Il 28 giugno 1919, cinque anni dopo l’attentato di Sarajevo, fu firmato il Trattato di pace tra Francia e Germania
Il 18 gennaio 1919, si aprì a Versailles la conferenza di pace che sanciva la fine della prima guerra mondiale, o meglio delle molte guerre di cui si compose; un conflitto che aveva insanguinato i continenti e fatto scomparire, sotto il fragore dei cannoni, il mondo preesistente con i suoi equilibri ed i suoi riti.
In realtà quello di Versailles fu soltanto uno dei molteplici accordi, seguiti alla fine del conflitto, tra potenze vincitrici e paesi sconfitti. Ma fu, senz’altro, il più significativo, poiché sul banco degli sconfitti sedeva la Germania.
Ad esso seguì il trattato di Saint-Germain con l’Austria del 10 settembre 1919, nel quale fu inserito il patto della Società delle Nazioni; il trattato di Neuilly con la Bulgaria del 27 novembre 1919; il trattato del Trianon con l’Ungheria del 4 giugno 1920; il trattato di Sèvres con la Turchia del 10 agosto 1920, che non entrò in vigore a causa della rivolta di Kemal Pascià contro il Sultano e che, pertanto, fu sostituito dalla Pace di Losanna del 24 luglio 1923.
L’Europa che ne uscì vide la nascita di otto nuovi Stati sorti dalla disgregazione degli Imperi centrali ed il ridisegno, pressoché completo, della carta geo-politica del vecchio continente. La costituzione degli Stati nazionali, se da un lato rispondeva ad una legittima istanza di autodeterminazione dei popoli, contenuta nei quattordici punti elaborati dal presidente statunitense Wilson, e ad una ricerca di identità e destini comuni, dall’altro poneva la questione del riconoscimento delle minoranze etniche, che gli imperi avevano, comunque, saputo garantire, e della tutela dei relativi diritti. Alto Adige, Moldavia, Transilvania, Alsazia-Lorena, Danzica, Jugoslavia, Fiume, Turchia europea non ne sono che alcuni, ma significativi, esempi.
Anche un’altra cruciale zona dello scacchiere internazionale fu pesantemente coinvolta nella ridefinizione dei confini e delle zone di influenza: il Medio Oriente. Qui la Francia e l’Inghilterra, dividendosi le spoglie dell’Impero ottomano, finirono per detenere immensi giacimenti di materie prime e controllare le più strategiche vie di comunicazione e di accesso del Mediterraneo, ipotecando, di fatto, i destini dei decenni seguenti. Ma torniamo a Versailles.
La scelta della splendida residenza reale alle porte di Parigi, quale sede della conferenza di pace, non fu casuale. Infatti proprio il 18 gennaio 1871, al termine della vittoriosa guerra franco-prussiana, il Re di Prussia Guglielmo I vi assunse il titolo di Imperatore di Germania, decretando, così, l’unificazione della nazione tedesca e la nascita del Reich. Tale umiliazione bruciava ancora l’orgoglio della Francia, che colse quest’occasione per vendicarsi.
Tradizionalmente gli storici mettono in relazione il trattato di Versailles del 1919 con quello del 1871. Alcuni storici contemporanei, per lo più francesi ed inglesi, datano la contrapposizione franco-tedesca, come senso di rivincita mai placato, dalle guerre napoleoniche; altri invece da efferati episodi risalenti alle guerre di Luigi XIV, quali ad esempio la distruzione di borghi e villaggi nel Palatinato. I negoziati, svolti sull’onda dell’emozione del conflitto appena chiuso e delle ferite ancora aperte, si rivelarono viziati da indubbi errori di valutazione politica.
Innanzi tutto si volle dichiarare la Germania “colpevole della guerra”. Tale principio fu caldeggiato dalla Francia, la quale aveva conosciuto in poco più di quarant’anni due invasioni sul fronte nord-orientale. Questo “punto di vista” fu inserito nell’art. 231 del trattato, ma non fu mai condiviso dai Tedeschi che, al complesso francese dell’invasione, contrapposero quello dell’accerchiamento franco-russo, della fortezza assediata. Altro errore commesso al tavolo delle trattative fu rappresentato dalle esorbitanti sanzioni imposte alla Germania a titolo di “riparazioni” dei danni procurati in conseguenza del conflitto.
La Germania, infatti, oltre a subire pesanti mutilazioni territoriali sul continente europeo, a cedere le proprie colonie a Francia, Inghilterra e Giappone e a rinunciare all’aviazione, fu costretta a pagare enormi somme di denaro alle forze dell’Intesa. Diverso fu l’atteggiamento di Francia ed Inghilterra di fronte alla esazione delle “riparazioni”. Mentre i Francesi si mostrarono inflessibili (nel 1923 il primo ministro Poincarè, per obbligare la Germania ai pagamenti, arrivò perfino ad occupare la Ruhr che, situata sulla riva destra del Reno, era esterna alle zone di occupazione), gli Inglesi, al contrario, si mostrarono inclini ad una politica di maggiori concessioni. L’Inghilterra perseguiva un obiettivo politico-militare: bilanciare i poteri nel continente evitando che la Francia, rafforzandosi, divenisse egemone; ed un obiettivo economico: sostenere la domanda ed i consumi della Germania, rinvigorendo un potenziale mercato che fungesse da sbocco ai prodotti britannici.
L’esponente inglese che più di ogni altro difese questa posizione fu l’economista John Maynard Keynes, all’epoca della conferenza capo della delegazione del Tesoro di Sua Maestà. Non essendo riuscito a convincere il premier britannico Lloyd George a contenere in termini ragionevoli le riparazioni tedesche, si dimise nel giugno del ’19 in segno di protesta e, successivamente, scrisse una delle sue opere più conosciute: ”Le conseguenze economiche della pace”. Con lucida e lungimirante analisi indicò come folle la scelta alleata di imporre sanzioni che la Germania non avrebbe mai potuto pagare. Non solo: compromettendo la prosperità economica di quella Nazione ci si sarebbe esposti al pericolo di una “guerra di vendetta”. Si consideri, a titolo di cronaca, che Keynes, grazie alla conoscenza del banchiere di Amburgo Carl Melchior, divenne consigliere economico del governo tedesco negli anni 1922-23.
La storia, di lì a pochi anni, si premurò di dar ragione a Keynes, allorquando un ex-caporale austriaco, facendo leva sul diffuso malcontento alimentato dalla spaventosa crisi sociale ed economica (vertiginosa inflazione, pesantissima svalutazione del marco, alta disoccupazione) e sul sentimento nazionale tedesco vieppiù annichilito, prese nelle sue mani il potere con il crescente consenso del popolo. Per concludere, un’ultima considerazione. Come il 28 giugno 1914 i colpi mortali sparati a Sarajevo contro l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono imperiale asburgico, e sua moglie innescarono la miccia che avrebbe incendiato l’Europa, così il 28 giugno 1919 la firma del trattato di Versailles conteneva i germi che, vent’anni dopo, avrebbero sconvolto il mondo.
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