifo petecchiale. (da 'I più non ritornano', pag.233-234)
Ai caduti in combattimento si devono poi aggiungere purtroppo i tanti, i troppi caduti in prigionia. Si dimentica spesso difatti, volutamente o no, che nei campi di concentramento sovietici oltre il 90 per cento dei prigionieri, di ogni nazionalità, perse la vita per le disumane condizioni alle quali vennero tutti sottoposti. (da 'Fronte russo : c'ero anch'io', volume 1, pag.151)
A Valuiki assieme al mio generale Battisti, senza munizioni davanti ai cosacchi russi. Siamo costretti: o prigionieri o morire. Dopo alcuni giorni di peregrinare per vari paesi e isbe, siamo arrivati a Rossosch, sempre a piedi. [...] Allora mi sono messo io a caricare in spalla feriti e congelati, e caricarli sul treno. [...] Siamo partiti di lì in 1300, dopo 15 giorni siamo arrivati a Talukow, siamo rimasti vivi 370, gli altri tutti morti durante il viaggio. Dei 370 a marzo, in settembre stesso anno siamo rimasti vivi 65. (da 'Fronte russo : c'ero anch'io', volume 2, pag.526-527)
Tenente medico Enrico Reginato, medaglia d'oro al V.M. Battaglione Sciatori Monte Cervino, Corpo d'Armata Alpino: 'Io non ero presente alla giornata e alla battaglia di Nikolajewka; ero già, da tempo, in prigionia in mano dei russi. Ma appunto per ciò fui testimone delle estreme conseguenze della ritirata degli alpini (e di tutta l'armata italiana) in quell'inverno 1942-43, quando a conclusione della ritirata stessa per molte decine di migliaia di italiani si apri l'appendice e il periodo della prigionia russa. Sono stato testimone delle sofferenze che prolungarono a innumerevoli alpini le sofferenze della ritirata: gli innumerevoli e quasi sempre mortali patimenti di quanti fra gli alpini non riuscirono a varcare il cancello di libertà di Nikolajewka. Da allora penso che ritirata e prigionia costituirono un tutt'uno, la completezza di un calvario cosi irto di dolori e cosi prolungato nel tempo e nell'infinita varietà di patimenti da non consentire alla mente umana di concepirlo. Io ho visto soffrire e morire, in modo inenarrabile, e ne do qui inadeguata testimonianza, affinchè il ricordo appassionato almeno permanga e sia di insegnamento al giorno d'oggi, e tutto sia fatto nel campo della dignità e della tutela dell'uomo al fine di tenere lontana la gioventù attuale dal ripetersi dei patimenti allora sofferti dagli alpini, e da quanti ebbero la suprema sventura di cadere in una prigionia quale fu quella che subimmo in mano dei russi. Abbiamo visto colonne di prigionieri sospinti per giorni e settimane da urli, spari e percosse andar sempre più assottigliandosi perché chi non si reggeva per la stanchezza veniva finito con le armi. Abbiamo sentito levarsi invocazioni disperate 'dottore aiutami, non ne posso più', ma anche i dottori non ne potevano più; si coprivano le orecchie con le mani per non udire quelle voci e in quell'istante avrebbero voluto morire per non sentire scaricare le armi sul caduto. Abbiamo visto le strade segnate da cadaveri che genti e corvi profanavano: le prime per recuperare le vesti, i secondi per sfamarsi. Abbiamo assistito a spogliazioni di scarpe, di vesti, di oggetti di ogni genere, appartenenti a uomini sfiniti che non potevano reagire di fronte alla violenza. Abbiamo visto uomini disperati per fame tentare di eludere la sorveglianza per cercare del cibo, e venir abbattuti come cani. Abbiamo visto esseri umani abbnitirsi per l'infinita stanchezza, un'umanità degradata nella quale pochi si sentivano ancora fratelli al vicino o sentivano ancora pietà per il debole o il morente. Lo spirito di cameratismo che aveva legato, un tempo, i combattenti tra loro, sembrava finito con l'abbandono delle armi. Abbiamo visto entrare in campi di raccolta migliaia di uomini di molteplici nazionalità e uscirne vive poche centinaia nel breve arco di tempo di 30 giorni e, in quei trenta giorni, il dolore toccare il vertice dell'inumano. I ricoveri, esposti ai rigori del clima, erano gremiti fino all'inverosimile di uomini doloranti: l'odore acre della cancrena ristagnava ovunque; la fame distruggeva i corpi, la dissenteria completava l'opera di disfacimento di esseri umani martoriati da fame e sete e da parassiti che brulicavano nelle barbe incolte e sotto le vestì sudice e lacere. Un buio tragico e ossessionante scendeva su questi orrori fin dalle prime ore della sera, interrotto ogni tanto da torce agitate da figure umane urlanti che prelevavano uomini per il lavoro; poi tornava un cupo silenzio dì morte interrotto da grida di dolore, da gemiti, da invocazioni pronunciate nelle più diverse lingue, da preghiere elevate al ciclo ad alta voce da qualche cappellano. Abbiamo visto uomini diventare, per fame, feroci come lupi. Alle prime distribuzioni di cibo, come colti da improvvisa follia, spettri umani si levavano e si precipitavano urlando e schiacciandosi, rovesciando a terra ogni cosa, buttandosi al suolo per succhiare il fango impastato con il cibo sparso. Guardiani armati di spranghe di ferro dovevano far scorta al pane per difenderlo dai branchi di uomini in agguato che si avventavano per impossessarsene. Finalmente vennero convogli ferroviari a caricare e portare altrove questo resto di umanità carica di dolore e di parassiti: i convogli scaricavano i superstiti in altri campi che li accoglievano per rigettarli in fosse comuni; in essi li attendeva non la salvezza, ma il tifo, la tubercolosi, la difterite, la pellagra e ogni altro male. I lazzaretti (cosi venivano chiamati i luoghi dove si moriva], erano uno spettacolo drammatico e straziante; corpi discesi su pancacci di legno o sulla nuda terra si sfasciavano per morbi sconosciuti. La morte passava come un'ombra senza requie: ogni giorno volti nuovi, nuove sofferenze; cervelli sconvolti dalla pazzia, deliri, dissenterie, arti deformati dagli edemi, ferite corrose dalla cancrena. I medici e i sanitari si trascinavano fra quegli infelici fintante che il male portasse via anche loro. Ricorderò per sempre che un giorno, in un campo di concentramento, durante l'infuriare di una epidemia che giorno e notte mieteva innumerevoli vite umane, mi si avvicinò un giovane ufficiale medico austriaco, che parlava correntemente l'italiano. Egli mi espresse il desiderio di uscire dalla zona non infetta del campo per assistere gli ammalati, quasi tutti italiani. Lo sconsigliai per il grande pericolo al quale si esponeva; ma insistette con queste parole: 'Collega, la prego, io non voglio perdere questa grande occasione di essere medico e cristiano'. Profuse generosamente la sua arte e le sue energie per i contagiati; contagiato lui stesso, non trovò più in sé la forza di vincere il male che con parole semplici e grandi si era prefisso di combattere. Si spense con la serena dolcezza di chi è consapevole di non aver perduto né di fronte a Dio né di fronte agli uomini la grande occasione. Era difficile fare il medico, in quelle circostanze. I medicinali scarseggiavano, le poche fiale di analettici, per lo pili canfora, dovevano essere utilizzate solo nei casi estremi. Bisognava dosare tutti i farmaci con assoluta parsimonia, valutare lo stato di gravita di ciascun malato, decidere chi doveva avere la precedenza, stabilire una inutile graduatoria e talvolta si trattava di scegliere tra un paziente che invocava il medico nella sua stessa lingua e un altro sconosciuto figlio di Dio. I superstiti di tutti questi mali, uscirono dai lazzaretti con passi incerti e vacillanti. Quelli che alcuni mesi prima erano soldati pieni di vitalità e comandanti autorevoli, apparivano scheletri tenuti assieme da pelle ruvida e squamosa. Le fisionomie erano irriconoscibili; i capelli aridi, incanutiti; gli occhi immersi nelle occhiaie profonde; la cute del viso raggrinzita in minime rughe, il sorriso una smorfia che lentamente si ricomponeva; i denti vacillanti su gengive brune e sanguinanti, le unghie delle mani e dei piedi segnate da un solco trasversale che pareva segnasse l'inizio della sofferenza. Molti avevano perduto fino al 40-50% del loro peso; attoniti, assenti, dovevano pensare a lungo prima di ricordare il loro nome; sembravano esseri spettrali usciti da un mondo irreale, insofferenti ed indifferenti a tutto che non fosse la distribuzione del cibo. I mesi, gli anni di detenzione, non furono che tappe di un lungo calvario di rovina e di morte. Morte per esaurimento fisico, per interminabili marce, per i colpi spieiati degli uomini di scorta, per epidemie incontrollabili, per inanizione. I superstiti, smarriti dal crollo repentino di ogni illusione, tormentati dalla fame, dalla miseria, dalla paura, rimasero, costretti ai più duri lavori, per anni in balia del nemico, il quale, con abilità e perseveranza, cercò di catturarne anche l'anima ed imporre la propria ideologia. I detentori che avevano i corpi di quei vinti volevano il trofeo delle loro anime per vincerli due volte usando l'arma della propaganda e del ricatto: 'tu devi cambiare opinione altrimenti non rivedrai né la patria né la madre, né la sposa e i figli'. Questo fu l'infame ricatto: cedere dignità, coscienza e fede in cambio di ciò cui i prigionieri avevano diritto senza concessioni e senza compromessi. Finalmente, un giorno arrivò un ordine nei campi: i prigionieri non dovevano più morire; i medici dovevano attenersi ad esso sotto minaccia di gravi punizioni. Che cosa significava questa nuova disposizione? Invero la morte non si lascia impartire comandi. L'ordine voleva dire semplicemente che le restrizioni che determinavano la morte dei prigionieri dovevano cessare. Venne, allora, concesso un miglioramento di vitto, modesto ma pure essenziale; vennero presi provvedimenti che crearono condizioni possibili di vita, la lotta contro i parassiti si fece efficace, i medici trovarono meno arduo il loro lavoro disponendo di una quantità maggiore di mezzi, in ambienti più igienici ed adeguati. Ciò bastò per notare nei prigionieri una lenta ripresa delle forze, un miglioramento progressivo dei rapporti sociali, un ritrovamento di dignità e coscienza, un albeggiare di nuove speranze. Si riallacciarono vecchie amicizie, si riprese man mano a pensare, a parlare, a pregare, a confidarsi, a sperare, a credere nella salvezza. Ma ciò fu raggiunto quando già da tempo le fiamme della guerra si erano spente e nel resto del mondo iniziava, con la pace, una lenta resurrezione'. (da 'Nikolajewka : c'ero anch'io', pag.650-653)
Chi rimase indietro o, meglio, chi sopravvisse alla cattura (poiché, fin troppo spesso, chi cadeva nelle mani dell'Armata Rossa veniva ucciso con un colpo nuca: centinaia e centinaia di soldati italiani, che pure sarebbero stati in grado di procedere verso i campi di raccolta, finirono cosi e con loro, a maggior ragione i feriti intrasportabili e i congelati), chi sopravvisse alla cattura dunque (e gli italiani avevano maggiori probabilità di riuscirvi dei tedeschi), veniva costretto ad estenuanti marce forzate che duravano anche settimane. Durante queste marce i prigionieri morivano come mosche, falcidiati dalla fatica, dalla fame, dal freddo o dalle guardie, che uccidevano tutti loro che si accasciavano spossati. Quando poi i superstiti riuscivano a raggiungere i campi di raccolta, rischiavano in questi la morte per sete o per fame: quasi sempre solo il cannibalismo a danno dei defunti permise loro superare quello spaventoso periodo. Solo con il maggio del 1943 la situazione dei superstiti prigionieri italiani (meno di 11.000 sui circa 60.000 catturati dopo la battaglia del Don) potè dirsi migliorata. (da 'In nome della resa', pag.251)
ITALIANI NEI CAMPI ANGLOAMERICANI.
Il fatto é che il campo R era considerato dagli inglesi il loro campo modello: quello cioè da mostrare alle commissioni della Croce Rossa che, di tanto in tanto, venivano a visitarlo riportando, ovviamente, un'ottima impressione nel vederci così bene organizzati, nutriti, lavati, anche profumati per via delle buone saponette che ci venivano distribuite. Il campo R, in altre parole, costituiva l'alibi grazie al quale inglesi e americani coprivano tutte le mascalzonate alle quali si abbandonavano invece negli altri campi di concentramento: Coltano, Afragola, Scadicci, Taranto, Laterina, Aversa e così via, autentici inferni neri, come vennero denominati, dove i prigionieri fascisti, ammassati come bestie, privi del necessario, sotto nutriti, costituivano spesso e volentieri il bersaglio preferito delle sentinelle ubriache che si alternavano sulle torrette. (da 'La generazione che non si é arresa', pag.237-238)
GIAPPONESI NEI CAMPI ANGLOAMERICANI.
Fin dal 10 agosto 1936, Roosevelt aveva emesso un ordine in cui dichiarava: 'Tutti i cittadini giapponesi, che siano residenti sull'isola di Oahu o meno, che si recano all'arrivo di navi giapponesi o che abbiano rapporti con i loro ufficiali o i loro uomini, devono essere segretamente ma precisamente identificati, e il loro nome deve essere posto in una speciale lista di quelli che per primi saranno rinchiusi in campi di concentramento nel caso di problemi con il Giappone'. (da 'Il giorno dell'inganno', pag.107)

ControStoria 1998-2008 - Ultimo aggiornamento 9 Marzo 2008 


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