mercoledì 2 novembre 2011

DEMOCRAZIA…? LIBERTA’…? MA QUALE…?



Ma fateve ‘na peretta! (In romanesco)

di Filippo Ginnini

Dall’INFORMAZIONE DI MODENA di sabato 29 ottobre 2011, in prima pagina e a tutta pagina, leggiamo e trascriviamo: “Paura in centro, finisce nel peggiore dei modi il convegno organizzato da Fiamma Tricolore – VIOLENZA TRA ESTREMISTI: DUE AGENTI FERITI – Spaccata una vetrata. Il PD : La questura non autorizzi più eventi simili”. Cioè, osserviamo: Diamo una volta ancora ragione ai violenti. Ed ora ci spiegheremo meglio. E da IL RESTO DEL CARLINO, stessa data, pag. 6, anche qui a piena pagina: “Centri sociali e circolo Gramsci all’incontro sul fascismo, disordini – SCONTRI AL CONVEGNO, TRE AGENTI FERITI”.

Ed ora veniamo ai fatti per come li abbiamo vissuti.

Alcuni giorni fa eravamo stati invitati ad incontrarci a Modena per una chiacchierata, organizzata da alcuni giovani di Fiamma Tricolore (sembra che ancora esista; quindi attendiamo il classico: Se ci sei batti un colpo!), incontro che si doveva svolgere in un certo albergo, appunto lo scorso sabato, a Modena.

Il lunedì precedente ci era stato comunicato il luogo del convegno: un albergo, appunto di Modena, indichiamolo come Albergo A. Sennonché il giorno successivo una telefonata ci comunicava che l’Albergo A aveva rifiutato l’affitto della sala perché “la direzione era stata minacciata da esponenti dei centri sociali”, di conseguenza il convegno si sarebbe tenuto nell’Albergo B. Di nuovo, altra telefonata: per le stesse ragioni, ci saremmo incontrati nell’Albergo C. Per la verità in questo momento non ricordiamo esattamente se siano subentrate altre telefonate per nuovi spostamenti, In ogni caso, per brevità, immaginiamo che la farsetta democratica si fermi qui. Torniamo ai ricordi di decenni indietro, verso i primi anni del dopoguerra, ai tempi della nascita del Movimento Sociale Italiano, quando cioè, ed è vita vissuta e possiamo testimoniarlo in qualsiasi sede, ogni nostro convegno era sempre disturbato con violenza dai rossi; però, allora sapevamo rispondere con la stessa determinazione, forse perché allora nel Msi erano attivi, anzi, attivissimi i reduci della Rsi, non intenzionati a farsi mettere in disparte da nessuno. Sì, signori, a violenza si deve rispondere con coraggio e il perché sarà chiarito nel prosieguo di questo articolo. E un saltino ad allora. Se allora si fosse verificato quanto accaduto la scorsa settimana, la riunione si sarebbe tenuta proprio di fronte alla sede dei centri sociali, cioè di fronte ai disturbatori. Affermo questo perché cosa già accaduta. Oggi questo non è più possibile perché i giovani repubblichini di allora, o sono passati a miglior vita, o troppo anziani.

Torniamo ai giorni di oggi.

Siamo nell’Albergo C, tutto è pronto per la conferenza, la sala è colma di giovani, quando sentiamo rumori e grida provenire dalla strada. Si sta verificando quanto preannunciato: i democraticissimi signorini dei centri sociali e di altre organizzazioni anarco-comunisti sono in strada, davanti all’albergo che gridano, agitando le rosse bandiere con falce e martello, i loro stupidi slogan, uno dei quali il più noto: “Carogne fasciste, tornate nelle fogne”. Invece eravamo lì ad osservare il loro agitarsi controllati da decine di poliziotti e carabinieri. Ci siamo fatti avanti e li abbiamo invitati, invece di gridare e infastidire di entrare e di confrontarci civilmente. Uno di loro rispose agitandosi che era figlio di un partigiano, al che abbiamo risposto che non era colpa nostra se qualcuno nasce disgraziato. A questo punto un carabiniere ci chiese di tornare in sala, cosa che abbiamo fatto. Rientrando abbiamo notato che i signorini non avevano tardato a farsi riconoscere, infatti uno di loro aveva tirato un sasso infrangendo una vetrata della porta dell’albergo. Un gesto certamente non nuovo in questa Repubblica democratica nata dalla Resistenza.

Demmo inizio alla conferenza che, a detta di tutti, è riuscita nel migliore dei modi.

Una prima osservazione: immaginatevi, voi che leggete, cosa sarebbe accaduto se quella gazzarra fosse stata messa in atto anziché dai rossi-cocomeri dai neri. Quante interrogazioni parlamentari sarebbero state sollevate? Quanti ragazzi sarebbero stati portati in carcere? Invece loro nulla; hanno bloccato la strada, hanno inscenato una manifestazione non autorizzata e, come di loro uso, hanno rotto, oltre che le santissime scatole, anche un bene dell’albergo, il vetro.

Ora desideriamo descrivere le caratteristiche dei signorini sopra indicati e caratterizzarli storicamente.

Abbiamo già scritto che essi sono sempre – e ripetiamo, sempre – stati usi alla violenza. Ricordiamo il loro modo di intendere la lotta politica e la violenza fascista. Quanto andremo a scrivere è solo degli appunti presi a caso qui e lì.

Prima di iniziare ricordiamo che i Fasci di Combattimento sorsero solo a marzo del 1919.

L’anarchico Bruno Filippi, che sognava la rivoluzione sovietica fece esplodere alcune bombe, a Piazza Fontana a Milano, a Via Paleocapa, al Palazzo di Giustizia, sempre a Milano, il 7 settembre mentre era intento a porre una nuova bomba a Palazzo Marino, gli esplose in mano dilaniandolo.

Il 23 marzo 1921 l’attentato al teatro Diana causò la morte di 21 spettatori e il ferimento di un centinaio.

Specialmente nella Bassa Padana tra la fine del 1918 e i primi 1919 si ebbero le prime spedizioni punitive messe in atto dai rossi contro i contadini refrattari ad iscriversi ai sindacati socialisti.

Vladimir Ilic Ulianov, detto Lenin. “Il terrorismo è la nostra unica e assoluta strada>. Ancora Lenin:

Da citare quanto scrisse Percival Phillips, corrispondente del Daily Mail nel 1921: “Essi (i fascisti) combattevano il terrore rosso con le stesse armi. Ai sistemi di Mosca risposero con i sistemi fascisti. Di certo non imitarono i sistemi comunisti di gettare vivi gli uomini negli altiforni, come fu deciso a Torino da un tribunale rosso composto in parte da donne, né torturarono i prigionieri come fecero in altre parti d’Italia i seguaci di Lenin”.

Il professor Ardito Desio ad una domanda di un giornalista, così rispose: “Il fascismo ha avuto molti aderenti, dopo la fine della prima guerra mondiale, fra noi ufficiali perché si viveva in un clima di puro terrore. Si subivano pestaggi, bastonature. Numerosi furono assassinati per il solo fatto di portare le stellete”.

Lo stesso De Gasperi su Il Nuovo Trentino del 7 aprile 1921, così scrisse: “Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione all’internazionalismo comunista che negava la libertà alla Nazione (…). Noi non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima”.

Interessante è quanto riporta Antonio Falcone su Storia Verità, gennaio 1994: “In un certo senso si può dire che i fascisti la violenza non tanto la imposero quanto la subirono. Lo dimostra il numero dei loro caduti che fu di gran lunga superiore a quello degli avversari. Secondo Forges-Davanzati le vittime fasciste, tra morti e feriti, si contano a centinaia, mentre quelle avversarie si contano a decine (…). La sproporzione si spiega col fatto che, mentre gli squadristi cercavano lo scontro frontale e aperto, i rossi conducevano la loro lotta a forza di imboscate e di attentati (…)”.

Queste pochissime, scarne citazioni, almeno per il momento, a chiariscono da quale parte fosse la violenza.

E la Resistenza rossa? Per amore di Patria sarebbe opportuno tralasciare. Solo chi non conosce la storia può non sapere di quale demoniaca malvagità si sia macchiata. Anche su questo argomento solo pochissime citazioni, e ci scusiamo se ripetiamo concetti già esposti. Il partigiano, giusto per puntualizzare, era un fuorilegge e questo lo stabilivano le Convenzioni Internazionali di Guerra dell’Aja (si badi bene) del 1899 e del 1907.

Per essere considerati legittimi combattenti era indispensabile rispondere a quattro condizioni:

1) portare apertamente le armi;

2) rispondere a ufficiali responsabili;

3) indossare una divisa riconosciuta da nemico,

4) riconoscere le convenzioni di guerra. Il partigiano non rientrava in alcuna di queste condizioni.

Ed ora diamo un rapido sguardo al sistema di lotta del partigiano. Dal libro 7° GAP di Mario De Micheli – Edizioni Cultura Sociale, Roma 1954: “I Gap (Gruppi d’Azione Patriottica) dovevano essere gli arditi della guerra di liberazione, soldati senza divisa (…). Essi dovevano combattere in mezzo all’avversario, mescolandosi ad esso, conoscerne le abitudini e colpirlo quando meno se lo aspettava (…). I complici del fascismo e del tedesco non avrebbero più dovuto trascorrere i loro giorni indisturbati in quiete e tranquillità; avrebbero, invece dovuto vivere d’ansia, guardandosi continuamente attorno, trasalendo se qualcuno camminava alle loro spalle. Portare la morte a casa del nemico era insomma la direttiva con cui sorgevano i Gap (…)”. Dopo questo saggio di lealtà, di coraggio e di eroismo, leggiamo uno stralcio di cosa ha scritto Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny: “Alle spalle, beninteso, perché non si deve affrontare il fascista a viso aperto: egli non lo merita, egli deve essere attaccato con le medesime precauzioni con le quali un uomo deve procedere con un animale”.

Diamo ora uno sguardo come i partigiani (specialmente quelli comunisti che erano la stragrande maggioranza) seppero approfittare e sfruttare l’ignobile diritto della rappresaglia. Il democristiano Zaccagnini lasciò scritto: “La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista”. E ancora più specificamente l’ex fascistissimo, poi super antifascista e capo partigiano Giorgio Bocca, ci spiega il perché degli attentati: “Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. È una pedagogia impietosa, una lezione feroce”. Cos’altro c’è da aggiungere? Vi ricordate le lacrimucce che versavano i vari esponenti delle formazioni partigiane quando andavano a commemorare le stragi nazifasciste alle Cave Ardeatine, a Marzabotto, a Piazzale Loreto o ovunque fossero avvenute queste orribili mattanze? Quei martiri (reali) furono uccisi per volontà dei capi del CLN e cito alcuni nomi dei responsabili di queste vigliaccate: Sandro Pertini, Luigi Longo, Palmiro Togliatti e tanti altri. Questi signori cercarono, pretesero e ottennero le rappresaglie così da usare dei tanti innocenti assassinati, le finalità per le loro mire politiche. Questo spiega il perché tanti autori di attentati non si presentarono per salvare la vita di innocenti ostaggi: non fu per vigliaccheria, come molti li accusarono, ma semplicemente perché se lo avessero fatto, l’agognata rappresaglia non si sarebbe verificata.

A guerra conclusa non si smentirono: si era parlato di centinaia di migliaia di vittime, fra queste donne e bambini colpevoli di essere spose o figli di fascisti.

Vediamo che lo spazio a noi concesso è esaurito. Torneremo sull’argomento quanto prima.

Ritorniamo ora su quanto avvenuto a Modena lo scorso 28 ottobre; dalla già citata L’Informazione di Modena del 29 ottobre 2011, pag.3: <(…). Il commissario provinciale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore Stefano Marco Garzya non ha voluto rivelare il luogo esatto dove lui e gli altri esponenti del gruppo di estrema destra si sarebbero ritrovati per parlare, come avevano spiegato giorni fa, “della storia e delle opere fasciste”. Una scelta presa, aveva spiegato al telefono nel primo pomeriggio, “per evitare scontri” dopo giorni in cui in molti, a partire dagli antagonisti del Guernica (dei centri sociali), avevano annunciato picchetti e mobilitazioni. Ma i momenti di alta tensione ieri in centro storico ci sono stati e sono stati particolarmente violenti, tanto che il dirigente della Digos e un agente sono rimasti feriti. Il corteo che si è formato (erano sì e no una trentina di scalmanati, nda) non appena è stato reso noto il luogo dove si sarebbe svolto il convegno di Fiamma Tricolore, l’Hottel Europa di Corso Vittorio Emanuele, ha bloccato la strada, impedendo alle auto di circolare e ha blindato con cassonetti dell’immondizia l’ingresso al centro (…)”.

E qui terminiamo, non prima di ricordare il titolo di questo articolo: DEMOCRAZIA… LIBERTA’… MA FATEVE ‘NA’ PERETTA!!!!

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