mercoledì 2 febbraio 2011

Mussolini non commissionò l’omicidio Matteotti




INTERVISTA AD ALDO MOLA di GIANVITO CASARELLA

Meridian, 10 Giugno 2007

L’omicidio di Giacomo Matteotti fu un tragico errore. Un accadimento fortuito, non programmato, lontano dalla dietrologia storiografica postuma che conduce con le sue ipotesi al coinvolgimento dei Savoia, di Mussolini, di una compagnia petrolifera. Ne è convinto Aldo Alessandro Mola, docente di Storia Contemporanea all’Università Statale di Milano, contitolare della Cattedra ”Théodore Verhaegen” dell’Università Libera di Bruxelles. Direttore di collane di storia e collaboratore di quotidiani e riviste, che mercoledì scorso ha presentato davanti al duca Amedeo d’Aosta, a Torino la sua ultima fatica letteraria dal titolo “Declino e crollo della monarchia”, edito da Mondadori.

Perché fu ucciso Matteotti?

«È stato un incidente. Da ciò che si evince scappò la mano a quelli che l’avevano rapito. Non c’è prova di alcun complotto mirato al rapimento ed all’assassinio».

Perché fu rapito?

«Qualcuno ha pensato che stesse dando fastidio e che si dovesse intimidirlo. Di ucciderlo non era in programma. Non ci fu un disegno politico nei piani di quattro scalzacani che lo uccisero nel corso della colluttazione in macchina, lasciando talmente tante tracce che se avessero voluto farsi scoprire di proposito non avrebbero potuto far di meglio».

Crede all’ipotesi che coinvolge una società petrolifera in combutta col regime fascista e con la Corona reale?

«Palle colossali. In quella fase storica l’Italia non aveva il controllo della zona libica. E poi se il Re avesse voluto far uccidere Matteotti non si sarebbe affidato a manutengoli o squadristi. Ma fondamentalmente la Casa Savoia non aveva interessi così segreti da difendere. Chi mette in giro queste pie leggende deve far i conti con la storia».

Quale sarebbe stato il ruolo di Benito Mussolini nell’intera vicenda? Il duce avrebbe detto «fatelo tacere» e qualcuno fraintese?

«È una espressione che si usa abitualmente con frequenza verso chi ci dà fastidio».

Quindi il Duce non commissionò l’omicidio?

«Assolutamente no. Anzi, stava cercando di ottenere l’ingresso dei socialisti nella maggioranza, per evitare un ribaltone, che era l’unico vero timore di Mussolina: se liberali, popolari e socialisti si fossero coalizzati, avrebbero avuto la maggioranza, facendo cadere il regime. Questo era il suo obiettivo politico, non far uccidere l’avversario parlamentare. Questa è una ricostruzione pittoresca che non è realistica».

Mussolini ammise mai responsabilità pur indirette nel delitto?

«No, il 3 gennaio 1925 disse che “Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!”. È diverso dall’ammettere colpe sul delitto Matteotti. Fa un discorso politico che non viene contraddetto, perché aveva ragione: il fascismo non si sarebbe mai radicato nel Paese se fosse stato semplicemente violenza e repressione»

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E “l’ordine fatale” partì dal capo della Ceka, Marinelli

Antonio Parisi

Secondo Renzo De Felice il numero uno del fascismo era all’oscuro di tutto. Qualcuno volle addossargli le responsabilità allo scopo di prenderne il posto.

Per ordine di chi e perché Giacomo Matteotti, deputato socialista, strenuo oppositore del fascismo che si avviava a trasformarsi in regime, fu rapito ed assassinato? La risposta ufficiale alla prima domanda è che, in qualche modo, sarebbe stato Benito Mussolini. Ma neanche due processi (uno non propriamente serio, imbastito nel 1926 e l’altro svoltosi vent’anni dopo, caduto il fascismo) e la ricerca meticolosa degli studiosi negli archivi, sono riusciti a provare in via definitiva un coinvolgimento diretto del duce nel delitto.

Molto probabilmente, il desiderio di Mussolini di dare una “lezione” a Matteotti per farlo desistere dal continuare la sua azione di denuncia nei confronti del fascismo, potrebbe essere stata interpretata in maniera “ultimativa” dai collaboratori del duce. Questi avrebbero lasciato mano libera al sicario Amerigo Dumini e alla sua banda che procedettero al rapimento del deputato socialista. Dunque Mussolini, per quasi unanime opinione degli storici, non diede l’ordine fatale.

Giovanni Marinelli, Capo della Polizia Segreta fascista (la Ceka), quando era rinchiuso in carcere a Verona in attesa di essere processato dopo il voto a favore dell’ordine del giorno “Grandi”, durante la fatidica riunione del Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio del 1943, fece delle confessioni ad altri due suoi compagni di cella, anche loro membri del Gran Consiglio, Cianetti e Pareschi. Secondo Marinelli l’operazione partì dopo che il deputato socialista aveva tenuto l’ennesimo violento discorso alla Camera contro Mussolini e il suo governo. Il Duce innervosito, avrebbe sbottato dicendo a Marinelli: «Cosa fa questa Ceka? Cosa fa Dumini? Quell’uomo (riferito a Matteotti) dopo quel discorso non dovrebbe più circolare». Tanto sarebbe bastato a Marinelli per dare l’ordine alla banda di sicari, guidata da Dumini, di agire contro Matteotti.

Fu così che la banda entrò in azione il 10 di Giugno. Matteotti fu prelevato sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. La squadraccia comandata da Amerigo Dumini era composta da Giuseppe Viola, Augusto Malacria, Albino Volpi ed Amleto Poveromo. Matteotti a seguito di una stilettata e per le percosse subite, morì e il suo cadavere fu occultato malamente a pochi chilometri da Roma. Fu ritrovato da un cacciatore nel mese di agosto, ma non la sua borsa con tutti i documenti contenuti.

Ma Dumini aveva agito per accontentare Mussolini o piuttosto per risolvere il problema che attanagliava i vertici del nascente fascismo?

Secondo lo scomparso Renzo De Felice, massimo esperto contemporaneo del ventennio, Mussolini era all’oscuro di tutto. Qualcuno avrebbe evidentemente cercato di “eliminarlo” politicamente, addossandogli la responsabilità del delitto per subentrargli alla Guida del fascismo.

Chi poteva essere costui? Molto probabilmente il sottosegretario agli Interni Aldo Finzi, coinvolto nelle indagini. Finzi, con altri gerarchi vicinissimi a Mussolini, era stato corrotto con centocinquanta milioni di lire dell’epoca (una cifra da capogiro) da una società petrolifera anglo-americana per ottenere in esclusiva la possibilità di attuare ricerche petrolifere in Italia e nelle colonie ed in particolare in Libia. L’affare, che secondo alcuni ricercatori coinvolgeva anche la figura del Re, Vittorio Emanuele III, fu bloccato da Mussolini il quale avrebbe stoppato anche altre operazioni affaristiche che stavano a cuore ai suoi collaboratori. Matteotti, che nel frattempo aveva acquisito dei documenti comprovanti le malefatte di Finzi e, secondo il figlio di Matteotti, Matteo, anche del Re, si apprestava a svelare tutto in Parlamento. Occorreva fermarlo.

Così Finzi, da eroe della prima Guerra mondiale (fu tra coloro che con Gabriele D’Annunzio volò su Vienna) e da deputato fascista della prima ora, si sarebbe trasformato in congiurato per eliminare Matteotti, scaricare Mussolini, prenderne il posto e concludere l’affare con la Standard Oil e la consociata inglese Sincler Oil. Solo la prima parte del piano andò in porto. Non la seconda. Mussolini restò in sella e riuscì a liberarsi di Finzi allontanandolo dal Partito Fascista.

Dopo l’attentato di via Rasella nel 1943, Finzi fu rastrellato e ucciso dai tedeschi alle Fosse Ardeatine. Strana fine. Uno degli organizzatori dello squadrismo fascista e del delitto Matteotti concluse la sua vita quale martire del nazismo.

Oggi è ricordato come un eroe.

http://msdfli.wordpress.com/2011/01/23/mussolini-non-commissiono-lomicidio-matteotti/


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