luglio 31, 2012
Di Fabio Calabrese
In
teoria, molto in teoria la scienza dovrebbe essere, prima che un corpus
di conoscenze e dottrine, un metodo per l'accertamento dei fatti,
basato sull'osservazione, l'esperimento, la formulazione di ipotesi, la
verifica, conferma o correzione delle stesse attraverso nuovi
esperimenti, un metodo che nelle sue grandi linee è stato messo a punto
già nel XVII secolo da Galileo Galilei. Nella realtà, però, le cose
stanno ben diversamente e la scienza riesce a essere neutrale,
obiettiva, disinteressata nella misura – molto scarsa – in cui sono
neutrali, obiettivi, disinteressati coloro che la fanno, gli scienziati,
che sono uomini, che vivono in un contesto sociale, che dipendono
dall'approvazione del sistema, che sono sensibili quanto ogni altro
essere umano a pressioni e ricatti, che, come gli altri esseri umani
appartenenti a una qualsiasi altra categoria, possono mentire per
convenienza, essere in mala fede.
All'atto
pratico, si può dire che ciò che noi conosciamo, o ci viene spacciata
come “scienza”, di obiettivo non ha proprio nulla, è una costruzione di
tipo ideologico al servizio delle classi dominanti, volta a diffondere a
tutti i livelli della cultura e della società quella della scienza
storica che possiamo definire la mentalità democratica, ossia una
mentalità che legittima le classi che attualmente detengono il potere
nel cosiddetto “mondo occidentale”.
Un
esempio molto evidente di ciò riguarda quel segmento della scienza
storica che concerne la storia contemporanea. In questo caso, è palese
che la versione “ortodossa”, “ufficiale” degli eventi del secondo
conflitto mondiale, che è quella che dà tutte le ragioni alla parte
vincitrice e tutti i torti a quella perdente, si basa sull'ignoranza
della gente, sulla censura, sull'impossibilità per i più di accedere a
interpretazioni alternative, altrimenti non ci sarebbe partita. Tra gli
storici “revisionisti” e i difensori dell'ortodossia non c'è termine di
confronto: da una parte abbiamo ricerche, argomenti, documentazione e
anche un notevole coraggio personale; dall'altra repressione, leggi
liberticide, galera o violenza assassina allo stato puro: ne sono un
esempio i nove attentati, tutti volti a uccidere, a cui è scampato
Robert Faurisson, ma anche i quattro subiti dal nostro Giorgio Pisanò.
Tuttavia
questo non è che un esempio relativo a un settore molto specifico.
Tutta la scienza storica, tutto ciò che “conosciamo” come storia, tutto
ciò che ci è stato insegnato come tale fin dall'antichità più remota, è
il prodotto di un'estesa manipolazione. La nostra visione della storia è
stata ampliata, approfondita, particolareggiata, ma fondamentalmente
continua a derivare dalla narrazione biblica. Quelli che possiamo
considerare progressi effettivi della conoscenza sono sempre nati dalla
frattura con l'ortodossia biblica: Copernico e Galileo nell'astronomia e
nelle scienze fisiche, Darwin nella biologia, ma nelle scienze storiche
non ci sono mai stati un Copernico, un Galileo, un Darwin.
Una
scienza storica così “strabica” porta a enfatizzare il ruolo storico
del Medio Oriente dove il cristianesimo è nato, e a minimizzare quello
dell'Europa. Si può arrivare al diploma e anche alla laurea avendo
sentito parlare di piramidi e di ziggurat e non aver sentito nominare
nemmeno una volta Stonehenge o Externsteine o nemmeno un altro dei
monumenti megalitici dell'Europa preistorica.
Non
c'è da pensare che le cose possano migliorare spontaneamente nel
prossimo futuro. Attraverso due guerre mondiali l'Europa ha perso la sua
egemonia planetaria per finire ad essere prima, nell'epoca della Guerra
Fredda, una sorta di campo di battaglia congelato, diviso fra le
superpotenze sovietica e americana e poi, a partire dal 1990, una serie
di protettorati sotto il dominio statunitense. In queste circostanze non
ci possiamo aspettare che la cultura ufficiale, che altro non è se uno
strumento del potere, faccia nulla che possa servire a riaccendere negli
Europei il senso della propria identità e del proprio orgoglio.
A tutto ciò, però, ho dedicato un ampio saggio, Ex oriente lux, ma sarà poi vero?,
che ho pubblicato sul sito di “Ereticamente” diviso in quattro parti,
che se siete interessati potete andare a leggere, e adesso non è
necessario ripetermi (1).
La
scienza storica, tuttavia, non è la sola a essere manipolata: ci
troviamo di fronte a un esteso sistema di falsificazioni che investono
tutti i campi dello scibile, le scienze “umane” come quelle “naturali”,
persino la fisica, ma vediamo le cose con un certo ordine partendo da un
campo che di questi tempi è drammaticamente di attualità, l'economia.
La “scienza economica” come viene comunemente intesa si fonda su due
premesse assolutamente erronee che il più delle volte sono sottintese
guardandosi bene dall’enunciarle apertamente, esse sono:
1. L’oggetto dell’economia è qualcosa di oggettivo, esterno alle comunità umane, un po’ come l’oggetto della meteorologia.
2.
Esiste qualcosa che si può definire come l’interesse complessivo
della/delle società. Quest’ultimo è il vecchio dogma del liberismo, mai
dimostrato e tuttavia pecorescamente accettato come una verità di fede,
della “mano invisibile” fantasticata (o delirata) da Adam Smith, che
armonizzerebbe gli interessi individuali in un bene collettivo.
E’ necessario ribadire che:
1. L’economia è sempre il prodotto dei comportamenti umani.
2.
Gli interessi umani (dei singoli e dei gruppi) possono essere, e il più
delle volte sono in conflitto. Può succedere ad esempio che una
ristretta élite oligarchica danneggi l’intera società in vista del
proprio potere e interesse personali e/o di ceto.
Le
fumosità e il linguaggio criptico, finto-tecnico degli
pseudo-scienziati economisti servono precisamente a nascondere queste
due verità che una volta enunciate con chiarezza si rivelano semplici e
ovvie.
Si
tratta – bisogna ammetterlo – di una finzione pseudoscientifica che si è
rivelata/si sta rivelando tremendamente efficace, altrimenti non
sarebbe possibile spiegarsi quello che sta avvenendo oggi in Europa,
dove vediamo i cittadini degli stati europei che hanno accettato la
moneta-trappola euro, cioè rinunciato alla sovranità monetaria essere
ogni giorno di più depredati della ricchezza prodotta dal loro lavoro a
beneficio esclusivo di un ceto parassitario, bancario e finanziario di
alto bordo che non produce ricchezza, ma la sposta soltanto,
trasformando il lavoro di molti nel privilegio di pochi, che a ogni
nuova “crisi” non si ribellano ma si rassegnano, quasi si trattasse di
un fenomeno naturale come un uragano o un terremoto, perché non sono
consapevoli di essere scientemente rapinati.
Accanto
alla “scienza” economica e parzialmente in alternativa a essa, esiste
quell'altra “scienza” chiamata dal suo fondatore “economia politica”, ma
che tutti conoscono con il suo stesso nome, “economia marxista” o
semplicemente “marxismo”. L'esistenza di movimenti politici e di regimi
marxisti ha fatto spesso dimenticare che il marxismo è in primo luogo un
sistema teorico “dottrinale” con una visione dell'economia,
un'ideologia politica, un'interpretazione della storia (“materialismo
storico”), una sua visione filosofica (“materialismo dialettico”). E'
importante entrare in questo – perverso – meccanismo mentale,
soprattutto perché occorre capire che le più spaventose autocrazie della
storia umana, i comunismi, sia quelli crollati nel 1990, sia quelli che
sopravvivono a Cuba, in Cina, in Corea, Mongolia, Vietnam, non hanno
affatto tradito il pensiero di Karl Marx come vorrebbero gli ultimi
epigoni di questo “profeta rivoluzionario”, lo hanno semplicemente
applicato.
Varie
volte mi sono riproposto di scrivere qualcosa sugli errori e/o le
mistificazioni che stanno alla base della Weltanschauung marxista, ma ho
finito sempre per lasciar perdere, non perché mi sembrasse un compito
del quale non ero all'altezza, ma proprio perché quel che ho da dire in
proposito mi è sembrato fin troppo ovvio ma, dato che questa “ovvietà”
sembra ancora sfuggire a moltissimi, decidiamoci ad affrontare
l'argomento.
C'è
prima di tutto una constatazione empirica: dovunque i discepoli di Marx
hanno preso il potere, i sistemi politico-sociali che sono riusciti a
costruire si sono rivelati dei moloc oppressivi e sanguinari che non
hanno prodotto altro che oppressione, paura e miseria, hanno riempito di
oppositori le carceri, i gulag e i manicomi, e non hanno migliorato per
nulla le condizioni di vita delle classi lavoratrici, ma le hanno
semmai abbassate al livello della disperazione e della fame.
Il
crollo dell'Unione Sovietica e dei regimi satelliti ad essa collegati,
ci ha offerto lo spettacolo fin allora assolutamente inedito nella
storia, di un sistema crollato per implosione interna, sotto il suo
stesso peso.
Oh,
certo, conosciamo la replica standard degli odierni epigoni di Marx:
quei regimi non erano il “vero” socialismo, così come non lo sono quelli
che tuttora sopravvivono in Cina, a Cuba, in Corea del nord, in
Vietnam. Possiamo davvero credere che esista una musica stupenda che
però tutte le volte che viene suonata – da musicisti stonati con
strumenti scordati, evidentemente – si trasformi in un'orrida cacofonia?
Non è più credibile che essa sia una cacofonia orrenda ab origine?
Marx
amava molto definire la sua utopia “socialismo scientifico”. Di
scientifico, essa in verità non aveva nulla. La dialettica hegeliana
interpretata non più come movimento di pensiero, ma posta a fondamento
del reale è incompatibile non solo con la scienza moderna (il che
sarebbe ancora poco, visto che, come vedremo meglio più avanti, la
scienza moderna è anch'essa una costruzione ideologica che si presta
facilmente alla manipolazione), ma con due millenni e mezzo di pensiero e
con la logica come si è sviluppata da Aristotele in poi.
Stretto
nella sua pastoia hegeliana, nella sua esigenza di “dialettizzare” la
storia, a Marx è sfuggito qualcosa di fondamentale che sarebbe dovuto
essere ovvio per chiunque: a “rivoluzione” realizzata, passato il
controllo effettivo dei mezzi di produzione nelle mani dei
“rivoluzionari”, anche se la proprietà teorica di essi viene data alle
masse, costoro diventano a tutti gli effetti una “nuova classe”, una
nuova oligarchia che viene a detenere nelle sue mani un potere enorme,
tutto il potere politico e sociale, ed è nella natura del potere
assoluto la tendenza ad abusarne. E' probabilmente un tratto sintomatico
che per questa “nuova classe” non si sia trovato nemmeno un nome meno
pudico e ipocrita di “nomenklatura”, che nella terminologia del
bolscevismo pre-rivoluzionario indicava la lista dei “compagni di sicura
fede”.
La maggiore ironia è forse data dal fatto che Marx ed Engels con il
termine “ideologia” intendevano l'insieme delle idee false presenti in
una data cultura e che subito dopo di loro si sia cominciato a parlare
di ideologia marxista. Il marxismo è esattamente questo, ideologia, una
mistura di vaghe aspirazioni morali, di asserzioni dalle credenziali
scientifiche molto dubbie, di buoni propositi di quel tipo di cui è
lastricata la via dell'inferno.
Il
legame dell'economia e le scienze sociali con la politica è ovvio, e
per conseguenza sarebbe ben difficile non aspettarsi una parzialità che
ne renda alquanto dubbia la patente che le accredita come discipline
“scientifiche”, ma cosa dire quando scendiamo al livello del
comportamento del singolo, della psicologia, un settore che dovrebbe
essere quanto mai oggettivo e scientifico, anche perché si tratterebbe
almeno in teoria di venire incontro alle sofferenze ed al “male di
vivere” di milioni di persone, eppure in questo campo troviamo in primo
luogo una “dottrina” che di scientifico non ha nulla, la psicanalisi, e
uno scienziato che in verità dello scienziato non ha nulla e somiglia
molto di più a un santone, Sigmund Freud.
Forse
alcuni di voi che avranno sentito parlare della psicanalisi credono che
essa sia una branca della psicologia scientifica; beh, in questo caso
devo deludervi: di scientifico, la psicanalisi non ha nulla! Condivide
almeno questo col marxismo, che la sua pretesa di basarsi sulla scienza è
completamente infondata. Nella psicanalisi non esistono né sono mai
esistiti protocolli sperimentali, ricerche condivise, verifiche da parte
di ricercatori terzi e (si suppone) imparziali; solo la parola
indiscutibile del maestro, Sigmund Freud, in effetti somigliante molto
di più a un guru che a un qualsiasi scienziato vissuto prima,
contemporaneamente o dopo di lui.
Freud
aveva organizzato il “movimento psicanalitico” come una vera e propria
setta composta da adepti che dovevano essere disposti a giurare sulle
sue parole, sacre e intangibili, e fu pronto a stroncare qualsiasi
manifestazione di originalità di pensiero. Sono storici, a questo
proposito, gli scontri, culminati con l'espulsione/scomunica dei reprobi
che ebbe con Karl Gustav Jung che ne sarebbe dovuto essere il delfino, e
con Alfred Adler.
Che
esista una certa parte della mente umana che sfugge o tende a sfuggire
al controllo razionale dell'io cosciente e si manifesta nei sogni, negli
stati allucinati, o quando la ragione non riesce a controllare le
pulsioni istintive, questo nessuno l'ha mai negato, lo sapeva bene già
Platone venticinque secoli prima di Freud, che paragonava l'anima umana a
un cocchio dove l'auriga (la ragione) deve controllare gli istinti
nobili (cavallo bianco) e quelli bassi (cavallo nero); ma tutta
l'educazione classica era concepita allo scopo di rafforzare la ragione e
tenere sotto controllo gli istinti passionali, la cui esistenza ci si
guardava bene dal negare.
La
“novità” di Freud consiste nell'aver ridotto il ruolo della ragione a
una piccola isola luminosa persa nell'oceano tenebroso delle reazioni
inconsce, e di aver visto nell'uomo solo gli impulsi bassi ed egoistici.
“Freud ha scoperto il porco nell'uomo”, ha detto qualcuno, “E ne ha
fatto un porco triste”.
Vi
è mai capitato di discutere con uno psicanalista? Se lo avete fatto,
saprete che è come camminare sulle sabbie mobili, non si trova mai un
terreno solido dove poggiare i piedi. Tutto simboleggia qualcos'altro in
un gioco di rimandi senza fine, finché non si arriva alla sessualità.
Ad esempio “cavolo” è una parola che è usata spesso come eufemismo al
posto della più incisiva allusione all'organo maschile. Quindi, state
attenti, se vi piacciono i cavoli, magari i crauti o l'insalata di
cavolfiore, può essere che siate degli omosessuali latenti, e lo stesso
si potrebbe pensare di una donna cui piacciono i fichi. Il contenuto
“scientifico” della psicanalisi è pressappoco questo. E dal punto di
vista terapeutico?
La
psicanalisi “cura”, gli psicanalisti “curano” (e a tariffe di solito
inferiori a quelle dei santoni che “curano” con l'imposizione delle
mani, ma comunque non proprio popolari e stracciate) i pazienti per anni
e talvolta decenni, ma non risulta abbiano mai guarito nessuno, né
ottenuto altro beneficio se non quello dell'effetto placebo temporaneo
che deriva al paziente dalla convinzione di essere curato. E' noto il
detto che una “terapia” psicanalitica “può concludersi con la morte del
paziente, ma mai con la rinuncia dell'analista a curare”.
Se
voi però vi illudete che Sigmund Freud e i suoi discepoli siano i soli
ciarlatani che abbiano infestato e impestato il campo della psicologia,
beh, devo deludervi, vi sbagliate di grosso. Un altro esempio davvero
illuminante di ciarlataneria spacciata per scienza nel campo della
psicologia, e che per scienza è riuscita a presentarsi per parecchi
decenni, è rappresentato dal comportamentismo. La storia del
comportamentismo e del suo lungo dominio sulla psicologia americana, ci
permette di chiarire un concetto fondamentale: un lungo ricorso alla
pratica sperimentale e una maniaca e puntigliosa quantificazione dei
dati raccolti, di per sé non sono una garanzia di scientificità se si
parte con presupposti dogmatici e rigidi che funzionano come paraocchi
che impediscono il confronto delle idee e la capacità di considerare le
cose da punti di vista diversi da quelli, estremamente ristretti, in cui
ci si muove.
La
storia del comportamentismo meriterebbe di essere meglio conosciuta dal
grosso pubblico, perché è un esempio davvero palmare di come i
paraocchi democratici possano deformare la ricerca scientifica.
Nato
nel secondo decennio del XX secolo, i comportamentismo si è basato su
di un assunto metodologico giusto e ne ha tratto conseguenze sbagliate,
non implicate in esso e fortemente in linea con l'ideologia democratica.
L'assunto metodologico giusto era che non si può osservare la mente
altrui, e che la psicologia deve dedicarsi allo studio del comportamento
osservabile. Da ciò NON SEGUE che tutta l'attività psichica si possa
ridurre ai riflessi condizionati pavloviani, che non sia possibile
distinguere fra comportamento intelligente e finalizzato a uno scopo e
comportamento insensato e non finalizzato, né, infine, che il patrimonio
genetico e la storia evolutiva delle specie (uomini compresi) non
abbiano alcuna influenza sul comportamento.
Basato
su di un riduzionismo a colpi d'accetta, il comportamentismo ebbe uno
straordinario successo negli Stati Uniti perché proprio in conseguenza
dei suoi errori logici, veniva a rispondere molto bene a certe istanze
della mentalità democratica americana: quella di una psicologia
fai-da-te facilmente applicabile attraverso la lettura di appositi
manuali, l'idea molto democratica che, a parte le influenza ambientali,
gli esseri umani siano tutti uguali e che (particolare molto attraente
per una non-nazione ibrida come gli Stati Uniti) l'origine di ciascuno
non conti per nulla, e l'idea che l'essere umano sia manipolabile a
piacere (il lato totalitario sempre presente e nemmeno tanto ben
nascosto della democrazia).
“Datemi
un bambino”, sosteneva John B. Watson, fondatore della scuola
comportamentista, “E ne farò quello che volete, volete che ne faccia un
delinquente? Ne farò un delinquente. Volete che ne faccia il presidente
degli Stati Uniti? Ne farò il presidente degli Stati Uniti”.
Forse
non è nemmeno il caso di insistere troppo sul fatto che, effettivamente
alcuni presidenti degli Stati Uniti sono stati fra i peggiori
delinquenti che la storia umana abbia mai conosciuto, ad esempio
Franklin Delano Roosevelt che lavorò attivamente a travolgere il mondo
nella tragedia della seconda guerra mondiale allo scopo di annientare
l'antica centralità europea e assicurare l'egemonia planetaria
americana, o Harry Truman che ordinò i bombardamenti nucleari sul
Giappone quando quest'ultimo si era già arreso.
Il
colmo del ridicolo probabilmente gli pseudo-psicologi comportamentisti
lo raggiunsero negli anni '30 e '40 quando vennero a contatto con molti
psicologi di origine europea che si rifugiarono negli Stati Uniti,
psicanalisti e gestaltisti, coi quali ingaggiarono dispute furibonde.
Quello che non riusciva loro di accettare della psicanalisi, non era
l'accentuazione delle tematiche della sessualità, ma il fatto che essa
lasciasse intravedere una complessità della vita psichica che andava ben
oltre il loro risibile riduzionismo. Le colpe degli psicologi della
Gestalt ai loro occhi erano ancora più gravi: i gestaltisti sostenevano
il carattere innato dei processi percettivi, erano degli innatisti che
sostenevano che nell'uomo ci fosse qualcosa che non era il prodotto
delle influenze ambientali, erano quindi (come Jean Piaget, d'altronde),
dei cripto-fascisti. (Teniamo presente che in ogni caso era gente che
era fuggita dall'Europa per sottrarsi ai fascismi, e fra questi c'erano
non pochi ebrei).
L'aspetto
grottesco della faccenda, è che costoro contestavano semplicemente
un'ovvietà, come discutere se due più due faccia quattro oppure no. I
meccanismi percettivi sono innati, devono precedere l'esperienza perché
sono essi che la rendono possibile.
Dagli
anni '60 non esiste più una scuola psicologica comportamentista
riconoscibile come tale, ma questo non significa che un “fondo”
comportamentista non continui a impregnare gran parte della mentalità
americana.
I
comportamentisti avevano mutuato le loro concezione da Ivan Pavlov, il
fisiologo russo scopritore dei riflessi condizionati, e come lui avevano
preteso che questi fossero la spiegazione di tutta la vita psichica.
Ivan Pavlov, a sua volta, sebbene non si fosse mai dichiarato comunista e
appartenesse alla generazione pre-rivoluzionaria (era nato nel 1849),
non solo passò indenne il periodo staliniano, ma dal potere sovietico
ricevette solo incoraggiamenti e onori: l'idea dischiusa dalla sua
psicologia, che l'essere umano fosse, grazie agli stimoli giusti,
manipolabile e plasmabile a piacere come creta molle, era troppo
allettante per la nomenklatura sovietica.
Non
dovremmo mancare di riflettere sul fatto che nei due imperi che hanno
dominato la scena mondiale nella seconda metà del XX secolo, la
concezione dell'uomo sia stata esattamente la stessa, uno di quei fatti
che inducono a pensare che, nonostante le apparenze, la differenza fra
l'uno e l'altro sia stata più una questione di dettagli che di sostanza.
Se
dal terreno delle “scienze umane” ci spostiamo a quello delle scienze
naturali, abbiamo forse la speranza di camminare su di un suolo più
solido, di muoverci in un dominio di maggiore obiettività, ebbene, non è
affatto così, anche a prescindere dal fatto che il confine fra i due
settori non è affatto preciso, ad esempio, non è possibile tirare una
linea netta che separi la psicologia dalla biologia, dato che si tratta
di descrivere dei sistemi viventi (umani e animali) e il loro
comportamento. Nella biologia, la partita che si gioca è sempre la
stessa ed è, possiamo dire, ancora più essenziale. In omaggio alla
dominante ideologia democratica e a dispetto dei fatti, si tende a
negare la differenza fra gli esseri umani, si pretende che essa sia il
prodotto solo di condizionamenti ambientali, che le differenze genetiche
(e razziali) all'interno della nostra specie abbiano qualche
importanza.
Le
poche volte che i ricercatori si lasciano guidare dall'obiettività dei
fatti piuttosto che dal pregiudizio ideologico, il muro di resistenze
con cui vengono a scontrarsi è fortissimo. Sergio Gozzoli nel suo
articolo La rivincita della scienza pubblicato sul n. 44 de “L'uomo
libero” ne ha dati diversi esempi, fra cui l'aggressione subita da parte
di un commando di femministe dal sociobiologo Edward O. Wilson quando
nel corso di un convegno osò parlare delle basi biologiche delle
differenze comportamentali fra uomo e donna, e la maniera allucinante,
davvero orwelliana, in cui a un altro scienziato, Frederick K. Goodwin
fu impedito di presentare i risultati di uno studio decennale sulle basi
genetiche dei comportamenti aggressivi nei giovani maschi americani
(2). In questi casi, buona norma democratica vuole che il ricercatore a
cui si tappa la bocca sia ingiuriato con l'epiteto di “fascista” e forse
i “buoni democratici” non si rendono conto che in questo modo fanno
diventare ogni giorno di più “fascismo” sinonimo di libertà e di
indipendenza di pensiero.
Le
aberrazioni peggiori, però, sono venute dal seno della “scienza”
stessa, soprattutto in Unione Sovietica e nei regimi comunisti dove per
non contraddire i dogmi del marxismo e affermare l'onnipotenza
dell'ambiente, si è arrivati, puramente e semplicemente a mettere fuori
legge la genetica.
La
storia della scienza in Unione Sovietica, o meglio ancora della
“scienza sovietica”, di ciò che in Unione Sovietica è passato per
scienza, è un capitolo mal conosciuto e ricco di sorprese. Non si venga a
dire che essa ha avuto almeno il merito di portare il primo uomo nello
spazio. A portare il primo uomo nello spazio nel 1961 non è stata la
“scienza sovietica” ma la tecnologia rubata ai Tedeschi nel 1945.
E'
piuttosto noto il caso di Trofim Lysenko, il “biologo” sovietico
presidente dell'Accademia delle Scienze Agricole dell'URSS che fondò le
sue “teorie” sulla negazione pura e semplice della genetica, provocando
la deportazione o la morte in carcere di molti genetisti e dando un
contributo determinante al crollo della produzione agricola sovietica.
Quello che è meno noto, invece, è che il caso Lysenko non è
semplicemente una mostruosità riconducibile al periodo staliniano, non
fosse altro perché Lysenko rimase al suo posto per tutta l'era di
Krushev per “cadere in disgrazia” soltanto con l'avvento di Leonid
Breznev, e non certo perché Breznev fosse più aperto o interessato di
Krushev alla scienza occidentale, ma unicamente per i meccanismi di
potere interni alla nomenklatura sovietica, perché è inutile girarci
intorno, Lysenko esprimeva un bisogno fondamentale del comunismo, non
solo sovietico, che l'eredità biologica, il passato, la storia, non solo
degli uomini ma di tutte le forme viventi, non contassero nulla, e non
aveva importanza quanto questo bisogno fosse campato in aria, lontano
dalla realtà.
Nel
“mondo occidentale” dove la ricerca è “libera”, questa democrazia che
dopo il crollo dell'Unione Sovietica gli Stati Uniti stanno ormai
cercando di estendere a livello planetario, le cose erano/sono diverse?
Non molto, nel senso che un limitato gruppo di ricercatori provenienti
da filoni disparati dimostra abbastanza ingenuità e probità scientifica
da dire le cose come stanno, ma si trova puntualmente contrastato da una
pesante e opprimente ortodossia attenta a fustigare chiunque cerchi di
allontanarsi dai criteri prestabiliti. Un esempio di quella stessa
smania censoria che ha spinto le femministe ad aggredire Edward O.
Wilson o i catoni della democrazia a censurare la ricerca di Frederick
K. Goodwin, però stavolta proveniente dall'interno degli ambienti
scientifici stessi, è rappresentato da quello che è stato forse il più
noto divulgatore scientifico statunitense, Stephen Jay Gould, e la
questione di cui si è venuto a occupare è forse la più scomoda e spinosa
per uno scienziato “democratico”.
Intorno
alla questione dell'evoluzionismo darwiniano c'è presso i non
specialisti un'enorme confusione, l'errata identificazione del concetto
di evoluzione con quello di progresso, ha portato molti alla convinzione
che l'evoluzionismo sia “una cosa di sinistra”. In realtà, non c'è
nulla di più falso: il concetto darwiniano di selezione naturale, di
sopravvivenza dei più adatti, cos'altro potrebbe essere se non la
testimonianza più netta a favore del principio elitario e la più
bruciante sconfessione di tutte le ideologie democratico-egualitarie? La
tendenza insita in ogni vivente a conservare e diffondere nelle
generazioni future il proprio patrimonio genetico che cos'è se non una
chiara testimonianza “biologica” a favore di quelle “brutte cose” che
chiamiamo nazionalismo o anche razzismo?
Nella
realtà dei fatti, la biologia darwiniana è una chiara confutazione
dell'ideologia democratica. Questo è precisamente il tipo di
consapevolezza che il “buon” ricercatore è tenuto a rimuovere, o
attraverso un'estrema specializzazione di settore, o mediante il puro e
semplice paraocchi ideologico. Il guaio è che qualche volta i
ricercatori sono abbastanza onesti e conseguenti da non riuscire a non
vedere la realtà; ecco quindi la reazione di Gould: con un ragionamento
da giudice staliniano, questi scienziati sarebbero ai suoi occhi
colpevoli di una vera e propria “congiura contro la democrazia”;
trascrivo dal suo libro Questa idea della vita:
“
Negli ultimi dieci anni [l'edizione originale del libro è del 1977]
siamo stati sommersi da un risorgente determinismo biologico, che va
dalla etologia “per tutti” al più scoperto razzismo.
Padrino
di questa rinascita è stato Konrad Lorenz; grazie al lavoro di
drammatizzazione di Robert Ardrey ed a quello narrativo di Desmond
Morris si è data dell'uomo l'immagine di una “scimmia nuda” discendente
da un carnivoro africano, con una aggressività innata ed una altrettanto
innata tendenza al dominio del territorio” (3).
Effettivamente, per un buon democratico che voglia tenere le
implicazioni sociali e politiche dell'evoluzionismo ferme all'ottocento
quando si mischiavano al progressismo, al socialismo alla Proudhom (se
non a quello di Marx), a residui di hegelismo, al ballo Excelsior
Manzotti, alla convinzione comunque di uno sviluppo ascendente
automaticamente garantito dal dio immanente della storia, l'emergere di
una serie di nuove scienze come la sociobiologia e l'etologia può
sembrare una specie di congiura.
Se
invece si è sprovvisti di paraocchi, la reazione che si presenta
spontanea è un misto di ironia e di scetticismo. Innanzi tutto, quel che
negli Stati Uniti passa per destra, oltre a essere puro
liberal-conservatorismo in campo sociale, dal punto di vista ideologico è
cristianesimo fondamentalista venato di creazionismo, e a ogni modo
quanto di più lontano sia possibile immaginare da un'interpretazione
dell'uomo e della società in termini biologico-evoluzionisti, e già
questo basterebbe a far cadere da sola la farneticazione di Gould, ma se
andiamo a esaminare più da vicino gli autori nominati, i membri della
supposta congiura, ci accorgiamo ancora meglio che ciò con cui abbiamo a
che fare è l'inconsistenza, il vuoto che caratterizza tutte le
petizioni di principio degli evoluzionisti democratici.
http://www.ereticamente.net/2012/07/la-scienza-manipolata-prima-parte.html
http://www.ereticamente.net/2012/07/la-scienza-manipolata-prima-parte.html
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