martedì 8 febbraio 2011

22 giugno 1941: Operazione Barbarossa

22 giugno 1941: Operazione Barbarossa

Una guerra preventiva per la salvezza dell’Europa


di Gianantonio Valli

Revisionismo: tre pilastri

Col presente saggio vogliamo illustrare, alla luce delle più recenti risultanze storiografiche, la dinamica ed il significato dell’Operazione Barbarossa, e cioè dell’attacco portato dalla Germania Nazionalsocialista all’Unione Sovietica il 22 giugno 1941. La vulgata democratica, marxista come liberale, considera da un sessantennio tale attacco come una pura e semplice aggressione, non provocata e in violazione di un patto sottoscritto, ad una Unione Sovietica pacifica, pressoché inerme e pressoché all’oscuro di ogni preparativo nemico.
Da un lato serve a eternare l’abusato cliché di un Terzo Reich sentina di ogni malvagia brama di potenza, proteso alla conquista del mondo. Dall’altro serve a mettere in netto secondo piano quanto non cancellato tout court dall’attenzione i piani strategici e la volontà di aggressione sia delle potenze democratiche occidentali – Inghilterra e Stati Uniti in testa – sia dalla potenza democratica orientale. Di quella Unione Sovietica cioè che, dopo il vergognoso crollo del 1989, dovrebbe essere considerata ancora oggi vittima pressoché innocente, artefice non di una sanguinaria guerra di conquista rivoluzionaria mondiale progettata a sangue freddo da un ventennio, ma protagonista incolpevole e reattivo di una più che giusta Grande Guerra Patriottica. Quasi che Stalin – e ovviamente la cricca dirigente bolscevica, da lui selezionata, formata e debitamente “purgata” – non fosse sempre stato un più che genuino e conseguente rivoluzionario marxista-leninista, bensì un nazionalista russo, seppure contorto, tardivo e sui generis. In realtà, esattamente opposta è l’interpretazione che ogni spirito libero, dotato di onestà intellettuale e conoscenze storiche, deve trarre dalla considerazione di quegli eventi.
I tre pilastri sui quali si fonda l’interpretazione corrente della Seconda Guerra Mondiale, e di conseguenza l’assoluzione delle suddette tre potenze dalle responsabilità per lo scoppio di quel conflitto, il più atroce mai occorso nella storia, e la criminalizzazione non solo della Germania nazionalsocialista ma anche dell’intero popolo tedesco, sono costituiti dalle tre imputazioni fatte al Terzo Reich: 1) aggressione a Occidente 2) aggressione a Oriente 3) Olocausto. In realtà, nessuno di tali pilastri è fondato, e solo un’occhiuta vigilanza e una ignobile repressione del pensiero possono difendere quella vulgata. Per il primo punto rimandiamo alla Bibliografia. Per il terzo, alle opere censite nel numero monografico 41 de l’Uomo Libero, edito nell’ormai lontano 1996, cui sono da aggiungere decine di altri volumi editi, malgrado la persecuzione democratica, successivamente.
Per ogni spirito desideroso di capire le vere coordinate della più recente storia è quindi assolutamente doveroso approfondire tale tema centrale per l’interpretazione dell’intero conflitto, tema ancor oggi mistificato da ogni gazzettiere e pseudostorico, e cioè il carattere genuinamente difensivo e preventivo della suddetta “aggressione” alla “pacifica” URSS.
E ciò anche se il pugno di autori sovietici e tedeschi – in primis Manfred Messerschmidt, ex superiore dello storico tedesco Joachim Hoffmann al Militargeschchtliches Forschungsamt “Ufficio storico militare di ricerca” di Friburgo, e l’Halbjude storico Hans Mommsen – radunati da Bianca Pietrow-Ennker, reitera che “tale “nuova” tesi è la vecchia tesi della propaganda di guerra tedesca”. E ciò, anche se l’ebreo Emil Facknheim, esponente di spicco della “Teologia dell’Olocausto”, osa sostenere, in Baccarini-Thorson: “non c’è prova che l’Unione Sovietica stesse preparando un attacco”.
Paradigmatica di tali capziose posizioni, nonché offensiva per ogni intelligenza, è la tesi dell’inglese Donovan Webster, esposta con disinvoltura formale ed errori sostanziali, summa delle più classiche teorie del Sistema: “Nel giugno del 1941, mese e anno in cui le armate del terzo Reich dilagarono in Russia, il mondo pareva essere stato creato per un unico scopo: affinché Adolf Hitler potesse invaderlo. In dieci anni, l’oscuro caporale boemo, facinoroso ex galeotto, si era innalzato al rango di Comandante supremo tedesco…A quel punto, con l’intera Europa continentale a tutti gli effetti conquistata, con Italia e Spagna collocate in termini molto prossimi alla sudditanza verso la Germania, Adolf Hitler decise che era giunto il momento di allargare i propri orizzonti. La sua prima mossa fu dare il via all’Operazione Leone marino. Obiettivo: la capitolazione dell’Inghilterra attraverso il controllo dell’aria e dell’acqua. Per settimane intere, con stormi della Luftwaffe nel cielo, con orde di sottomarini U-boat (sic) nel mare del Nord e nella manica, la Germania nazista strinse le Isole Britanniche d’assedio. Ma quando gli inglesi non cedettero, ed era ormai nel settembre del 1940, Hitler cambiò idea. Nel dicembre del 1940 la sua strategia era già mutata: pur continuando a tenere una pressione bellica di routine contro l’Inghilterra, il suo futuro di espansione si erà già spostato verso est. E verso l’Unione Sovietica guidata da Stalin. Nel 1939 Hitler e Stalin avevano firmato un patto di non aggressione, ma Hitler era risoluto ad infrangerlo. In fondo, per lui i trattati erano “solo pezzi di carta”. E riguardo ai russi: “Tutto quello che dobbiamo fare è sfondare la porta a calci”, sosteneva, “e l’intera baracca bolscevica verrà giù come un castello di carte”.
Altrettanto non documentata (in particolare, in quanto per ovvi motivi temporali resta ignota all’autore la documentazione edita nei ventenni seguenti l’uscita del libro) è la tesi del tedesco Hartmut Schustereit, il cui titolo suona: “Azzardo – L’attacco di Hitler all’Unione Sovietica nel 1941 quale tentativo di vincere l’Occidente attraverso la vittoria ad Oriente”.
Altrettanto infantile è l’interpretazione dell’inglese Richard Overy: non solo Hitler avrebbe cercato di trarsi dall’inpasse in cui si era cacciato a occidente (avendo lasciato in armi un’Inghilterra impossibile a invadersi) attaccando ad oriente un nemico infinitamente più potente sul quale Londra contava (l’URSS rappresentava l’ultima chance per la Gran Bretagna: una volta eliminata la minaccia sovietica, la Gran Bretagna avrebbe acconsentito alla pace e l’America non avrebbe più rappresentato un pericolo), ma avrebbe irrevocabilmente deciso di muoversi fin dal luglio 1940. “In quello stesso mese Hitler aveva già ordinato di allestire un’armata più grande di tutte le armate nemiche messe insieme (?), da schierare poco per volta a Est. Stalin doveva essere portato a credere che quelle truppe fossero destinate all’impiego nell’Europa Occidentale (!), e che fossero stanziate là per evitare gli attacchi aerei britannici (!)”.
Indichiamo al contrario, a conferma della correttezza delle tesi del nazionalsocialista Theodor Adamheit e della genuina rispondenza dei documenti tedeschi del 1941, editi allora anche in italiano, venticinque autor principali con trentacinque opere: Fritz Becker, Hans-Henning Bieg, Karl hans Ertl, Erich Helmdach, Volker Detlef Heydonr, Joachim Hoffmann, Ewald Klapdor, max Kluver, Hans Magenheimer, Werner Maser, Daniel Michaels, Andreas Naumann, Joachim Nolywaika, Walter Post, Stefan Scheil, Russel Stolfi, Wolfgang Strass, Viktor Suvorov, Adolf Von Thadden, Ernst Topitsch, Udo Walendy, Albert Weeks, Kalus-Rainer Woche, Bernhard Zurner e, perché no?, Constantine Pleshakov. Di essi, gli autori centrali sono Suvorov, Hoffmann, Post e Magenheimer.

Aggressione ad una pacifica URSS?

A prescindere dal discorso sulla qualità dell’armamento, peraltro decisamente superiore per i sovietici in ogni settore per quantità e qualità, in particolare per aviazione e corazzati, offriamo i seguenti dati. E’ però prima doveroso ricordare che solo 1) la sorpresa strategico/tattica più totale 2) l’immediato annientamento dell’aviazione sovietica sui campi di volo 3) la superiore strategia e articolazione dei comandi affiancata 4) dalla più salda determinazione, dal più elevato morale e dall’estremo valore dei soldati tedeschi potè in qualche modo ovviare alla sproporzione di mezzi bellici, sia all’iniziale rapporto globale di 3 a 10 che a quello del 1944 di 2 a 10. Ricordiamo infine che sia gli equipaggiamenti personali sia i veicoli, le armi ed i mezzi corazzati tedeschi (per non parlare ovviamente di quelli degli alleati del Reich) non erano stati concepiti per l’impiego nella stagione invernale, aspetto del resto acclarato già nella drole de guerre “guerra finta” a Occidente nella quale, contro le 34 divisioni tedesche schierate dal Mare del Nord alle Alpi nel settembre-ottobre 1939 (solo 23 quelle presenti il 1° settembre) gli anglo-francesi schieravano 110 grandi unità, oltre che decine di brigate a presidio della Linea Maginot.
In primo luogo – e a prescindere dall’aggressiva Langzeitstrategie “strategia a lungo termine” di matrice leninista-trotzkista dei primi anni Venti di cui ha trattato in particolare Erns Topitsch: favorire un conflitto fra i paesi occidentali per innescare la rivoluzione proletaria e l’intervento dell’URSS in Europa – la mobilitazione delle Forze Armate, fatto “irreversibile e irrevocabile”, riconosciuto dai capi militari e politici di tutte le nazioni quale dichiarazione di guerra a motivo della rivoluzione provocata in tutti i settori della società (1), viene segretamente ordinata da Stalin il 19 agosto 1939. Questo è lo stesso giorno della firma dell’accordo commerciale tedesco-sovietico che assicura all’URSS un credito di 200 milioni di Reichsmark a un tasso di interesse più che vantaggioso, quattro giorni prima della firma del patto Ribbentrop-Molotov, prima ancora quindi dello scoppio delle ostilità polacche e dell’aggressione anglo-francese. Tra le tante dichiarazioni: “So che cosa vuole Hitler. Pensa di avermi messo nel sacco, ma in realtà sono io che ho messo nel sacco lui”.confiderà soddisfatto Stalin a Nikita Chrusciov (le ultime misure di mobilitazione, approvate dal Politburo il 12 febbraio 1941, prevedono il mostruoso schieramento anti-europeo di 9 milioni di uomini, 37.800 carri armati e 22.200 aerei).
In quei giorni, 19 agosto 1939, inoltre, Stalin tiene al Politburo un “discorso segreto” sottratto al pubblico per mezzo secolo (ma reso noto nelle sue linee essenziali già il 12 luglio 1940 dal corrispondente ginevrino dell’Havas Henry Ruflin sul Journal de Genere), che ribadisce i concetti già espressi davanti al Comitato Centrale il 19 gennaio 1925. Un discorso che, edito a Mosca nel 1994 sul numero 12 del periodico Novij Mir (Mondo Nuovo) e nel 1995 in Vojna 1939-1945 – Dve podkhoda “La guerra del 1939-1945 – Due punti di vista”, col documento rimasto anch’esso segreto “Considerazioni sul dispiegamento strategico delle forze dell’Unione Sovietica in caso di guerra con la germania e i suoi alleati” indirizzatogli nel maggio 1941 dal Maresciallo Timoshenko e dal generale Zhukov, Commissario alla Difesa il primo e Capo di Stato Maggiore il secondo, non ha finora suscitato la minima curiosità tra gli storici organici al Sistema. Aspetto del resto comprendibile, in quanto, perseguendo Stalin la sovietizzazione dell’Europa, possibile unicamente attraverso una guerra tradizionale su larga scala e non con rivoluzioni interne ai vari paesi, tale discorso smentisce non solo l’”ingenuità” e l’”amore di pace” del Padre dei Popoli, ma rende totale ragione alle tesi nazionalsocialiste sulla guerra di “aggressione nazista”. Inchiodando infine, last but not least, a un severo giudizio morale tutti quegli “studiosi” di professione che hanno per mezzo secolo pontificato da cattedre universitarie, in libri e su ben pagate gazzette.
In attesa dell’assalto a occidente, nell’imminenza del conflitto sono poi due tra i massimi esponenti staliniani a dichiarare pubblicamente la coerenza dell’azione sovietica con l’ideologia marxista. Così il 15 maggio 1941 l’ebreo Andrei Zdanov, futuro responsabile supremo della cultura, in una conferenza ai lavoratori del cinema, prossimi propagandisti sia in terra di soviet che nell’Europa aggredita: “Quando le condizioni saranno favorevoli, faremo avanzare il fronte del socialismo ancora più a occidente (…) Per farlo abbiamo lo strumento necessario: l’Armata Rossa, alla quale non più tardi del gennaio 1941 è stato dato il titolo di ”. Così il 20 maggio il presidente dell’URSS Mikhail Kalinin: “Se siete marxisti, se studiate la storia del partito, allora comprenderete che il concetto basilare della dottrina marxista è che nel caso di grandi conflitti umani, tali conflitti portano al comunismo il massimo dei vantaggi”.
Commenta al proposito Weeks: “Quale che sia l’opinione che una persona può avere riguardo all’influenza dell’ideologia sulla politica di un regime, assegnando le priorità all’ideologia o alla Realpolitik non ideologica, dobbiamo tenere presente quanto segue. Specialmente il regime sovietico assegnò un’altissima importanza all’ideologia, e non solo come razionalizzazione dei fatti o propaganda. Nessun dubbio che l’ideologia, nei termini di qualche suo aspetto, abbia ceduto o sia mutata in seguito a nuove circostanze. Ma concludere che l’ideologia fosse qualcosa tipo usa e getta, priva di senso o irrilevante per l’azione politica sovietica, in particolare per quanto concerneva la scena globale e gli obiettivi leninisti a lungo termine, è irrealistico, antistorico e semplicemente inesatto. Per il regime sovietico i fondamenti ideologici avevano un’importanza primaria. Non è esagerato dire che, per usare un’espressione sovietica, l’ideologia era la “stella polare” del regime sovietico”.
Ma ecco uno stralcio del testo del 19 agosto, reso noto in Italia dallo slavista Vittorio Strada nell’agosto 1996 (testo completo riportato da Von Thadden II e Weeks): “La questione della pace e della guerra entra in una fase per noi critica. Se stipuliamo un trattato di mutua assistenza con la Francia e la Gran Bretagna, la Germania rinuncerà alla Polonia e cercherà un modus vivendi con le potenze occidentali. La guerra sarà evitata, ma in seguito gli eventi possono assumere un carattere pericoloso per l’URSS. Se accetteremo la proposta della Germania di stipulare un patto di non aggressione, essa certamente attaccherà la Polonia, e l’intervento della Francia e dell’Inghilterra in questa guerra sarà inevitabile. L’Europa occidentale andrà incontro a serie agitazioni e disordini. In queste condizioni noi avremo buone possibilità di restare fuori dal conflitto e potremo sperare di entrare in guerra nel momento favorevole. L’esperienza degli ultimi vent’anni dice che in tempo di pace è impossibile avere in Europa un movimento comunista forte al punto da permettere al partito bolscevico di prendere il potere. La dittatura di questo partito diventa possibile soltanto dopo una grande guerra. Noi faremo la nostra scelta,ed essa è chiara. Dobbiamo accettare la proposta tedesca di rimandare indietro cortesemente la missione anglo-francese. Il primo vantaggio per noi sarà la distruzione della Polonia, la Galizia ucraina compresa. La Germania ci dà piena libertà di azione nei paesi baltici e non si oppone al ritorno della Besserabia nell’URSS. Essa è disposta a cederci in qualità di zone di influenza la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria. Resta aperta la questione della Jugoslavia. Nello stesso tempo dobbiamo prevedere le conseguenze che deriveranno sia da una sconfitta che da una vittoria della Germania.
Nel caso di una sconfitta si avrà inevitabilmente una sovietizzazione della Germania e si formerà un governo comunista. Non dobbiamo dimenticare che una Germania sovietizzata si troverà di fronte a un grande pericolo, se questa sovietizzazione sarà la conseguenza di una sconfitta in una guerra di breve durata. L’Inghilterra e la Francia saranno abbastanza forti per prendere Berlino e annientare la Germania sovietica. E noi non saremo in grado di venire in aiuto ai nostri compagni bolscevichi in Germania. Il nostro compito, quindi, consiste nel far sì che la Germania possa condurre la guerra quanto più a lungo possibile in modo che l’Inghilterra e la Francia, spossate, non siano in grado di sgominare una Germania sovietizzata. Su una posizione di neutralità, l’URSS presterà aiuto all’attuale Germania, fornendole materie prime e derrate alimentari. Ma il nostro aiuto non dovrà mai superare certe dimensioni per non danneggiare la nostra economia. Nello stesso tempo dobbiamo svolgere un’attiva propaganda comunista, soprattutto nel blocco anglo-francese e, in particolare, in Francia. Dobbiamo essere pronti al fatto che in questo paese durante la guerra il partito sia costretto a rinunciare all’attività legale e ad entrare in clandestinità. Sappiamo che questo lavoro richiederà molti sacrifici, ma i nostri compagni francesi non avranno dubbi. I loro compiti in primo luogo consisteranno nella disgregazione e demoralizzazione dell’esercito e della polizia. Se questo lavoro sarà svolto bene, la sicurezza della Germania sovietica sarà assicurata, e ciò favorirà la sovietizzazione della Francia. Per attuare i piani è necessario che la guerra duri il più a lungo possibile ed è proprio in questa direzione che devono essere orientate tutte le forze di cui disponiamo nell’Europa occidentale e nei Balcani.
Consideriamo ora la seconda ipotesi, cioè la vittoria della Germania. Alcuni sono dell’opinione che questa eventualità costituisca per noi un serio pericolo. Una dose di verità in questa affermazione non manca, ma sarebbe sbagliato pensare che questo pericolo sia così vicino e così grande come alcuni ritengono. Se la Germania riporterà la vittoria, uscirà dalla guerra troppo stremata per dare inizio ad un conflitto con l’URSS almeno per una decina d’anni. La sua preoccupazione maggiore sarà quella di tenere sotto controllo l’Inghilterra e la Francia vinte allo scopo di impedirne la rinascita. D’altra parte, la Germania Vincitrice disporrà di territori enormi e nel corso di molti decenni sarà impegnata nel loro “sfruttamento” e nell’instaurazione in essi dell’ordine tedesco. E’ evidente che la Germania sarà troppo impegnata altrove per volgersi contro di noi. C’è poi un’altra cosa che servirà alla nostra sicurezza. Nella Francia vinta il Partito Comunista Francese sarà molto forte. La rivoluzione comunista avverrà inevitabilmente e noi potremo valerci di questa circostanza per accorrere in aiuto alla Francia e farne la nostra alleata. Più tardi tutti i popoli caduti sotto la “protezione” della Germania vincitrice diventeranno anch’essi nostri alleati. Avremo così un ampio campo di attività per lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Compagni! E’ nell’interesse dell’URSS, Patria dei Lavoratori, che si scateni una guerra tra il Reich e il blocco capitalista anglo-francese. Bisogna fare di tutto affinché questa guerra duri il più possibile allo scopo di estenuare le due parti. Proprio per questa ragione dobbiamo accettare il patto proposto dalla Germania e lavorare affinché la guerra, una volta dichiarata, si prolunghi per un massimo di tempo. Si dovrà rafforzare il lavoro di propaganda nei paesi belligeranti per essere pronti al tempo in cui la guerra finirà”.
Analisi e previsioni, queste di Stalin, azzeccate pressoché in tutto (unici nostri rilievi: l’aggressione alla Germania era stata freddamente pianificata anche da Londra dando carta bianca alla follia polacca, incitano Varsavia ai persistenti dinieghi di un compromesso e tollerando quando non suggerendo le sanguinose provocazioni nei confronti della minoranza tedesca (2); la “mano libera” concessa dal Reich nei Paesi Baltici e in Besserabia, e tantopiù un qualsivoglia espansionismo sovietico in Romania e Ungheria, rientrava poi, quando non in un wishful thinking staliniano, in una palese forzatura degli accordi), tranne che nel fattore temporale: a sconvolgere, o meglio ad accelerare la corsa alla guerra di Stalin sarebbe stata la rapidità e la vastità del crollo degli Occidentali.
Ma tornando al problema “mobilitazione”, al contrario di Stalin, il 23 giugno 1940, dopo la vittoriosa campagna di Francia, in attesa di giungere ad una pace generale dopo aver più volte reiterato prove di buona volontà, Hitler ordina la smobilitazione di 35-40 divisioni (da circa 155 a 120 grandi unità), numero poi presto ridotto a 14 in attesa di vedere chiarite le intenzioni sovietiche, i cui uomini sarebbero stati reintegrati in un’economia di pace. E non solo: due giorni dopo, un (quasi incredibile) “ordine del Fuhrer” prevede la ripresa di grandiosi programmi di costruzione non solo a Berlino e Norimberga (termine previsto: il 1950), ma in tutta una serie di città quali Monaco, Linz e Amburgo. Ad esse, successivi decreti e ordinanze aggiungono 27 centri, tra cui Hannover, Augusta, Brema e Weimar, impostando, come l’ordinanza del 15 settembre o i decreti 15 novembre 1940 e 4 febbraio 1941, o le disposizioni di Albert Speer al tesoriere della NSDAP del 19 febbraio 1941, dettagliati programmi di edilizia popolare e/o rinnovamento delle principali città, aspetti affiancati dalla volontà di salvaguardare il tenore di vita dell’intera popolazione, un obiettivo che per Hitler, ossessionato dall’evitare il crollo del “fronte interno” com’era avvenuto nella Grande Guerra, avrebbe per tre anni costituito una preoccupazione primaria. Solo la dura realtà porrà termine a tali sogni, dapprima il 24 gennaio 1942 con un comunicazione di Speer ai Gauleiter riuniti a Monaco, poi, d’ordine personale di Hitler, il successivo 8 settembre ed infine il 13 gennaio 1943, per sospendere ogni progetto e pianificazione edilizia non tesa ai fini bellici e indirizzare risorse umane e materiali alla costruzione, in particolare, delle fortificazioni del Vallo Atlantico.
“Ma c’era in Germania chi imponeva sacrifici alla popolazione, chi pensava alla priorità delle esigenze belliche, che avrebbero dovuto portare a ridurre lo standard di cita dei cittadini?” si chiede Zurner, sottolineando i capitali errori commessi nel campo dell’economia bellica e, implicitamente, demolendo ogni tesi sulla volontà di “conquistare il mondo” da parte del Reich – “Si continuavano a produrre beni di consumo, si continuava a permettere l’edilizia privata, si progettava la costruzione di edifici per il partito (inoltre, scandalosamente incoscienti in un’epoca di tutto-o-nulla, le mostre d’arte che, promosse dalle pubbliche autorità, continuarono a tenersi fin quasi alla fine, come la Grosse Kunstausstellung sotto l’egida del Gau Westfalen-Nord dal 21 maggio al 18 giugno 1944, mentre si sarebbe dovuto indirizzare all’impegno bellico ogni e pur minima risorsa!); nelle famiglie lavoravano un milione e mezzo di domestiche. Ancora troppi uomini e non abbastanza donne erano occupate nelle imprese, nelle industrie: nel 1942 oltre cinque milioni di uomini abili alla guerra. E non esistevano piani per rafforzare con molti di loro gli otto milioni e mezzo di soldati in armi. Proprio in quell’anno, l’anno della presa di coscienza tedesca della realtà, del capovolgimento e della correzione della condotta bellica, si ebbe l’opportunità di raddoppiare o triplicare il personale femminile nell’industria, di occupare nella produzione di armamenti almeno un milione di donne, di impostare allora, in quel momento, la guerra totale, e non un anno più tardi!
“Ma la capacità produttiva inciampò anche in fattori tecnici: non si produceva abbastanza in serie, c’era una eccessiva varietà di produzioni in tutti i campi; c’era una produzione di serie solo in quantità limitata, non una produzione di massa, non la standardizzazione dei metodi. Non c’era neppure un addestramento di massa della forza-lavoro. Lo spirito inventivo tedesco sviluppava sempre nuovi tipi di armi, cercava sempre cambiamenti; le ditte concorrevano tra loro come in tempo di pace, cercando di ottenere le commesse per i propri modelli, tutti prodotti in piccola serie. Tutti costruivano di tutto, pressoché nessuno si concentrava su ciò in cui era esperto, pressoché nessuno si limitava su pochi prodotti. Nell’industria, criticò il Generale Milch in una conferenza già il 29 ottobre 1941, financo i tre quarti della forza-lavoro era occupata in attività antidiluviane! Risultato: i dati della produzione degli armamenti restarono ben sotto le aspettative dei capi. Nel 1940 la quota fu il 15% di tutta la produzione industriale; nel 1941, solo di poco più alta, il 19%; e anche nel 1942 non fu molto diversa (a confronto: nel 1944, quando i due errori strategici di Hitler (compiuti nel 1941 fin dal 22 giugno: lo stravolgimento dell’originaria Operazione Barbarossa, che prevedeva gli attacchi principali sui fianchi nord e sud, sostituiti invece da un più forte attacco centrale contro Mosca, e l’impostazione dell’Operazione Taifun, l’offensiva contro Mosca rinnovata il 2 ottobre, entrambe imposte dall’OKH con un una pervicacia al limite del sabotaggio, contro le concezioni di Hitler) non potevano più essere corretti ed era ormai tardi, la quota salì al 50%). Nel dopoguerra gli esperti giudicarono che la Germania avesse perso la guerra già nel 1940-41, non essendo riuscita ad incrementare la capacità produttiva bellica!”

Bisogna riconoscere, rileva Maurizio Blondet, che “l’economia tedesca fu messa a regime di mobilitazione totale solo dal 1943. Solo allora la Germania spinse a fondo l’accelleratore. Albert Speer, il genio della mobilitazione economica bellica, racconta che nel 1943 – sotto gli incessanti, apocalittici bombardamenti – la Germania fu ancora capace di produrre 5.234 locomotive, il doppio dell’anno precedente. Fra il 1941 e il 1944 la produzione di munizioni triplicò, quella dei pezzi per mezzi corazzati fu quintuplicata, pur con un risparmio del 79% della manodopera e del 93% dell’acciaio impiegato (rispetto al 1941) grazie ad una razionalizzazione scientifica dei processi produttivi. E la mobilitazione della manodopera fu sempre ben lontana dalla militarizzazione attuata in Inghilterra, dove tutte le forze del lavoro erano inquadrate in battaglioni, che venivano dislocati dove ce n’era bisogno. Tutta la popolazione civile inglese, comprese le donne, era una gigantesca armata mobile. In Inghilterra il 61 per cento delle donne era nel 1944 impiegato nello sforzo bellico; in Germania il 45 per cento. Quanto ai beni di consumo, fatta 100 la produzione del 1939, in Gran Bretagna era scesa nel 1942 a 79, in Germania era a 88. Ancora a metà della guerra, il tenore di vita tedesco restava più alto di quello dei suoi nemici”.
In effetti, il programma di armamento tedesco si compie sulla base di sole 180 divisioni – dislocate, non lo si scordi, da Capo Nord alle sabbie africane – mentre il minimo necessario per il solo attacco ad oriente viene valutato a 300. Infine, l’ordine di impostare i piani dell’Operazione Barbarossa vengono emessi solo il 21 luglio 1940, cioè dopo l’occupazione sovietica dei Paesi baltici, della Besserabia e della Bucovina Settentrionale (regione, questa, strategica al di là del fiume Prut e assolutamente esclusa dal protocollo aggiuntivo Ribbentrop- Molotov) avvenuta a tambur battente tra il 15 e il 24 giugno; dopo i frustranti, illuminanti colloqui del 12-13 novembre con Molotov a Berlino il benestare al conflitto preventivo viene dato il 18 dicembre (e già pochi giorni dopo comunicato a Mosca, in particolare dalla spia Ilse Strofe); l’irrevocabile via solo il 1° aprile 1941, dopo la riconferma delle trame aggressive sovietiche col colpo di stato antitedesco a Belgrado. In parallelo, l’11 febbraio l’ambasciata tedesca di Bucarest aveva avvertito Berlino dell’imminenza di un colpo di stato in Romania anch’esso gestito da elementi sovietici in collaborazione coi servizi segreti inglesi, mentre il 1° marzo il sottosegretario di Stato Sumner Welles aveva comunicato all’ambasciatore sovietico Umanskij il contenuto di massima della Fuhrerweisung n. 21; del resto, una stretta collaborazione tra i due colossi democratici vigeva fin dal gennaio 1939, con la fornitura a Mosca di materiali strategici, e dal marzo con la firma di un accordo per la costruzione di sommergibili sovietici nei cantieri americani; quanto all’Inghilterra, ricordiamo che un accordo militare segreto era stato sottoscritto da Churchill con Mosca il 15 ottobre 1939.
Ricordiamo inoltre – dopo la conferenza del Comando Supremo dell’Armata Rossa tenutasi per nove giorni dal 23 al 31 dicembre 1940, riguardo una “possibile” guerra di aggressione alla Germania, cui partecipano trecento tra marescialli, generali e ammiragli – non solo l’aggressivo discorso tenuto da Stalin il 5 maggio 1941 all’Accademia Militare di Mosca (sintomaticamente, nello stesso giorno Stalin, segretario generale del Partito, si fa nominare presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, cioè primo ministro, ufficializzando/monopolizzando in tal modo anche formalmente l’intero potere decisionale), ma anche le conformi direttive impartite quattro giorni dopo dal Comitato Esecutivo del Komintern ai capi del comunismo internazionale (testo in Salvatore Francia):
“E’ giunto il tempo di compiere nuovi passi decisivi sulla strada della rivoluzione mondiale. Gli ostacoli da superare sono ancora formidabili e richiedono una nuova elasticità tattica che deve essere accuratamente elaborata e posta in pratica arditamente secondo le linee seguenti:
a) La rivoluzione mondiale comunista dev’essere presentata come una serie di misure destinate ad attuare la “vera democrazia”; tutti i dirigenti politici e militari del movimento comunista debbono rappresentare le loro attività sotto questa luce. I membri del Partito, in una quota massima del 30%, potranno presentarsi apertamente come “linea dei combattenti del fronte per la democrazia” agli occhi delle masse.
b) Il governo dell’Unione Sovietica potrà altresì ritenere necessario fare temporaneamente concessioni nello stesso senso, allo scopo di favorire la causa rivoluzionaria nei paesi dove le condizioni lo richiedano.
c) Fino a che non abbia conquistato il potere, il Partito Comunista del paese dove si sta preparando la rivoluzione avrà cura di mantenere buoni relazioni con i circoli patriottici e religiosi. Non debbono venir fatte distinzioni fra le varie Chiese: tutte dovranno venir trattate allo stesso modo agli occhi delle masse. Anche le tradizioni nazionali dovranno venir rispettate. Là dove sia necessario e con l’autorizzazione del Comitato Centrale del partito, i rappresentanti delle Chiese potranno venir chiamati a prendere parte alla preparazione e all’effettuazione della rivoluzione. La loro forza numerica determinerà la misura in cui l’influenza della Chiesa verrà esclusa più tardi dalle faccende dello Stato.
d) La stampa dovrà essere usata per divulgare le nuove teorie fra le masse. Le circolari destinate a impartire istruzioni confidenziali ai membri e alle organizzazioni del Partito saranno redatte con lo stesso sistema finora usato. Le circolari segrete continueranno a tenere informati sulla situazione tutti i rivoluzionari attivi.
e) Dopo che il Partito avrà conquistato il potere, la politica estera verrà stabilita dai rappresentanti diplomatici dell’URSS, che riceveranno le necessarie direttive dal Komintern. I rappresentanti manterranno il collegamento fra il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’URSS e quelli dei paesi in cui il Partito avrà assunto di recente il potere. I rapporti e le informazioni saranno consegnati a essi, mentre una copia verrà inviata direttamente al Komintern.
f) Immediatamente dopo la conquista del potere, i CC provvederà a costituire un nuovo governo. Questo dovrà rappresentare la vasta massa del popolo e conservare tutte le apparenze della democrazia. Il paese sarà amministrato attraverso i comitati subordinati, provinciali, regionali, distrettuali e locali. Per quanto riguarda gli affari interni, il CC continuerà a rimanere la suprema autorità esecutiva, mentre la politica estera verrà diretta dal Comitato Esecutivo del Komintern.
g) Gli avversari del nuovo governo, specialmente coloro che godono ancora di qualche prestigio fra il popolo e quelli la cui partecipazione alla rivoluzione ha permesso di avere conoscenza dei documenti segreti del movimento comunista, dovranno essere allontanati il più presto possibile, ma secondo un sistema democratico, cioè processati dinanzi a un regolare collegio giudicante del Tribunale del Popolo. Questo dovrà comprendere un membro noto del Partito e due membri segreti o simpatizzanti di fiducia. I processi importanti dovranno svolgersi dinanzi a tribunali superiori di natura ugualmente democratica. Si potranno incontrare difficoltà considerevoli nell’arrestare e sterminare gli oppositori interni e i nemici di classe. Non bisognerà tuttavia perdere tempo nel porli in stato d’arresto e nel sollevare contro di essi imputazioni formali per giustificare la loro detenzione agli occhi del mondo democratico.
h) IL termine “nemico di classe” comprende le seguenti categorie: membri dei movimenti ideologici a carattere nazionalista o religioso, preti, membri delle forze di polizia, del corpo ufficiali, dei servizi diplomatici e civili che si siano rifiutati di parteggiare per le forze rivoluzionarie, tutti i membri delle dinastie regnanti, tutti gli individui noti per essersi attivamente opposti alla preparazione ed effettuazione della rivoluzione. Il modo di far scomparire questi nemici di classe sarà determinato dalla situazione generale, e i metodi da usare verranno prescritti dal Delegato del Comitato Esecutivo del Komintern, che verrà assegnato al CC non appena avrà assunto il potere, per porre la sua vasta esperienza a disposizione del Comitato stesso.
i) Dopo la conquista del potere, il Partito disporrà di fondi, tenuti separati dai fondi dello Stato, ricavandoli dalle seguenti fonti: proprietà appartenute ai nemici di classe che sono stati liquidati o i cui beni sono stati confiscati in seguito a sentenza di un tribunale; proprietà appartenenti ai movimenti e alle organizzazioni avversarie; proprietà confiscate alle Chiese, alle dinastie regnanti e ai profittatori di guerra”



DATI BELLICI 1939-1945

Sette potenze: dati all’inizio del 1938, senza accennare agli alleati né al controllo dei centri delle materie prime e delle vie di comunicazione L’Impero Britannico non comprende le terre antartiche né i Mandati di tipo A.

Nazioni............estensione in kmq......abitanti
Gran Bretagna................242.606......................47.500.000
Impero Britannico........33.800.000....................524.000.000
Francia..........................550.986.....................42.000.000
Territori Francesi.........11.846.000.....................69.000.000
USA............................9.357.848...................130.750.000
URSS.........................21.267.714...................178.000.000
Germania........................554.473.....................74.600.000
Italia..............................310.150....................43.000.000
Impero Italiano..............3.485.000......................8.500.000
Giappone........................382.253.....................71.500.000
Corea e Formosa..............256.702.....................28.850.000

Occidentali e sovietici.. .81.500.000.................1.100.000.000
German. Italia Giapp........5.000.000...................230.000.000

Citiamo poi la carenza di materie prime di interesse bellico (talchè il 1° settembre 1939, il Reich si trova in una situazione produttiva che gli permette di sostenere una guerra che duri non più di sei settimane, al punto che al termine della campagna di Polonia l’esigua disponibilità di munizioni e la messa fuori uso della metà degli autocarri e dei corazzati induce il quartiermastro generale ad ammonire che per tempo indeterminato l’esercito non è più una forza di combattimento operativa) e l’assoluta mancanza di fonti di gomma e di petrolio (uniche, i vulnerabili pozzi romeni), che rese indispensabile la ricerca e la produzione di gomma e carburanti sintetici dal carbone (in particolare ad Auschwitz, i cui impianti fornirono fino al 50% del carburante consumato nel conflitto; al proposito, citiamo Daniel Yergin, per il quale, in virtù di un’impegno eccezionale, “fra il 1940 e il 1943 la produzione era passata da 72.000 a 124.000 barili al giorno. Gli impianti produttivi erano l’anello fondamentale del sistema. Nella prima metà del 1944 coprirono il 57% delle forniture totali di carburante e il 92% della benzina per aviazione. Complessivamente, durante la seconda guerra mondiale i carburanti sintetici corrisposero a metà della produzione tedesca di petrolio”) (3).
Inoltre, senza entrare nel merito dell’abusato mito-menzogna postbellico di una Wehrmacht armata fino ai denti e “lanciata alla conquista del mondo” (basti pensare alla nettissima inferiorità quanto a

1. fonti di approvvigionamento di materie prime: ad esempio, nel 1941 i soli USA controllano oltre il 60% del petrolio ed il 56% della gomma mondiali, producono il 78% delle automobili e il 67% degli autocarri del mondo e controllano il 30-40% della produzione mondiale di piombo, carbone, rame e zinco,(4)

2. struttura industriale, soprattutto di quella indirizzata in senso bellico: “la produzione industriale degli USA non serve solo i propri mercati, ma cementa le alleanze con altri paesi fornendo loro armi e derrate alimentari”, nota Manfred Griehl, e

3. qualità/quantità di corazzati,

4. naviglio e

5. aviazione,

mentre sempre Griehl rileva che “il piano tedesco di usare un’aviazione transoceanica come lo Junkers 390 a sei motori, il Messerschmitt 264 o il Tank 400 per una guerra aerea globale fallì per l’incapacità di produrre in gran numero simili apparecchi, come era invece possibile fare negli USA e in Inghilterra”, riportiamo una considerazione di W. Victor Madej, sul “mito della motorizzazione”: “Ciò che compì l’esercito tedesco fu assolutamente sbalorditivo. In soli 3 mesi di lotta furono messe fuori gioco Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Olanda, Francia, Grecia e Jugoslavia. In altri cinque mesi fu occupata la maggior parte della Russia europea e distrutta la maggior parte dell’Armata Rossa. Nessuno dei nemici della Germania si avvicinò ad eguagliare un tale successo, e in tal modo venne creato un mito per spiegare come una superiore mobilità e una superiore meccanizzazione si siano combinate in un Blitzkrieg concepito per sopraffare nemici più primitivi o meno mobili. Ovviamente, si adottarono misure per recuperare lo svantaggio nei confronti dei tedeschi. Gli alleati modernizzarono i loro sistemi d’arma e cambiarono le loro tattiche. Allora gli eserciti migliorati e tecnologizzati domarono la macchina bellica tedesca…una buona storia, ma il fatto sconcertante è che la Germania fece quello che fece con un esercito che era per il 75% ippotrainato (…) E’ importante demolire il mito della motorizzazione, poiché è stato usato in appoggio a infondate conclusioni. Ad esempio, non è vero che il successo militare richiede un’alta tecnologia e un’elevata motorizzazione; ci furono variabili molto più importanti. I primi successi tedeschi furono ottenuti senza un’adeguata motorizzazione, inoltre la maggior parte del carburante necessario andò perduto con la ritirata e perdita del terreno, e non in virtù dei bombardamenti, e la maggior parte dei bombardamenti avvennero troppo tardi per essere decisivi”. (4)
Similmente, Klaus Christian Richter fa salire all’85-90% delle divisioni l’impiego a scopo di traino di cavalli e di muli, in tutto 2.750.000 esemplari, di cui 250.000 muli e bardotti, veri e propri Hafermotoren, “motori a biada” (in parallelo, nel conflitto furono ippotrainate anche 75 delle divisioni italiane). Inoltre, di tali 2.750.000 equini, solo 855.000 furono quelli di provenienza tedesca: 180.000 in dotazione all’esercito di pace, 393.000 mobilitati, 15.000 nati da monta e 267.000 provenienti da requisizioni interne (il parco equino complessivo tedesco ammontando nel 1939 a 3,8 milioni di animali), mentre a 435.000 ammontano le prede di guerra consegnate dagli sconfitti eserciti olandese, belga, francese, polacco, sovietico, jugoslavo e italiano, a 1.450.000 quelli requisiti nei territori occupati e a 10.000 quelli acquistati, a partire dal 1936, in stati amici o neutrali (Ungheria, Romania, Cecoslovacchia, Irlanda, e, quanto ai muli, Europa meridionale e USA); le perdite globali ammontarono a 1,5 milioni di animali (si pensi che dei 900.000 con i quali fu iniziata la campagna di Russia, dopo soli cinque mesi di combattimenti ne erano scomparsi la metà!); infine, mentre le truppe anglo-americane erano completamente motorizzate, nel 1944 la Wehrmacht operava ancora con 250.000 cavalli.
A ulteriore dimostrazione dell’aggressività ipertecnologica bellica tedesca, ricordiamo le considerazioni di Horst Hinrichsen che “infinite compagnie e squadroni montati su biciclette furono protagonisti delle cosiddette vittorie lampo. Le unità totalmente motorizzate mostrate dai cinegiornali non corrispondevano certo sempre alla realtà; considerate a posteriori, esse misero davvero in ombra le prestazioni delle truppe montate su biciclette” (per quanto non vi siano dati certi sulla dotazione di bicicli ad uso bellico, 1,2 milioni di pezzi prodotti nell’anno 1943-1944 sono indicativi di un parco globale di tre-quattro milioni di esemplari).
Il 1° settembre 1939 aveva visto schierate ad occidente, contro le 23 divisioni tedesche, ben 110 divisioni franco-inglesi. Infine, il 10 maggio 1940, contro le 135 divisioni, i 2.439 panzer (quasi un terzo di provenienza dal disciolto esercito ceco) e i 3.578 velivoli tedeschi, gli Occidentali (Francia, Inghilterra, Belgio e Olanda) avevano schierato 151 divisioni, 13.974 cannoni, 4.204 carri armati e 4.469 velivoli, materiale bellico spesso dotato di prestazioni o tonnellaggio superiori a quello tedesco. Quanto al potenziale marittimo, di fronte alle 240.300 tonnellate di naviglio della Kriegsmarine, le sole flotte inglese e francese muovevano un tonnellaggio otto volte maggiore. In particolare, per le cinque principali classi di superficie vedi la seguente tabella (per l’Italia i due dati sono al 10 giugno 1940: unità presenti in servizio operativo e unità in costruzione entrate via via in servizio operativo durante le ostilità):

Tipologia.........Inghilterra.......... Francia... USA... Germania... Italia
Corazzate.............. 15..................... 7........ 15........... 5.......... 2/4
Portaerei..................7...................... 1......... 5........... 0........... 0
Incrociatori pesanti...17...................... 7......... 18...........1............7
Incrociatori leggeri....48......................12.........18............6.........12/12
Cacciatorpediniere...183......................58........214.........21...........59

Totale Unità............270......................85........270.........33..........80/16

Ricordiamo infine che il 1° settembre 1939 i 4.033 aerei tedeschi operativi sui fronti polacco e francese erano contrastati da 3.600 inglesi, 2.550 francesi e 800 polacchi. A prescindere dagli oltre 5.000 velivoli sovietici operativi all’epoca a occidente e senza contare l’aviazione americana in via di enorme espansione, contro i 4.000 aerei tedeschi, dotati di benzina avio per una guerra di una durata di soli sei mesi, ne stavano quindi 7.000 anglofrancopolacchi. Quanto agli italiani, nominali alleati dei tedeschi, al momento dell’entrata in guerra il 10 giugno 1940 Roma schiera 3.700 velivoli, ai quali fino all’8 settembre 1943 ne aggiunge 8.000 di nuova produzione (per inciso, il bruto dato ci dice che nel 1940 la capacità industriale dell’Italia costituiva solo il 2% del prodotto industriale mondiale, mentre quello tedesco era all’incirca il 10% e di circa il 3% quello del Giappone; quanto all’indice del potenziale bellico nel 1937, rileva Federico Gergo, su un totale del 90,5% gli USA segnano il 41,7%, la Germania il 14,4%, il Giappone il 3,5% e l’Italia il 2,5%).

Produzione aerea dell’intero conflitto: Germania 92.000. Giappone 59.000, Inghilterra 96.000 (Helmut Heiber ne dà 113.515), URSS 140.000, USA 261.000 (per Heiber: 271.199).

Per inciso, anche il primo conflitto mondiale aveva visto una netta preponderanza aerea dell’Intesa: di fronte ai 53.000 velivoli prodotti dagli Imperi Centrali, Inghilterra, Francia, Italia, Russia e USA ne avevano prodotti e schierati 138.000.
Ad un altro significativo indicatore delle potenzialità belliche dei vari paesi, il parco automezzi degli eserciti, accenna Mac Gregor Knox: “Nel 1939 l’Italia ne possedeva soltanto 469.000, a fronte dell’1,99 milioni della Germania, dei 2,25 milioni della Francia, dei 2,42 milioni della Gran Bretagna. Un rapporto di 11 automezzi per cento abitanti, a fronte dei 25 della Germania (ovvero un numero doppio), ai 54 e ai 51 rispettivamente in Gran Bretagna e Francia (ovvero cinque volte tanto), ai 227 degli Stati Uniti (ovvero oltre venti volte tanto)”.
L’inanità degli sforzi compiuti dall’Asse per raggiungere una qualunque vittoria o anche pace di compromesso, nota Heiber, viene poi anche evidenziata dal solo valore degli armamenti prodotti dalle grandi Potenze nel 1941 e nel 1943, stimati in miliardi di dollari: 1941 USA 4,5 Inghilterra 6,5 URSS 8,4 (totale 19,5 miliardi) contro Germania 6 e Giappone 2 (totale 8 miliardi); 1943 USA 37,5, Inghilterra 11,1, URSS 13,9 (totale 62,5 miliardi) contro Germania 13,8 e Giappone 4,5 (totale 18,3 miliardi).
Misticamente entusiasta, nel discorso indirizzato agli italiani il 2 gennaio 1942 da Radio Mosca, il boss comunista Palmiro Togliatti alias Mario Correnti e “il Migliore”: “Ma da quella parte ci giunge per l’etere un’altra voce. E’ la voce del grande popolo americano. Nel suo accento maschio par di sentire il rombo di mille fabbriche che giorno e notte lavorano, senza posa, a forgiare cannoni, tank, aeroplani, munizioni. Un mese fa l’America fabbricava in un mese tanti aeroplani quanti la germania e i suoi vassalli messi assieme. Tra poco ne fabbricherà due volte tanto. Trenta milioni di operai americani hanno giurato di non allentare il loro sforzo produttivo sino a che non saranno schiacciati i regimi fascisti di terrore, violenza, di guerra. Buone prospettive, dunque, per l’anno nuovo”.
Di centrale interesse anche le considerazioni dell’inglese Liddell Hart in Storia Militare della Seconda Guerra Mondiale:

L’ultima cosa che Hitler voleva era un’altra grande guerra. Il suo popolo, e specialmente i suoi generali, erano atterriti dall’idea di correre un simile rischio: le esperienze della prima guerra mondiale avevano lasciato nell’animo dei tedeschi profonde cicatrici (…) Gli archivi tedeschi, caduti in gran numero in mano alleata dopo la guerra, e quindi accessibili allo studioso che desideri consultarli, rivelano l’esistenza di un diffuso e radicato senso di sfiducia nella capacità della Germania di combattere una guerra su vasta scala”.

Al contrario la strategia degli Occidentali, aizzati da FDR: “Dopo la caduta della Francia i tedeschi si impadronirono degli archivi dell’Alto Comando francese e pubblicarono una raccolta di sensazionali documenti tratti da essi. Da questi documenti risultava evidente che i capi alleati avevano passato l’intero inverno a fantasticare sui più svariati piani offensivi: attaccare le retrovie del fianco settentrionale della Germania attraverso Norvegia, Svezia e Finlandia; attaccare la Ruhr attraverso il Belgio (il piccolo “neutrale” Belgio “tedesco-violato”!); attaccare il lontanissimo fronte orientale tedesco attraverso la Grecia e i Balcani; interrompere la fornitura di benzina che la Russia concedeva alla Germania a titolo di prestito, attaccando i grandi campi petroliferi del Caucaso”.
Lasciamo all’intelligenza del lettore ogni conclusione sulla volontà e/o fattibilità di una conquista tedesca del mondo (per non parlare del Giappone e dell’Italia, ancor più condizionati della Germania dalla mancanza di materie prime e soprattutto di carburanti…cosa l’ultima che ne condizionò in modo decisivo l’intera strategia bellica, in particolare sotto l’aspetto navale, per ‘Italia vedi il magistrale studio di James Sadkovich).

Forze in campo al 22 giugno 1941

Anche il rapporto segreto del Feldmaresciallo Keitel n. 212/41 dell’11 giugno 1941 rileva, peraltro sottostimandolo, il progressivo incremento delle forze sovietiche a occidente: al 1° settembre 1939 sono presenti 44 divisioni di fucilieri, 20 di cavalleria e 3 brigate meccanizzate/corazzate, per un totale di 65 divisioni; al 28 novembre 1939, 76 divisioni di fucilieri, 21 di cavalleria e 17 brigate meccanizzate/corazzate per un totale di 106 divisioni; al luglio 1940, nota Becker (I), 120 divisioni ne fronteggiano 18 in Prussica Orientale e nel Governatorato Generale; al 1° maggio 1941, sull’intero fronte, 118 divisioni di fucilieri, 20 di cavalleria e 40 brigate meccanizzate/corazzate, per un totale di 158 divisioni.
Stimati dai servizi segreti tedeschi ad un massimo di 180 divisioni al 22 giugno (altri riferimenti degli stessi servizi danno 207 divisioni e 63 brigate motorizzate: come detto, in realtà ne sono presenti 258; l’11 agosto il generale Franz Helder, capo dell’OKH Oberkommando des Heeres “Stato Maggiore dell’Esercito”, riconosce che, di fronte ad una stima iniziale di 200 divisioni sovietiche, ne erano fino ad allora entrate in combattimento 360!), i 2,9 milioni più un altro milione di sovietici in via di trasferimento (in verità, secondo i più recenti dati di Naumann, il 22 giugno vede nei distretti militari occidentali presenti già 5.200.000 uomini, raggruppati in 26 armate; Magenheimer II dà 4.900.000 uomini suddivisi nelle 170 divisioni del Primo Scaglione Strategico, 73-74 del Secondo Scaglione e 12 di riserva operativa dello Stato Maggiore) saranno contrastati da 153 divisioni dell’Esercito (tra cui 19 divisioni corazzate e 10 motorizzate) e da 4 divisioni e una brigata Waffen-SS, per un totale di 3.050.000 uomini (in sostanziale coincidenza, Becker I riporta 151 divisioni tedesche, di cui 119 di fanteria e granatieri, 17 corazzate, 1 di cavalleria, 5 Waffen-SS e 6 “di sicurezza”; Magenheimer II, 148 divisioni più 3 brigate, delle quali 120+2 di prima linea e 28+1 di riserve operative a disposizione dell’OKH). Ad essi si aggiungeranno, giunti nell’arco di due mesi, i 500.000 uomini di Italia (tre divisioni del CSIR), Romania (ventisette divisioni), Slovacchia, Ungheria e Finlandia (nove divisioni).
Per giudicare rettamente dell’”aggressione” delle forze europee, attaccanti per l’esercito in rapporto di due contro tre (uno contro quattro per i mezzi corazzati, uno contro cinque/sei per l’aviazione), si tenga presente che la dottrina insegnata in ogni accademia militare riteneva necessaria, per un’efficace offensiva, una superiorità di almeno tre contro uno! Inoltre, mentre nel corso del conflitto la Wehrmacht non avrebbe mai potuto schierare ad oriente più di 175 divisioni contemporaneamente, l’Armata Rossa sarebbe salita da 300 a oltre 700 grandi unità (5).
Altre fonti, rileva Walendy, danno, tra operative e in grado di esserlo in pochi giorni, un totale di 313 divisioni e 4.700.000 uomini; con occhio al Terzo Scaglione e alla mobilitazione in corso, Megenheimer (I) scrive, escluse truppe confinarie, divisioni NKVD e altre unità speciali, di 5.400.000 uomini, per un potenziale globale, oltre a 68 divisioni corazzate, di 350 divisioni di fucilieri, motorizzate e cavalleria, alle quali il 23 giugno, il giorno dopo l’attacco tedesco, il Comitato Supremo sovietico avrebbe aggiunto 5.300.000 riservisti!
E si tenga presente che, a prescindere dal computo reso arduo a causa dei dati oggettivamente intricati sulla consistenza delle truppe schierate, di quelle in arrivo, di quelle in avvicinamento e di quelle mobilitate, spesso gli storici sovietici “dimenticano”, per giustificare la “sorpresa” dell’”ingenuo” Stalin (6) e della “pacifica” URSS le divisioni dell’NKVD: non solo i 100.000 ufficiali, ma almeno il quadruplo, per complessive 29 divisioni. Inoltre, dal 25 giugno 1940 al 21 giugno 1941 i sovietici vengono avvertiti delle intenzioni tedesche, oltre che da centinaia di indizi, da almeno 87 fonti: statisti, diplomatici, agenti, fiduciari prosovietici, traditori, etc., per cui, scrive Megenheimer I, “di una sorpresa strategica rappresentata dall’attacco tedesco non si può certo parlare”.
Anche le cifre nelle varie opere riguardanti i vari tipi di armi, pur coincidenti nell’ordine di grandezza, sono talora discordanti nel dettaglio e nella dinamica.
Al 22 giugno 1941, secondo i più recenti dati l’URSS muove 24.000 carri armati (che, scrive Bieg, al completamento dei piani avrebbero dovuto salire a 32.000), 23.245 aerei, 148.000 cannoni, 291 navi da guerra, 213 sommergibili (la flotta più numerosa al mondo, da quattro a sei volte quella inglese, per quanto suddivisa in mari non intercomunicanti: Bianco, Baltico, Nero ed Oceano Pacifico), 5.000.000 di uomini inquadrati in 303 divisioni, delle quali 258, cioè il Primo Scaglione composto da 12 armate per oltre tre milioni di uomini, schierate offensivamente contro Germania e Romania. Per l’inizio d’agosto è previsto l’arrivo delle divisioni del Secondo Scaglione (altre 69 o, secondo i nuovi dati di Suvorov, 77 tra divisioni corazzate, motorizzate e fucilieri, oltre a decine di singoli reggimenti e centinaia di battaglioni), in gran parte composte da ex internati nel Gulag, per un totale di 330-340 divisioni da scagliare contro l’Europa su una forza globale sovietica prevista in 375 divisioni (la formazione degli “scaglioni” costituisce, per la dottrina militare sovietica, un’impostazione offensiva; delle 92 divisioni meccanizzate presenti nell’URSS ne sono state schierate offensivamente 88) e 218 squadre aeree (delle quali 165 schierate offensivamente. “Con ogni probabilità –commenta il russo Constantine Pleshakov con riferimento allo schieramento sovietico intorno alla metà giugno- meno di dieci persone erano a conoscenza di queste disposizioni nella loro interezza”.
Specificatamente sulla linea di demarcazione: a fronte dei 3.500-3.648 panzer e Sturmgeschutze “cannoni d’assalto semoventi” tedeschi, dei quali solo 1.850, poco più della metà, in grado di affrontare con successo i mezzi nemici, stanno in prima linea 15.000 carri sovietici, un numero superiore a quello di tutti i corazzati del mondo, con un rapporto di 1 a 5, mezzi che salgono a 22.000 con quelli delle unità corazzate autonome, con un rapporto quindi di 1 a 6,5 (altre valutazioni danno cifre che, pur diverse, sono sempre equivalenti: ad esempio, Heiber riporta 2.500 corazzati tedeschi fronteggiati da 10.000 corazzati sovietici, con un rapporto quindi di 1 a 4, con rispettive riserve di 500 e 10.000 altri corazzati; si ricordi, inoltre, che già all’inizio del 1936, quando il Reich non possedeva nemmeno un carro armato, Stalin ne aveva fatti sfilare mille in una sola parata). Nei soli dieci mesi settembre 1939 – giugno 1940 erano stati consegnati all’Armata Rossa ben 7.000 carri armati; al contrario, ancora nel 1941 il Reich produce mensilmente 250 tra carri e Sturmgeschutze, e nei sei mesi seguenti al 22 giugno il Fronte dell’Est riceve a rimpiazzo solo 500 carri e 12 Sturmgeschutze, usando inoltre il residuo del migliaio di carri armati ex cechi da 38 tonnellate caduti in mano tedesca nel marzo 1939 o prodotti nei due anni seguenti. Quanto alla produzione degli eccellenti Tiger I e Panther, ricordiamo che nell’intera guerra e per tutti i fronti l’industria tedesca riuscì a produrne, rispettivamente, solo 1.354 e 5.976.
A dare altre plastiche immagini dei rapporti di forza, si pensi che nel giugno 1940 Churchill contava, per la difesa dell’Inghilterra, su meno di cento carri armati, che all’epoca Henry Cabot Lodge aveva rilevato al Senato: “Ieri ho visto tutti i carri armati degli Stati Uniti, tutti quattrocento”, e che nel giugno 1941 i sessanta carri armati romeni schierati a difesa da un’esiziale irruzione contro l’area petrolifera di Ploesti, distante dal confine appena 180 chilometri, fronteggiavano 3.725 corazzati sovietici, mezzi non solo senza paragone per superiore protezione, armamento e velocità, si pensi solo ai KV-1, ai T-34 (sgradita sorpresa incontrata per la priva volta a fine luglio a est di Orel: mentre il Panzer IV era in grado di distruggere un T-34 ad una distanza massima di 500 metri, e solo di lato o dal retro, il T-34 poteva mettere fuori combattimento gli avversari anche frontalmente e anche a 2.000 metri, e soprattutto alla serie BT Bystrochodni Tank, “carri veloci”, soprannominati “awtostradny, carri armati da autostrada”, studiati per poter essere privati dei cingoli e correre a velocità ancora maggiore sulle più agevoli strade europee: fino a 100 chilometri all’ora, con un’autonomia di 700 chilometri. Mezzi tutti, questi, non solo coadiuvati dai corazzati del Secondo Scaglione, dalle centinaia di alianti, dalle migliaia di aerei e dalle decine di migliaia di paracadutisti, ma con un “misero” rapporto di 69 a 1.
Di fronte ai 2.510 aerei operativi tedeschi (secondo altre fonti da 2.121 a 2.700) stanno offensivi, oltre a centinaia di alianti, da 10.000 a 13.500 aerei sovietici, con un rapporto quindi di 1 a 5-6. Già nel tardo 1940 un rapporto dell’ingegner Schwenke, stilato dopo una visita a Mosca, Rybinsk, Perm e Kuibyshev nell’ambito di quella “cooperazione” che avrebbe imprudentemente aperto a 3.500 esperti sovietici le porte dell’industria tedesca, aveva rilevato che un’unica fabbrica di motori per aerei era più vasta delle corrispondenti sei maggiori fabbriche tedesche. Inoltre, tra il 22 giugno e il 22 ottobre 1941, rilevano l’ungherese Ferenc Vajda e l’inglese Peter Dancey, la Luftwaffe, che peraltro mai sarebbe riuscita a neppure intaccare la superiorità aerea sovietica, avrebbe messo fuori combattimento 15.178 aerei con la Stella Rossa, per la maggior parte dislocati non solo sugli oltre 250 aeroporti già presenti ed ampliati, ma anche sulle 164 nuove basi costruite dall’aprile al giugno a ridosso del confine. Nella seconda metà dell’anno, in lotta sui fronti separati dell’Atlantico, del mediterraneo e sovietico, la Luftwaffe riceverà solo 4.047 nuovi aerei contro i 9.900 ricevuti dall’aviazione rossa; di fronte ad una stima tedesca di una forza sovietica di 5.300 aerei a fine anno, Stalin ne schiererà 12.000.
Infine, di fronte a 7.146 pezzi d’artiglieria tedeschi stanno secondo diverse fonti, pronti ad aprire il fuoco prima di dilagare verso Ploesti e Breslavia, da 34.695 a 37.000 dei 148.000 pezzi d’artiglieria sovietici, con un rapporto quindi di 1 a 5 e anche più.
Non scordi il lettore che se nel 1939 la Germania schiera 4.000 paracadutisti (un migliaio essendo all’epoca quelli degli altri paesi occidentali), all’inizio del 1941 l’URSS ne inquadra 52.000 in cinque corpi, ai quali seguono nell’agosto, oltre a cinque brigate speciali aviotrasportate, altri 50.000 in altri cinque corpi. A migliaia, riporta Scheil II, sarebbero dovuti essere paracadutati dietro le linee anche in abiti civili, dotati di pistole, materiale esplosivo e anche di biciclette, in gran parte “ebrei dell’ex Polonia, che parlano tedesco e polacco e che furono addestrati in Russia”. In realtà, all’epoca i sovietici hanno addestrati al paracadutismo un milione di uomini (e, nota Suvorov, la qualifica di paracadutista era tutt’altro che semplice a conseguire, venendo assegnata dopo veri lanci dall’aereo, cui si accedeva dopo prove di corsa, nuoto, tiro, lancio di granate, superamento di ostacoli, utilizzo di mezzi antigas e altre attitudini indispensabili in guerra) – 130.000 dei quali, inquadrate in dieci divisioni Fucilieri della Guardia, parteciperanno alla battaglia di Stalingrado – duecento volte più di tutti gli altri paesi del mondo assieme (ad esempio, quanto all’Italia, a parte la pionieristica scuola libica del 1938, Tarquinia viene aperta nei primi mesi del 1940 e Viterbo a fine 1942). Altra specialità squisitamente offensiva: nel 1939 Mosca contava 30.000 piloti d’alianti, addestrati in tecniche all’avanguardia come il rimorchio da parte di un solo aereo di alianti plurimi (nel 1940 ne vengono rimorchiati nel cielo di Mosca fino a undici). Quanto al paracadutismo, completa Cetherine Merridale: “In molti parchi cittadini vennero erette delle torri per i lanci di allenamento. Nel 1936 ce n’erano ormai più di 500, affiancate da 115 nuove scuole di paracadutismo. In quel solo anno i giovani cittadini sovietici fecero quasi due milioni di lanci. Krokodil, la rivista satirica delle Edizioni di Stato, proponeva addirittura di adattare i campanili delle chiese per il nuovo sport. Scherzi a parte, è stato calcolato che alla fine del 1940 la popolazione sovietica comprendesse più di un milione di paracadutisti addestrati”.
Quanto alla consistenza delle forze sovietiche nei due momenti cruciali 21 giugno 1939 e 21 giugno 1941, Suvorov riporta: divisioni fucilieri e alpine 94/198 (in approntamento al 21 giugno 1941 sono altre 60 divisioni di fucilieri); divisioni motorizzate 1/31; divisioni corazzate 0/61; divisioni aeree 0/79; divisioni fucilieri 25/62; reggimenti d’artiglieria 144/900; corpi meccanizzati/corazzati 4/29; brigate paracadutisti 6/16; corpi d’armata paracadutisti 0/5; armate schierate al confine occidentale 0/26.
Altri dati significativi: a fine giugno 1940, con la Germania nell’ultima fase dell’offensiva contro gli aggressori occidentali, già sono 90-100 le divisioni sovietiche (90 di fucilieri, 23 di cavalleria e 28 brigate meccanizzate, specifica Helmdach) che, dopo essere dilagate il 15 giugno in Lituania, il 17 in Lettonia ed Estonia, il 28 in Besserabia e Bucovina Settentrionale, fronteggiano 6 divisioni tedesche di riserva ((ma nei distretti occidentali dell’URSS Naumann riporta, oltre ai confinari NKVD, la presenza di 170 divisioni el Primo Scaglione, raggruppate in 15 armate);divisioni poi salite, arrestata la smobilitazione ordinata da Hitler dopo il vittorioso Blitzkrieg, a 12 nel luglio e 35 nel settembre (contro, rispettivamente, 120 e 150 grandi unità sovietiche già schierate). L’invio di altre forze tedesche non riprenderà che nel marzo 1941.
Dati sostanzialmente equivalenti offre Strass: 9 grandi unità tedesche ne fronteggiano 114 sovietiche il 28 novembre 1939, 10 tedesche contro 134 sovietiche il 10 maggio 1940 (le divisioni tedesche salgono a 23 il 20 luglio), 72 tedesche contro 178 sovietiche il 1° maggio 1941.

Perché la Germania si mosse

Assolutamente rispondenti alla realtà storica – a quella realtà cui ogni studioso in possesso di documentazione, volontà di capire e onestà intellettuale deve giungere, a quella realtà presente ai capi di governo tedeschi fin da fine Ottocento e che può essere compendiata dalle parole del cancelliere Theobald Von Bethmann-Hollwe nel luglio 1914: “”Il futuro appartiene alla Russia, che cresce, cresce e cresce, che ci sta sopra come un incubo sempre più orribile” – sono quindi le considerazioni svolte da Hitler nel messaggio a Mussolini del 30 giugno:
“Sono otto giorni che una brigata corazzata dopo l’altra viene attaccata, battuta e distrutta, e nonostante ciò non si è rimarcata alcuna diminuzione nel loro numero e nella loro aggressività (…) Quasi tutti i contrattacchi russi sono stati effettuati solamente con forze corazzate. Nostre singole divisioni, che spesso hanno colpito cento o duecento mezzi corazzati in un sol giorno, vengono attaccate il mattino seguente da nuovi carri. Io credo, Duce, che incombeva sull’Europa un pericolo della cui misura nessuno aveva un’idea giusta”.
Ancor più, nel proclama radiotrasmesso ai soldati la notte dal 1° al 2 ottobre:

“Soldati del fronte orientale! Mosso alla più profonda preoccupazione per l’essere e per l’avvenire del nostro popolo, decisi il 22 giugno di rivolgervi l’appello di prevenire, all’ultimo momento, la minacciante aggressione di un nemico. L’intenzione dei detentori del potere nel Cremino, come oggi sappiamo, non era solo di distruggere la Germania ma l’intera Europa. Di due cose vi sarete frattanto convinti o camerati:

1) Questo nemico era armato in modo tale per la sua aggressione da superare anche i più forti timori.

2) Dio sa ciò che sarebbe accaduto se questo barbarico nemico fosse riuscito a porre in moto contro le nostre popolazioni e l’intero mondo europeo le sue decine di migliaia di carri armati (in soli due mesi, fino al 22 agosto, i carri distrutti o catturati erano stati 14.079, dei quali 8.000 fino a metà luglio e altri 4.000 a fine luglio: “Se avessi saputo che avevano tanti carri armati, ci avrei pensato due volte prima di ordinare l’invasione”, sarà l’amaro, e a parer nostro non meditato, commento a Guderian a fine luglio!). Tutta l’Europa sarebbe stata perduta, poiché questo nemico non si compone di soldati, ma in gran parte di bestie umane. Ora, miei camerati, voi aveste visto con i vostri occhi il paradiso dei lavoratori e dei contadini, in un paese che con la sua vastità e fertilità potrebbe nutrire il mondo intero, domina una miseria inimmaginabile per noi tedeschi. Questo è il risultato di un dominio giudaico che dura ormai da quasi venticinque anni e che in quanto bolscevismo corrisponde praticamente alle più abbiette forme del capitalismo. Gli alfieri di questo sistema sono però in tutti i casi gli stessi: ebrei e solo ebrei.

Soldati! Quando il 22 giugno mi rivolsi a voi per scongiurare il tremendo pericolo che minacciava la nostra patria, voi vi siete opposti alla più grande potenza militare di tutti i tempi, ma in appena tre mesi, grazie al vostro valore, miei camerati, è stato possibile distruggere una brigata corazzata del nemico dopo l’altra, annientare innumerevoli divisioni, catturare prigionieri senza numero, occupare territori infiniti, territori non desolati, ma quei territori da cui il nemico trae la sua vita e da cui la sua gigantesca industria di armamenti trae le sue materie prime (…) Avete catturato oltre 2.400.000 prigionieri, più di 17.500 carri armati, più di 21.600 cannoni catturati e distrutti, 14.200 velivoli sono stati abbattuti o distrutti (…) Imponente è però anche il lavoro eseguito dietro il vostro gigantesco fronte. Sono stati costruiti circa 2.000 ponti di una larghezza superiore ai 12 metri; ripristinati 405 ponti ferroviari; rimessi in esercizio 25.000 chilometri di ferrovie; trasformati nel nostro scartamento europeo 15.000 chilometri di ferrovia. Si lavora alla costruzione di migliaia di chilometri di strade (…) Quello che voi, miei soldati, coi soldati alleati avete fatto, impegna tutti alla più profonda riconoscenza. Trattenendo il respiro e benedicendo, la patria tedesca vi accompagnerà nei prossimi duri giorni. Poiché voi, con l’aiuto di Dio, non date alla patria soltanto la vittoria, ma anche le più importanti premesse per la pace”.
Considerazioni più ampliamente riprese il giorno seguente, 3 ottobre, inaugurando il Kriegswinterhilfswerk, l’Opera di soccorso invernale di guerra. Ricordati i tentativi compiuti per preservare la pace sia a Occidente che, mediante il patto con Mosca, ad Oriente, Hitler rammenta la crescente aggressività sovietica contro la Finlandia, i Paesi Baltici, la Romania e la stessa Germania, definitivamente esplosa dopo le pretese (le principali: mano libera in Bulgaria e Romania, controllo del Bosforo e dei Dardanelli) di Molotov il 12-13 novembre 1940:
“Da allora ho seguito accuratamente le mosse della Russia sovietica. Ogni divisione da noi potuta individuare fu coscienziosamente registrata e debitamente bilanciata mediante contromisure. In maggio la situazione era divenuta tanto pesante che non si poteva più dubitare che la Russia avesse l’intenzione di saltarci addosso alla prima occasione. Alla fine di maggio questi momenti critici si moltiplicarono talmente da non poter più respingere ormai il pensiero di un minaccioso conflitto per la vita o per la morte. Io allora ero costretto a tacere sempre e ciò è stato per me doppiamente duro. Forse non così duro di fronte al paese; poiché alla fine esso doveva comprendere che ci sono dei momenti nei quali non si può parlare se non si vuole esporre al pericolo tutta la nazione. Molto più duro mi è stato il silenzio di fronte ai miei soldati che ora, divisione su divisione, si trovavano al confine orientale, e ancora non sapevano cosa propriamente stava accadendo, che non avevano idea di quello che realmente nel frattempo era cambiato e che forse un giorno si sarebbero dovuti accingere ad un assalto difficile, il più difficile di qualsiasi tempo.
“E proprio per essi non potevo parlare, perché se avessi detto anche una solo parola ciò non avrebbe minimamente cambiato la risoluzione del signor Stalin, mentre la possibilità di una sorpresa, che mi rimaneva come ultima arma, sarebbe stata esclusa. E ogni dichiarazione prematura sarebbe costata la morte di centinaia di migliaia dei nostri camerati. E’ perciò che ho taciuto nel momento in cui mi ero deciso definitivamente ormai a fare io stesso il primo passo. Perché se vedo che un nemico imbraccia il fucile, non attendo che tiri, ma sono piuttosto deciso a sparare io stesso per primo. E’ stato, adesso mi è permesso di dirlo qui, la più grave decisione presa in tutta la mia vita. Qualsiasi passo in questo senso apre una porta dietro la quale si nascondono solo segreti, e solo i posteri sapranno con precisione come ci si giunse e cosa accadde. Così ci si può accordare solo con l’intimità della propria coscienza, confidando nel proprio popolo, nella forza delle armi personalmente temprate, e finalmente, come prima dissi spesso, si può pregare il Signore che benedica chi è pronto e disposto, religiosamente e pieno di spirito di sacrificio, a combattere egli stesso per la sua esistenza (…) Non ci siamo ingannati sul funzionamento ineccepibile di tutta la nostra organizzazione del fronte, sul controllo del gigantesco territorio delle retrovie, e anche sulla nazione tedesca. Noi però ci siamo ingannati in qualcosa: non avevamo idea di quanto giganteschi fossero i preparativi del nemico contro la Germania e l’Europa, e di quanto fosse enormemente grande il pericolo, di come siamo a stento riusciti a evitare la distruzione non solo della Germania, ma di tutta l’Europa. Questo oggi posso dire! Lo dico oggi, perché oggi mi è permesso dirlo, che questo nemico è già stritolato e non si risolleverà mai più. Qui si è concentrata contro l’Europa una forza della quale purtroppo i più non avevano idea,, così come molti ancora oggi non l’hanno. Sarebbe diventato un altro assalto mongolico di un altro Gengis Khan. Che tale pericolo sia stato stornato, lo dobbiamo prima di tutto al valore, alla resistenza e allo spirito di sacrificio dei nostri soldati tedeschi, e poi anche al sacrificio di tutti coloro che hanno marciato con noi. Perché per la prima volta qualcosa come un risveglio europeo è corso attraverso il continente”.
Apprezzato il contributo di finlandesi, romeni, italiani, ungheresi, slovacchi, croati, spagnoli, belgi, olandesi, danesi, norvegesi e francesi alla lotta comune, Hitler ricorda la giustezza delle tesi degli anticomunisti:

“Ciò che il bolscevismo può fare degli uomini, ora l’abbiamo veduto. Non possiamo portare a conoscenza del paese le immagini che là sono a nostra disposizione. E’ la cosa più orrida che menti umane possano immaginare, un nemico che combatte da un lato per sete bestiale di sangue e dall’altro, insieme, per viltà e a causa dei suoi commissari. E’ un paese che i nostri soldati hanno ormai imparato a conoscere, questo paese che da quasi venticinque anni sta sotto il bolscevismo. E io so che chi è stato là, e in fondo al cuore forse poteva ancora essere comunista, sia pure nel senso più ideale, ritorna guarito da questa idea. Di questo potete essere convinti! Il “paradiso degli operai e dei contadini” io l’ho descritto giustamente. Alla fine di questa campagna, cinque o sei milioni di soldati confermeranno che dicevo la verità. Saranno testimoni che potrò citare. Essi hanno marciato sulle strade di questo paradiso. Non hanno potuto vivere nelle misere capanne di questo paradiso, tanto che non vi entrano affatto, a meno che non sia assolutamente necessario. Hanno visto le istituzioni di questo paradiso. Non si tratta che di una sola fabbrica d’armi a detrimento del tenore di vita degli uomini. Una fabbrica d’armi contro l’Europa!”.

Cosa catturarono i tedeschi

E invero, le aggressioni dell’Armata Rossa nel 1939-40 contro Polonia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e, soprattutto, Bessarabia e Bucovina Settentrionale, con l’assoggettamento di 24 milioni di uomini, per la cui criminale gestione – assassinii e deportazioni – ha mano libera la NKVD, e con lo spostamento dei confini a occidente per centinaia di chilometri, hanno avuto gli scopi di:

1. Creare teste di ponte per l’aggressione a Germania e Romania,

2. provare sul campo, in condizioni quanto più simili a quelle belliche, teorie e piani della Stavka, lo Stato Maggiore sovietico,

3. coprire la mobilitazione segreta e il trasferimento delle centinaia di divisioni e del loro equipaggiamento.

Decisivo per i successi tedeschi nell’estate 1941, e provvidenziale per l’impedimento della bolscevizzazione dell’intera Europa, è quindi l’attacco del 22 giugno. Esso viene favorito da parte sovietica dallo smantellamento di tutte le fortificazioni difensive che avrebbero impedito i movimenti delle truppe attaccanti, dei rincalzi e dei rifornimenti (si tenga peraltro presente, ben rileva Weeks, che nessuna fortificazione difensiva era stata eretta lungo i cinquecento chilometri della nuova linea di demarcazione tra URSS e Germania, cioè sui territori annessi nel giugno-luglio 1940; inoltre, smantellate le fortificazioni della vecchia Linea Stalin, il Distretto Speciale Occidentale può contare solo su 193 dei previsti 1.174 punti fortificati della nuova Linea Molotov), dall’eliminazione del filo spinato, dei bunker, dei campi minati e dalla rimozione delle cariche esplosive nei ponti in quanto l’attacco avrebbe dovuto svolgersi in territorio nemico e non su suolo sovietico, dalle nuove linee ferroviarie e dalla modernizzata rete stradale, costruita per il transito delle centinaia di divisioni, dallo scioglimento delle formazioni partigiane (i cui quadri direttivi del resto, secondo la paranoia staliniana, erano stati fucilati nelle purghe del 1937) e dall’asporto di armi, munizioni, esplosivi e attrezzature dalle loro basi, rese inutili dai piani di aggressione e non di difesa, dalla dislocazione avanzata delle flottiglie difensive dei grandi fiumi bielorussi-ucraino-russi, rimasti non più protetti. Ad esempio, nel Dnepr: 120 navi e motoscafi militari, compresi otto monitori di 2.000 tonnellate, con una corazza di oltre 100 mm e cannoni da 152 mm, affiancati da aerei, batterie costiere e contraeree; nel Danubio, del cui delta già il 26 ottobre 1940 Mosca aveva occupato alcune isole in posizione strategica: 70 navi e motoscafi da guerra fluviali, un reparto di aviazione da caccia, artiglieria da costa e contraerea; le difese fluviali di Pinsk comprendono 4 monitori e una ventina di altre navi, una squadriglia aerea, una compagnia di fanteria di Marina e altri reparti.
L’attacco tedesco permette di:

1. distruggere o catturare qualcosa come 25.000 vagoni ferroviari carichi di auto, camion, binari, ponti scomponibili, materiali del genio, tonnellate di volantini e manifesti in lingua polacca e tedesca, carte topografiche (nei distretti militari del Baltico e Kiev vengono catturati 200 vagoni di sole carte, riguardanti l’Europa Centrale, per un totale di duecento milioni di pezzi! Il 29 giugno cadono nelle mani di von Manstein carte geografiche in possesso dell’XI Armata sovietica, indicanti come primo traguardo la linea Rugen-Berlino-Dresda-Praga-Graz-Furfkirchen/Pecs-Fiume; assolutamente mancanti sono, al contrario, le carte geografiche e i piani per uno sganciamento difensivo e una ritirata, fattore questo tra i primi a creare scompiglio tra le centinaia di divisioni rosse), equipaggiamenti di ogni tipo (170.000 sono i tecnici del genio ferroviario sovietico presenti sul fronte, dotati del necessario per adeguare lo scartamento europeo al loro materiale rotabile), carburanti (“ai nodi ferroviari, e anche sui binari, erano ammassate circa 8.500 cisterne di carburante”, riporta Suvorov I – dato riportato anche da Becker I – citando il Maresciallo S.K. Kurkotkin e aggiungendo: “e si trattava soltanto delle cisterne ferme alle stazioni in attesa di essere scaricate nei primi giorni di guerra”, dalle cisterne più piccole da 20 tonnellate a quelle più usate da 62 tonnellate; si tenga presente che al 22 giugno l’esercito tedesco disponeva di carburanti che avrebbero permesso un avanzamento di solo 700-800 chilometri!), cemento e carbone (nella sola Brest-Litovsk cadono in mano tedesca 10 milioni di litri di benzina; nei porti lituani e lettoni vengono catturati intatti i tre quarti dei combustibili destinati alla flotta del Baltico, dislocata in posizione d’attacco),
2. catturare intatti e riutilizzare non solo fino a 2.000 cannoni di ogni calibro (centinaia di cannoni controcarro da 75 mm verranno persino inviati oltremare e reimpiegati dall’Afrikakorps, mentre altrettanti pezzi dell’artiglieria più varia andranno a guarnire il Vallo Atlantico e migliaia di lanciafiamme saranno assegnati alle truppe a Occidente!), ma anche 500.000 tonnellate di proiettili ancora accatastati nei vagoni (nel solo piccolo scalo di Kalinovka/Ucraina stazionano 1.500 vagoni di munizioni!): riporta il generale di artiglieria I. Volkotrubenko che sul fronte andarono persi 4.216 vagoni di sole munizioni (e a immaginare quanto siano state preziose per gli “aggressori” tedeschi, si pensi che nell’ottobre e dicembre 1941 di fronte ad un utilizzo mensile rispettivo di 561.000 e 494.000 proiettili d’artiglieria da 75 mm, il Reich, non ancora convertito ad un’economia bellica, ne produsse 76.000 e 18.000, vale a dire meno di un decimo, i restanti 960.000 utilizzati essendo proiettili di provenienza sovietica!),
3. sottrarre al nemico, dal giugno al novembre, la produzione di qualcosa come 303 fabbriche di polvere e munizioni, talora fatte direttamente saltare attuando la politica della “terra bruciata” davanti agli invasori (ordine di Stalin del 3 luglio), più spesso smantellate, trasferite e col tempo ricostruite dietro gli Urali (annualmente: 101 milioni di granate, 32 milioni di proiettili, 24 milioni di bombe d’aereo, 61 milioni di bossoli, 30 milioni di bombe a mano, 93.600 tonnellate di polvere, 3.600 tonnellate di tritolo), in particolare a Zaporozhe, Dnepropetrovsk, Dneprodzerzinsk, Krivoj Rog e Leningrado, vale a dire l’85% della capacità produttiva militare (quanto ad aspetti più generali, nel primo anno di guerra, cioè fino all’estate 1942, l’URSS perde il 40-45% della capacità produttiva globale).
Citando Suvorov (V), commenta Naumann: “Mai nella storia un’Armata è sopravvissuta a una simile catastrofe. L’Armata Rossa formidabilmente impostata e addestrata fu distrutta o catturata nei primi mesi di guerra. Nel 1941 perse 5,3 milioni di soldati e ufficiali, tra caduti, prigionieri e dispersi. Ad essi vanno aggiunti i feriti gravi e gravissimi. L’intera Armata sovietica dell’anteguerra era distrutta (…) A causa della sua rapida ritirata, nei territori occupati dal nemico restò un’ulteriore riserva militare di 5,36 milioni di uomini atti alle armi, che non poterono più essere richiamati. Nello stesso anno l’Armata Rossa perse 6.290.000 armi da fuoco”. Con tale materiale si sarebbe potuto armare due volte l’intera Wehrmacht. Nello stesso arco di tempo l’Armata Rossa perse 20.500 carri armati. Abbastanza, da armare 5 eserciti grandi come la Wehrmacht. Questa massa di carri armati sarebbe stata sufficiente non solo per la Germania del 1941, ma anche per gli USA, Gran Bretagna, Giappone, Italia e Spagna messi assieme. Carri armati di una qualità che nessuno di questi sei paesi poteva produrre. “Nel 1941 l’Armata Rossa perse 10.300 aeroplani. Con essi si sarebbe potuta equipaggiare completamente la Luftwaffe. Con aerei di altissima qualità. Ai nostri II-2, Pe-2, Jak-2, Jak-4, Er-2, DB-3F, Pe-8 Hitler non poteva opporre niente di simile (…) Le perdite dell’artiglieria nelle prime sei settimane di guerra toccarono i 101.100 cannoni e lanciagranate. Anche questo sufficiente per armare gli eserciti di tutti i paesi del mondo, e non una, ma più volte. E’ nuovamente coi migliori prototipi di cannoni, obici, mortai e lanciagranate (…) sul confine restarono munizioni per più di un milione di tonnellate”.
Dopo aver rilevato che “solo a parole Htiler era un adepto del motto “cannoni invece del burro” (di fronte ad una produzione di 500 corazzati nell’intero 1940, l’URSS ne produce 5.500 per il 1941; ai 6 miliardi di dollari di armamenti prodotti dal Reich nel 1941, si oppongono gli 11 miliardi di USA-Inghilterra e gli 8,5 dell’URSS, valori tutti al 1944; la percentuale della produzione bellica sull’intera produzione industriale tedesca è del 15 nel 1941, del 26 nel 1942 e salirà al 50 solo nel 1944), nel “Il giorno M” Suvorov (III) si chiede cosa sarebbe successo se l’attacco preventivo tedesco non fosse stato scagliato per tempo o non fosse riuscito: “In tal caso Stalin non avrebbe utilizzato solo il 15% della capacità produttiva del Commissariato del Popolo al Munizionamento, ma l’intero 100%. Quale andamento avrebbe allora avuto la Seconda Guerra Mondiale?”. Si tenga inoltre presente che, malgrado la perdita del bacino industriale ucraino, col 15% rimasto l’URSS riuscì a produrre, durante la guerra, ancora 100.000 corazzati (per inciso, singolare il dato di Scheil (II), che c’informa che nell’industria sovietica degli armamenti, depauperata dei milioni di operai richiamati alle armi, furono impiegati sei milioni di cinesi)!
Certo imponente e anzi decisivo l’aiuto degli USA negli anni 1941-1945, consistente non tanto in mezzi bellici, quanto in forniture di materie prime, prodotti semilavorati e lavorati ed attrezzature per un valore, stimato dal maggiore G. R. Jordan e dettagliato da Von Thadden (IV) in 37 pagine, di 9,6 miliardi di dollari dell’epoca, somma che possiamo stimare oggi in qualcosa come 250 miliardi di euro (l’Economics Division del Congressional Research Service dà invece, in un rapporto del 29 febbraio 1980, la cifra di 11 miliardi, 171 milioni e 470 dollari).
Il 21° rapporto al Congresso sulle operazioni lend-lease (affitti e prestiti) riporta, al 30 settembre 1945, la fornitura all’URSS di: 14.795 aerei (in parallelo, l’Arsenale delle Democrazie ne fornisce al Commonwealth, riporta Tullio Marcon, 39.989), 7.056 carri armati, 51.503 jeep (in Stalins verhinderter Erstschlag – Htiler estickt die Weltrevolution, “L’offensiva frustrata di Stalin – Hitler spegne la rivoluzione mondiale”, Suvorov IV scrive 50.501), 375.883 autocarri (secondo Suvorov, 427.284), 35.170 motociclette, 8.071 trattori, 8.218 cannoni, 131.633 mitragliatrici, 345.735 tonnellate di esplosivi, macchinari da costruzione per un valore di 10 milioni e 910.000 dollari, 11.155 vagoni merci, 1.981 locomotive, 90 navi da carico, 105 cacciasommergibili, 197 torpediniere, 7.784 motori navali, 4.478.000 tonnellate di generi alimentari (Suvorov scrive 3.820.906, soprattutto carne in scatola, burro, cioccolato, etc.), macchine ed equipaggiamento vario per un valore di un miliardo 87 milioni e 965.000 dollari, tra cui centinaia di migliaia di radiotrasmittenti, telefoni da campo, cucine da campo, apparecchiature ottiche, ferri chirurgici, lampadine, binari ferroviari, filo spinato, paracadute, torni, presse da fusione, bulldozer, reti mimetiche, etc. (Suvorov riporta anche 8.089 macchine per la posa di binari ferroviari), 802.000 tonnellate di metalli non ferrosi quali alluminio, zinco, bronzo, piombo, cobalto, berillio, nickel, molibdeno, cadmio, leghe di magnesio (Suvorov aggiunge 2.317.694 tonnellate di acciaio), 2.670.000 tonnellate (2.541.008) di prodotti petroliferi, 106 milioni e 893.000 metri di prodotti chimici, 49.860 tonnellate (50.413) di cuoiami, 3.786.000 pneumatici (oltre a 81.000 tonnellate di gomma), 15.417.000 (15.010.900) paia di stivali e bottoni per un valore di 1.647.000 dollari. Tutto questo ben di dio giunge sui fronti sovietici per quasi una metà attraverso il porto di Vladivostok, lasciato indisturbato dai giapponesi, e per un quarto attraverso la Persia e la rotta per Murmansk.
Infine, ricorda Suvorov, non si dimentichi che la collaborazione pre-bellica da parte di Washington data perlomeno dall’autunno 1938, come informa il rapporto n. 800.51 W 89 USSR/247, stilato al Dipartimento di Stato dall’ambasciatore a Mosca Joseph Davis in data 7 gennaio 1939, o da un documento, sempre del Dipartimento di Stato, che nel marzo 1939 riferisce della partecipazione americana alla costruzione di sommergibili sovietici. Agli 11 e rotti miliardi di cui sopra concessi a Mosca, il Congressional Research Service aggiunge gli aiuti forniti a Londra per 30 miliardi, 735 milioni e 304 dollari-oro.
Condivisibile, quindi, la tesi di Joachim Nolywaika (I): “Meglio di migliaia di documenti, tali cifre mettono in luce la responsabilità finanziaria di Roosevelt e del suo ministro del Tesoro Morgenthau nel prolungare e inasprire il conflitto, del quale essi furono i massimi fautori”.
E non solo nel prolungare e inasprire, ma proprio nello scatenare il conflitto (oltre che nel trarne un cospicuo lucro), poiché dal 1° gennaio al 5 settembre 1939, come riporta Hans Bernhardt, il “neutrale” paese di Dio fornisce materiale bellico alla Francia per un valore di 16 milioni di dollari e all’Inghilterra di 21 milioni (ma, giusto per essere imparziali, anche al reich: per 23.000 dollari); in settembre la Francia riceve rifornimenti per 4.429.323 dollari e l’Inghilterra per 1.422.800 dollari: in dicembre, la Francia e l’Inghilterra vengono tonificate da materiale bellico per valori, rispettivamente, di 17.857.281 e 4.184.377 dollari.

“Terra bruciata”

Al contrario, la politica staliniana della “terra bruciata”, e cioè l’asportazione o la distruzione di quanto potesse essere di qualche utilità al nemico, come depositi di cereali e in genere di viveri (nel giugno-luglio 1941, scrive Pleshakov, dalla sola Bielorussia vengono messi in salvo 13.000 automezzi, 4.000 trattori, 842 tonnellate di metalli pregiati e 600.000 capi di bestiame, mentre delle 150.000 tonnellate di grano 42.000 vengono distrutte sul posto e 44.000 asportate), l’avvelenamento e la distruzione delle fonti d’acqua, la distruzione di ponti, etc. (con intuibile ricaduta, quanto ai più vari disagi, sulla popolazione sovietica rimasta sul posto), sottrae ai tedeschi miniere, impianti industriali, depositi di macchine, raffinerie, impianti petroliferi e infinite altre strutture.
Quanto al potenziale umano, l’evacuazione –volontaria o coatta – dopo il 22 giugno, della popolazione dei territori che sarebbero stati liberati dalle truppe europee è dell’ordine di 22-25 milioni di persone (per il Grande Esodo di impianti e persone, il responsabile, l’ebreo Lazar Kaganovic, utilizza qualcosa come 1.500.000 vagoni ferroviari), per cui in quelle regioni restano, sotto il controllo e a disposizione degli “occupanti” al momento della massima espansione, non più di 60 milioni di persone (ma Pleshakov continua a scrivere 74.531.000).
Quanto al potenziale agricolo-industriale commenta, in Poeppel H. et al., Walter Post: “A differenza delle iniziali speranze di Hitler di ottenere grandi quantità di cereali, carbone, ferro e petrolio dall’Ucraina e dal Caucaso i territori occupati minacciarono di diventare un grave peso economico-produttivo per la Germania. Il (capo del Wehrwirtschafts- und Rustungsamt “Ufficio dell’Economia Militare e degli Armamenti” Generale Georg Thomas ebbe ragione nel suo scetticismo. Per quanto poterono, nella ritirata appositi battaglioni sovietici distrussero nel 1941 strutture ferroviarie, depositi di materie prime, impianti industriali, centrali elettriche, miniere e macchinari agricoli. Egualmente distrutta o trasferita ad est fu gran parte delle scorte alimentari e del bestiame. Impianti produttivi, macchinari, materie prime, vagoni e locomotive, e tutto il personale specializzato, vennero trasportati dietro gli Urali con una grandiosa operazione; si trattò in tutto di 1.523 impianti industriali, tra cui 1.360 grandi impianti per l’industria bellica. Nei territori evacuati la vita economica quasi si azzerò. Un testimone oculare tedesco riferì: “Tutto il sistema centralizzato di commercio e distribuzione è a pezzi; i depositi sono stati incendiati, asportati o saccheggiati; l’apparato amministrativo è stato sciolto, evacuato o liquidato. In parte o in tutto sono state distrutte fabbriche e aziende, distrutte le loro macchine. Le centrali elettriche sono state fatte saltare e i loro macchinari sono stati dispersi o nascosti. I ricambi sono introvabili o sono stati intenzionalmente confusi tra loro. Tutte le istruzioni per l’uso sono state distrutte, i combustibili e l’olio lubrificante sono stati incendiati o saccheggiati. Non c’è più elettricità. Spesso non funziona neppure l’approvvigionamento idrico, e mancano i tecnici per ripararlo”.
“Lo Wirtschaftsstab Ost (un ufficio economico della Wehrmacht) e il Ministero del Reich per i Territori Occupati compilarono insieme statistiche che documentano la catastrofica recessione della vita economica. Le centrali elettriche installate dai sovietici nella Russia europea avevano avuto una produttività di 12 milioni di kW; fino al 1943 ne caddero in mani tedesche per quasi 3 milioni. Ma gli occupanti ne trovarono a disposizione solo 300.000. Molto grave fu la situazione in Ucraina, dov’era stato distrutto il 95% della capacità produttiva elettrica. La famosa, gigantesca centrale del Dnepr a Zaporozhe era stata pressoché demolita; i tedeschi la ricostruirono fino al gennaio 1943. Nel marzo la produzione elettrica nei territori occupati toccò di nuovo i 630.000 kW, corrispondenti tuttavia solo al 21% della produzione anteguerra (…) Le forniture di carbone, ferro, acciaio, elettricità e cemento erano in pratica nulle. Malgrado tutto l’impegno ricostruttivo dei tedeschi, nelle industrie dei territori occupati lavoravano all’inizio del 1943 solo 589.000 operai, e ciò in una regione nella quale anteguerra avevano vissuto oltre 50 milioni di persone. Poiché a causa delle misure evacuative attuate dai sovietici, pesante era la carenza di personale specializzato, 10.000 specialisti civili dovettero essere inviati dalla Germani in quei territori”.
Ed ancora: “In questi gravi frangenti, la popolazione contadina poteva ancora alimentarsi in qualche modo, ma le grandi città erano alla fame. La Wehrmacht e l’amministrazione tedesca dovettero spesso distribuire alla popolazione cittadina le scorte tenute in serbo per la semina, cosa che fece ovviamente diminuire il raccolto dell’anno seguente. Un’ulteriore aggravio della situazione alimentare fu il movimento partigiano in rapida crescita, che rese sempre più difficile il raccolto. Inoltre, gli occupanti tedeschi non gravarono mai sui contadini spietatamente come i sovietici. In ogni caso, la speranza dei capi tedeschi di poter asportare dall’Ucraina 5-10 milioni di tonnellate di granosi rivelò assolutamente irrealistica. Per risollevare le sorti dell’agricoltura nei territori occupati, la Germania inviò anzi notevoli mezzi. Nel quadro dell’Ostackerprogramm (“Programma per l’agricoltura all’Est”), durante l’occupazione giunsero, tra l’altro, dal Reich oltre 70.000 trattori, 16.000 generatori a gas di legna, 5.000 rimorchi per trattore, 306.000 aratri da tiro, 99.000 erpici e tre milioni di falci. Per incrementare il patrimonio animale, partirono per l’est decine di migliaia di buoi, mucche, maiali e stalloni. Alla fine del 1943 gli aiuti agricoli tedeschi avevano toccato 510 milioni di Reichsmark. Un rapporto tedesco alla fine del 1944 stimò il valore totale dei prodotti agricoli inviati in Germania da quei territori in 4 miliardi di marchi; in ogni caso, una parte di tali rifornimenti fu distribuita alla popolazione dei territori occupati”.
Quanto all’altrettanto importante ricostruzione industriale: “Tra il luglio 1941 e il dicembre 1943 il Reich investì circa un miliardo di marchi nei settori minerario, energetico e industriale. Un altro miliardo fu impiegato per il ripristino del sistema ferroviario e stradale. Vennero inoltre inviate dal Reich quasi 19,5 milioni di tonnellate di carbone, soprattutto per il traffico ferroviario (a confronto, nei territori occupati si reperirono o produssero 7,4 milioni di tonnellate di carbone). In tal modo gli aiuti tedeschi per la ricostruzione industriale e delle infrastrutture sfiorarono i 2,5 miliardi di marchi, cifra superiore al valore netto dell’intera produzione industriale nei territori occupati, valutata quasi 2 miliardi di marchi. Coi 510 milioni di marchi per l’agricoltura, gli aiuti economici tedeschi per l’intera economia dei territori sovietici occupati toccò circa 3 miliardi di marchi, cifra equivalente all’1% del prodotto nazionale lordo tedesco degli anni 1943-1943. L’entità degli aiuti può essere rettamente valutata solo avendo presente che il valore di tutto l’export tedesco del 1936 aveva toccato i 5 miliardi di marchi”.
In relazione alle “repressioni”/”devastazioni” imputate ai tedeschi in conseguenza dell’attività partigiana scatenata alle spalle dei fronti – ma senza entrare nel merito e rimanendo per il dettaglio alla Bibliografia generale – citiamo infine la questione delle “stragi naziste”, assolutamente gonfiata dapprima dalla propaganda di guerra sovietica, di poi dai pedissequi storici. Interessante per la luce che getta su tale aspetto è l’ordine segreto di Stalin n. 0428 del 17 novembre 1941, caduto in mani tedesche e riemerso dopo un buio cinquantennale dagli Archivi Nazionali di Washington (riportato in Nolywaika II):

1. Tutti gli acquartieramenti dove si trovano truppe tedesche devono essere distrutti e incendiati per una profondità di 40-60 chilometri dal fronte principale, da 20 a 30 chilometri a destra e a sinistra delle strade (principali). Per la distruzione degli acquartieramenti in tale raggio deve operare l’aviazione, devono essere impiegate in quantità artiglierie e lanciabombe, ed egualmente squadre di ricognizione, di sciatori e gruppi divisionali di partigiani, attrezzati con bombe incendiarie. Per la maggior parte i commando devono condurre azioni di annientamento vestiti con uniformi preda di guerra dell’esercito tedesco. Ciò provocherà l’odio contro gli occupanti fascisti e favorirà l’attività dei partigiani alle spalle dei fascisti. Occorrerà provvedere a lasciarsi indietro dei sopravvissuti, che possano riferire delle crudeltà delle azioni “tedesche”. 2. Allo scopo devono essere formati in ogni reggimento commando di 20-30 uomini col compito di far saltare e incendiare gli acquartieramenti. Per queste azioni di annientamento degli acquartieramenti devono essere scelti militari coraggiosi. Sono da proporre per decorazioni in particolare coloro che dietro le linee tedesche annienteranno gli acquartieramenti vestendo uniformi tedesche. Tra la popolazione occorre diffondere la notizia che i tedeschi incendiano i villaggi e i centri abitati per punire i partigiani”.

Considerazioni strategiche

Ma tornando ad argomenti più strettamente militari, ecco ancora il commento di Suvorov (II) ne “Il rompighiaccio – Hitler nei calcoli di Stalin”: “Cosa sarebbe successo se le migliori truppe tedesche avessero lasciato il continente per portarsi in Africa e sbarcare nelle isole britanniche, mentre alle loro spalle l’Armata Rossa distruggeva (con l’attacco, pianificato da anni, alla Germania e alla Romania) l’unica fonte tedesca di carburanti? (…) Se consideriamo unità aggressive i gruppi corazzati tedeschi dotati di un numero di carri armati che va da 600 a 1.000, come dovremmo allora definire la 6a, 9a e 10° Armata sovietiche (dotate ognuna di oltre 2.000 carri)?”
O infine che dire, nello specifico, della 9° Armata d’Assalto, schierata non a ridosso dei confini tedeschi, nell’importantissimo settore delle pianure polacche a difesa centrale della “sacra patria” sovietica, ma ammassata all’estremo sud contro il pressoché indifeso confine romeno e le zone petrolifere di Ploesti? Raggruppando essa sola 7 divisioni di Fucilieri, 2 di cavalleria, 2 motorizzate, 2 aeree e 4 corazzate – e in attesa di aggregare le 3 divisioni del 27° Corpo – tale super-armata di super-assalto risulta dotata di oltre 3.341 carri armati (in realtà 3.725, secondo i più recenti dati), mezzi non solo quantitativamente equivalenti all’intera disponibilità della Wehrmacht, ma qualitativamente ancora migliori di quelli tedeschi?
Ed ancora: “La guerra non ebbe l’inizio che Stalin avrebbe voluto, e perciò non finì neppure come Stalin avrebbe voluto: egli si prese solo mezza Europa (…) Non sappiamo dove sia nata la leggenda che il 22 giugno 1941 Hitler ha iniziato la guerra all’Est e costretto l’Unione Sovietica alla guerra. Se, al contrario, ascoltiamo coloro che in quei giorni, ore e minuti furono in effettivo e stretto rapporto coi massimi capi sovietici, il quadro è tutt’altro: il 22 giugno Hitler ha scompaginato i piani di guerra sovietici perché ha portato la guerra nel paese nel quale il 19 agosto 1939 era stato partorito un altro piano. Ai capi sovietici, Hitler non ha permesso di condurre la loro guerra, come avevano progettato, e li ha costretti a improvvisare e fare ciò cui non erano preparati: a difendere il loro stesso paese (…) La reazione dell’Armata Rossa all’invasione tedesca non è la reazione di un istrice che mostra gli aculei, ma quella di un coccodrillo che improvvisamente ha ricevuto un violento colpo (…) Quanto avanti sarebbe strisciato il coccodrillo sovietico se non fosse stato colpito all’improvviso il 22 giugno, se non avesse perso centinaia di aerei e migliaia di carri, se il primo colpo non fosse stato sferrato dalle truppe tedesche ma dall’Armata Rossa?”.
E già Suvorov (I) aveva, fin dal 1986, riassunto la questione con estrema chiarezza: “Lo studio più attento delle azioni di Stalin durante quel periodo critico rende evidente che esse non furono una reazione alle mosse di Hitler. Stalin si comportò secondo i suoi propri piani, che prevedevano la totale concentrazione delle truppe sovietiche sulla frontiera per il 10 luglio. Nel valutare ciò che quei piani comportavano, è importante considerare quello che sarebbe successo se Hitler non avesse attaccato prima di quella data e Stalin avesse avuto la possibilità di completare tranquillamente e segretamente il concentramento delle sue truppe sulla frontiera tedesca. Alcune conclusioni sono incontrovertibili.
“Primo: le divisioni mobilitate non potevano ritornare nei lontani distretti di provenienza. Un tale nuovo movimento avrebbe assorbito l’intera capacità del sistema di comunicazioni ferroviario per molti mesi e si sarebbe risolto in una catastrofe economica. Secondo: questa immensa forza non poteva essere destinata a passare l’inverno là dove era stata segretamente concentrata. Le nuove divisioni create e raccolte nella zona di frontiera erano molte di più di quelle già destinate a passare nei ricoveri l’inverno 1940-41. E all’inizio del 1940 nella neo-acquistata zona occidentale polacca di frontiera i centri di addestramento, i poligoni di artiglieria e di fanteria erano insufficienti persino per le divisioni colà esistenti. E quelle truppe non potevano permettersi di perdere rapidamente la capacità di fuoco. Nelle maggiori e più complesse azioni dell’uomo esiste un momento critico in cui gli eventi raggiungono un punto di non ritorno. Per l’Unione Sovietica, questo momento cade il 13 giugno 1941, quando masse di truppe sovietiche si mossero segretamente e inesorabilmente verso la frontiera tedesca. Passato quel giorno, per ragioni economiche e militari i sovietici non potevano più farle tornare indietro o fermarle (7).
“Così cominciò la guerra per i sovietici, inevitabilmente e indipendentemente da ciò che Stalin poteva avere programmato. In definitiva, la composizione e la dislocazione delle forze sovietiche non indicavano che fossero intenzionate a rimanere nella zona di frontiera. Le caratteristiche di un corpo come quello aviotrasportato, “sbattuto” in primissima linea “difensiva”, le unità di artiglieria in posizione avanzata, lo smantellamento della linea Stalin (compreso l’invio in Mar Nero e alle foci del Danubio delle flottiglie difensive dei grandi fiumi Bug, Dnestr e Dnepr) e l’assenza di qualsiasi difesa nonostante gli sforzi di crearne una, non attestano certo l’intenzione sovietica di mantenere una posizione difensiva permanente lungo la frontiera. Inoltre, se tutto ciò e visto nel contesto della già ricordata dottrina di Zhukov (nei distretti di frontiera, anche in tempo di pace dovevano esserci truppe in grado di entrare in territorio nemico sin dal primo giorno di guerra per “rompere” la mobilitazione del nemico e coprire la propria), diventa chiaro che l’unica credibile intenzione che Stalin poteva avere era quella di cominciare, lui pure, la guerra nell’estate del 1941”.
Tesi ribadite a Massimo Caprara un quindicennio più tardi: “Da gennaio a febbraio 1941 Stalin iniziò a spostare le truppe sovietiche verso i confini tedeschi. Il 13 giugno 1941 si diede inizio allo spostamento segreto verso i confini occidentali di ben sette Armate sovietiche contemporaneamente. Si trattò del più colossale spostamento di truppe di tutta la storia dell’umanità. Fra le truppe che contavano milioni di uomini, c’erano centinaia di migliaia di prigionieri dei gulag che Stalin aveva fatto uscire dai campi e che aveva armato. Era ormai impossibile togliere loro le armi e rispedirli nei lager”.
Assolutamente inconsistente, quindi, l’abusata tesi che un pacifico, addirittura impaurito Stalin muovesse tali masse per affrontare a difesa la Wehrmacht:

“Stalin non aveva alcun piano difensivo. Nemmeno una divisione, nemmeno un corpo d’Armata, nemmeno una delle ventisei armate si preparava alla difesa. Nessuno scavava fosse o trincee, nessuno stendeva filo spinato, nessuno piazzava mine. Tutt’altro. La differenza consisteva nel fatto che Hitler aveva 3.500 carri armati e Stalin 24.000, compresi i migliori al mondo. Hitler non aveva nemmeno un carro armato natante. Stalin ne aveva 2.000. Hitler aveva 2.500 aerei da combattimento, Stalin 22.000”.

Inoltre, conclude Caprara, gli Osnaz erano le formazioni d’assalto più aggressive della macchina punitiva sovietica. Andavano famose per la loro spietatezza durante la guerra civile. Nella prima metà del 1941 comparve infatti una seconda divisione Osnaz e immediatamente un intero corpo Osnaz dell’NKVD, armati di obici offensivi. “Il compagno Stalin, quali altri territori aveva in mente di depurare?”, si chiede Suvorov. Con questo agghiacciante interrogativo e con una documentatissima intervista, assai più folta ed appassionata di quanto sia possibile riferire, termina la sua esposizione. Ce n’è di che abbondantemente pensare al passato e all’avvenire”.
Ben difficilmente contestabili, quindi, le conclusioni di due tedeschi. La prima, ripetutaci da David Pike, la risposta di un prigioniero tedesco del campo di Krasnogorsk, nei pressi di Mosca, al comunista Erich Weinert: “Neghi che Hitler ha invaso a tradimento l’Unione Sovietica?”. “Non ha invaso l’Unione Sovietica, ha solo preceduto un’invasione compiuta dall’Unione Sovietica”. “E perché l’Unione Sovietica avrebbe dovuto invadere la Germania?”. “Per diffondere il bolscevismo in Germania. L’obiettivo dei comunisti, dopo tutto, è la rivoluzione mondiale”.

La seconda, il discorso del Fuhrer il 30 gennaio 1943:

“Appena oggi, nel decimo anniversario dell’ascesa al potere, ci rendiamo esattamente conto di quello che sarebbe successo della Germania e dell’Europa se al 30 gennaio 1933 la Provvidenza non avesse – per tramite del Presidente del Reich Maresciallo von Hindenburg – affidato al nazionalsocialismo il potere (…) che sarebbe successo del popolo tedesco e dell’Europa se il 22 giugno 1941, proprio all’ultimo momento, il nuovo esercito tedesco non avesse fatto scudo di sé al continente? Chi mai crederà che le ridicole garanzie cartacee degli uomini di Stato britannici avrebbero salvato il mondo dall’attacco di una potenza la quale – come oggi cinicamente dichiarano i corrispondenti dei giornali d’America – da vent’anni aveva un fine solo, quello di saltare addosso, come al tempo delle trasmigrazioni dei popoli o delle invasioni dei mongoli, all’Europa, di annientarne la cultura e soprattutto di far strage delle sue genti per ricavarne degli schiavi per le tundre siberiane? Quale Stato se non la Germania avrebbe potuto affrontare quel pericolo? Se dal 1941 in poi la maggior parte d’Europa si stringe attorno alla Germania nella lotta contro il pericolo d’oriente, questo avviene soltanto perché la Germania, nel 1933, aveva creato le premesse politiche, morali e materiali atte a condurre oggi una lotta nella quale si decide dell’avvenire del mondo. Come allora non v’erano nell’interno che due possibilità: o la vittoria della rivoluzione nazionalsocialista, e con ciò il metodico risorgimento sociale del Reich, oppure il sovvertimento bolscevico con la catastrofe e l’asservimento di tutti, così anche oggi v’è solo una di queste due alternative: o vincono la Germania e i paesi ad essa associati, e quindi l’Europa, o l’ondata asiatica bolscevica partendo da oriente si riverserà sul Continente di più antica civiltà, abbattendo e distruggendo tutto, com’è successo in Russia. Soltanto dei sognatori con la testa fra le nuvole possono prestar fede alle chiacchiere ebraiche che una qualche dichiarazione cartacea, inglese o americana, potrà essere in grado di arrestare una simile catastrofe universale”.

Partenza ritardata: un errore?

Un luogo abusato contro gli italiani, ripetuto sulla scia delle esternazioni compiute da Hitler in particolare il 15, 17 e 26 febbraio 1945, è che l’Operazione Barbarossa sarebbe fallita principalmente per la perdita del mese e mezzo impiegato dai tedeschi per correre in aiuto agli alleati in difficoltà nei Balcani e per ovviare alle complicazioni (complotti sovietico-britannici e sommosse nel governo jugoslavo filo-Asse, possibilità per gli inglesi dell’uso di basi greche per bombardare i pozzi petroliferi romeni, etc.) venutesi a creare a causa dell’intervento contro la Grecia iniziato da Roma il 28 ottobre 1940 (intervento compiuto in parte anche in stupida funzione anti-tedesca e comunque nell’esiziale strategia della “guerra parallela”): Ricordiamo il 17 febbraio 1945: “Se la guerra fosse rimasta una guerra condotta dalla Germania e non dall’Asse, saremmo stati in grado di attaccare la Russia entro il 15 maggio 1941. Doppiamente rafforzati dal fatto che le nostre forze avevano riportato soltanto vittorie decisive e inconfutabili, avremmo potuto concludere la campagna prima dell’inizio dell’inverno”. In verità, per quanto mal gestita anche a causa delle velleità e dell’incompetenza dei vertici politici fascisti nonché dei traditori della cricca generalizia del Maresciallo Badoglio, l’improvvida apertura delle ostilità contro la Grecia non è da porre in conto del fallimento della strategia orientale di Berlino.
A prescindere dai ben più gravi tradimenti interni che colpirono la dirigenza politica e militare tedesca, teniamo presente che l’anticipo dell’attacco a metà maggio, a parte considerazioni di più ampia portata geopolitica, avrebbe trovato:
1. un numero di divisioni tedesche schierate nettamente inferiori (88) a quello, peraltro già cospicuo, del 22 giugno (153),
2. un numero di divisioni sovietiche non solo ancora superiore (190 + 47 del secondo scaglione) ma, soprattutto, non così disperse e/o squilibrate in senso offensivo, bensì ancora all’interno del loro territorio, in grado quindi di riorganizzarsi a difesa e contrattacco molto più rapidamente,
3. la presenza di campi, strade e ponti minati, così come delle flottiglie difensive sui grandi fiumi russi, flottiglie poi spostate nel Mar Nero per l’assalto alla Romania, e le linee difensive Stalin e Molotov ancora pressoché intatte, linee poi demolite o abbandonate in quanto giudicate superflue per la strategia aggressiva sovietica ed anzi tali da ostacolare lo schieramento offensivo dell’imponente massa d’urto del Primo, Secondo e Terzo Scaglione,
4. i grandi fiumi: Bug settentrionale, Niemen, Dvina, Prut, Dnestr, Bug meridionale e Dnepr, così come le grandi paludi del Pripjet, tutti con flusso in direzione nord-sud e quindi tutti da attraversare, ancora più gonfi d’acqua perle conseguenze di un inverno con copiose nevicate e abbondanti piogge primaverili,
5. l’assenza degli immensi rifornimenti sovietici di ogni tipo ammassati nei pressi del confine e dai tedeschi catturati ed usati per le proprie esigenze(carburanti, munizionamento del più vario, binari e traversine ferroviarie, mezzi da combattimento e materiale di ogni tipo, etc.).

Politica obbligata

Le considerazioni conclusive le lasciamo interamente, causa l’ampio sguardo storico e l’estrema chiarezza espositiva, a Vajda e Dancey:

“Nel 1933 Hitler divenne dittatore col consenso, sia interno dei tedeschi che esterno delle nazioni. Della comunità internazionale solo i sovietici non l’accettarono, incoraggiando nell’opposizione i comunisti tedeschi. Naturalmente i nazionalsocialisti affrontarono in primo luogo il problema principale di quegli anni, la disoccupazione. Vennero lanciate grandi opere pubbliche,costruite autostrade, risanati terreni e migliorate le infrastrutture agricole, costruiti nuovi impianti industriali…I sindacati vennero aboliti e fu creato un unico sistema di cooperazione la Deutsche Arbeitsfront, il Fronte Tedesco del Lavoro. L’obiettivo era di unire il popolo, l’unione pacifica dei suoi sforzi, delle sue risorse e delle sue finanze per edificare quanto prima un’economia sana, una forte Germania nella quale ogni tedesco avrebbe trovato lavoro, tranne ovviamente gli oppositori del nuovo regime. Nei loro sforzi di unire il popolo, i nazionalsocialisti curarono i minimi dettagli. Il 20 agosto 1933 fu inaugurato a Berlino un Salone della Radio. L’obiettivo era di fornire una radio ad ogni famiglia. Ventotto ditte furono invitate a produrre una “radio del popolo”, da porre in vendita al basso prezzo di 76 marchi. Ogni famiglia tedesca avrebbe dovuto averne una. Il primo giorno ne furono vendute oltre 100.000…Più avanti Hitler ideò la Volkswagen, o “auto del popolo”, una per ogni famiglia, per 1.000 marchi…

Al 30 settembre 1933, il numero dei disoccupati era precipitato a 3.849.000. (Dai 5.598.855 disoccupati presenti il 5 marzo), i nazionalsocialisti avevano ridotto la disoccupazione del 31% in meno di sette mesi. Un vero miracolo! Il 12 novembre 1933 la NSDAP ottenne il 92,1% dei voti. Il futuro del Reich era assicurato sotto la guida del Fuhrer. La fiducia di Hitler e degli 80 milioni di suoi concittadini era ben motivata. I tedeschi erano industriosi, inventivi e artistici. Producevano grandi artigiani, ingegneri, scienziati, filosofi e compositori. Hitler era costantemente all’opera per rafforzare sempre di più il carattere e gli sforzi del suo popolo. Comunque, è difficile definire esattamente perché… A meno che non fosse per prepararlo per le possibili avversità future. Indubbiamente, il popolo tedesco dopo dieci anni di indottrinamento resistette con molto stoicismo agli attacchi aerei alleati che annientavano centinaia di migliaia di persone. Il Fuhrer aveva costruito il movimento nazionalsocialista non sulla base di un capriccioso voto elettorale, ma sul Volk, sul popolo; e il popolo gli aveva dato una vasta maggioranza e un incondizionato sostegno fino alla fine. Nelle pagine precedenti abbiamo visto come nel tempo la Germania costruì una forte industria aeronautica e di armamenti. All’inizio essa fu un mezzo per eliminare la disoccupazione e solo in un secondo tempo un’arma per difendere la Germania. Fin dai primi anni Hitler fu terrorizzato dall’idea che potenze straniere come la Cecoslovacchia, la Francia, la Polonia, l’URSS, etc., avrebbero potuto attaccare con estrema facilità l’allora indifesa Germania e abbattere il nazionalsocialismo.

Per questo nel 1933 egli chiese il disarmo totale di ogni paese europeo, o il permesso di un parziale riarmo tedesco. Le richieste vennero respinte da quei paesi, in particolare la Francia. Il primo successo politico del reich fu il patto di non-aggressione con la Polonia agli inizi del 1934. Comunque, l’incontro di Hitler con Mussolini nel luglio 1934 a Venezia non ebbe successo, in primo luogo a causa della questione austriaca. Dopo qualche mese l’Italia scelse di formare una coalizione antitedesca con l’Austria e l’Ungheria. La Germania restò isolata, senza alleati.
“Non stupisce che, data tale situazione, dal marzo 1935 cercasse di costruire un esercito di 36 divisioni di 500.000 uomini, quando la molto più piccola Italia già possedeva un esercito di 600.000 uomini. Comunque, già nel maggio 1935 i progetti di riarmo tedeschi vennero vanificati dalla stipula dei patti di cooperazione militare franco-sovietico e franco-ceco. Che speranza di vittoria avrebbe avuto il Fuhrer, nel caso di un conflitto? La documentazione tedesca dell’epoca conferma che molti dei capi europei e tedeschi erano terrorizzati dall’idea di una guerra. La Germania cercava di presentarsi più forte di quanto non fosse per due ragioni: per evitare la guerra evitando di essere attaccata da potenze straniere; per conseguire il massimo successo internazionale instillando la paura nei capi delle potenze straniere. Era la politica del terrore senza la bomba atomica! Perché mutò allora la storia? Perché ne seguì una guerra costosa e sanguinosa? Questo non era, dopo tutto, nell’interesse del Fuhrer e degli altri capi nazionalsocialisti. Hitler dispiegò molta prudenza. Quando la Wehrmacht inviò pochi battaglioni ad occupare la Renania tedesca demilitarizzata, essi ricevettero ordini severissimi di rientrare se un solo soldato francese si fosse mostrato. Ma nessuno si mostrò…Un’altra indicazione della prudenza di Hitler fu il Trattato Navale anglo-tedesco del 18 giugno 1935 (…) Hitler voleva la guerra negli anni Trenta? No! Ogni evento di allora e tutta la documentazione lo prova, con estrema chiarezza. Il Fuhrer voleva un’espansione pacifica, non la guerra. Tutti i capi militari e politici tedeschi stimavano all’epoca che una guerra europea non fosse possibile prima del 1942-43. Il programma di riarmo puntava su questo. L’esercito, la marina e la Luftwaffe erano stati pianificati per essere pronti nel 1942-43. Non prima. Anche l’obiettivo era, in primo luogo, difendere la Germania, ed eventualmente, se necessario, prevenire la guerra in Europa orientale, certo non lo scoppio di un conflitto a Occidente (…) Lo storico inglese Trevor-Roper sbaglia completamente, quando scrive che “per molti aspetti la Seconda Guerra Mondiale fu la guerra personale di Hitler. Lui l’aveva ideata, l’aveva preparata, aveva scelto il momento giusto per scatenarla e per tre anni, in complesso, ne aveva pianificato l’andamento”.
“Nelle pagine precedenti abbiamo visto che queste accuse sono infondate. Hitler, la Wehrmacht, il popolo, l’industria e l’economia tedesche non erano preparati per la guerra. Questa fu, invero, una delle ragioni della sconfitta del Reich.

Il momento dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale fu scelto dall’Inghilterra e dalla Francia, non da Hitler; egli non aveva previsto una guerra europea prima del 1942-43. Fin dall’inizio Hitler non fu padrone delle decisioni strategiche. La guerra scoppiò per una serie concatenata di eventi , non voluta nel momento migliore per la Germania. L’attacco alla Francia venne rinviato più volte.

La guerra aerea contro l’Inghilterra fu lanciata soltanto dopo che le numerose offerte di pace di Hitler erano state respinte.

In ogni caso, l’invasione delle isole britanniche era impossibile per la debolezza delle forze aeree e navali tedesche. L’attacco alla Jugoslavia venne deciso solo all’ultimo momento, e sotto l’urgenza della necessità. In ogni caso, esso provocò un rinvio fatale dell’attacco all’Unione Sovietica, attacco che non fu che un tentativo di abbreviare il conflitto…La realtà è che Hitler non aveva possibilità di scelta. Più tardi, quando la situazione peggiorò, la Germania continuò a soffrire le conseguenze di tali eventi e delle decisioni degli Alleati. Essa non aveva scelta…la Germania era talmente presa nell’affrontare ogni nuova disgrazia che non aveva davvero tempo per pensare e pianificare la mossa seguente. Molte osservazioni generali possiamo fare sulla situazione politica e militare del reich. Ma possiamo tenere per fermo il quadro dell’industria aeronautica tedesca (in parallelo, per l’esercito e la marina vedi Madej e Guntram Schulze-Wegener). In rapporto alle altre potenze mondiali la Germania era un paese povero; tranne che rispetto all’Italia e al Giappone. La carenza di materie prime e in seguito di manodopera le impedì di sviluppare un’industria aeronautica pari a quella inglese, americana o sovietica. Se la visione di Trevor-Roper fosse corretta, se cioè basandosi su un’industria forte e bene organizzata i capi tedeschi avessero costruito una macchina militare efficiente per attaccare specifici obiettivi strategici, allora la guerra avrebbe avuto tutt’altro corso. La Germania avrebbe vinto…Se il Reich avesse impostato una vera forza aerea strategica negli anni trenta, sviluppando e costruendo bombardieri pesanti strategici a quattro motori…Se nel 1940 Hitler avesse occupato tutta la Francia, catturato la flotta francese o l’avesse usata contro quella inglese…Se la Wehrmacht fosse sbarcata in Inghilterra nel 1940 e avesse attaccato l’URSS nel maggio 1941, dopo il crollo dell’Inghilterra…Se Hitler avesse brutalizzato, al pari di Stalin, il proprio popolo e i paesi occupati…Se avesse trattenuto a forza i numerosi tedeschi e gli altri scienziati migrati negli USA, dove poi svilupparono la bomba atomica…Molti “se”…Troppi.

NOTE

1 – “Oggi l’importanza politica della mobilitazione è ancora maggiore, poiché tale atto militare investe ogni settore della vita statale (…) Non siamo dunque fautori di una mobilitazione parziale; poiché nelle attuali circostanze la mobilitazione non è solo il fantasma della guerra, ma è la guerra stessa, riteniamo opportuno avviare solo la mobilitazione generale, in quanto impiego di ogni forza disponibile al conseguimento della vittoria (…) La mobilitazione è la guerra, tesi diverse non possiamo immaginarcele”, recita la dottrina predicata alle scuole di guerra del Maresciallo Boris S. Shaposhnikov, poi capo di Stato Maggiore, fin dal 1929 con l’opera “Il cervello dell’esercito”.
2 – Come definire, se non “follia polacca”, quel misto di insania espansionista, feroce intolleranza, perdita del senso delle proporzioni, criminale incoscienza e sanguinaria voluttà di guerra che afferra un intero popolo, e non solo contro il Terzo reich, ma fin dal 1919 contro i tedeschi della Prussia Occidentale, di Danzica e dell’Alta Slesia e contro i sovietici, contro i lituani, ai quali nell’ottobre 1920 viene sottratta la capitale Vilna e che nell’estate 1938 vengono costretti con minacce di guerra a riconoscere de jure il maltolto, e quindi contro i cechi, sciacallescamente derubati nell’ottobre dello stesso anno della regione di Teschen-Oderberg?
Follia che già il 9 ottobre 1925 fa scrivere alla Gazeta Gdansk (Gazzetta di Danzica): “La Polonia deve capire che non può sussistere senza Konigsberg né l’intera Prussia Orientale. Dobbiamo esigere a Locarno che tutta la Prussia Orientale sia liquidata. Potrà avere un’autonomia sotto la sovranità polacca. In tal modo non ci sarà più alcun Corridoio. Non dovessimo arrivarci con mezzi pacifici, ci sarà una seconda Tannenberg (ove nel 1410 furono sconfitti i Cavalieri Teutonici: anche infra), e certo tutte le terre torneranno allora nel grembo dell’amata patria” (il 13 giugno 1926 lo stesso quotidiano incita all’esproprio dei tedeschi: “I carri armati più sicuri della Pomerania sono i milioni di coloni polacchi. Tutta la terra ancor oggi in possesso dei tedeschi deve essere tolta dalle mani tedesche”)? O le urla di guerra lanciate il 3 agosto 1929, e ripubblicate il 17 marzo 1930, dal giornale varsaviano Mocarstwowiec (Lega per la potenza): “La guerra tra Polonia e Germania è inevitabile. Dobbiamo quindi prepararci sistematicamente. Il nostro obiettivo è una nuova Grunwald (località presso Tannenberg ove, come detto, vennero sconfitti i Cavalieri Teutonici), ma questa volta una Grunwald alle porte di Berlino, il che significa la sconfitta della Germania portata dalle truppe polacche al centro del terrorismo, per colpire al cuore la Germania. Sogniamo una Polonia coi confini occidentali all’Oder e alla Meisse (sic!). La Prussia sarà riconquistata alla Polonia, anche quella parte che arriva alla Sprea. In una guerra con la Germania non ci saranno prigionieri, né spazio per sentimenti di umanità o civiltà” (articolo riportato il 3 ottobre 1930 dal quotidiano Munchener Neueste Nachrichten col titolo “Fanfare di guerra polacche”: negli stessi termini si esprimerà tale B. Colonna in Poland from the Inside, edito a Londra nel 1939)?
O i piani di invasione della Slesia nell’autunno 1931, comunicati da fonte francese al cancelliere Bruning, che ottiene il singolare appoggio, a difesa, delle nazionalsocialiste S.A., del socialista Rechsbanner e del comunista Rotfrontkampferbund? Cosa pensare dell’illegittimo invio della corazzata Wilja e di un battaglione di fanteria di marina, il 6 marzo 1933, nella Westerplatte di Danzica (forze ritirate dopo dieci giorni sotto le pressioni della SdN), come anche del successivo schieramento di alcune divisioni nel Corridoio, nella speranza di un appoggio francese e con l’obiettivo di invadere e occupare non solo Danzica (porto, del resto, non necessario a Varsavia fin dalla costituzione del vicino porto commerciale e militare di Gdingen sulla penisola di Hela, che già nel 1933 aveva registrato un movimento merci di un milione di tonnellate più di Danzica), ma addirittura la Prussia Orientale? O delle tre proposte lanciate alla Francia ancora di Pilsudski per una “guerra preventiva” contro il reich (febbraio-marzo, metà aprile e dicembre 1933), con ciò violando il patto Briand-Kellogg, che dal 27 agosto 1928 aveva bandito la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali (per inciso, massone come il francese Aristide Briand, ministro degli Esteri, e il connazionale Frank Billings Kellogg, Maestro della loggia Rochester n. 21 e segretario di Stato di Coolidge, è Owen D. Young, massone della loggia Evergreen n. 363 di Springfield Center, New York, e presidente della General Electric, autore del piano che dal febbraio 1929 avrebbe dovuto schiavizzare economicamente la Germania per due generazioni, fino al 1984, in sostituzione del piano ideato dal massone Charles Dawes)? O delle rinnovate proposte avanzate ai francesi dal ministro degli Esteri colonnello Jozef Beck, il 7 marzo 1936, contemporaneamente alla rimilitarizzazione della Renania, onde scatenare una “guerra preventiva” contro il Reich?
Come definire la mobilitazione parziale, del tutto ingiustificata e da Berlino non provocata, del 23 marzo 1939, e la illegittima marcia di divisioni alle porte di Danzica, città tedesca per il 95%, salutata dal giubilo dell’intera popolazione polacca, O, ormai forti della prossima “garanzia” inglese, la chiusura delle trattative e l’arrogante rigetto di una qualunque possibilità di proposta tedesca per Danzica e per il Corridoio, accompagnato dalla minaccia, da parte dell’ambasciatore a Berlino Josef Lipski, che ulteriori proposte sarebbero state considerate un casus belli? O le vanterie lanciate a Parigi il 18 maggio dal ministro della Guerra Kasprzycki a una conferenza dello Stato Maggiore francese sui piani contro il Reich: “Non abbiamo fortificazioni al confine, perché prevediamo di condurre una guerra di movimento e fin dall’inizio delle operazioni di marciare in Germania”? O gli aggressivi, non smentiti programmi di esponenti governativi riportati il 26 giugno dal quotidiano Dziennik Poznaski (Diario di Poznam) e accompagnati da una carta geografica in cui il confine orientale dei territori lasciati ad un futuro Stato tedesco si snoda lungo la linea Brema-Hannover-Gottinga-Fulda-Norimberga-Ratisbona?
O la sessantina di canzoni pervase da odio antitedesco (tipici nei giorni immediatamente precedenti il conflitto, i popolari versi: “Con Rydz-Smigly marceremo fino al Reno e oltre il Reno”), mentre non esistono canti tedeschi incitanti all’odio contro la Poponia? O le grida di guerra alzate nel luglio, davanti a decine di ufficiali, dal Maresciallo Esward Rydz-Smigly (poi inglorioso fuggiasco in Romania già il 17 settembre, vituperato dalle sue stesse truppe e ricacciato a Varsavia, ove sarebbe vissuto sotto falso nome fino al decesso, il 2 dicembre 1941): “Marceremo presto contro l’eterno nemico tedesco per strappargli per sempre i denti velenosi. La prima tappa di questa marcia sarà Danzica”? O l’isteria che trabocca il 10 agosto dalle colonne del moderato Kurjer Polski (Corriere Polacco): “Vogliamo la distruzione della Germania, così come duemila anni fa fu distrutta Cartagine”? O le assicurazioni date il 15 agosto dall’ambasciatore a Parigi Juliusz Lukasiewicz al Ministro degli Esteri Georges Bonnet: “Sarà l’esercito polacco a invadere la Germania, fin dai primi giorni di guerra”? O le smargiassate del varsavico Depesza (Dispaccio) del 20 agosto: “Noi polacchi siamo pronti a stringere un patto col diavolo, se ci aiuta contro Hitler. Anzi, contro la Germania, non solo contro Hitler (…) Nella prossima guerra il sangue tedesco scorrerà in tali fiumi che il mondo non ha visto da quando esiste”? Il giudizio l’aveva del resto dato il 20 dicembre 1938 l’Alto Commissario della Società delle nazioni Carl Burckhardt: “I polacchi sono folli; si bruciano i ponti alle spalle e ignorano il senso della misura. Sono l’unico popolo d’Europa così infelice da avere nostalgia del campo di battaglia. Sono ambiziosi e non sanno controllarsi”.
Egualmente impietoso Marco Patricelli, mettendo inoltre in luce la fredda strumentalizzazione compiuta dalle grandi democrazie per creare il casus belli contro il Reich: “La Polonia dei colonnelli era un gigante di cartapesta, di cartone erano le lance della sua orgogliosa cavalleria, cartastraccia le assicurazioni che aveva stipulato. La sua inetta e velleitaria classe dirigente, fuggita in Romania, viene spazzata via dalla sconfitta, ma i suoi soldati continueranno coraggiosamente a combattere anche dopo la resa del Paese, su tutti i fronti e con alto tributo di sangue, fino all’ultimo giorno della seconda guerra mondiale, scoppiata col pretesto di salvaguardarne l’indipendenza ma con lo scopo reale di ridisegnare gli equilibri e i confini dell’Europa. Per questo la Polonia pagò un prezzo altissimo prima, durante e dopo”. Quos deus vult perdere prius dementa, suona il monito.
Dopo aver scatenato fin dal novembre 1938 bande assassine contro i Volksdeutschen, con chiusura di scuole e centri culturali, processi e condanne pecuniarie dei genitori che rifiutano di mandare i figli in scuole polacche, divieti di acquistare giornali e merci tedesche imposte a grandi magazzini e ristoranti, proibizione dell’uso del tedesco durante le funzioni religiose, licenziamenti di operai e impiegati, incarcerazione di esponenti e sequestro dei conti bancari di associazioni culturali e assistenziali, espropriazione di decine di fattorie, devastazioni di giornali, negozi ed abitazioni fino a giungere, come il 13 maggio a Tomaszow, a vere e proprie cacce all’uomo, assassinati (Walter Dumbsky riporta 3.500 vittime) e persino castrati, spinto alla fuga nel Reich 75.535 “connazionali sgraditi” e vessato in tutti i modi il governo e la popolazione del “Libero Stato” di Danzica – dopo tutto Varsavia, resa ancora più folle dalla “garanzia” inglese, non solo interrompe il 21 marzo le trattative col Reich aperte il 24 ottobre 1938 (vani sono i tentativi avanzati da Berlino il 19 novembre 1938, il 5 gennaio, il 25 gennaio, il 21 marzo e il 28 aprile 1939 fino all’estrema richiesta del 30 agosto), non solo il 23 dichiara per bocca di Beck – invasato dall’idea di costruire una “Terza Europa” dal Baltico all’Ellesponto sotto guida polacca – ai massimi politici e generali, giunta l’ora della “riscossa” ordinando una mobilitazione parziale e distribuendo ai responsabili i piani per una marcia su Berlino, ma lancia le più clamorose provocazioni persino contro i Reichsdeutschen.
Tra i più esagitati guerrafondai sono i polacchi Stanislaw Ligon, direttore della radio di Kattowitz, e Marian Dombrowski, editore e caporedattore dell’Illustrowany Kuryer Codzienny (Corriere Quotidiano Illustrato), aizzato dagli ebrei Stankiewicz, Rohatiner, Ferdinand Zweig, capo della sezione economia, Ludwig Gross, responsabile della sezione scientifica, e Ludwig Rubel, già deputato al Sejm e anima nera del quotidiano. Quanto ai più attivi ebrei radiofonici citiamo Konrad Wrzos, giornalista e già redattore dell’IKC, soprannominato, dal notissimo pubblicista ebreo-americano, lo “Knickerbocker polacco”, i direttori Heller e Gorecki, il direttore dell’orchestra e autopromosso “orgoglio della radio polacca” Girsz Girszowicz Fitelberg, i suoi collaboratori Aszer Fuchs, Mieczyslaw Goldberg, Rafal Halber, etc.
Che dietro a tali provocazioni vi sia la volontà di Londra di giungere alla guerra lo rileva il 9 agosto l’Evening Standard, sottolineando lo stupefacente abbandono della tradizionale, plurisecolare politica inglese delle no entangling alliances, “alleanze non compromettenti”:

“Mai prima d’ora nella nostra storia abbiamo lasciato la decisione se l’Inghilterra possa o non possa essere trascinata in guerra dalle mani di una potenza minore (Polonia). Tuttavia, oggi tale decisione è nelle mani di un gruppetto di uomini i cui nomi il popolo inglese non abbia udito una sola volta, tranne forse il colonnello Beck. Questi individui oscuri potrebbero decidere domani l’inizio della guerra europea

(dopo la “garanzia” annunciata il 31 marzo, definita dall’ambasciatore belga a Berlino Jacques Davignon “assegno in bianco”, a scatenare definitivamente la follia polacca è, il 25 agosto, la trasformazione della “garanzia” in un vero e proprio trattato di “mutua assistenza militare”, accompagnato da un protocollo segreto per sancirne la validità contro la sola Germania, anche nel caso “una minaccia all’indipendenza” arrivasse anche attraverso un processo di sola penetrazione economica…alleanza siglata, per inciso, proprio il giorno dell’annunciata defezione dell’Italia dal Patto d’Acciaio; il 5 settembre, due giorni dopo la dichiarazione di guerra anglofrancese, i polacchi vengono ancora ingannati da Londra: 1.500 aerei inglesi stanno giungendo in soccorso su suolo polacco e i francesi hanno sfondato la Linea Sigfrido in due punti, penetrando a fondo in Germania, cose entrambe non vere).
Anche lo storico americano di origini polacche Edward J. Rozek giunge alle stesse amare conclusioni in Allied Wartime Diplomacy – A Pattern in Poland, uscito a New York nel 1958:

“Per la Polonia sarebbe stato meglio accordarsi pacificamente con la Germania nel 1939, piuttosto che seguire Londra, Parigi e Washington, che spingevano a rifiutare ogni abboccamento con Berlino (…) Probabilmente per la Polonia sarebbe stato più vantaggioso partecipare ad un conflitto a fianco della Germania. Il comportamento di Francia e Inghilterra non si è mai fondato sul sentimento di una sincera amicizia con la Polonia. La Dichiarazione di Garanzia per la Polonia è stata emessa nel 1939 (dagli occidentali) solo per i propri interessi, perché Londra temeva un nuovo ordine europeo che andasse a discapito dell’Inghilterra”.
Tra le innumerevoli provocazioni ricordiamo:

la minaccia di invadere Danzica e scatenare una guerra col Reich, formulata il 26 marzo a Berlino dall’ambasciatore polacco Lipski;

soperchierie di ogni tipo operate dai doganieri polacchi sia contro i cittadini di Danzica sia contro i passeggeri in transito nel corridoio della Prussia Orientale;

fucilate contro gli stessi convogli sparate sia da truppe polacche sia da irregolari;

duecento tra violazioni di confine e aggressioni ai villaggi della Prussia Orientale, penetrazione della cavalleria anche per 7 km all’interno del Reich, incendi del raccolto e di fattorie, edifici minati e fatti saltare, distruzioni di ponti, assassinio di contadini a sciabolate e pistolettate, scontri a fuoco con le truppe inviate a soccorso (a Garnsee presso Neidenburg il 26 agosto restano a terra 47 aggressori); il 23 e 24 agosto cannonate contro tre aerei della civile Lufthansa da parte della contraerea di Hela e di un incrociatore a 40 km dalla costa, in ambo i casi, quindi, in spazio extraterritoriale; il 25, dopo un incidente stradale occorso a Bielitz ad un camion che trasportava verso l’interno della Polonia trenta Volksdeutschen imprigionati nel corso del quale alcuni erano riusciti a fuggire, assassinio di otto e ferimento di una quindicina dei civili da parte dei militari di scorta (è di conseguenza a tale massacro che Hitler ordina, alle 15.01, di muovere le truppe alle 04.00 del giorno seguente…bloccando poi il tutto alle 18.00 appresa la stipula di un esplicito patto di alleanza anglo-polacco); il 26 incendio del posto di guardia forestale di Dietrichswalde, distruzione del ponte ferroviario di Zandersfelde e interruzione del traffico stradale e telefonico col Reich; il 28 agosto truppe polacche sconfinano per 15 km e incendiano il villaggio di Haldenburg; il 29 agosto mobilitazione generale, invano frenata dalla Francia, evento equivalente ad una dichiarazione di guerra (come già detto, già il 31 marzo, il giorno della “garanzia”, era stata proclamata una mobilitazione, seguita dall’invio di tre divisioni d’assalto e una brigata corazzata contro la Prussia Orientale, di due divisioni e una brigata di cavalleria contro l’Alta Slesia, e di altre forze ad accerchiare Danzica); il 30 agosto blocco del traffico ferroviario tedesco per la Prussia Orientale, assalto ai convogli, arresto dei rifornimenti alimentari a Danzica ed assassinio a Cracovia del console Schillinger; il 31 distruzione del ponte ferroviario di Dirschau e occupazione della periferia di Danzica; nella notte dal 31 al 1° settembre mitragliamento, da parte di trenta militari polacchi, della dogana di Neukrug/Elbing, assassinio di un doganiere 75 metri all’interno del Reich a Pfanzdorf/Grunberg, fucilate ad un altro doganiere a Rohrsdorf/Fraustadt (in precedenza erano stati fatti segno di proiettili i posti di confine di Sonnerwalde, Alt-Eiche e ancora Neukrung), cannonate su Beuthen.

Ed infine attacco alla radiostazione di Gleiwitz che, sulla scia delle “confessioni” dello Sturmbannfuhrer Alfred Naujocks, disertore durante l’ultima offensiva delle Ardenne, attore e testimone principe dell’”accaduto” (nonché, a differenza di decine di milioni di tedeschi derubati ed espropriati, rimasto indisturbato dopo la guerra, in pieno possesso delle sue case e della sua cava di ghiaia ad Amburgo), il TMI sanzionerà a Norimberga invece, “giuridicamente”, quale provocazione nazi costruita a casus belli. Considerati i 15.000 rapporti sulle violenze polacche giunti all’Auswartiges Amt fin dal marzo 1933 e le centinaia di cruenti episodi dall’autunno 1938, si pensi al contrario all’assoluta inutilità di un tale casus, tanto più che nessun cenno ne fece Hitler il 1° settembre al Reichstag (l’episodio però serve ai demo storici – exempli gratia l’ebrea Gitta Sereny – per celare al lettore le migliaia di precedenti violenze). Il tutto, accompagnato a mezzanotte da un delirante comunicato di Radio Varsavia:

“Stiamo marciando vittoriosamente e saremo a Berlino a fine settimana, le truppe tedesche indietreggiano in disordine sull’intero fronte”.

3 – Da citare sono pure, in tale disperato contesto, le ingenti forniture all’alleata Italia: a tutto il 1942, nota Riccardo Lazzeri, l’Italia ricevette dal reich 421.000 tonnellate di nafta e gasolio per la marina, 225.000 tonnellate di benzina avio, 22.000 tonnellate di gomma sintetica, 2,5 milioni di tonnellate di materiali metallici e 40 milioni di tonnellate di carbone, oltre ad armamenti vari, tra i quali, fino a tutto l’aprile 1943, 1.500 cannoni antiaerei da 88 mm e oltre 150 centrali di tiro.
4 – Un inciso quanto alle materie prime. Dalla Norvegia, occupata dalla Wehrmacht il 7 aprile 1940, un giorno prima degli sbarchi anglofrancesi progettati da mesi per interrompere i vitali rifornimenti di minerali, proveniva alla Germania la quasi totalità del ferro, estratto in particolare dalle miniere di Kolajarvi, la quasi totalità del molibdeno, proveniente da Knaben sul Flekke Fjord tra Stavanger e Kristiansand, e pressoché l’intero fabbisogno di nichel, estratto dalle miniere di Kolosjokki nella Penisola dei Pescatori, oltre che nella regione finlandese di Petsamo (dopo averle occupate nella guerra d’inverno ed averle sgombrate nel febbraio 1940 dopo il trattato di pace, l’URSS vi aveva lasciato tecnici e un direttore, ripartendo a metà tra Mosca e Berlino il minerale estratto), la produzione interna tedesca soddisfacendo, e nel 1938, in tempo quindi di pace, un misero 7% del fabbisogno. Il cromo, altro minerale essenziale alla produzione bellica, veniva importato dalla Turchia, depositi nettamente minori esistendo nel nord dell’Albania e della Grecia, nella Bosnia orientale e nel banato. Quanto ad altri minerali essenziali per l’industria bellica – a prescindere ovviamente dal petrolio, disponibile solo in Romania e per proteggere i cui pozzi il reich difese fino allo stremo l’Egeo ed i Balcani – le miniere più ricche di rame si trovano a Bor, nella Serbia a sudovest delle Porte di Ferro, altre nella Serbia settentrionale, Macedoni, Banato e bulgaria nordoccidentale; la bauxite era presente in Transilvania e Dalmazia, nella Focide e nell’isola di Nasso; il tungsteno proveniva dal Portogallo e dalla Spagna, con la Francia terza a grande distanza; il maggiore centro minerario europeo di manganese, che per due anni, fino all’8 febbraio 1944, data della sua caduta in mano sovietica, aveva provvisto ai tedeschi un terzo del minerale, era addirittura Nikopol, a sudest del Dnepr.
Simile situazione quanto all’Italia: “Nello specifico settore metallurgico delle leghe speciali (i paesi nemici) erano assai più avanzati del nostro, che era rimasto al palo per oltre un quinquennio anche a causa dell’applicazione delle sanzioni che erano state decise nel 1935 dalla Società delle Nazioni al tempo della guerra d’Etiopia. La produzione di nichel in particolare era allora controllata quasi al 100% dai paesi anglosassoni e dalla Francia essendo proveniente in gran parte dai giacimenti canadesi e dalla Nuova Caledonia. L’embargo sui metalli strategici che ne derivò rese quindi difficilmente reperibili per il nostro paese i metalli pesanti usati per la costruzione di turbine (e materiale bellico di ogni tipo). Da noi, inoltre, il nichel, con il rame e lo stagno, rientrava tra i più costosi materiali pregiati, tanto che negli anni immediatamente precedenti all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, pur essendo ormai cadute dette sanzioni, l’assottigliamento delle riserve auree derivante dalle guerre d’Etiopia e Spagna ne impedì in approvvigionamento effettivamente commisurato alle necessità del Paese. All’atto dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale l’Italia disponeva infatti di scorte di nichel ammontanti a sole 250 tonnellate, sufficienti a coprire il fabbisogno di soli venti giorni di normale produzione industriale già in atto. Una fornitura in corso di 100 tonnellate era rimasta bloccata in Norvegia a seguito di un diretto intervento ostruzionistico britannico,malgrado l’Italia avesse dichiarato la sua non belligeranza. La situazione era rimasta quindi estremamente grave, tanto che venne preventivato il recupero forzoso di circa 2.500 tonnellate di monete in lega di nichel che erano allora in circolazione, i cosiddetti nichelini da venti centesimo (!), che erano stati in gran parte tesaurizzati dalla popolazione, in quanto tutti sapevano che il valore del metallo con cui erano fatti superava ampliamente quello di emissione. L’altro materiale fondamentale (…), costituito dal cromo, veniva invece importato in Italia dalla Turchia. La sua disponibilità decrebbe rapidamente a partire dal 1939-40, poiché il governo turco fu contattato dai britannici che acquistarono tutta la relativa produzione, malgrado non ne avessero alcuna necessità, per impedirne l’approvvigionamento da parte italiana (…) Dopo l’occupazione dell’Albania la disponibilità di cromo venne ripristinata con l’avvio dell’importazione di minerali provenienti da quello stesso paese, mentre quella del nichel avrebbe invece avuto un’evoluzione nettamente più favorevole solo dopo la sconfitta e l’occupazione della Grecia, data l’esistenza in quel paese di un minerale a base di nichel denominato “lokris” del quale venne rapidamente avviata l’importazione di ben 5.000 tonnellate al mese. Pertanto iniziò subito la produzione di ghise contenenti il prezioso metallo, mentre in seguito fu messa a punto il relativo processo di estrazione di nichel industrialmente puro. Nel corso della guerra la sua disponibilità crebbe quindi notevolmente, tanto che ai primi di luglio del 1943 ne era stata accumulata una riserva pari a 1.300 tonnellate” (Giuseppe Ciampaglia).
5 – Quattro solo esempi: nel giugno 1943 l’intero fronte vede 6.610.000 sovietici 10.200 carri armati e semoventi contro tre milioni di tedeschi con tremila mezzi corazzati; nel luglio, durante l’Operazione Zitadelle contro il saliente di Kursk, 2.440 corazzati tedeschi combattono non solo contro il tradimento e le imponenti difese fisse sovietiche, ma anche contro 4.720 corazzati; ancora più squilibrato il rapporto un anno dopo, cosa che avrebbe comportato il crollo esiziale del Gruppo Armate Centro; nel 1945, infine, l’offensiva generale sovietica, iniziata il 12 gennaio, vede 1.820.000 tedeschi fronteggiare 6.700.000 sovietici appoggiati da 12.000 corazzati, 107.000 pezzi d’artiglieria e 14.700 aerei, con un rapporto di forze uomini e mezzi nel settore principale – fronte dell’Oder – all’ingrosso valutabile, scrive Magenheimer (II), tra 1 a 7 e 1 a 10.
6 – Viene tuttora propinata ancor oggi, dopo mezzo secolo, la favola inventata da Chrusciov nel 1956 al XX Congresso del PCUS, della perdita di auto controllo di uno Stalin tremebondo, che dopo il 22 giugno si sarebbe reso pressoché irreperibile ai suoi più stretti collaboratori, rifugiato in una dacia superprotetta. Al contrario, i più recenti documenti giunti alla luce, rileva Weeks, testimoniano che Stalin “was constantly present in his office on all the days following the german attack, working, as usual, past midnight, fu sempre presente nel suo ufficio in ogni giorno che seguì l’attacco tedesco, lavorando come sempre fin dopo mezzanotte”.
7 – In quello stesso giorno Radio Mosca trasmette a copertura un insolito comunicato TASS: “Le voci che la Germania intenderebbe rompere il patto Ribbentrop-Molotov e starebbe preparando un attacco contro l’Unione Sovietica sono prive di qualsiasi fondamento”, essendo “rozza propaganda delle forze ostili all’Unione Sovietica e alla Germania, interessate ad un’estensione del conflitto (…) Le voci che l’Unione Sovietica si stia preparando alla guerra contro la Germania sono false e provocatorie (…) L’adunata estiva delle riserve dell’Armata Rossa e le prossime manovre non hanno altro scopo che l’esercitazione dei riservisti e il controllo del funzionamento dei trasporti ferroviari. E’ noto che questo è un evento annuale e quindi descrivere queste misure come ostili alla Germania è assolutamente assurdo”.
8 – Alla luce di quanto sin qui detto, avendo sempre presente

1. l’assoluta mancanza di tempo per la Germania ai fini del consolidamento nei più vari settori civili e militari

2. l’inferiorità strategica di fondo del Tripartito quanto a materie prime, popolazione e situazione geografica

3. il fatto che, a prescindere dagli eventi dell’agosto-settembre 1939, sempre la Germania fu costretta a seguire non una propria autonoma strategia, ma a contenere e rimediare alla strategia dei suoi nemici, quali furono gli errori primari, o più esattamente le cause primarie per la sconfitta della Germania, e quindi dell’intera Europa, nella Seconda Guerra Mondiale? Non furono: la dispersione delle forze tedesche in tutta Europa; la ritardata partenza dei tedeschi per la guerra all’URSS; la sottovalutazione delle forze sovietiche; l’alienazione dei popoli sovietici dovuta a politica repressiva; e tantomeno la dichiarazione di guerra agli USA e il “rifiuto” della bomba atomica. Furono invece: il patto con Stalin e l’attacco alla Polonia; l’evacuazione inglese di 338.000 uomini a Dunkerque; il non avere avviato una mobilitazione totale fin dall’inizio (la Guerra Totale viene proclamata da Goebbels solo il 18 febbraio 1943); la mancanza di coordinamento strategico con gli alleati: da un lato il defilarsi/tradimento dell’Italia nell’agosto 1939 e successivamente la scelta della “guerra parallela”, dall’altro la scelta, pressoché obbligata, del Giappone di lottare contro gli USA e non contro l’URSS (per quanto l’alleanza militare con la Germania venga siglata il 18 febbraio 1942, il patto di non aggressione con Mosca risale addirittura al 13 aprile 1941).(Fonte)

In verde testi di Olotruffa. Colore, evidenziatura, grassetto, sottolineatura, NON sono parte del testo originale.WaA
Pagina iniziale Olo-truffa


http://olo-truffa.myblog.it/archive/2011/02/05/gianantonio-valli-22-giugno-1941-operazione-barbarossa.html

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