martedì 3 gennaio 2012

Il Manifesto di Verona del 14 novembre del 1943

I “diciotto punti” che ancora sono attuali: con la Socializzazione delle grandi imprese strategiche nazionali.

di Filippo Giannini

Sono passati quasi settanta anni da quando il 14 novembre 1943, in Castelvecchio a Verona, si celebrò il congresso del Partito Fascista Repubblicano, con il proposito di fissare in un “Manifesto” le linee essenziali del nuovo Stato Repubblicano. Come la Carta del Lavoro, nata il 21 aprile del 1927, sarebbe divenuta legge dello Stato quindici anni dopo con la promulgazione dei Codici Civili, così il Manifesto lanciato a Castelvecchio, al di là di alcuni contenuti legati alla situazione del momento, doveva essere un abbozzo dei criteri sui quali costruire la futura Costituzione nazionale. Un preambolo lo definiva il punto 18, ma era di grande rilievo perché confermava il ripudio dello Stato agnostico, proprio delle democrazie parlamentari derivate dai principi del 1789.
Erano trascorsi poco più di due mesi dalla resa che aveva affondato l’Italia nello smarrimento mettendola alla completa mercé dei suoi nemici, ed i convenuti di Verona erano ancora con il cuore in tumulto e ansiosi di cancellare l’onta subita. Nobili e legittimi sentimenti davvero poco adatti alla pacata riflessione necessaria per concepire e studiare certi istituti. Ed infatti lo stesso Mussolini confidò a Bruno Spampanato: .
Alla fine, nel fervore del momento e nell’ansia dell’azione fu approvata per acclamazione l’ipotesi di lavoro, e fu un vero miracolo di consapevolezza e di concentrazione, tanto che, se da un canto può uscirne diminuito il valore sotto l’aspetto giuridico-tecnico, dall’altro ne è aumentato quello ideale e morale, perché, pur davanti alla materiale sconfitta incombente. per la preponderanza avversaria, quegli uomini vollero gridare al mondo le proprie idee perché a loro sopravvivessero. Fu una vampata di purissima fede per la quale ciascuno dei presenti non avrebbe esitato a bruciare la propria vita, ma nel contempo fu la conferma che l’idea che aveva trasfigurato l’Italia e accesa la speranza in Europa, aveva contenuti inequivocabili e profonde radici nell’animo di quanti in essa credevano.
Nel rievocare dopo quasi sette decenni quel giorno memorabile, non dimenticando che l’azione politica deve essere l’applicazione di una salda concezione dell’Uomo, della vita e dello Stato, ma deve procedere e svilupparsi per operare nella mutevole e complessa realtà come tutto ciò che è vivo, ci chiediamo se quegli assunti possano riproporsi oggi, e negli stessi termini. La risposta è che il Manifesto di Verona contiene proposizioni tutt’ora valide e pertanto, opportunamente modificato per renderlo idoneo al mutare dei tempi. Da esso possono trarsi buone basi per correggere l’attuale deriva negativa della situazione politica ed avviare la costruzione di un nuovo Stato, guidato realmente dal popolo e non dai grandi commessi, o commissari come in Europa li chiamano, o Ministri in Italia. In ogni caso tutti più attenti all’economia che non alla politica, alla quale quest’ultima, quella vera in aderenza al volere della plutocrazia internazionale, della quale costoro sono servitori più o meno coscienti.
Ed allora raccogliendo il testimone da coloro che ci hanno preceduto a Verona, e nel solco delle idee da loro espresse, noi vogliamo lanciare un nuovo “Manifesto” con il quale proporre tale Stato, condizione unica per riprendere quel cammino di civiltà del quale l’Italia in passato è stata maestra, da sola o insieme ad altre Nazioni dell’antica Europa. Uno Stato, che possiamo definire ad integrale partecipazione del popolo al potere, e che nell’ambito di un corretto vivere sociale consente ad ognuno di esercitare la propria libertà, e la possibilità reale di partecipare al potere, scevro da falsità, da ipocrisie, e da predomini dell’uomo sull’uomo. Così correggendo i danni prodotti da idee ormai ampiamente dimostratesi errate per non aver costruito la democrazia che si ripromettevano, ma delle oligarchie, e delle peggiori, perché formate da potentati economici attenti più al profitto che non ai destini dell’umanità. L’errore degli Stati moderni infatti, è stato determinato dall’essersi basati sul noto trinomio: “LIBERTÀ’, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ” dal 1789. Però l’uguaglianza non esiste in natura, ed affermarla a base della organizzazione sociale è cosa estremamente deleteria, come nel volgere dei tempi ben si è dimostrato e tuttora dimostra, con la conseguenza che la libertà è solo nelle dichiarazioni, mentre al popolo ne resta molto poca, e la fraternità è di fatto sparita. Occorre invece e per quanto possibile, organizzare uno Stato nel quale nessuno possa artificiosamente impedire ad altri di tentare di concretizzare l’essenza dèi proprio vivere, della quale la propria quotidianità è l’armonica realizzazione, secondo le proprie capacità e volontà, quest’ultima effettivamente realizzata e non solo enunciata:
Riteniamo che per cambiare le cose, si debba considerare che, in quanto parte di un gruppo, l’interesse particolare di ciascun individuo, spirituale o materiale che sia, può trovare migliore e più continua soddisfazione se tanto avviene nel contempo per l’intero gruppo. Gruppo che diviene popolo quando di tanto prende coscienza, e Nazione quando si accorge dei legami di continuità esistenti fra il vivere di ognuno e quello comune del gruppo stesso, nella consapevolezza delle medesime radici e dell’essere “comunità di destino”. Ciò vuol dire che quel che conta per garantire la libertà, non è l’uguaglianza, ma la socialità, altro grande valore indispensabile per la realizzazione della libertà stessa. Il suddetto trinomio allora si riassume in un unica parola: SOCIALITÀ, che con esclusione dell’uguaglianza gli altri due comprende, e nella considerazione della quale solo può parlarsi di effettiva sovranità del popolo, visto nelle sue diversità come nel suo insieme, richiedendo però ad ognuno il contemporaneo adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre più vigorosa e più ricca la vita comune.
Ecco il Corporativismo, e con esso la Socializzazione, che soccorrono alla realizzazione di uno Stato nel quale non hanno voce dottrine teoriche e spesso utopistiche, ma realtà effettive, relative ad ogni attività umana intellettuale o materiale, ciascuna rappresentata in una comune assemblea istituzionale e raggruppata in una propria categoria.
Uno solo è il modo per combattere e vincere il capitalismo che subordina l’Uomo alle cose e travalica il campo economico trasformandosi in plutocrazia: eliminare ogni forma di parassitismo sociale e porre come finalità comune le priorità poste dalla realizzazione della libertà e dello sviluppo della Nazione, dando vita ad uno Stato che “Noi” chiamiamo ORGANICO. Uno Stato del quale ricevere la cittadinanza, possa dal forestiero essere considerato altissimo onore, come era un tempo il vivere con la legge romana. Sarà naturalmente necessario accantonare l’attuale Costituzione, e pur tenendo conto della nostra allergia per tali documenti ridondanti di belle parole poi inascoltate nei fatti e causa di eccessive e talvolta pruriginose staticità idonee per chi detiene il potere ma non per il popolo, sostituirla con un testo che contenga i principi fondamentali, le forme istituzionali ed il loro funzionamento.
Se i “18 punti” del “MANIFESTO DI VERONA” non pretendevano di essere più che un significativo “preambolo”, lo schema del “MANIFESTO PER IL XXI SECOLO” che “Noi” proponiamo dovrà essere un aggiornamento di quel preambolo, lasciandone immutato lo spirito, proseguendone gli intenti e precisando che non si tratterà mai di pesanti macigni, ma di linee sempre modificabili, allorché sarà dato di tradurlo in diritto positivo o in qualunque momento in caso di successive necessità
Aggiungiamo altresì a scanso di equivoci da parte di chiunque, che intendiamo raggiungere il nostro scopo all’interno e nel rispetto delle leggi vigenti.
Un passo dopo l’altro, per l’Italia e l’Europa di domani.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=12306

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