di Filippo Giannini
Qualche lettore più affezionato ricorderà
che in un nostro precedente articolo, fra l’altro, scrivemmo: “(…). Oggi
leggiamo sui giornali che un altro italiano si è suicidato a causa della crisi
economica: era un imprenditore di
Napoli, così siamo arrivati a decine di persone che, qui in Italia, si sono
tolte la vita. Però la felicità è massima, avete visto o italyoti come si è festeggiato il giorno della liberazione? È possibile che nessuno si chieda “i perché”? Anche sui suicidi siamo diventati americani, come sopra abbiamo scritto, quando nel periodo del male assoluto, in Italia si lavorava, si
produceva, si verificava il miracolo
italiano, e, soprattutto, si era felici di vivere, in America i suicidi non
si contavano. Oggi, finalmente, è un’altra cosa: che bello essere
americanizzati! Che goduria! E tu,
lettore, non godi?”.
Oggi, 6 maggio 2012 (è importante inserire
la data perché stiamo vivendo un periodo tanto convulso da non sapere da questo
momento a poche ore, cosa potrà accadere), leggiamo sui giornali che altri due
piccoli imprenditori si sono suicidati per la disperazione. Così, se i dati in nostro
possesso sono esatti, siamo arrivati, in una manciata di mesi a 36 suicidi. Siamo
quindi non più alla semplice protesta, ma alla disperazione.
Sarà un nostro difetto, ma vediamo, come
sempre, la soluzione dei nostri problemi, riproporre, aggiornandole, le
operazioni messe in atto nel “mai
sufficientemente deprecabile infausto Ventennio” (che sia benedetto!).
Ma, da quanto leggiamo,
non siamo i soli.
Se la testimonianza
di qualcuno che visse quel periodo…
Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era solito dire) a
Perugia il 27 gennaio 1882, morì,
centenario a Lugano nel 1982; tutto ciò è necessario ricordarlo in quanto
chiarisce quale fu il periodo della sua vita. Venne giudicato come un anarchico conservatore, ed è noto come
uno dei migliori scrittori dello scorso secolo, dallo stile formidabilmente
concreto e asciutto.
Non accettò il regime
fascista, quindi si trasferì a Parigi e poi, definitivamente, negli Stati
Uniti, dove rimase sino agli anni
sessanta, pur tornando saltuariamente in Italia.
Facciamo un salto nel tempo e poi
analizziamo il precedente.
Ripetiamo, Giuseppe Prezzolini morì nel
1982, quindi non ebbe modo di assistere all’episodio noto come “mani pulite”, tuttavia ecco quello che
ha scritto circa la politica italiana della seconda metà dello scorso secolo:
“I partiti non
esistono più, ma soltanto gruppetti e clientele.
Dal parlamento il
triste stato si ripercuote nel Paese…
Tutto si frantuma. Le
grandi idee cadono di fronte a uno spappolamento e disgregamento morale di
tutti i centri d’unione.
Oggi uno è a destra,
domani lo ritrovi a sinistra…
Lo schifo è enorme.
I migliori non hanno
più fiducia.
I giovani se non sono
arrivisti e senza spina dorsale non entrano nei partiti (…)”.
Vediamo ora come l’anarchico conservatore, dopo uno dei
viaggi in Italia nei primi anni Trenta,
cosa scrisse:
“Le mie impressioni possono forse
parere semplici per i lettori italiani, ma hanno però lo sfondo dei
paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo.
Pace in questa
Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno.
La pace degli
animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi
e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in
apparenza maggiore. Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non
ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono
sempre lire e lo saranno domani.
I ricchi non
hanno bisogno di guardie del corpo per salvare i figlioli dal sequestro.
I poveri non
devono pagare la taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere.
C’è oggi una
generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità.
Vi sono momenti
in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che sia
meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…).
Il popolo
italiano appare rinnovato.
Sta lontano dalle
osterie e dalle risse; sale sui monti in folla.
Gode, come nessun
altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e dell’aria.
I discorsi e i
commenti che vi senti, lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute.
Il popolo
italiano ha un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio
vestito di un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito
nella generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali.
Si muove di più,
viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese.
Non è ricco come
altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare
senza dubbio più contento”.
Ricordiamo che Prezzolini scrisse questo pezzo nel
pieno della grande depressione che partì, come sempre dalla democraticissima
Usa.
Sì, più
contento, ha scritto Prezzolini, almeno diverso da oggi.
Come mai? Oggi c’è la libertà, la democrazia,
termine maledetto che indica, in verità, la schiavitù verso il più potente.
E allora? Come è possibile che l’italiano fosse
più contento sotto una dittatura?
La risposta ce la può fornire il grande banchiere americano John Pierpont
Morgan che sembra condividere l’opinione di Prezzolini:
“In America i nostri uomini
politici non si curano se non di un problema, quello della loro rielezione.
Tutto il resto non li interessa che mediocremente.
Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini,
avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia
in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America
un Mussolini”.
Poi, come rispose Benito Mussolini a Giangiacomo
Cabella, nell’ultima intervista concessa alla Voce di Alessandria, a poche ore dal suo assassinio, nel
giustificare la guerra:
“Le nostre idee hanno
spaventato il mondo!”, ovviamente il
mondo della grande finanza.
Queste parole ben si
abbinano a quanto ha scritto lo storico Rutilio Sermonti, nel suo L’Italia nel XX Secolo, a seguito delle
nuove concezioni sociali che partivano, una volta ancora, da Roma: “La risposta
poteva essere una sola: perché le plutocrazie volevano un generale conflitto
europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile
concorrente economico – e soprattutto dell’Italia.
Questo è necessario
comprendere se si aspira ad evidenziare
la realtà storica: soprattutto
dell’Italia”.
Quindi le plutocrazie, prima provocando la guerra
(ci sono Paesi che le guerre le provocano
e Paesi che le subiscono, fu la risposta di Mussolini a Sumner Welles, ad
una ipocrita domanda di Franklin D. Roosevelt) poi, ponendo in campo tutta la
loro demoniaca potenza e, avvalendosi di una nuova arma, la psycological war, tanto prodiga di
infamanti notizie e consigli, che potevano essere concepiti solo da menti
criminali, vinsero quella guerra del
Sangue contro l’Oro.
E possiamo solo
immaginare il sorriso sarcastico che aleggiava nei volti dei vincitori,
allorché sfilarono a Milano dinanzi a quei corpi
appesi, osservavano compiaciuti la moltitudine danzante dei cannibali, quasi in attesa di gustare
quelle carni.
Ebbene, quei
rappresentanti delle potenze plutocratiche, portatori di quei benefici di cui
oggi godiamo le più intime essenze, possono aver pensato: “Italiani, furbissimi, intelligentissimi ?”
Oggi, anzi dal giorno della sconfitta
militare del 1945, siamo sotto il giogo dell’Alta finanza: è l’economia che
dirige la politica, non viceversa come, al contrario, ara stato concepita dal
Fascismo; la prova viene fornita dall’avvento a Capo del Governo del professorino Mario Monti, impostoci dal
Presidente Napolitano.,
Le credenziali di Monti?
Eccole, sempre che la fonte sia corretta: “Nel
giugno 1981, una commissione di studio, presieduta da Paolo Baffi,
direttore generale di Bankitalia, deliberò di seguire lo schema di un
giovanotto, molto stimato dal Rothschild (!), tale Mario Monti, il quale
propose l’emissione di titoli a lungo termine, con aste mensili e quindicinali,
in modo che il rendimento cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra
i 5 e i 7 anni. Il che, a detta del professorino, garantiva il potere
d’acquisto e, secondo gli esiti delle aste,
un piccolo rendimento dell’1-2%. Il Tesoro, zufolò Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e
finanziare meglio la spesa pubblica. La
proposta passò con standing ovation. Il deficit fu come un proiettile. Le spese aumentarono invece di
diminuire. Mentre Mario Monti procurava il credito a tassi impossibili,
aumentarono tasse e benzina, le spese sanitarie sfondarono di mille miliardi di
lirette il finanziamento statale.
SI RIPRESENTA, COME UNA “ZECCA”
APPASSIONATA DALLA PROPRIA INFEZIONE, NEL 1989 COME “CONSULENTE ESPERTO” DEL
MINISTRO DEL BILANCIO CIRINO POMICINO.
Eppure il premier Mario Monti, chiamato
a salvare l’Italia dai gorghi del defoult, tra il 1989 e il 1992, erano i tempi
del sesto e settimo governo Andreotti, non riuscì a impedire il peggio.
Cioè l’esplosione del rapporto tra
debito e pil, preludio della grande tempesta finanziaria che al principio degli
anni Novanta costrinse Giuliano Amato alla manovra da 103.000 miliardi di
vecchie lire. In tre anni il peso del debito balzò dal 93,1% del 1989 al 98%
del 1991 e al 105,2% del 1992. Un vero boom, insomma, pari al 12,9% in termini
relativi e al 44,5% in cifre assolute, da 533,14 miliardi di euro a 799,5”.
Ora abbiamo una nuova trovata
di Monti: la chiamata di Giuliano Amato a controllare i denari dei partiti.
Ė questa una Repubblica sana di mente?
Ma Amato, secondo l’accusa dello stesso Mario Monti, non è colui che
contribuì ad innalzare il debito pubblico?
Vi rendere conto in quali mani
siamo?
La soluzione?
Per quanto ci riguarda esiste!
Saremo dei fissati, ma
dovremmo ripartire dal 1945, quando la Grande
Finanza bloccò il nostro futuro.
Siamo convinti che, a parte l’incapacità e le ruberie messe in atto
dalla nostra classe politica, il nostro problema è stato L’Euro.
Cioè, e ci spieghiamo meglio, prima di creare l’Europa unita sulla
moneta si doveva creare l’Europa politica.
Questo non è stato fatto.
Quindi Veloce marcia a ritroso.
Lo Stato ricrei, velocemente la propria moneta e si riappropri dei
diritti di battere moneta, operazione che oggi è stata ceduta, criminalmente, alla
BCE (Banca Centrale Europea) che la gestisce a proprio piacere, per arricchire
chi è già ricco.
Perché non si accenna mai alla più grande truffa, mai nei secoli
concepita: il Signoreggio?
Si mandi, dunque, all’inferno,
da dove è nato, questo Stato sorto dalla resistenza e si abbia la forza di
concepire lo Stato Corporativo, cioè lo Stato
del Lavoro, per giungere, poi alla Socializzazione
dello Stato.
Ė una utopia, quale Uomo è in grado di mettere in atto tutto questo?
Abbiamo letto da qualche parte che oggi se tornasse un Mussolini
godrebbe della stragrande maggioranza dei consensi.
E allora, cari signori, pedaliamo questa bicicletta e con questa
andiamo, anche il prossimo anno (salvo che non ci saremo suicidati) a festeggiare
il 25 aprile.
Gli italiani sono tanto
FURBACCHIONI!!!!
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