di Massimo Ragnedda - 15/06/2011
"Bisogna tagliare la spesa pubblica perché c’è la crisi". Quante volte abbiamo sentito ripetere dai governi e dai principali media nazionali e internazionali questa frase. L’hanno ripetuta talmente tante volte che ora una parte dell’opinione pubblica sembra averla accettata come una necessità, come un fatto del destino, come il freddo in inverno e il caldo in estate. Qui si annidano due tecniche della propaganda (tutte le società hanno un proprio sistema di propaganda): ridondanza del messaggio e mancanza di alternative.
Insomma, dobbiamo tagliare perché non ci sono alternative, e questo viene ripetuto sino alla nausea, in modi e accenti diversi, da chi ha la forza di ripeterlo, ovvero da chi ha accesso al circuito mediatico. Ritornerò su questo punto, perché è cruciale. Ora proviamo a capire meglio la frase iniziale.
Innanzitutto chiediamoci cosa dobbiamo intendere per “spesa pubblica”. Spesa pubblica significa innanzitutto scuola pubblica, università pubblica, significa strade, centri culturali, asilo, ospedali, cure mediche. Significa, in ultima analisi, redistribuzione del reddito e diminuzione della sperequazione economica; significa offrire un servizio a chi non potrebbe permetterselo; significa garantire una vita dignitosa a tutti. Il Welfare State è stata una delle più grandi conquiste sociali di sempre.
Allora perché tagliare queste spese? Perché c’è la crisi, ripetono. Ragioniamoci su. Il Wall Street Journal, in questi giorni, ci ha informato che lo 0,1 per cento della popolazione mondiale (ovvero le persone più ricche al mondo) possiede il 22% della ricchezza del pianeta e che il numero dei super ricchi è in aumento.
Infatti, sempre secondo il Wall Street Journal, lo scorso anno, durante una delle fasi più acute della crisi, il numero di persone ricchissime è aumentato del 12,2%. Un altro dato: cinque grosse banche statunitensi – Bank of America, JP Morgan, Citibank, Goldman Sachs ed Hsbc –alla fine del 2010 (mentre il mondo arrancava e i governi di mezzo mondo finanziavano le banche per non farle fallire) hanno messo in cassa profitti per più di 19 miliardi.
Un ultimo dato prima di fare le mie riflessioni: secondo il rapporto stilato annualmente della rivista di business, Forbes, ci sono al mondo 1.210 persone con un patrimonio netto che supera 1 miliardo di dollari. Il patrimonio netto totale di questo gruppetto di persone (poco più di 1000) è di 4000 miliardi di dollari, ovvero superiore al patrimonio combinato di 4 miliardi di persone nel mondo. Voglio che questo dato sia chiaro: poco più di 1200 individui hanno un patrimonio netto superiore a quello di 4 miliardi di persone messe assieme.
Al di là di tutte le analisi economiche che possono essere fatte, questo dato non può essere in nessun modo sottovalutato e dovrebbe, questo sì, essere ripetuto dai media, giorno dopo giorno, per spingere i governi ad intervenire per mitigare questa forte sperequazione economica e per far pagare ai “super ricchi” la crisi e non tagliare le “spese pubbliche” che, al contrario, aumentano il divario economico e sociale.
Perché allora buona parte dei grossi media ripete che la crisi deve essere pagata dai ceti più poveri, dagli operai, dai lavoratori, dalle casalinghe e dai pensionati con il taglio dei servizi a loro offerti? Mi viene in mente quanto sostenuto qualche lustro fa da Alex Carey "il Novecento è stato caratterizzato da tre sviluppi di grande importanza politica: la crescita della democrazia, la crescita del potere economico e la crescita della propaganda per proteggere il potere economico dalla democrazia» (1997: 19). Arriviamo così alla propaganda usata dal potere economico (più o meno quelle 1210 persone) dalla democrazia.
La propaganda è, infatti, presente, in maniera diversa, in tutte le forme di società, anche in quelle democratiche ed è un’operazione piuttosto complessa che unisce diverse tecniche e promuove una determinata idea o dottrina con l’obiettivo di far sorgere intorno ad essa il più vasto consenso possibile.
Il tutto a vantaggio del gruppo (l’èlite economica al potere) che promuove la propaganda e che può, così, rendere più naturale e accettabile la situazione di assoluto privilegio nella quale si trova.
Il mezzo principale usato, oggi, per propagandare una determinata visione della società o idea, è il mondo mediatico. Più i mass media saranno avvertiti come “liberi”, più facile sarà far presa ed influenzare l’opinione pubblica, spingendola così ad accettare come un dato di fatto la privilegiata posizione che l’èlite economica al potere ha nella società.
Quelle 1210 persone che assieme detengono più patrimonio di 4 miliardi di persone, che si arricchiscono ogni anno di più e che non pagano la crisi (dopo averla in parte creata), sono le stesse che detengono i grossi media, all’interno dei quali circolano le idee e le notizie. Nel 2004 Bad Bagdikian scriveva: "Alla fine della seconda Guerra mondiale negli Stati Uniti l’80% dei quotidiani erano indipendenti. Ora [2004] 5 grandi corporation - Time Warner (CNN, AOL), Disney (ABC), Rupert Murdoch’s News Corporation (FOX), Bertelsmann, Viacom — controllano la maggior parte delle televisioni, delle radio, dei giornali, delle riviste, delle case editrice, dei libri, delle case discografiche, dei film eccetera" (The Media monopoly, 2004 edition).
Oggi, la concentrazione mediatica è ancora più forte e sempre in meno mani. Spesso chi siede nei consigli di amministrazione delle 25 società più ricche al mondo siede anche nei consigli di amministrazione dei grandi conglomerati mediatici influenzandone la linea editoriale e promuovendo alcune idee a discapito di altre. Sono i grossi media che regolano il flusso delle informazioni e delle idee. E le idee che circolano, vien da sé, sono quelle che legittimano la loro egemonia.
In altri termini, il cosiddetto libero mercato delle idee è gestito da questa èlite economica al potere che usa i media - che detengono - come cassa di risonanza delle loro posizioni soffocando, direttamente o indirettamente, le idee alternative e che per la loro semplicità potrebbero essere rivoluzionarie. Come ad esempio: perché la crisi non la pagano loro?
Da: merimar@interfree.it----- Original Message -----
From: Francesco Napolitano
Sent: Thursday, June 16, 2011 12:54 PM
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