Ricordiamo i loro volti ora gravi
e pensosi, ora scanzonati e sorridenti e la loro spontanea dedizione per
una patria più civile e più giusta per tutti, avversari compresi,
e non quella di umiliarci nella sterile ricerca di voti in favore di uomini
e partiti comunque aggiogati ad interessi opposti a quelli del popolo italiano.
Detto ciò, coloro i quali,
pur essendo stati valenti combattenti della RSI, assumano oggi atteggiamenti
che li pongono fuori e contro quell’orizzonte, non ci appartengono più,
perché non rispettano la memoria dei Caduti, negano la dignità
dei vivi e non lasciano un retaggio di serietà e di fierezza alle
generazioni a venire.
Pertanto, l’autoproclamarsi vinti
nei confronti di soggetti non belligeranti, i quali hanno ridotto la Nazione
così come la vediamo e viviamo, è semplicemente blasfemo.
L’aderire (ma anche il solo non levarsi contro) una pacificazione che pretende
avvilirci nel ruolo di sostenitori volontari della parte sbagliata e persino
quali scortatori di convogli di ebrei diretti ai lager (L. Violante), costituisce
atto di mera perversione masochistica. Ove siffatti comportamenti, assunti
ora soltanto da pochi sprovveduti, si estendessero ai più, si configurerebbe
l’ultima nostra mortificazione, poiché, se si considera che l’età
media dei Combattenti della RSI si aggira sui tre quarti di secolo, quell’ultimo
mortem facere non è precisamente un eufemismo. Taluni, peraltro,
hanno smarrito la consapevolezza del fatto che il comunismo non è
crollato nel 1989, bensì nell’atto stesso dell’alleanza di Stalin
con il capitalismo internazionale. Infatti, mentre noi difendevamo la prima
repubblica sociale della Storia, Togliatti adempiva l’incarico di guardasigilli
dei Savoia e, tutt’ora, i suoi continuatori perseverano nella squallida
opera di subalterni fiancheggiatori degli oppressori e affamatori di popoli
inermi.
Noi dunque rappresentiamo la
Rivoluzione, mentre l’antifascismo incarna la conservazione di anacronistici
privilegi e l’egoismo dei ricchi e dei potenti; conservazione che, in quanto
portatori di un Nuovo Ordine spirituale e umano, ci è istintivamente
estranea, ideologicamente nemica e repellente sotto il profilo politico-sociale.
La storia, i cui verdetti non
sono inappellabili, ha registrato la nostra sconfitta. Ciò nulla
toglie al fatto incontestabile che noi innalzammo al cospetto del mondo
il vessillo di una più umana giustizia internazionale e quello della
partecipazione di tutti i popoli ai beni della Terra, e che lo difendemmo
con estrema determinazione.
È opportuno riflettere,
altresì, sulle seguenti circostanze.
Fermamente affermando di fronte
a nemici e alleati le proprie intenzionalità volte alla radicale
trasformazione dell’assetto sociale ed economico nazionale e internazionale,
la RSI realizzò uno Stato legittimo e riconosciuto da una pluralità
di Nazioni; Stato che non si è arreso perché, pur avendone
la possibilità e il diritto, non ha mai chiesto la resa. Questo
importantissimo fatto può avere anche oggi significative conseguenze
etiche e giuridiche.
Preso atto del tradimento dei
tedeschi, Mussolini - in quanto Capo della RSI - non chiese la resa perché,
fino alla sua soppressione fisica, sperò sempre di consegnare la
RSI con la sua legislazione sociale e con il suo tesoro ai socialisti italiani.
Se gli esponenti del socialismo, asserviti al capitalismo
anglo-americano, rifiutarono l’offerta a lungo preparata, anche attraverso
la protezione diretta e indiretta attuata da Mussolini stesso su molti
di loro per tutta la durata del conflitto, non fu accolta, non è
certamente colpa nostra. Per contro, quasi l’intero governo della RSI fu
massacrato sulle rive del lago di Como.
Il Maresciallo Graziani, già
prigioniero, il primo maggio ‘45, proclamò la resa limitatamente
all’Armata Liguria (3 divisioni italiane e 3 tedesche). Altri reparti deposero
le armi nelle mani delle nuove autorità, ma, nell’attesa di essere
consegnati agli alleati, vennero massacrati dai partigiani, scesi dai monti
a cose fatte. Ai primi di maggio 1945, v’erano ancora molte nostre formazioni
in armi che, in atteggiamento difensivo, attendevano l’ordine di resa;
arresesi successivamente, pochi dei loro componenti si salvarono dagli
eccidi. È doveroso ricordare che l’Ispettorato Alta Italia della
FNCRSI, sotto la guida del Comandante R. Barbesino provvide, tra mille
difficoltà, al recupero di numerosissime salme di nostri Caduti,
un gran numero delle quali tuttavia fu fatto passare dalle autorità
locali come appartenenti a partigiani.
Nè gli scampati si comportarono
mai come sconvolti e resi imbelli dai colpi ricevuti. All’opposto, solo
dopo qualche anno, arditamente e con notevole successo nelle piazze e nelle
università, contestarono ai preti e ai comunisti il diritto di governare
l’Italia. Non a caso fu subito varata la legge Scelba e celebrati i primi
processi per apologia del fascismo e per la ricostituzione del partito
fascista.
Lo sciagurato passaggio del MSI
nell’area della destra atlantica, confindustriale e golpista, che riduceva
il fascismo a puro e semplice anticomunismo, segnò la frattura fra
quel partito e i Combattenti della RSI. Più volte la FNCRSI ha pubblicato
l’ultima dichiarazione del P.F.R. del 5 aprile 1945, che reca orientamenti
essenziali e avverte, fra l’altro, che: "Sono da avversare decisamente
tanto gli sbandamenti verso il collettivismo bolscevico quanto i tentativi
plutocratici di sopravvivenza attraverso il compromesso". Ma già
il Duce aveva inequivocabilmente definito i nuovi provvedimenti assunti
dalla RSI in campo sociale come "la realizzazione italiana, umana,
nostra, effettiva del socialismo nostro". Essa, inoltre, ha dimostrato
che il nostro nemico reale (ben altra cosa è il principio barbarico
di nemico assoluto da criminalizzare e annientare assunto dalle nazioni
demobolsceviche il quale, risospingendo l’umanità alle sue origini
belluine, è estraneo alla nostra spirituale e religiosa visione
del mondo e dell’uomo), era ed è l’antifascismo nella sua funzione
di coacervo di forze conservatrici sottomesse ai detentori delle ricchezze
del mondo.
Fermo restando che, per noi,
l’8 settembre 1943 rappresenta anche lo spartiacque fra i discendenti degli
antichi schiavi e la progenie dei legionari romani, dobbiamo domandarci
qual è l’importanza storica e morale di questi fatti in relazione
alla sentenza del TSM, e quali sono le implicazioni che sorgono dalla circostanza
che la RSI non si arrese. Le conseguenze giuridico-politiche che possono
trarsi dalla sentenza sono molteplici. Le più importanti per noi
sono quelle di conservare un legame ideale con quello Stato repubblicano-sociale
che, pur travolto nei suoi Istituti e nei suoi uomini, è ancora
vivo nell’animo di quanti contribuirono a fondarlo e a difenderlo, e nel
non poter e non voler essere equiparati ai partigiani del nemico invasore.
Poiché la nostra sconfitta fu dovuta alle armate anglo-americane
e non ai loro cooperatori italiani non belligeranti (cf. F. di O. N.2/98,
promemoria di accordo fra il comando alleato e il CLNAI).
In realtà, la sentenza
non ci fa alcun regalo; tuttavia, con esemplare coerenza giuridica, riconosce
la nostra specifica qualità di belligeranti, in quanto appartenenti
alle Forze armate di uno Stato che "emanava le sue leggi e suoi decreti
senza l’autorizzazione dell’alleato tedesco", e disconosce tale qualità
ai partigiani, perché operarono al di fuori delle leggi militari
internazionali di guerra. Riconosce altresì che il governo monarchico
del sud esercitava il suo potere sub conditione del comando alleato.
Condizione di sovranità limitata che perdura per la supina acquiscenza
dell’attuale Stato italiano, malauguratamente deciso a restare in aeternum
nella servile posizione di ex nemico vinto, sebbene assurdamente alleato
dell’ex nemico vincitore.
Manca attualmente un terreno
di reciproca intesa fra i Combattenti della RSI. Ad avviso di questa Federazione,
un nuovo e più saldo accordo potrà concretizzarsi soltanto
nella serena coscienza di essere stati - nella stragrande maggioranza -
non soltanto dei militari in servizio di uno Stato qualsiasi, bensì
dei Combattenti perfettamente consapevoli di battersi per una ben definita
visione del mondo, e non dei rivoltosi faziosi e vendicativi tesi ad una
rivincita per mezzo di complotti e di colpi di stato.
Infine, la FNCRSI esorta tutti
i Combattenti della RSI (a qualsivoglia organizzazione o associazione d’arma
essi appartengano) a soppesare la saggia proposta - ancorché formulata
in un contesto analogo - offerta da un democratico sincero: "I sospetti
di mutua usurpazione devono cedere il posto ad invocazione di reciproca
complementarietà. Ognuno deve operare in presenza degli altri; ciascuno
per ricevere e per dare correzione, verifica, promozione a tutti gli altri"
(cf. Sartori L. Le scienze delle religioni oggi Ed. EDB, Bologna
1983).
Nella libera e responsabile espressione
delle idee (nostre e altrui) e nel comune sentire il portato politico,
etico e sociale della Dottrina - ma senza sincretismi che ne svilirebbero
l’originaria unicità - risiede il nostro destino politico e la nostra
dignità di uomini e di Combattenti per una causa nobile e giusta.
F.N.C.R.S.I.
STORIA DEL XX SECOLO N. 46 Marzo 1999. C.D.L. Edizioni srl http://www.italia-rsi.org/legittimita/sentenzacomb.htm
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