giovedì 22 novembre 2012

Il cattolicesimo sociale presso le seterie di San Leucio


dott. Ubaldo Sterlicchio

Sui re Borbone e sul Regno delle Due Sicilie, molto è stato scritto e, spessissimo, in senso negativo.
Tuttavia, nel 1902, lo storico inglese Bolton King (1860-1937) nell’avviare una delle più oneste riaffermazioni della verità storica, sostenne che «nessuno Stato in Italia poteva vantare istituzioni così progredite come quelle del Regno delle Due Sicilie».([1])

In materia economico-sociale, nel mese di gennaio del 1789 (ancor prima che scoppiasse la Rivoluzione francese!), il re Ferdinando IV (poi I) di Borbone (1751-1825) emanò lo Statuto delle seterie di San Leucio (località presso Caserta), per regolamentarvi la vita ed il lavoro degli operai e dei loro nuclei familiari.([2])

Quest’opera costituì l’atto principale della cosiddetta «era di Ferdinando». 
Il volume, pubblicato in soli 150 esemplari su carta imperiale d’Olanda per le Leggi e carta reale per i Doveri, aveva il seguente titolo: «L’origine della popolazione di S. Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle Leggi corrispondenti al buon Governo di Essa» e comprendeva anche i «Doveri verso Dio, verso sé, verso gli Altri, verso il Re, verso lo Stato, per uso delle Scuole normali di S. Leucio», nonché un «Orario per il tempo della Preghiera, Messa ed Esposizione del Santissimo per gli individui della popolazione di S. Leucio».([3])

L’opera è comunque meglio conosciuta come il Codice-statuto di San Leucio.

L’editto in questione fu redatto con somma saggezza ed il suo compilatore si ispirò ai princìpi di equità, giustizia ed aiuto alle classi più deboli, indicando le norme comportamentali per una vita retta, informata ai canoni del Vangelo ed uniformata al Diritto naturale. 
Con esso, Ferdinando IV di Borbone riuscì mirabilmente a coniugare le teorie socio-economi-che dell’illuminista Gaetano Filangieri (1753-1788) e quelle politico-economiche di Thomas Moore (1478-1535), rendendo così reale quel «cattolicesimo sociale» che il santo filosofo aveva concepito nella sua “Utopia”.
La colonia di San Leucio fu un progetto ideato e voluto dallo stesso re.
L’opificio, conosciuto successivamente in tutta Europa per l’elevato livello tecnologico ed i cui pregiati manufatti venivano largamente esportati, divenne il “fiore all’occhiello” dell’industria del Sud.
Si trattò di un vero e proprio “miracolo”, non solo sotto il profilo economico, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto sociale, che stupì i contemporanei.
Lo stesso denigratore dei Borbone, Alexandre Dumas padre (1802-1870), dovette ammettere che: «Nel 1778, quando cioè Sain-Simon aveva appena dodici anni, e Fourier non ne aveva cinque, il re Ferdinando non solo ideò il falansterio, ... ma lo mise ad effetto, dandogli leggi più umanitarie di quelle compilate da’ due capiscuola, e da’ loro due discepoli. Aspetto alla costituzione di San Leucio, quelle di Saint-Simon e di Fourier son timidi saggi di socialismo».([1])
Infatti, il Codice Leuciano anticipò di quasi un secolo le prime leggi sul lavoro varate in Inghilterra: previdenza, assistenza sanitaria, case ai lavoratori, asili nido, istruzione elementare obbligatoria e gratuita per i fanciulli.
Esso perseguiva obiettivi di convivenza tipicamente moderni (anche con l’affacciarsi di problematiche che, volendo usare una terminologia dei nostri tempi, potremmo definire “sindacali”) e mirava a realizzare una sorta di «socialismo evangelico»: sanciva cioè, per i componenti della colonia, la perfetta uguaglianza, con l’unica possibilità di differenziazione basata sul merito.
Le giovani coppie, inoltre, avevano diritto di prelazione per sistemarsi.
Fu così costruito un vero e proprio stabilimento di moderna concezione, che richiamò gente da fuori e famiglie intere in cerca di lavoro e reddito garantito.
Lo Statuto prevedeva un criterio retributivo, certamente parsimonioso, tuttavia in anticipo sui tempi, ed una specie di piano contro il pauperismo del Sud; perché l’iniziativa doveva essere, sono queste le testuali parole del re Ferdinando: «utile alle famiglie, alleviandole da’ pesi, che ora soffrono, e portandole ad uno stato tale da potersi mantener con agio, e senza pianger miseria, come finora è accaduto in molte delle più numerose e oziose».([2])
Con una regolamentazione che disciplinava i tempi e i modi del lavoro, che fissava i criteri dell’istruzione da impartire agli adolescenti, che si preoccupava di tutti gli aspetti della mutua assistenza e che, alla base del vivere civile, poneva l’osservanza delle pratiche religiose, considerando la religione cattolica apostolica romana il cardine spirituale intorno al quale ruotava la vita stessa della collettività, San Leucio apparve come una specie di isola sotto la protezione di un Re, illuminato e paterno, desideroso della felicità del popolo, secondo i più puri canoni delle utopie settecentesche.


«Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna Città, nessun Regno può sussistere, e prosperare senza il timor santo di Dio». 
Con queste parole ispirate al Vangelo, il re Borbone introduce, in una legge dello Stato, i due precetti cardine del cattolicesimo:
1) amare Dio sopra ogni cosa;
2) amare il Prossimo come se stesso.

Mirabile è, poi, la successiva analitica enunciazione dei comportamenti da tenere per la pratica osservanza di tali prescrizioni e degne di una particolare menzione sono i tre cosiddetti “doveri negativi”, che costituiscono altrettante regole inderogabili, ai fini della civile e pacifica convivenza, in qualunque tipo di società: 
«l’astenersi dall’offendere alcuno nella persona, nella roba e nell’onore».

Ai lavoratori delle seterie veniva assegnata una casa all'interno della colonia.
Le abitazioni medesime venivano progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel tempo (esse sono tuttora abitate) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici. Stiamo parlando del lontano 1789!
A San Leucio si ebbe anche la prima forma al mondo di assistenza sanitaria pubblica: a fine messa, i fedeli erano tenuti a versare il proprio obolo in una cassa custodita dal parroco, utilizzata per assicurare l’assistenza medica e farmaceutica ai bisognosi.

In tutto il Regno delle Due Sicilie, la tenuta e la gestione degli ospedali era a carico dello Stato ed a San Leucio, in particolare, esisteva «una Casa separata totalmente dalle altre, in luogo di aria buona e ventilata, chiamata degl’Infermi», laddove, «ne’ debiti tempi di autunno e di primavera d’ogni anno... a tutti i fanciulli e le fanciulle» veniva praticata gratuitamente «l’inoculazione del Vaiuolo».

Nella medesima struttura sanitaria potevano trovare altresì ricovero coloro che fossero stati «attaccati da morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici»; ivi, peraltro, le spese per «i medici, i medicamenti, le biancherie» e quant’altro occorresse «pel mantenimento del luogo, e degl’individui», erano a carico del Sovrano.([1])
Nel Regno delle Due Sicilie, la prima esperienza italiana di diritto allo studio si ebbe in virtù di un Decreto Regio del 1768 di Ferdinando IV, con il quale veniva sancito l’obbligo, per ogni Comune, di avere almeno un corso gratuito, per «i fanciulli di ambi i sessi», in parallelo con i normali corsi scolastici a pagamento.

Ed anche a San Leucio, per i ragazzi, l’educazione e l’istruzione elementare erano gratuite ed obbligatorie, potendo essi beneficiare della prima scuola dell'obbligo d'Italia, che iniziava al sesto anno di età e che comprendeva le materie tradizionali, quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, nonché l'economia domestica per le femmine e gli esercizi ginnici per i maschi.([2])
I figli erano ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto a quelli praticati nel resto d'Europa. In un periodo storico nel quale, in Inghilterra, lavoro minorile e orari di lavoro disumani erano la norma,([3]) negli opifici borbonici gli operai lavoravano otto ore al giorno e guadagnavano un salario sufficiente a sostentare le proprie famiglie. 
Per i giovani, inoltre, esisteva una sorta di politica dell’occupazione ante litteram: «Per non farli andare altrove a cercar la maniera d’impiegarsi, ho (chi parla è il Re, promulgatore dello Statuto) provveduto questo luogo di macchine, di strumenti e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture»([4]) (quanto potrebbero imparare, dal Re Ferdinando, i politici ed i sindacalisti italiani del XXI secolo, per la realizzazione di una  politica occupazionale che non costringa i giovani, in cerca di lavoro, ad abbandonare la propria terra!).
Sorprendente è, poi, la norma sui matrimoni, la quale stabiliva che «nella scelta non si mischino punto i genitori, ma sia libera de’ giovani». 
E non solo: l’antica costumanza della dote venne abolita, poiché «lo spirito e l’anima di questa società sono l’eguaglianza tra gl’individui che la compongono».([1])


Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio, richiamati dai molti benefici di cui usufruivano gli operai delle seterie.

Il Codice Leuciano fu ben presto tradotto in greco, francese e tedesco. Ma di gran lunga più importante, sotto il profilo culturale, fu la traduzione in latino, opera dell’Abate Vincenzo Lupoli (1737-1800).([2]) 
La traduzione latina, arricchita con dotte ed erudite annotazioni dell’autore, contribuì infatti a divulgare, negli ambienti culturali europei, la legislazione di San Leucio più di quanto la diffusione dei prodotti della manifattura della seta avesse fatto conoscere la Real Colonia; quest’opera letteraria richiamò particolarmente l’attenzione internazionale sull’organizzazione etico-amministrativa di una comunità a struttura sociale basata sul principio dell’uguaglianza, sia sotto il profilo giuridico che economico, garantita da una regolamentazione che riguardava tutte le manifestazioni della vita individuale e collettiva.


L’Abate Lupoli collocò il re Borbone al di sopra dei più famosi legislatori dell’antichità ed, in conclusione del suo lavoro letterario, fece un’esaltazione del re e della famiglia reale, suggellando il suo scritto con l’elegante epigrafe latina che ancora si può leggere alla base della statua di Ferdinando I eretta nel Belvedere di San Leucio, incisa nel 1824 ad opera del cavalier Antonio Sancio, Amministratore, in quel tempo, del Real Sito di San Leucio e del Sito Reale di Caserta.
Con l’iscrizione latina, oltre a magnificare il Sovrano, invocando per lui «faustiora ac prosperiora omnia» [ogni bene e prosperità], Monsignor Lupoli sintetizzava il programma politico-sociale che Ferdinando I, «scriptis sua manu legibus» [attraverso leggi scritte di suo pugno], intendeva realizzare con l’iniziativa leuciana.
Infatti, l’Abate evidenziava che il re Borbone «arduum iniit consilium, ut (...) lecta miserorum pubes qua puerorum que puellarum, ad religionis cultum, morum humanitatem ingeniumque artium informaretur» [prese un’ardua decisione, e cioè che (...) l’eccellente gioventù di ragazze e ragazzi bisognosi venisse istruita al culto della religione, alla morigeratezza dei costumi ed alla naturale inclinazione delle proprie attitudini], «usque memor caritatis gnatos hosce suos sibi plus oculis cariores» [sempre memore dell’amore verso questi suoi figli, a Lui più cari degli occhi].
Quest’etica politica, affondante le proprie radici nella morale cattolica, caratterizzò costantemente l’operato dell’intera Dinastia borbonica delle Due Sicilie, la quale mirava a garantire pace, benessere e giustizia sociale ai popoli dalla stessa governati.
Infatti, la colonia di San Leucio, grazie alle norme ed all’organizzazione dettate dal re Ferdinando, si arricchì e prosperò, e la seta pregiata della sua filanda, assurta a fama mondiale, entrò nelle case aristocratiche di tutto il mondo.([1])

Originariamente, si trattava di un piccolo impianto collocato nel regio padiglione della caccia, detto Belvedere; ma, poi, aveva cominciato ad espandersi, grazie alla costruzione di magazzini, filatoi, incannatoi e di una tintoria, prima dell’edificazione di abitazioni e dormitori per gli abitanti-lavoratori.

Il Belvedere di San Leucio


Nel 1786, gli architetti avevano realizzato, di fronte all’edificio principale, un’inedita tipologia abitativa: case a schiera, lungo il viale d’ingresso alla colonia, che presero il nome di Quartiere San Carlo e Quartiere San Ferdinando.
Quasi a complemento della lavorazione della seta, in un edificio adiacente ed allargato, trovò sede la Vaccheria, dove si allevava bestiame da carne, da latte e da lavoro, e si producevano, in gran quantità, burro e formaggi.
L’economista molisano Giuseppe Maria Galanti scrisse: «A mia memoria, devo dire che per San Leucio nessuna spesa veniva risparmiata. Il nostro amato sovrano (Dio serbi!) nulla tralascia per migliorare la colonia e dotarla di nuove macchine e sistemi i più vantaggiosi, tanto che essa ora ha raggiunto un livello talmente alto da potersi paragonare a ciò che vi è di meglio in altri paesi».([1])



Nei progetti del Sovrano, San Leucio avrebbe dovuto trasformarsi in una vera e propria città, da chiamarsi Ferdinandopoli, avulsa dal resto del Regno. Infatti, leggi, decreti e rescritti furono espliciti, chiari, illuminanti per documentare un indirizzo preciso.

Si trattò di un progetto avanzato ed ardito che, purtroppo, a causa degli eventi politici e bellici che si susseguirono, dalla Rivoluzione francese in poi, non potette avere pratica realizzazione. Anzi, quegli avvenimenti compromisero quanto già era stato realizzato.([1])

Tuttavia, la grandiosa idea di aver concepito San Leucio con criteri sociali, regolando la vita dei suoi abitanti con uno Statuto in cui tutti i privilegi venivano ignorati ed instaurando un’assoluta uguaglianza fra tutti i membri della comunità, consegna alla Storia Ferdinando I di Borbone come un grande ed illuminato Sovrano che, precorrendo i tempi con un eccezionale intuito sociale, intese realizzare una comunità perfetta a sfondo socialista.





Bandiera del Regno delle Due Sicilie

ricamata su seta di San Leucio originale
Tessuti finissimi, stoffe damascate, lampassi preziosi uscirono per decenni dalle fabbriche leuciane e ben due terzi della produzione totale erano destinati all’esportazione verso gli Stati Uniti d’America. Se mai nella vostra vita aveste la possibilità di toccare la bandiera americana situata nella Sala Ovale della Casa Bianca o quella inglese di Buckingam Palace, sappiate che state toccando le pregiate sete provenienti da San Leucio. E non solo. Dalle seterie san leuciane provengono anche meravigliosi tessuti che si possono ritrovare in Vaticano e al Quirinale, per citare altri esempi dell’arte della piccola comunità.
Nel 1997, San Leucio è divenuta Patrimonio dell’Umanità, bene protetto dall’UNESCO.
Telese Terme, novembre 2012.
dott. Ubaldo Sterlicchio

NOTE


1 -  Doctor J., “Diritto e carceri nelle Due Sicilie”, in http://www.frontemeridionalista.net, 4 gennaio 2011.

2 -  Autori vari, “San Leucio e l’arte della seta”. Ed. Pierro, Gruppo editori Campani, Legatoria del Sud, Ariccia (Roma) 1996.

3 -   Dall’intervento del Prof. Aniello Gentile, dell’Università di Napoli, Presidente della Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, il 28 febbraio 1998, in occasione della presentazione del numero speciale di questo periodico dedicato agli atti della Tavola Rotonda, tenuta il 29 gennaio 1996, nella ricorrenza del primo anniversario della beatificazione del Padre Modestino di Gesù e Maria da Frattamaggiore.

 4 - Alexandre Dumas, “Viaggio da Napoli a Roma”, Napoli 1863.

5 -  “San Leucio e l’arte della seta”, Pierro, Ariccia (Roma), 1996, pag. 15.

6 -  “San Leucio e l’arte della seta”, op. cit., pag. 51.

7 -  S. Stefani, (1907) “Una colonia socialista nel Regno dei Borboni”, Poligrafica, Roma; in Wikipedia - San Leucio (Caserta).

8 -  In alcuni documenti risalenti addirittura al 1840 (ben oltre mezzo secolo più tardi!) si legge che l’orario di lavoro delle fabbriche inglesi era di 13-14 ore il giorno per sei giorni la settimana, mentre i bambini di 5-6 an-ni erano obbligati a lavorare persino 13-15 ore negli opifici o nelle miniere in situazioni malsane e pericolose.

9 -  Giuseppe Campolieti, “Il Re lazzarone. Ferdinando IV di Borbone, amato dal popolo e condannato dalla storia”, Mondadori, Milano, 1999, pag. 154.

 10 . Giuseppe Campolieti, ibidem.

11 -  Professore di giurisprudenza e di diritto ecclesiastico, nonché teologo. Vincenzo Lupoli fu anche Vescovo di Telese e di Cerreto nel 1791; morì il 1° gennaio del 1800.

12 -  Domenico Capecelatro Gaudioso, “Ferdinando I di Borbone Re illuminista”, Adriano Gallina, Napoli, 1987, pagg. 72-73.

13 -   Giuseppe Maria Galanti, “Nuova Descrizione delle Sicilie”, Napoli, 1790, libro IV, tomo IV; cfr. anche Giu-seppe Campolieti, “Il re lazzarone”, op. cit., pagg. 205-206.

14 -  Domenico Capecelatro Gaudioso, op. cit., pagg. 73-74.


Aggiunta da SOCIALE
http://pocobello.blogspot.it/2009/06/colonia-socialista-di-san-leucio-prima.html

Statuto del feudo di san Leucio.
Capitolo I
Doveri negativi
I Doveri negativi son quelli, che impongono l'obbligo di astenersi dall'offender alcuno in qualunque maniera. Or in tre maniere si può offendere alcuno. Si può offen¬dere nella persona, nella roba, e nell'onore.
I. Non si può offendere alcuno nella persona.
Si offende alcuno nella Persona o coll'ammazzarlo, o col ferirlo, o col batterlo, o col fargli scherni, dispetti, insolenze, ovvero col molestarlo ed inquietarlo in qualunque modo. Nessuno di questi atti ardirà mai alcun di voi di commettere contra il suo simile; siccome non ardirà mai neppur l'offeso di prender da sé la privata vendetta: ma ricorrerà a' suoi Superiori per la dovuta giustizia; e credendo non averla da quelli ottenuta, potrà anche di poi venire da Me. Vegliano contri tutti questi delitti attentamente le Leggi: ma tanto più vegleranno esse contra quelli, che mai si commettessero in questa Società, che ha per suo principal fine l'amore, e la carità, e che l'esempio dev'essere della pubblica educazione.
II. Non si può offendere alcuno nella roba.
Si offende alcuno nella roba, ogni qualvolta o con violen¬ze, o con inganno si usurpa, o si ritiene ingiustamente quello, ch'è d'altrui. Il titol di ladro è il titol più infame e vergognoso che poss'aver l'uomo. Ciascuno dunque si guardi bene di meritarlo per alcun modo. In ogni Società i ladri son condannati ad atrocissime pene. In questa, dove l'onore, e la virtù sono i principali cardini della medesima, se mai ve ne fossero (che non è neppur da dubitarsi) saran¬no più rigorosamente puniti. Nelle compre perciò, nelle vendite, nelle permutazioni, ed in ogni altra specie di con¬tratti ogn'uno si guardi di usar soperchieria, ed inganno. Nessun venditore abusi dell'imperizia del compratore col chiedere un prezzo maggiore del dovere: e nessun compra¬tore si valga mai dell'ignoranza, o della necessità, in cui è tal volta il venditore, per levargli quel giusto prezzo, che gli spetta. Vadan bandite la mensogna, le frodi, e le fallacie nelle misure, ne pesi, nella qualità delle robe, che si vende¬ranno, o compreranno, nella qualità del danaro, ed in tutt'altro, in cui la versuzia, e l'inganno possa usarsi; e si proceda in tutto con candore, onestà, e buona fede. Sia la parola il vincolo più sacro della Società; e tutti sian fedelissimi, e sinceri ne' detti, e ne' fatti. Chi ha fedelmente servito, sia prontamente pagato; né alcuno gli neghi o ritardi la mer¬cede dovuta a ciò non sia causa della sua mina. In somma erigga ogn'uno nel suo cuore l'altare della giustizia; e tratti col suo simile, come vorrebbe, che questi trattasse con sé.
III Non si può offendere alcuno nella riputazione.
La riputazione è la cosa più importante e più preziosa, che possa aver l'uomo d'onore; e talvolta togliere altrui la ripu¬tazione è peggior delitto, che offenderlo nella roba, e nella persona. Nessun quindi dirà mai cose false contra di alcu¬no; e chi caderà in questo delitto, vada immediatamente bandito da questa Società. Nessuno dirà ingiurie, e villanie ad altri. Nessuno metterà in ridicolo, ed in beffa il suo fra¬tello; essendo tutte queste cose contrarie a quello spirito di carità, e di amore che Dio comanda, e che Io voglio, per ben della pace, del buon ordine, e della tranquillità delle vostre famiglie, da voi esattamente praticato.
Capitolo II Doveri positivi
I Doveri positivi impongono di fare a tutt'il maggior bene che si possa. Questi sono o generali, o particolari. I generali riflettono sopra tutt'i nostri simili. I particolari riguardano un Ceto particolare di persone, come sarebbe il Sovrano, i suoi Ministri, i Superiori, gli Ecclesiastici, gli Sposi, i Genitori, i Figli, i Fratelli, i Benefattori, i Maggiori di età, i Giovini e la Patria.
Doveri generali
I. Ogn'uno deve far bene al suo simile, ancorché sia suo nemico.
A ciascun de' i nostri simili Noi dobbiam far sempre il maggior bene, che si possa. Dio comanda, che si faccia per amor suo finanche a' nimici. La più bella vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese; ed il più bel piacere è quello di imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò. Soccorrerlo nelle avversità, ed aiu¬tarlo ne' bisogni è mostrare a tutti gli uomini la più subli¬me grandezza di cuore e di generosità. Ogni uomo in tutti gli stati può far del bene al suo simile. Il Savio, il Ricco, l'Agricoltore, l'Artista, quando impiegano i loro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche a prò' de' Cittadini, possono ben vantarsi di essere i Benefattori dell'Umanità. Ogni volta dunque, che si presenti a voi l'occasion di giovare ad altri, ciascuno l'abbracci; né mai si spaventi di qualche incomodo che seco porti questa generosa azione; poiché sarà sempre ben compensato da quel dolce e puro piacere, che l'accompagna. Questo sovrano precetto di Dio è fon¬dato sopra quella perfetta uguaglianza, che gli piacque sta¬bilire fra gli uomini. Egli li costituì in natura tutti fratelli, e dispose, che nessuno imperasse sopra di loro, fuor di Lui, o di Coloro, a' quali egli affidasse il governo 'de' Popoli. Per sua mercé Egli ha dato a Me il grave peso di governare questi Regni: ed Io nel dar a voi questa legge non intendo far altro, che seguire i suoi eterni consigli. Sin da prima, che Io concepii il bel disegno di unirvi in società in questo luogo, pensai ancora, di crearvi tutti Artieri, e darvi la maniera di divenirne famosi. La felicità di questi Reami mi fece concepir questa idea. Vedendo, che i tre Regni della Natura, cioè il vegetabile, l'animale, ed il minerale qui per singoiar dono della Provvidenza tengono la propria lor sede, e che solo manca in essi, chi a' naturali prodotti de' luoghi dia le nuove forme, mi risolsi nell'animo di pome ad effetto l'intrapresa. Già son pronte in buona parte le macchine, e gli ordigni corrispondenti al disegno. Solo resta, che per voi ci sia una fissa legislazione, che suggeri¬sca la norma della condotta della vita, e che prescriva gli stabilimenti necessari all'arti introdotte e da introdursi.
Il- II solo merito forma distinzione tra gl'Individui di San- Leucio. Perfetta uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso.
Essendo voi tutti Artisti, la legge che Io vi impongo, è quella di una perfetta uguaglianza. So, che ogni uomo è portato a distinguersi dagli altri; e che questa uguaglianza sembra non potersi sperare in tempi così contrari alla semplicità ed alla natura. Ma so pure, che vana e dannevol'è quella distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto; e che la vera distinzione sia quella, che deriva dal merito. La virtù, e l'eccellenza nell'arte, che si esercita, debbon essere la caratteristica dell'onore, e della singolarità; e questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distin¬zione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest'oggetto per evitar la gara nel lusso, e '1 dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dan¬noso, comando, che '1 vestire sia uguale in tutti: che estrema sia la nettezza, e la polizia sopra le vostre perso¬ne, acciò possa aversi quella decenza, che si richiede per rispetto, e venerazione dovuta a Chi si degna portarsi a vedere i vostri lavori: che questa polizia sia anche esatta¬mente osservata nelle vostre case, acciò possa godersi & quella perfetta sanità, ch'è tanto necessaria nelle persone, che vivono con l'industria delle braccia. Di voi nessuno ancora ardirà mai chiamarsi col Don, essendo questo un distintivo dovuto soltanto a' Ministri del Santuario in segno di rispetto, e di venerazione.
Doveri particolari I. Doveri verso il Sovrano.
Dopo Dio devesi a' Sovrani, come dati agli uomini da Dio, la riverenza, la fedeltà, l'ossequio. Le funzioni subli¬mi, ch'essi esercitano, gli fan dividere colla Divinità que¬sta venerazione. La loro persona dee rispettarsi, come sacra; e tutti gli ordini, che vengon da loro, debbon cie¬camente eseguirsi e prontamente osservarsi.
II Doveri verso i Ministri.
Sono i Ministri tutt'imagini de' Sovrani. Ogni posto, che da essi si occupa, si occupa per loro. Per Loro essi comandano; per Loro vegliano alla custodia, ed all'osser¬vanza delle leggi. Per amor di Loro voi dunque dovete ad essi tutti quegli atti di rispetto, e di ubbidienza, che l'au¬torità pubblica esige.
III. De' Matrimoni.
La donna fu concessa da Dio all'uomo per sua ragionevol compagna. Dall'unione di entrambi nacque la propaga¬zione, e conservazione dell'uman genere; e dalla moltipli-cazione de' matrimoni ebbero origine, e tuttavia fiorisco¬no le Società, e gl'Imperi. Perché dunque anche questa Popolazione prosperi, ed aumenti sotto la benedizione dell'Altissimo, vi voglion de' matrimoni, la celebrazione de' quali per voi Io sottopongo alle seguenti leggi. I. L'età del giovane non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16. Ed in queste circostanze né anche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino che dal Direttore de' Mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la fanciulla, non vengano con attestato dichiarati provetti nell'arte, a segno di potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della lor buona riuscita si concederà da Me ad esse una delle nuove case, che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario pe' comodi della vita, e i due mestie¬ri, co quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento. Quando un giovine giunto all'età stabilita, avrà inclinazione per una giovane, che sia anche dell'età prescritta ed abbiamo ambedue appreso le rispettive arti, dovrà subito dame parte a' suoi genitori, i quali n'avvertiranno quelli dell'altra parte per loro intelligenza, e perché di comun consenso badino sulla condotta de' figliuoli, a ciò tutto vada con decenza, ed acciocché non accada incon¬veniente alcuno; potendo ben dars'il caso, che su di una medesima persone più di uno pretenda. III. Nella scelta non si mischino punto i Genitori, ma sia libera de' giovini, da confermarsi nella seguente maniera, Nel giorno di Pentecoste nella Messa solenne, in cui inter¬verranno tutti gli abitanti del Luogo, e le fanciulle, edì giovini esteri, che travagliano nelle manifatture, da due fanciullini dell'uno, e dell'altro sesso si porteranno all'Altare per benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche, per gli uomini, e di colo; naturale per le donne; e nel terminar questa funzione à ciascun individuo se ne prenderà uno, come le palme Nell’uscir poi dalla Chiesa, i Pretendenti nell'atrio di essi dov'è il Battisterio, presenteranno il loro mazzetto é ragazza pretesa; e questa accettandolo, lo contracambiei' col suo; ma escludendolo, con polizia, e buona maniera lido restituirà; e né all'uno, né all'altra sarà permesso contestazione alcuna; e perciò i primi ad uscir di Chiesa, e situarsi nel sopradetto atrio saranno i Seniori del Popolo per imporre loro la dovuta soggezione. Coloro, che contra-cambiato si saranno il mazzetto, lo porteranno.in petto sino alla sera; quando dopo della S. Benedizione accompa¬gnati da' rispettivi Genitori si porteranno dal Parroco, che registrerà i nomi, e la parola. Dopo questa funzione sarà permesso farsi quant'altro incumbe a norma del Concilio di Trento, e di ogni altro requisito della legge, in Chiesa, in cui interverranno i Seniori del Popolo, e i Direttori, e le Direttrici dell'arti, non solo per solennizzare con quella pompa, che si richiede, questo gran Sacramento, ma per contestare agli Abitanti, che gli Sposi meritano la stima di tutti per la bontà del loro costume, e per essersi coU'arte, che già hann'appresa, resi utili a loro, alle famiglie, allo Stato, e che per tutt'il tempo deUa loro vita non vivranno mai a peso di alcuno.
IV. Essendo lo scopo di questa Società che tutti rimangon nel luogo; quindi per impegnarli a restare, alle figliuole,
ch'abbian imparata l'arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato altro, che soli docati 50 per una volta tantum e dal momento saran considerate com'estere, senza speran¬za di mai più potervi tornare.
V. Quando un giovine abitante, o artefice vorrà prender in moglie una estera, non potrà farlo, se prima tal giovane che egli vuoi sposare, non abbia appreso il mestiere in questa, o in altra manifatturia.
VI. E se assolutamente voglia prender in moglie una este¬ra, che non abbia arte in mano, dal momento uscir debba dal luogo, di dove non sarà più considerato come Individuo, e senza speranza di potervi più ritornare.
VII. Que' giovini dell'uno, e dell'altro sesso, che giunti sieno all'età di 16 anni senza essers'impiegati nelle manifatture per mancanza di volontà, saranno mandati in Casa di correzio¬ne, col divieto di non poter mai più tornare nel luogo.
E coloro, che impiegaticisi non abbian nulla appreso per mancanza di applicazione, saranno mandati in Casa di educazione, col divieto di non poter tornare nelle lot
case, se non istrutti.
VIII. Essendo lo spirito, e l'anima di questa Società l'eguaglianza tra gl'Individui, che la compongono, aboli¬sco tra' medesimi le Doti, e dichiaro, che ciocché da Me sarà per beneficenza somministrato, come di sopra si è detto, in occasione di matrimoni, sarà solo per premio della buona riuscita, che gli sposi avranno fatta nell'arte, e nel buon costume: beneficenza, che a loro accorderò col divino aiuto sino alla quarta generazione, dopo di che la donna porterà il solo necessario corredo; dovendo aver dopo la morte de' Genitori, la parte eguale co' maschi, com'in appresso sarà prescritto.
IV. Degli Sposi.
Capo di questa Società coniugale è l'uomo. Natura gli deferì questo dritto: ma gli proibì nel tempo stesso di opprimere e di maltrattare la sua moglie. Con tuono di maestà in ogni occasione gl'intima l'obbligo di amarla, di difenderla, e di garantirla da' pericoli, a' quali la sua debolezza la porterebbe. Il marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la previdenza, gli alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la giusta preferenza, la tenera amicizia e la cura sollecita per cimentare da più in più la cara unione. Impone ad essi natura questi sacri precetti non solo per ispirare sul di loro esempio ad ogni altro Individuo i sentimenti della Società, ma perché divenendo Genitori, non sien i figli infelici, e negletti tra le dissenzioni, e le discordie dome-stiche; ed in luogo di presentare Cittadini buoni, ed utili alla Patra, gli dian discoli, e perversi. Or per seguire que¬sto gran disegno della natura, sempre savia nelle sue ope¬razioni. Io prescrivo, e comando ad ogni marito di questa Società di non tiranneggiar mai la sua moglie, né di esser-e ln8iusto, togliendole quella ricompensa che sia dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie, che rendasi cara al suo marito; che nelle cure, e ne' travagli sia la sua fedele com. pagna; e che l'onore richiami sul comun letto maritale le celesti benedizioni.
V. De' Padri di Famiglia.
È il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli sposi Genitori de' figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a più precise obbligazioni. Il Padre è nelTobbligo di sovvenire, di assistere, di soste¬nere insiem colla madre i propri figli. Entrambi son tenuti di educarli, e di procurar loro uno stato di felicità in que¬sto Mondo. Per le loro o della loro compiacenza e conten¬tezza, o del loro continuo rammarico. Per le loro o solleci¬te o trascurate cure diverrann'essi l'oggetto o della loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammari¬co. Per loro saranno membri utili, o disutili della Società; buoni, o viziosi; onorati, o infami; comodi, o bisognosi. A voi dunque, che già Padri siete, o a cui toccherà in sorte di esserlo, a voi comando di educar bene i vostri figliuoli. Se voi ispirerete a tempo l'amor della fatica, essi saranno utili a se, a voi, alla Patria. Se la modestia, e la sobrietà, non avrann'occasione di vergognarsi. Se la gratitudine e la carità, otterranno benefìzi, e si guadagneranno l'amore di tutti Se la temperanza, e la prudenza, saranno sani, e for¬tunati. Se la giustizia e la sincerità, sarann'onorati, e non sentiranno rimorsi nel cuore. Se finalmente la religione, essi vivranno, e moriranno contenti. Questo è di tutt'i doveri l'articolo più importante; e perché scorgo che da esso deriva non solo la pace, e 1 ben essere delle famiglie, ma benanche la prosperità, e la felicità dello Stato, Io sono entrato a prendervi la principal parte.
VI. Leggi per la buona educazione de' Figli. Già è situata in Belvedere la Scuola normale, in cui s'in¬segna a' fanciulli, ed alle fanciulle sin dall'età di anni 6 il leggere, lo scrivere, l'abbaco; il catechismo della Religione; i doveri verso Dio, verso sé, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato; le regole della civiltà, della decenza, e della polizia; i catechismi di tutte le arti; 1 economia domestica; il buon uso del tempo, e quant'al-tro si "chiede per divenir uom dabbene, ed ottimo Cittadino. Obbligo vostro sarà che tutt'i vostri figli del¬l'età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola Per renderli ancora utili a voi, allo Stato, e ad esso loro e per non farli andare altrove a cercar la maniera d'impie¬garsi, ho provveduto questo luogo di macchine, d'istru-menti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture e vi s'introdurranno ancora tutte quelle altre arti, che hann'immediato rapporto coll'introdotte, ad oggetto di aversi quell'insieme, che indispensabilmente vi si richiede per l'economia e per la perfezione. Vi saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture, ne' quali sarà fissato l'orario del lavoro secondo i dati mesi dell'anno. I prezzi del lavoro d'ogni manifattura saranno fissi; ma il giovine, o la fanciulla apprendente salirà per gradi, e come anderà perfezionandosi nell'arte, sino al prezzo, che godesi da' migliori artisti, nazionali e forestieri. Pervenuti a que¬sto stato, se avran talento da portare la di loro opera ad un altro grado di maggior bellezza, e perfezione, si terran de concorsi; e quello, o quella, di cui il lavoro sarà più bello, più esatto, e più perfetto, avrà per premio il distintivo o una medaglia d'argento, ed in qualche caso anche d'oro, che potrà portare in petto; ed in Chiesa avrà la privativa di sedere per ordine di anzianità nel Banco, che sarà chiama¬to «del merito», che sarà situato unicamente per i giovani di tal fatta alla parte sinistra dell'Altare. Le cognizioni perfette della Divinità, la scienza di tutte le sociali virtù, l'amore e la continua applicazione al lavoro, il desiderio di distinguersi per via di merito, il giusto com¬penso che troveranno nella fatica, mi fanno sperare, che un giorno possan divenire gli oggetti della mia compia¬cenza, come della vostra tenerezza; e possan giustamente ereditare da voi tutto quello, che voi colli vostri sudori vi avete onoratamente procacciato. Ed in questo ancora voglio, che siate distinti da tutto il resto de' miei popoli.
VII. Leggi di successione.
Voglio, e comando, che tra voi non vi sian testamenti, né veruna di quelle legali conseguenze, che da essi proven¬gono. La sola giustizia naturale, e la natural'equità sia la face, e la guida di tutte le vostre operazioni. I figli succedano a' Genitori, e i Genitori a' Figli. Abbian luogo i collaterali, ma nel solo primo grado. In mancanza di questi succede la moglie, ma nel solo usufrutto, e fino a che manterrà la vedovanza. Dopo la di lei morte, e sempre nel caso di mancanza di tutti li sopradetti eredi, sian i beni del defunto del Monte degli orfani, delle cui rendite si forma una Cassa, che chiamerassi degli Orfani da amministrarsi per ora dal Parroco, che sarà obbligato di dame a Me conto.
Se poi mancan degli orfani di padre, e di madre, i quali non sien ancora in istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la cura di mantenerli e farli educare col prodotto della sopradetta Cassa, e col di più, che vi necessiti.
Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti; né mai resti escluso la femina dalla paterna eredità, ancorché vi sian de' maschi.
VIII. De' figli di famiglia.
Impressi dall'Altissimo fin da' primi momenti della crea¬zione ne' cuori de' Genitori i sentimenti di sì sviscerato amore verso de' figli, era senz'altro della sua Divina giustizia prescriverne a' medesimi il gran precetto di onorarli Tante pene, tanti sudori, tanti affanni meritavano certamente un onorato compenso. Io che le veci di Dio sopra di voi sostengo, sull'esempio del suo tremendo comando, l'istesso precetto a voi rinnovo. Rispettate, o figli, i vostri genitori: ricevete con umiltà i loro avvisi, e le loro correzioni soffrite volentieri anche i castighi: ed emendazione de' vostri vizj, e de' vostri difetti: serviteli: soccorreteli: compiaceteli in ogni cosa: siate loro grati, e non dimenticate neppur un momento i benefizj ricevuti: e soprattutto astenetevi da ogni atto, che possa offen¬derli.
Questo il gran Dio vi precetta, e questo anch'Io coman¬do. E se Dio maledice que' figli, che sono irrispettosi a' padri, Io li bandisco per sempre da questa Società, come mostri indegni di più stare nella medesima. Anzi perché in essa non alligni razza di gente così inumana, condan¬no ali istessa pena colui, che essendo stato presente lngiuria, non sia corso immediatamente a darne parte a’ Seniori del Popolo, per passarne a Me prontamente l’avviso.
IX. De' Fratelli.
L'amore è l'anima di questa Società. Dunque, voi, o fra¬telli, figli di un istesso padre, e che il latte succhiaste di una madre istessa, amatevi con vero amore; aiutatevi scambievolmente con vera premura: vivete fra di voi in perfetta concordia; nessuno abbia invidia dell'altro, e soffochi all'istante nel suo cuore que' sentimenti di odio, e di vendetta, che mai concepito abbia per qualche torto dall'altro ricevuto. L'offeso reclami l'autorità del padre, se vive, ed alle determinazioni di questi placidamente si sottometta, e si accheti. In mancanza poi del padre corra a' Seniori del Popolo, e la pace da loro implori. L'odio tra' fratelli è la più brutta, la più perfida, la più idegna, e scandalosa cosa, che possa vedersi sulla Terra.
X. De' discepoli.
1 Maestri equivalgono a' Genitori. Se i Genitori danno la vita, i Maestri danno la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a' Genitori, quelli stessi i discepoli hanno a' Maestri. Ad essi debbono l'amore, e a gratitudine: ad essi l'ubbidienza, ed il rispetto. La pratica per tanto di tutti questi doveri alla grata riconoscenza di tutte le loro cure Io anche a voi costantementmpongo.
XI. De' Benefattori.
Se v'ha sulla Terra creatura, che possa in un ito modo gareggiare colla Divinità, egli è senz'altro il hefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo del keficio in tutta la sua estensione.
Se, per esempio, un infelice vicino a perder li-ita per la fame, trova un'anima benefica, che lo ristorigli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad uscire le miserie, a lui deve tutto quel comodo, che acquista: si> porta ad esserre felice, a lui deve tutta la felicità. Gli dlighi dun¬que de' beneficati sono sempre assoluti: a nio di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia d'ingrato.! ingratitu¬dine è un vizio così odioso, e detestabile, cheivolta tutta l'umanità. Ogni uomo ha interesse ad odii l'ingrato, perché riconosce in lui uno, che tende a scoiggiar l'ani¬me benefiche, a bandir dal commercio delirila la com¬passione, la bontà, la liberalità, e quel santtlesiderio di giovare, che forma il modo più sacro della Sietà. Voi dunque, quanti siete in questa Società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt'i suoi desiderj: non l'inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui motivi di spandere sempre più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle sul vostro esempio sopra degli altri.
XII. De' Giovani.
I vecchi, e tutt'i maggiori di età avendo meritato da Dio il dono di essere di questo Mondo prima dei giovani, è quindi un dovere di questi venerarli, ed ubbidirl'in tutte le cose lecite, ed oneste. Nessuno per conseguenza può oltraggiarli: che anzi debbon tutti rispettare la loro venerando età, ed ascoltare, e seguire i loro prudenti consigli. E se mai alcuno vi sarà tra voi, che abbia il temerario ardire di usare loro poco rispetto, e poca venerazione, il padre, o se questi manca, i Seniori del Popolo per la prima volta l'ammoniranno seriamente: per la seconda volta faranno dal figlio chiede¬re perdono in pubblica Chiesa al Vecchio offeso; e per la terza volta se ne passerà a Me l'avviso per espellerlo dalla Società.
XIII. De' Vecchi.
Dovere però de' vecchi, e de' padri di famiglia sarà sempre dar a' giovani, ed a' figli il buon esempio non solo nell'e¬semplarità della vita, ma anche nell'amor della fatica; poi¬ché se essi saranno sobrj, religiosi, prudenti, laboriosi, modesti, tali saranno i giovani, ed i figli; e così si avrà nella Società quel fondo di virtù, che ardentemente desidero.
XIV. De' Seniori del Popolo. Tempo di eligerli, e loro doveri. Tra questi, comando, che in ogni anno nel giorno di San Leucio se ne scelgan cinque de' più savj, giusti, intesi, e prudenti, i quali senza strepito giudiziario col dolce nome di Pacieri, e di Seniori del Popolo, di unita col Parroco, decidano tutte le controversie civili, e d'arti senza appello: provvedano, e procurino, che nella società non manchi nessuna delle cose di prima necessità; mentre liberamente si permette a chiunque voglia di aprir Forni, Macelli, Cantine, ed ogni altra bottega di comestibili, ma coll'obbligo di tener le provviste per comodo della Società, dal principio fino alla fine dell'anno, e di vendere a giusto prezzo i generi, e non maggiore dell'assisa di Caserta, senza frode, e senz'inganno; e coll'obbligo speciale a' ven¬ditori di vino di non far mai nelle loro botteghe, o cantine giuocare a veruna sorta di giuoco, ancorché lecito, o per ischerzo, sotto pena di essere immediatamente sfrattati dalla Società. Si assicureranno di tutti questi articoli i Seniori suddetti con le debite sicurtà; ed invigileranno sulla bontà de' generi, e su tutt'altro, che convenga col massimo rigore, e colla più religiosa esattezza. Sarà cura de' sopradetti Seniori ancora di invigilare rigi¬damente sul costume degli individui della Società, sull'as¬sidua applicazione al lavoro, e sull'esatto adempimento del proprio dovere di ciascuno. E trovando, che in ess'al-ligni qualche scostumato, qualche ozioso, o sfaticato, dopo averlo due volte seriamente ammonito, ne posseran-no a me l'avviso, acciò possa mandarsi o in casa di corre¬zione, o espellersi dalla Società, secondo le circostanze. Della proprietà, e nettezza delle abitazioni sarà anche loro la cura, perché da tutti si osservi; prendendone specialmente occasione nella visita degli infermi, che dovranno giornalmente fare, per darmi distinto raggua¬glio del numero di essi in unione del Medico, della qua¬lità delle malattie, e de' soccorsi straordinari, di cui necessitassero.
Loro cura parimente sarà di dar'esatto conto de' Forestieri che capitassero nel luogo, e dovessero pernot¬tarci; colla distinzione del motivo perché siano venuti: in casa di chi rimangono, e per quanto tempo.
XV. Dell'inoculazione del Vaiuolo, e degli Infermi. Vi sarà perciò una Casa separata totalmente dall'altre in luogo di aria buona, e ventilata, chiamata dagl'Infermi. In questa ne' debiti tempi di autunno, e di primavera d'ogni anno si farà a tutt'i fanciulli e le fanciulle della Società, l'inoculazione del Vaiuolo. In ess'ancora si tra¬sporteranno tutti coloro, che saranno attaccati da morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici. Per questa Casa vi saranno i suoi regolamenti particolari, riguardant'il buon governo non solo degl'infermi, ma benanche l'economica amministrazione. Un Prete tra gli altri assisterà sempre in
essa per comodo degl'infermi, ed ora l'uno, ora l'altro de' Seniori del Popolo tutte le mattine, e tutt'i giorni ne faranno la visita, per vedere, se tutt'è in buon ordine, se vi è la massima polizia possibile, e se gl'infermi sono assi¬stiti tanto nello spirituale, che nel temporale colla massi¬ma esattezza, e scrupolosità. I Medici, i medicamenti, le biancherie e quant'altro occorre pel mantenimento del luogo, e degl'individui, tutto sarà sempre da Me sommi¬nistrato.
XVI. Maniera di eligere li Seniori del Popolo. L'elezione de' sopradetti Seniori si farà, congregandosi tutti i Capi di famiglia dopo della Messa solenne con tutto il rispetto, e con tutta la decenza nel salone del Belvedere, per bussola segreta, ed a maggioranz de' voti, sempre presidente il Parroco.
Dell'elezione se ne farà subito a Me rapporto per ottene¬re la confirma, ed in virtù di essa potran godere dell'ono¬rifica distinzione di sedere in Chiesa nell'altro banco del merito, situato a fronte di quello de' giovani dalla parte destra dell'Altare.
XVII. Degli Artisti poveri. Della Cassa di carità, e suoi regolamenti.
Per effetto di quell'amore, ch'è l'anima di questa Società, e per quello spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa Popolazione, come una sola famiglia, giusto è ancora che se tra voi si trovi in Artista, privo di moglie e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane per loro, e pel povero padre caduto in miseria o per vecchiaia, o per infermità, o per altra fatai disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero infingardaggine; sia da tutti comu¬nemente soccorso, acciò non si riducano nello stato di andar mendicando, ch'è lo stato più infame, e detestabile, che sia sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità, dalla qual sian codest'infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrare il pane. Avrà questa Cassa per fondo un rilascio di un tari al mese, che ogni manifattu¬riere, che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio della medesima; e di quindeci grana al mese, per quelli che guadagnino meno di due carlini al giorno. Sarà ess'amministrata dal Parroco, da' Seniori, e da' Direttori dell'arti, i quali rilasceranno in beneficio della sopradetta Cassa quello, che più la pietà lor detti. Tutti daranno il voto nel caso di doversi soccorrere qualche infeli¬ce. L'esazione si farà nel seguente modo. Tutti gli Artisti di qualunque condizione siano, saran descrit¬ti in uno Stato. Questo si affiggerà nell'atrio della Chiesa, dove ogni prima Domenica di mese, la mattina, dopo un dato segno di campana, che si chiamerà la Carità, si troverà il Parroco, sempre che possa (o chi egli destinerà degli altri Sacerdoti) a ricevere da' medesimi la somma prescritta, che farà notare da ciascuno di proprio carattere in un libro, che appositamente si terrà. Raccolta la Carità, si farà la numera¬zione degli Artisti con la nota, o sia Stato alla mano, e della moneta pagata in presenza de' Seniori, e de' Direttori; e si vedrà, se tutti hanno adempito al loro dovere. Chi non abbia adempito, si noterà in un foglio, che si affiggerà in una tabel¬la chiamata de' Contumaci, che si sospenderà appresso allo Stato degli Artisti, acciò ogn'uno sappia il contumace. Chi manca per tre volte, e non purgherà la contumacia pagando nell'ultima volta tutto l'attrasso, sia cassato dallo Stato sopradetto, e non goda più né questo privilegio personale in caso di disgrazia, né l'esequie, e gli altri suffragi, come in appresso si dirà, a spese della Cassa suddetta; su di che invigileranno rigorosamente i Seniori. Questa Cassa sarà chiusa a tre chiavi, delle quali una ne terrà il Parroco, un'altra li Seniori, e la terza finalmente li Direttori. A nessuno sarà mai lecito di disporre di un grano di essa per altro uso, in fuori di quello detto di sopra, o di quant'altro in appresso si dirà. Ogni anno fatta l'elezione de' nuovi Seniori del popolo, si farà la numerazione del denaro in essa esistente, e se ne farà la consegna a' nuovi Eletti insiem colle chiavi. Il Parroco, e li Direttori riter¬ranno sempre le chiavi presso di loro, e solo si renderan¬no indegni di questa prerogativa coloro, che si mostre¬ranno infedeli verso di essa. Appena entrati in governo i nuovi Eletti prenderanno i conti dell'introito, ed esito da tutte le soprammentovate persone, e subito si rimetteran¬no a Me per poterli far esaminare, e discutere.
XVIII. Dell'esequie, e de' lutti.
L'esequie sian semplici, divote, e senza distinzione. Il Parroco, e li soli Preti del luogo associeranno il cadavere senza esiger'emolumento alcuno. Quando il cadavere sarà in Chiesa (ciocché non si farà se non venti quattro ore dopo morto) si farann'ardere d'intorno al medesimo solo quattro candele. Ciascun Prete celebrerà per l'anima del defonto una Messa letta, ed il Parroco la cantata. Il cadavere di un Seniore del Popolo, che muoia in ufficio, sarà associato dal Clero, come sopra, e da tutti i Capi di famiglia, portanti avanti del medesimo le candele accese in riconoscenza de' buoni servizj prestati alla Società. Nella morte finalmente di un Direttore, o di una Direttrice di arti, oltre il Clero suddetto vi anderanno ad associarli li giovani, e le giovani discepoli con le candele come sopra. Tanto la spesa per le Messe, che per le can¬dele sarà fatta dalla Cassa, alla quale tornaranno li residui di queste. Non vi sian lutti, e solo nelle morti de' genitori, e degli sposi, per gli ultimi uffizj dovuti a' medesimi sia permesso alla tenerezza de' figli, delle mogli, e de' mariti un segno di duolo di un velo al braccio per l'uomo, e di un fazzolet¬to nero al collo per la donna per due mesi solo al più.
XIX. Della Patria.
La Patria è la cosa più cara, che siavi sulla terra. Essa ha in custodia la roba, le spose, i padri, i figli, le madri, la libertà, la vita de' Cittadini. Ognuno trova in essa come in un centro, tutte le sue delizie. Tutti dunque debbono ad essa tutti quegli obblighi, che di sopra si sono a parte a parte descritti. Ogn'uno deve teneramente amarla. Ogn'uno deve procurarle tutt'i beni, e allontanarle tutt'i mali. Ogn'uno deve difenderla a costo della roba, del sangue, e della vita dagl'insulti, e dagli attacchi de' nemi¬ci. Dalla salute di tutti dipende la salvezza di ogn'uno. Più di tutti però essa esige da voi nelle occasioni la sua difesa. L'Agricoltore, che deve co' suoi sudori cacciar dalle viscere della terra il mantenimento per sé, e per voi, non può la terra abbandonare. Se per darle soccorso corre all'armi, e gitti il pesante aratro, egli senza pane priva se e gli altri di quella vita, che cerca salvarsi. Voi, voi, che per loro vivete, voi avete più stretti, e più precisi obblighi a difenderla. Se voi dall'arti passate all'armi, l'Agricoltore co' suoi sudori sosterrà voi sul campo, e farà vivere i vostri padri, i vostri figli, e le vostre spose tra i loro teneri amplessi. In vece dunque di menar vita ozio¬sa ne' dì festivi, ed esporvi a' pericoli, dove l'ozio trasci¬na, correte, dopo aver santificata la festa coll'adempi-mento del proprio dovere, e dopo di aver nelle ore deter-minate presentat'i lavori, per riscuoterne la dovuta mer¬cede, correte, dico, ad esercitarvi nel maneggio dell'armi, che vi sarà insegnato dalle persone a tal oggetto più adat¬te, e vi saranno anche de' premj, proporzionati per colo¬ro, che in esso si distingueranno. A voi ancora spetta onorarla in tempo di pace. Come i fiori fanno colla loro varietà ricco ricamo al verdeggiante prato; così voi colle vostre produzioni restituir le dovete quel lustro, e quello splendore, che un dì fece invidiarla a tutta Europa.
Capitolo III Degl'impieghi
Io intanto intento sempre a premiarvi, assicuro tutti gli abi¬tanti di San Leucio, che ad esclusione degl'esteri, essi saran sempre impiegat'in tutti gli impieghi, che vacheranno nel luogo: preferendosi però sempre fra i pretendenti il più abile, capace, e di buona condotta. Al nuovo impiegato non si darà, che la metà del soldo del defonto, quando quello lasci la vedova (con figli che non siano ancora in grado di lucrarsi il proprio sostenimento) alla quale si darà l'altra metà. Rimanendo poi la vedova sola, o con due figli almeno, che guadagnino già due carlini al giorno per ciascheduno, resterà alla vedova il solo terzo, ed il rimanente si darà al nuovo impiegato, per averlo tutto alla morte della vedova.
Capitolo IV Degli artisti esteri
Presentandosi Artefici esteri per essere ammessi al lavo¬ro, dopo di aver esibit'i loro requisiti, o dato le notizie convenienti per farli venire; e dopo essere stati provati; e trovati abili, volendosi fissare nel luogo, e godere di tutte le prerogative, e privilegi degli altri abitanti, dovranno per un'intero anno dar non equivoche ripruove di ottimi costumi, ed assidua applicazione al lavoro per esservi ascritti; nel qual caso avranno l'abitazione, e gli utensilj di sopra detti. Non trovandosi poi tali, saranno immediata¬mente rimandati via.
Capitolo V
Delle pene generali contra i trasgressori Tutte le leggiere mancanze, che si commetteranno dagli abitanti sopradetti, verranno economicamente punite a proporzione del fallo.
Ogni minimo accidente contra il buon costume sarà punito con espellers'immediatamente dal luogo il colpe¬vole, o colpevoli, e privars'immediatamente il Genitore, o i Genitori per un anno di tutt'i proventi, e regalie. A chiunque, sia uomo, o sia donna, ardisce mutare in menoma parte il metodo e la moda prescritta di vestire, sarà immediatamente proibito vestir più l'abito del luogo; per tre anni sarà considerato com'estraneo; e sarà privo, come di sopra si è detto, di tutt'i proventi, e regalie, che dagli altri si godono.
Qualunque altro fallo, che sia suscettibile di pena di corpo afflittiva, ovvero infamante verrà punito collo spogliars'im-mediatamente, e con il massimo segreto, il colpevole degli abiti del luogo, e sarà consegnato alla giustizia ordinaria. Quest'è la legge, ch'Io vi dò per la buona condotta di vostra vita. Osservatela, e sarete felici. {Ferdinando IV1789)
«Che allato gli sedete Sposa e Regina» Libretto stampato nello stesso anno della promulgazione del codice di San Leucio e pubblicato, come quello, dalla Stamperia Reale, a cura di Domenico Cosmi, ufficiale della Reale Segreteria di Stato e Casa Reale. All'introduzione indirizzata alla regina Maria Carolina d'Austria, segue la raccolta di poesie, in italiano, latino, greco, napoletano e francese, 'osannanti' Ferdinando e la sua opera. Molti ài questi poeti improvvisati, in seguito, saranno colpiti dall'i¬ra del sovrano, perché accusati di giacobinismo. Un esem¬pio per tutti la illustre gentildonna Eleonora Pimentel Fonseca (condannata dieci anni dopo a morte dallo stesso re), che in quest'occasione manifesta, in versi, tutto il suo entusiasmo per la nobile iniziativa.
































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