domenica 23 settembre 2012

FASCISMO CONQUISTA PROLETARIA


di Filippo Giannini

Il titolo è ricavato da un volume di prossima edizione: autori sono Martina Mussolini (nipote del Duce) e Andrea Piazzesi.

Questo articolo è dedicato a tutti quei lavoratori (operai, tecnici o impiegati) che hanno perso il lavoro o che sono in pericolo di perderlo, come i minatori in Sardegna, gli operai a Taranto, e attingendo al pensiero di Alessandro Mezzano, posiamo scrivere: <Se in Italia ci fosse ancora la Socializzazione delle aziende, il caso FIAT non esisterebbe) ecc.

Come primo incitamento: non permettete di far chiudere le fabbriche o qualsiasi posto di lavoro. Pretendete di socializzare le aziende dove prestate la vostra opera. Lo stesso proprietario può entrare nel contesto dell’azienda socializzata, così come è stato fatto in Germania con la Mitbestimmung, che per ironia della storia l’idea della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, aspramente avversata dagli alti esponenti tedeschi, attecchì in Italia, purtroppo quando la guerra era ormai alla fine e i liberatori ci imposero il miraggio della privatizzazione, il mito dell’economia di mercato, strumenti per riaffermare l’egemonia capitalistica sull’economia e sulla politica. Anche l’Argentina che agli inizi del 2000 andò in default per 112 miliardi di dollari, che causò, similmente come sta accadendo in Italia, il licenziamento di migliaia di lavoratori. Fortuna volle che Qualcuno adottasse le idee mussoliniane e mettesse in atto, nelle aziende in crisi, la SOCIALIZZAZIONE, e la ripresa è stata tanto rapida che oggi, addirittura la Presidente  della Repubblica Argentina Cristina Kirckner può lanciare questo messaggio: <Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina (…)>. L’esempio dell’Argentina, con grande scorno degli Usa, è seguita dal Venezuela che ha iniziato a socializzare le imprese del legno. L’esempio dell’Argentina e del Venezuela è ripreso da altri Paesi dell’America meridionale.

   Ed ora facciamo un po’ di Storia.

   Lo scorso anno preparai un articolo dal titolo: “Ancora, ancora, e ancora griderò: LAVORATORE, SEI STATO FREGATO!”; ed ecco perché: la socializzazione, prevista nei 18 punti del Manifesto di Verona, nella Rsi, fu un’altra pietra miliare della politica sociale del Fascismo. Pietra miliare derisa, disconosciuta e condannata dai politicastri di oggi, e tu lavoratore non devi continuare a farti fregare. La tua salvezza è ancora e solo nel pensiero mussoliniano, checché vogliano sostenere gli incapaci, i ladroni, i furfanti di questa repubblica, impostaci dai liberatori. Il punto 9  del Manifesto affermava: <Base della Repubblica Sociale e suo oggetto primario è il lavoro manuale, tecnico, intellettuale in ogni sua manifestazione>. Forse, nel caos di oggi, l’articolo più necessario è il 12, che recita: <In ogni azienda industriale, agricola, privata, parastatale, statale le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili, fra il fondo di riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori. In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali commissioni di fabbrica; in altre sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato, in altre in forma di cooperative parasindacali>. Quindi, tu lavoratore che stai per perdere il lavoro, con la politica sociale mussoliniana, saresti diventato partecipe anche alle decisioni aziendali, cioè saresti stato tu a decidere se l’azienda doveva essere chiusa oppure no.

Per i lavoratori che sono sul punto di essere sfrattati, ricordo l’articolo 15: <Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà (…)>. E Mussolini anche su questo punto non scherzava; ricordate la IACP (istituto Autonomo Case Popolari) che vide la luce nell’infausto Ventennio? Quanti appartamenti vennero costruiti e quanti ceduti alla classe proletaria? L’Italia proletaria e fascista non fu un’espressione demagogica, ma la sublimazione del pensiero e della vita che sollevò dalla palude una massa di uomini e li avviò verso la realizzazione sociale, morale, civile (da uno scritto di Gian Carlo De Martini).

  Pur essendo d’accordo con quanto scritto da Gaetano Rasi nel sostenere che l’economia corporativa, che aveva modernizzato l’Italia e aveva avviato, intorno al 1935, la seconda rivoluzione industriale italiana, che fu la base del cosiddetto miracolo economico del decennio che va dal 1953 al 1963, questo nuovo miracolo potrebbe avvenire anche oggi, a condizione che le fabbriche non chiudano, che il capitale rappresentato dall’esperienza e dalle capacità dei lavoratori non venga disperso.

    Con queste parole il professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La Terza Via Fascista” (Mulino 1990), definisce lo Stato corporativo: <Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo>. L’Autore continua a spiegare: <Le ragioni dell’attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini della cultura europea (e aggiungerei: non solo europea, nda), molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei problemi relativi al destino della civiltà occidentale>. Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore, ebreo, di Scienze Politiche: <Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione>.

   Lo Stato Corporativo era la strada che portava alla Socializzazione. Da tutto cio’ si evince il motivo per il quale i governi che seguirono nel dopoguerra, sotto il controllo della grande finanza internazionale, per evitare un libero confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e contestualmente varare leggi antidemocratiche e liberticide, quali la “Legge  Scelba”, “La Legge Reale”, e la “Legge Mancino”>.

    Nell’ultima intervista rilasciata da Mussolini al giornalista Gian Giacomo Cabella il 22 aprile 1945 – quindi a poche ore dal suo assassinio – fra l’altro, alla domanda del perché della guerra, ebbe a dire che <le nostre idee hanno spaventato il mondo>, ovviamente spaventato il mondo dell’alta finanza; infatti la nascita dello Stato corporativo rappresentò il mezzo per superare i limiti del cosiddetto Stato liberale e l’incubo dello Stato sovietico.

   Il Diritto Corporativo tendeva a porre l’Uomo al centro della società, postulando principi dei quali citiamo alcuni dei più caratterizzanti:

1)      ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa,

2)      partecipazione dei lavoratoti agli utili dell’impresa;

3)      partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali, ONDE EVITARE CHIUSURE DI AZIENDE E LICENZIAMENTI IMPROVVISI (quindi altro che art. 18! nda) SENZA CHE NE SIANO INFORMATI PER TEMPO I DIPENDENTI, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;

4)      intervento dello Stato attraverso suoi funzionari, immessi nei Consigli di Amministrazione, allorquando le imprese assumono interesse nazionale, a maggiore difesa dei lavoratori,

5)      diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;

6)      diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le concentrazioni capitaliste;

7)      edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la Previdenza Sociale, l’assistenza gratuita alla maternità e all’infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l’assistenza agli anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via decendo;

8)      eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia  da sé, altrettanto deve valere per i conflitti sociali; evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;

9)      abolizione dei sindacati di classe, ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano, e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;

   Questi enunciati (ma non solo questi) che spiegano chiaramente i danni che avrebbero creato alla grande finanza, risalgono ai primi degli anni ’30, non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente, nel “Manifesto di Verona”.

   L’11 marzo 1945, il fondatore del Partito Comunista d’Italia (P.C.d’I), Nicola Bombacci, parlando al Teatro Universale, di fronte alle Commissioni interne degli stabilimenti industriali, fra l’altro affermò: <Il socialismo non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini che è socialista>. E il 13 marzo successivo, parlando allo stabilimento industriale dell’Ansaldo, di fronte a più di mille operai disse: <Fratelli di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiedete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa? Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica Sociale Italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi  a rivendicare i diritti degli operai>.

   Quale era la strada intrapresa da Nicola Bombacci? Per giungere allo Stato Organico, alla Socializzazione dello Stato, il passaggio era (ed ancora oggi dovrebbe essere) lo Stato Corporativo.

Michael Shanks, economista di vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione europea degli affari sociali e presidente  del Consiglio nazionale dei consumi, nel suo libro What is wrong with the modern world? (Cosa c’è di sbagliato nel mondo moderno?) indica lo Stato Corporativo di Mussolini, di fronte alla persistente crisi del liberismo e del marxismo, come l’unico modello per uscire dalle contrapposizioni vigenti nella Democrazia Parlamentare. Non c’è alternativa, conclude l’economista inglese: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato. Ed oggi siamo sfascio dello Stato!

   A te lavoratore, la strada fu già tracciata più di ottanta anni fa, poi subentrò l’oro, Qualcuno a questo contrappose il sangue. NON TI FAR FREGARE!

   Concludiamo con uno stralcio del discorso di Benito Mussolini tenuto a Milano il 6 ottobre 1934 (riportato nel volume all’inizio citato): <(…) ho detto che l’obiettivo del regime nel campo economico è la realizzazione di una più alta giustizia sociale per tutto il popolo italiano. Che cosa significa? Significa il lavoro garantito, il salario equo, la casa decorosa, significa la possibilità di evolversi e di migliorare incessantemente). E la Storia ha dimostrato che questo avvenne, ma nel tempo del “male assoluto”. “Male assoluto” fu certamente per il grande supercapitale e per gli attuali ladroni di regime!

 

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