Tratto dal periodico di informazione dell'Editoriale IL GIGLIO
(Lettera Napoletana) – La consegna del Re Francesco II al Maresciallo di Campo Tommaso de Clary, che reggeva la piazzaforte di Messina nella Sicilia invasa da Garibaldi, era quella di combattere, di organizzare la guerriglia contro gli invasori, di recuperare con iniziative politiche la popolazione e di ritirarsi nella Cittadella, “solo quando la difesa sia divenuta impossibile”.
Lo dimostra un documento custodito all’Archivio di Stato di Napoli, trovato dall’appassionato studioso Luigi Andreozzi de Romano Colonna. Il 19 giugno 1860, per il tramite del ministro della Guerra, Tenente Generale Francesco Antonio Winspeare (1778-1870), il Re invia a Clary ordini dettagliati per l’organizzazione della resistenza. «L’attuale forza non essendo da tanto di poter estendere il suo raggio di operazione per quanto si dovrebbe – è scritto nel testo - curerà di tener concentrata la Truppa sempre nell’anriguardo della Cittadella tenendo per fermo che non dovrà ritirarsi in essa, che quando forze cotanto superiori avessero preso il disopra e non restasse altro mezzo di difendere la Città».
A Clary, Francesco II raccomanda di far costruire dal Genio militare le opere necessarie ad assicurare la difesa della città in modo che le truppe napoletane non fossero colte di sorpresa, di smontare le batterie eventualmente costruite contro la Cittadella, e di difendere i Forti.
«In una parola le Truppe dovranno difendere la Città da un’aggressione qualunque, e non rientrare alla Cittadella che quando la difesa sia divenuta impossibile, lo che non si suppone», è scritto nelle consegne inviate al Comandante della Piazza di Messina.
Il Re pensava anche alla controffensiva. «Potrà formare delle guerriglie, atte ad agire nella campagna, con i modi che Ella prescriverà - faceva sapere al Comandante della Piazzaforte di Messina - ed all’oggetto invierà a me le istruzioni che avrà date ai Capi di queste masse, comprendendovi gli appuntamenti giornalieri per ciascuno, il servizio a prestare e le norme per l’arruolamento. Farà uso de’ mezzi che crederà convenevoli per tenere dei fondi a disposizione pel mantenimento di tali squadriglie (…)».
Non mancavano, nello stile dei Sovrani delle Due Sicilie, che combattevano con le regole della guerra medievale contro la guerra rivoluzionaria senza regole e senza onore dei piemontesi e dei garibaldini, indicazioni dettate dalla carità cristiana. «Procurerà che i prigionieri siano rispettati, lasciando il giudizio sul loro conto a Lei», ordina Francesco II. Ma il documento smentisce l’immagine di un Sovrano debole, inadatto a combattere, ed indeciso costruita dalla storiografia risorgimentale. Al contrario emerge la volontà di Francesco II di affrontare Garibaldi in Sicilia e di rioccupare le province conquistate dagli invasori, a partire da Catania. A Clary vengono date anche direttive politiche, come l’abolizione del dazio sul macinato e l’amnistia da concedere a quanti, anche se compromessi con l’insurrezione, non si fossero resi responsabili di delitti e intendessero “rientrare nell’ordine”.
Come andarono le cose, nonostante le disposizioni di Francesco II lo documenta lo storico Giacinto de’ Sivo. L’avventura di Garibaldi avrebbe potuto finire subito. Ma Clary, che disponeva di oltre 15 mila uomini, prima rimase inerte, poi rifiutò il sostegno di due battaglioni al colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco. Il 14 luglio 1860 Bosco aveva effettuato una sortita da Messina. Il 17, al trivio di Archi, sulla strada di Barcellona, aveva messo in fuga i garibaldini e presi prigionieri un capitano, un tenente, un sergente e 18 soldati piemontesi che combattevano con la bande garibaldine. Il 20 aveva inflitto in uno scontro aperto a Milazzo perdite per quasi 800 uomini ai garibaldini prima di essere costretto a ritirarsi per la mancanza di quei rinforzi che Clary rifiutò di inviargli. «Questo Clary – sintetizza de’ Sivo – fece cader una opportunità sì rara in vita d’acquistare fama grande con poca fatica: accorrere a salvare il compagno, stringere l’invasore in un cerchio di ferro, spazzare La Sicilia da quei tristi”» (Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, 2 voll. Berisio, Napoli, 1964. Vol. II, libro XII, p. 125).
L’occasione fu perduta, come lo stesso de’ Sivo lascia comprendere, per il tradimento, non certo per gli ordini impartiti da Francesco II. (LN43/11)
Nessun commento:
Posta un commento