giovedì 13 dicembre 2012

LO SBARCO IN SICILIA NEL 1943 Gli USA e la mafia

 
Vittorio Martinelli
Nei primi dieci mesi di guerra i sommergibili tedeschi affondarono nei pressi delle coste dell'Atlantico cinquecento navi statunitensi; era chiaro che venivano riforniti di viveri e di nafta da spie e traditori; marina e controspionaggio si dimostrarono impotenti. Il controspionaggio ebbe l'idea di ricorrere ai servigi della mafia, con la mediazione di Salvatore Lucania (detto “Lucky Luciano”) che stava scontando una condanna a 15 anni. I fratelli Camardos e Frank Costello, con la loro organizzazione mafiosa, riuscirono dove le strutture ufficiali avevano fallito: I'attività filo-nazista fu stroncata.
Da cosa nacque cosa. Abrogati nel 1942 i “decreti Mori” parecchi mafiosi ritornati in Sicilia avviarono contatti con gli “Alleati” che incominciarono ad arruolare uomini d'origine siciliana. A mezzo dei pescherecci, i mafiosi esercitarono lo spionaggio nel Mediterraneo; poi fornirono notizie sulle infrastrutture dell'isola, la dislocazione e la consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia. Del resto perché gli Alleati iniziarono l'invasione dell'Europa meridionale dalla Sicilia, anziché dalla Sardegna o dalla Corsica, dalle quali sarebbe stato agevole effettuare sbarchi in Toscana, Liguria o Provenza?
La tranquillità nelle retrovie delle truppe che sarebbero sbarcate costituiva la preoccupazione principale dei comandi alleati: fu scelta la Sicilia con la certezza di poter contare, sull'appoggio della mafia. Fu quest'ultima ad ospitare dal 1942 il colonnello Charles Poletti, futuro governatore militare, dall'aprile 1943 il colonnello britannico Hancok e un buon numero d'infiltrati italo-americani.
Dalla relazione conclusiva della Commissione antimafia presentata alle Camere il 4 febbraio 1976: “Qualche tempo prima dello sbarco angloamericano in Sicilia numerosi elementi dell'esercito americano furono inviati nell'isola, per prendere contatti con persone determinate e per suscitare nella popolazione sentimenti favorevoli agli alleati. Una volta infatti che era stata decisa a Casablanca l'occupazione della Sicilia, il Naval Intelligence Service organizzò una apposita squadra (la Target section), incaricandola di raccogliere le necessarie informazioni ai fini dello sbarco e della “preparazione psicologica” della Sicilia. Fu così predisposta una fitta rete informativa, che stabilì preziosi collegamenti con la Sicilia, e mandò nell'isola un numero sempre maggiore di collaboratori e di informatori. Ma l'episodio certo più importante è quello che riguarda la parte avuta nella preparazione dello sbarco da Lucky Luciano, uno dei capi riconosciuti della malavita americana di origine siciliana.
Si comprende agevolmente, con queste premesse, quali siano state le vie dell'infiltrazione alleata in Sicilia prima dell'occupazione. Il gangster americano, una volta accettata l'idea di collaborare con le autorità governative, dovette prendere contatto con i grandi capimafia statunitensi di origine siciliana e questi a loro volta si interessarono di mettere a punto i necessari piani operativi, per far trovare un terreno favorevole agli elementi dell'esercito americano che sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia per preparare all'occupazione imminente le popolazioni locali. “Luciano” venne graziato nel 1946 “per i grandi servigi resi agli States durante la guerra”. E un fatto che quando il 10 luglio 1943 gli americani sbarcarono sulla costa sud della Sicilia, raggiunsero Palermo in soli sette giorni. Scrisse Michele Pantaleone: “...è storicamente provato che prima e durante le operazioni militari relative allo sbarco degli alleati in Sicilia, la mafia, d'accordo con il gangsterismo americano, s'adoperò per tenere sgombra la via da un mare all'altro...”.
Ancora la Commissione antimafia: "la mafia rinascente trovava in questa funzione, che le veniva assegnata dagli amici di un tempo, emigrati verso i lidi fortunati degli Stati Uniti, un elemento di forza per tornare alla ribalta e per far valere al momento opportuno, come poi effettivamente avrebbe fatto, i suoi crediti verso le potenze occupanti”.
Scrisse Lamberto Mercuri: “fu in quei mesi che la mafia rinacque e non tardò ad affacciarsi alla luce del sole: in realtà non era mai morta, né completamente debellata: le lunghe ed energiche repressioni del prefetto Mori ne avevano sopito per lungo tempo ardore e vigoria e fugato all'estero i capi più “rappresentativi” e più spietati che avevano tuttavia mantenuto contatti e legami con l'onorata società dell'isola”.
Nella confusione seguita all'invasione e alla caduta del Fascismo, la mafia vide l'opportunità di riorganizzare il vecchio potere, di insinuarsi nel vuoto del nuovo, raccogliendo i frutti della collaborazione con gli alleati. Molti suoi uomini noti ebbero cariche importanti: per esempio, un mafioso celeberrimo, don Calogero Vizzini, fu nominato da un tenente americano sindaco di Villalba; nella cerimonia d'insediamento, fu salutato da grida di “Viva la mafia!”.
“Vito Genovese - scrisse Mack Smith - benché ancora ricercato dalla polizia degli Stati Uniti in rapporto a molti delitti compreso l'omicidio, e sebbene avesse servito il fascismo durante la guerra, risultò stranamente essere un ufficiale di collegamento di una unità americana. Egli utilizzò la sua posizione e la sua parentela con elementi della mafia locale per aiutare a rastaurarne l'autorità...”.
Divenne il “braccio destro indigeno” del governatore Poletti, ma una banda ai suoi ordini rubava autocarri militari nel porto di Napoli, li riempiva di farina e zucchero, (pure sottratti agli alleati) che vendeva nelle città vicine. Altri mafiosi, meno noti, divennero interpreti o “uomini di fiducia”. L'atteggiamento del Governo militare fu ispirato a criteri utilitaristici; sta di fatto, però, che quest'apertura verso gli “amici degli amici” permise in breve alla mafia di riorganizzarsi, di riacquistare l'antica, indiscussa influenza. Aveva sempre cercato l'alleanza con il potere (anche con quello fascista, agl'inizi) ma per la prima volta le veniva conferito un crisma di legalità e di ufficialità che le consentiva d'identificarsi con il potere. I “nuovi quadri” saldarono o ripresero solidi legami con la malavita americana, indirizzandosi verso il tipo di criminalità associata “industriale” caratteristico del gangsterismo USA nel periodo tra le due guerre.
Sul numero di aprile di "Volontà" ho riepilogato le vicende della lotta - vittoriosa - condotta dal Fascismo contro la mafia. Il seguito della vicenda dimostra come, grazie agli anglo-americani, la seconda guerra mondiale rappresentò per la mafia l'occasione d'oro per una rigogliosa rinascita, come i fatti hanno dimostrato ampiamente.
Si suol dire oggi, da chi intende sminuirne il successo, che il Fascismo non debellò la mafia, semplicemente la costrinse all'inazione, tant'è vero che poi si ridestò più forte di prima. Se fu poco, perché il regime attuale non perviene al medesimo risultato? Basterebbe. Senza più delitti ed attività criminale, la mafia si ridurrebbe ad una patetica, folcloristica conventicola segreta che non darebbe noia e non farebbe più paura a nessuno.
 
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