DI CARMELO R. VIOLA
Si parla di democrazia in maniera sempre più insistente nella totale ignoranza della biologia del potere.
Tanto per cominciare occorre prendere atto che il potere non è qualcosa che possa esserci o meno – come pensano gli anarchici tradizionali, salvo ad esercitare il proprio – ma l’altra faccia della vita ovvero la vita stessa nella sua capacità di attuarsi.
Tanto per cominciare occorre prendere atto che il potere non è qualcosa che possa esserci o meno – come pensano gli anarchici tradizionali, salvo ad esercitare il proprio – ma l’altra faccia della vita ovvero la vita stessa nella sua capacità di attuarsi.
Si può dire “io posso, dunque sono”, il che non esclude l’”io penso, quindi sono” di Cartesio e l’”io mangio, quindi sono” di Gino Raya, solo annotando che il pensare e il mangiare sono possibili momenti della vita reale e quindi del potere.
Chi non può pensare, non è, come chi non può mangiare.
Ma ci riferiamo ovviamente all’uomo.
Un individuo della nostra specie, privo di ragione, ma capace di mangiare, non può certamente considerarsi un uomo!
Da questo punto di vista Cartesio è molto più vicino alla biologia sociale.
L’aforisma rayano si riferisce – lo voglia o no – a qualunque “animale” (dall’ameba in su), il quale non può esistere senza prelevare dall’ambiente le sostanze di cui ha bisogno il suo metabolismo.
Il limite del famismo sta in sé stesso perché la sola fame “alimentare” non va al di là dell’animalità, cioè della prima costante dell’”essere al mondo”.
Né l’uso della parola fame nel senso più lato possibile (fame di sapere, per esempio) risolve questa aporia (difficoltà) di base del pensiero di Gino Raya.
Infatti, ci costringe a dire fame e a pensare ad altro ed a subire l’influenza della parola stessa, la cui accezione reale non puo’ superare un certo limite.
Al contrario, la sua estremizzazione ideologica ci dà come risultato un vicolo cieco, cioè il “famismo”, sinonimo di “reciprocità fagica” e quindi di pessimismo sociale.
Meglio avrebbe fatto Raya a limitarsi alla locuzione “biologia culturale”, che risponde perfettamente alla realtà.
Con l’”io posso, dunque sono” ci si riferisce ad ogni entità (sintesi) biologica per piccola che sia, ma soprattutto all’uomo, il cui sviluppo evolutivo è tutto un potere a livelli sempre più alti: dall’alimentarsi al sentirsi rassicurato, dal pensare all’ideare, dall’autoidentificarsi al trascendersi.
Con l’”io posso, dunque sono” ci si riferisce ad ogni entità (sintesi) biologica per piccola che sia, ma soprattutto all’uomo, il cui sviluppo evolutivo è tutto un potere a livelli sempre più alti: dall’alimentarsi al sentirsi rassicurato, dal pensare all’ideare, dall’autoidentificarsi al trascendersi.
Questa introduzione aveva lo scopo di dimostrare che il potere pubblico esiste da sempre come emergenza di soggetti più forti (più potenti), che sfruttano il bisogno di potere dei più deboli.
Da questa emergenza (di soggetti dominanti su soggetti inerti) nasceranno tutte le menzogne religiose, come quella – massima – che l’autorità venga da Dio (di cui si millanta di essere investito tuttora lo stregone di Roma) ma anche la verità, che si ha bisogno di un potere pubblico, portavoce dei diritti naturali dei singoli soggetti della collettività, ciò che si chiama impropriamente – o meglio demagogicamente – democrazia.
Infatti, nel momento in cui il potere – qualunque potere – si manifesta, è perentorio nel senso che persegue il fine giustificando ogni azione atta a raggiungerlo.
Il soggetto che può pensare, non può non pensare come chi può colpire un soggetto tenuto all’obbedienza (sia pure per una ragione ingiusta) non può non colpirlo.
Voglio dire che il potere pubblico, che deve far valere delle norme quali che siano, non può non farli valere con tutti i mezzi di cui dispone.
E’ qui il senso del potere come dittatura, la quale non esclude la tolleranza e l’indulgenza, che confermano la dittatura stessa.
L’agente che constata un’infrazione stradale, ha il potere (assoluto!) di sollevare contravvenzione anche se può chiudere un occhio.
Tutti i giorni subiamo la dittatura del potere pubblico, oggi “democratico”.
Per esempio, a favore del fisco pagando le imposte, dirette e indirette, perfino le più inique o da considerarsi magari illegittime (come il canone RAI), pagando i farmaci al prezzo imposto dalle industrie con la complicità dello Stato.
Lo subiamo nei riguardi di tutte le forze dell’ordine; nei riguardi dei segreti di Stato; nei riguardi degli accordi interstatali presi sulla testa della collettività (vedi “G8”). Dobbiamo rispettare qualunque legge o decreto dal parlamento-potere legislativo anche se contrari ai veri bisogni e diritti naturali delle genti.
A dispetto delle migliori norme costituzionali il cittadino è costretto a subire l’uso arbitrario del potere pubblico che di quelle norme non si cura, anzi le calpesta disinvoltamente: per esempio, l’art. 4, inutilmente invocato dai disoccupati e l’art. 11 (antibellico) che fa dell’Italia una serva militare degli USA! Ecco la conferma della faccia dittatoriale di fatto del potere!
Perché il potere pubblico (dittatoriale) diventi democratico, cioè gestito dal popolo (come dice l’etimologia) è un’illusione quasi puerile poterlo ottenere attraverso il “gioco elettorale” perché anche qui il ruolo decisivo è giocato dai più forti (potenti): ne è dimostrazione eloquente la cosiddetta “più grande democrazia del mondo”, cioè gli USA, dove i promotori, protagonisti e finanziatori del detto gioco sono quasi sempre potenti uomini d’affari e banchieri.
Non per niente il senato nordamericano è detto “club dei miliardari”.
Tale gioco serve solo a legittimare formalmente coloro che vanno lassù (sulla pedana del potere pubblico).
Il gioco elettorale lascia le cose come stanno in regime liberista, cioè “privatista”: la dittatura di fatto persiste anche in “forma passiva”, quando si limita ad arbitrare le competizioni dei padroni privati.
Il gioco elettorale lascia le cose come stanno in regime liberista, cioè “privatista”: la dittatura di fatto persiste anche in “forma passiva”, quando si limita ad arbitrare le competizioni dei padroni privati.
Ne è prova eclatante la SpA postale che sta consumando un abuso dopo l’altro sotto l’occhio annuente del pubblico potere .
Proprio a questo livello “para-forestale”, antropozoico o antropomorfo, il potere pubblico risulta più che mai lontano dal fabbisogno della collettività, il lavoro essendo diventato una merce da mercato e la legge è accessibile a chi ha soldi per pagarsela e per farsi più ragione!
Con l’introduzione di fatto del “libero iniquo canone”, il cittadino povero è alla prese di concittadini investiti del “potere” di vendere l’uso di un tetto al maggior prezzo possibile.
Perché il potere pubblico da dittatura di fatto diventi “potere di tutti” – cioè democrazia – bisogna abolire totalmente la predonomia (insomma, il capitalismo) ed attuare la vera economia: socializzando il lavoro e i suoi prodotti con l’uso di una moneta passiva a tempo, coniata solo dallo Stato, e adeguando allo stesso meccanismo il possesso di beni immobiliari (casa con verde) contro il millenario crimine della proprietà privata illimitata , vero deus ex machina di uno Stato-dittatura e di una democrazia-farsa.
(Carmelo R. Viola, csbs@tiscali.it)
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