venerdì 7 gennaio 2011

L'altro Hitler

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NAZI-CHRISTMAS-PARTY-1941-adolf-hitler.jpgL'altro Hitler

Indice

La vicenda del quadro regalato a Hoffmann: il ladro giudica legittimo il furto - August Kubizek "Adolf Hitler, main Yugendfreund" - Un amore giovanile: Stefanie - La passione per la musica: Wagner " Das Reich" Gli anni di Vienna - L'opera Wieland il fabbro, libretto e musica di Adolf Hitler - Il periodo 1935-1945 nel libro Bis zum Ende (Fino alla fine) di Heinz Linge Gli attentati del 1939 e del 1944Alcuni aneddoti - Conclusione

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Nella foto il Cancelliere del Reich Adolf Hitler durante la cena del Solstizio d'Inverno,data non identificata.waa

In data 10 maggio 2001 compare sulla International Herald Tribune un articolo dal titolo Sull'arte di Hitler la guerra continua. Il pezzo è accompagnato dalla fotografia di un acquerello del Führer L'antico cortile - Monaco (1) da lui regalato all'amico e fotografo ufficiale Heinrich Hoffmann nel 1936.

Riassumiamo brevemente le vicende storico-giudiziarie di quel quadro. Nascosto da Hoffmann per sottrarlo ai saccheggi dei «liberatori» viene però rintracciato e sequestrato dagli americani che se lo portano oltreoceano assieme ad altre innumerevoli opere d'arte razziate in Germania. Opere che, secondo una recente delibera del giudice ebreo Jeffrey Axelrad, devono tutte rimanere a Washington. La sottigliezza del pensiero giuridico anglo-giudaico emerge con chiarezza dalle motivazioni della sentenza: il bottino deve restare qui da noi «because we won the war» (perché abbiamo vinto la guerra).

Appare opportuno segnalare in tale contesto che altre opere d'arte, regolarmente acquistate a Parigi negli anni '40-'43 da collezionisti tedeschi, sono oggi rivendicate da quegli stessi galleristi ebrei che da New York gestivano i loro affari nell'Europa occupata, ed avevano espressamente autorizzato le vendite incriminate. Siamo chiaramente nel filone delle intimidazioni ricattatorie cui da anni sono sottoposte assicurazioni, banche, imprese tedesche e svizzere con richieste di risarcimenti miliardari, come anche denunciato dallo scrittore ebreo Finkelstein nel suo notissimo libro L'industria dell'Olocausto.

Ma torniamo al quadro di Hoffmann. Uscito di prigione nel 1950 dopo aver scontato i cinque anni che gli erano stati inflitti perché era stato il fotografo di Hitler, Hoffmann cercò di recuperare quanto gli era stato illegalmente sottratto. Ogni azione si rivelò però inutile.

Alla sua morte, nel 1957, la battaglia fu ripresa dalla figlia Henrietta, la quale, nella speranza che un cittadino americano potesse avere maggiori probabilità di ottenere giustizia da una corte americana che non la figlia del fotografo di Hitler, prese contatto nel 1982 con un ricco collezionista americano, Billy F. Price, al quale cedette la proprietà del quadro.

Billy F. Price è oggi l'autore di un libro che raccoglie centinaia di dipinti, acquerelli e disegni di Hitler, intitolato Adolf Hitler, the Unknown Artist (A. Hitler, L'Artista Sconosciuto). La povera Henrietta morì nel 1992 senza ottenere nulla. Il signor Price continua invece la sua battaglia legale ed ha presentato ricorso contro l'ennesima e più recente delibera del giudice Axelrad, il quale ha confermato che, pur non appartenendo il quadro al Terzo Reich, bensì al privato cittadino Price, l'opera deve considerarsi «preda bellica» e pertanto rimanere a Washington. Né può essere esibita. Già, perché il quadro è tenuto nascosto e deve restare nascosto, così dice il sottotitolo della International Herald Tribune. La sentenza, infatti, non solo stabilisce che gli Stati Uniti non restituiranno le opere di Hitler per motivi politici, ma che il quadro non può essere neppure mostrato perché potrebbe influenzare il giudizio dell'opinione pubblica su Hitler.

Le ragioni dell'atteggiamento di Washington per perpetuare il sequestro del quadro ci vengono illustrate, nello stesso articolo, dalla signora Sybil Milton-jew.jpgSybil Milton (foto), esponente ebraica, ed esperta di «Olocausto». Essa dichiara che «tutti i quadri, fotografie ed oggetti che mostrano Hitler come individuo normale ed inoffensivo non devono essere esposti o commercializzati perché potrebbero distogliere il pubblico dagli orrori e dalla brutalità dei nazisti», ossia rischierebbero di fare diminuire l'odio (heatred) contro Hitler! Il rimettere in circolazione quell'innocente quadro, dipinto da uno squattrinato pittore all'inizio del secolo scorso, configurerebbe insomma l'imperdonabile delitto di leso «Olocausto».

L'inesausta campagna giudaica tesa a creare complessi di colpa e ad introvertere il senso e la logica della giustizia al servizio di avide richieste economiche, mostra chiara, col suo isterico accanimento, la sottostante linea d'azione: lo scopo è quello di impedire l'emergere di qualsiasi elemento utile e necessario ad un giudizio storico sereno e obbiettivo.

Occorre reagire a questa censura che si prefigge di circoscrivere ed omogeneizzare le fonti col fine di trasmettere e consolidare una versione di comodo della Storia. Documenti fatti sparire, diari manipolati o tradotti in maniera distorta, testimonianze cancellate sia nei luoghi che nelle cose, sono la prova del timore e della malafede dei vincitori.

L'ufficialità vuol mettere a tacere chiunque si rifiuti di cantare nel coro. È noto il caso degli storici revisionisti e in particolare quello dell'inglese David Irving, la cui opera e la cui persona sono state ostracizzate - come ricorda Giordano Bruno Guerri su il Giornale del 19-2-2002 - «per aver sostenuto che la figura umana del Führer era lontana da quella del pazzo depravato e criminale tramandata dai vincitori».

Ma nel mirino dei censori, oltre alle persone, finiscono anche i mattoni e gli oggetti. E la sorte toccata all'edificio della nuova Cancelleria del Reich a Berlino e alle residenze private del Führer a Monaco e a Berchtesgaden, rase al suolo dopo il conflitto. E la sorte toccata alla divisa che Hitler indossava il 20 Luglio 1944, quando miracolosamente si salvò dal vile attentato dei generali. Questo cimelio storico, gelosamente conservato da Eva Braun, venne sequestrato e bruciato dagli occupanti americani.

L'indagine sugli aspetti sottaciuti della vita del Führer - aspetti più strettamente umani ma assai illuminanti della sua personalità - è dunque utile perché disturba la strategia dell'avversario, ed ha per di più il vantaggio di non presentare rischi, visto che non si riferisce né alla valutazione politica della Weltanschauung nazionalsocialista, né all'argomento legislativamente protetto dell' «Olocausto».

Considerato che la Signora Milton cade in deliquio alla semplice prospettiva che un acquerello dello studente Hitler possa essere mostrato al pubblico, e ritiene che questa vista possa mitigare l'odio che è obbligatorio provare nei confronti del suo autore, è facile immaginare il suo orrore all'idea che si sappia che Adolf Hitler fu anche un bambino, un giovane, uno studente squattrinato come milioni di altri, che abbia potuto innamorarsi, che abbia nutrito profondi sentimenti verso la propria famiglia, verso gli amici di gioventù e verso i commilitoni, che abbia infine ammirato il passato della grande tradizione germanica cercando di rinverdirne le glorie nei musicisti, negli artisti, nei soldati, negli architetti del suo tempo.

È la conferma del preconcetto nei confronti del nazionalsocialismo e del suo Capo, è la conferma dei livelli cui possono giungere i meccanismi di controllo e manipolazione dell'opinione pubblica propri di un sistema nel quale l'idea della sovranità popolare e della libertà di giudizio sono l'ultima delle preoccupazioni.

È tuttavia possibile aggirare questa demonizzazione e farci un'idea non distorta della personalità di Hitler attraverso le testimonianze di chi lo conobbe e, in periodi diversi della sua vita, ebbe occasione di frequentarlo con assiduità.

Di grande utilità, in questo sforzo per ripristinare una verità umana e porre le basi per un approccio non prevenuto alle vicende storiche e politiche del nazionalsocialismo, ci sono stati alcuni testi, quali il libro (foto) di August Kubizek Adolf Hitler, mein JugendfreundBis zum Ende (Fino alla fine)adolf-hitler-mein-jugendfreund.jpg che si riferisce al periodo 1935-1945. Riferimenti saranno anche fatti al testo Hitler's personal pilot di C. G. Sweeting ed alla recentissima versione italiana del libro di David Irving, La guerra di Hitler. (Adolf Hitler, il mio amico di gioventù) che riguarda il periodo 1904-1908, e quello di Heinz Linge

August Kubizek «Adolf Hitler, mein Jugendfreund»

Il libro di Kubizek è una fonte di grande interesse proprio perché l'autore è profondamente sincero, spontaneo, a volte sconcertante nella sua semplicità.

È opera biografica e non politica: Kubizek fu coetaneo e grande amico di gioventù di Hitler a Linz e a Vienna nel periodo dal 1904 al 1908 e divenne più tardi professore di musica. Nel periodo 1951-1953 Kubizek riordinò i suoi ricordi e nel 1953 pubblicò la sua testimonianza giunta ora alla sua sesta edizione tedesca. Kubizek morì il 23 ottobre 1956. Il libro è stato tradotto in inglese, francese e spagnolo e pubblicato a puntate in America; non è mai stato tradotto in italiano. Da esso fu tratto un film nel 1975 per le televisioni tedesche e austriache ZDF e ORF dal titolo Un giovanotto del quartiere dell'Inn. Kubizek condivise con Hitler negli anni dell'adolescenza il comune amore per la musica, la cui passione divorava i due studenti, poveri in canna, capaci di saltare i pasti pur di mettere insieme i soldi del biglietto che dava diritto ad un posto in piedi all'Opera di Linz. Lì potevano assistere alle rappresentazioni dei grandi compositori, in particolare di Wagner, che già da allora entusiasmavano il giovane Hitler.

Narra Kubizek che nello spazio riservato ai «posti in piedi» vi erano due colonne che permettevano ai fortunati che le raggiungevano per primi di appoggiarvisi durante le 4-5 lunghe ore delle opere wagneriane. Gli abitué dei posti in piedi lo sapevano, e Kubizek era di quelli. Egli era rapido a farsi strada, non appena si aprivano le porte, per conquistare quella strategica posizione. Solo che da un certo periodo in poi un «posto alla colonna» era sempre più spesso già occupato da un giovane della sua età, molto pallido, modestamente ma decorosamente vestito, e comunque riservato. Kubizek prese atto con fastidio di questa presenza senza però scambiare parola con l'intruso. Finalmente una sera, durante un'intervallo, nacque attraverso un commento sullo spettacolo l'occasione per conoscersi. I due ragazzi furono d'accordo su parecchi aspetti artistici della rappresentazione e Kubizek fu impressionato dalla vivace competenza del suo interlocutore. A livello musicale però Kubizek poteva dare al giovane Hitler dei punti perché era studente di musica.

Questo fu l'inizio di un'amicizia che doveva costare a Kubizek, circa quarant'anni dopo, 16 mesi in una prigione americana. Da allora i due ragazzi si ritrovarono spesso. Un giorno Hitler estrasse dei fogli dalla tasca e lesse a Kubizek una sua poesia. Hitler scriveva abitualmente poesie e nella sua stanzetta vi erano diversi manoscritti assieme a disegni ed acquerelli sui più disparati soggetti, ma principalmente architettonici. Kubizek poté vederli e così descrive la sua impressione: «lo capii finalmente in quale direzione della vita il mio amico era orientato. Egli apparteneva a quella specie di uomini alla quale io stesso avevo a volte sognato di appartenere in alcuni dei momenti più arditi: egli era un artista. Egli disprezzava la lotta per il denaro per dedicarsi interamente alla Poesia, al Disegno, alla Pittura e all'adorazione della Musica».

Kubizek e Hitler si recavano a volte, nella bella stagione, alla modesta abitazione che i genitori di Kubizek possedevano vicino a Linz, nel paesino di Walding. Vicino ad essa scorreva un piccolo fiume, il Rodel, dove i ragazzi andavano a fare il bagno, un corso d'acqua insidioso a causa di correnti ed improvvisi mulinelli. Kubizek ricorda che un giorno sua madre, che non sapeva nuotare, li accompagnò al fiume. Li seguiva seduta su di uno sperone di roccia ricoperto di muschio; ad un tratto la donna scivolò in acqua, il figlio era troppo lontano per intervenire, ma Hitler non esitò a tuffarsi e poté riportare la donna a riva. Da allora nacque una profonda amicizia fra Hitler ed i genitori di Kubizek. Questa amicizia durò negli anni a venire. Nel tardo 1944, in occasione dell'ottantunesimo compleanno della madre di Kubizek, Hitler le fece pervenire in regalo un pacco di generi alimentari.

I rapporti del giovane Hitler con i professori della scuola di Linz e con i professori in genere non erano dei migliori. Egli aveva però fin d'allora l'istinto di distinguere nella massa gli uomini di valore. Per alcuni di questi egli nutrì stima ed ammirazione per tutta la vita; uno di questi fu il professore di storia Pötsch. La geografia e la storia erano le materie preferite dal giovane Hitler. Un giorno del 1938, dopo l'Anschluss con l'Austria, Hitler si trovava a Klagenfurt e rivide per caso, dopo più di 30 anni, il professor Pötsch, che ivi trascorreva gli anni della sua pensione. Hitler interruppe i suoi impegni di Cancelliere del Reich per intrattenersi coll'anziano insegnante, restando appartato con lui per oltre un'ora. Quando uscì disse al proprio seguito: «Voi non potete avere idea di quanto io debba a questo mio vecchio professore!»

Stefanie

Stefanie Rabatsch.jpg

(Stefanie Rabatsch. La donna di cui si parla.waa) Gli anni dell'adolescenza sono gli anni degli innamoramenti più struggenti e assoluti. A questo destino non poté sottrarsi neppure il giovane Adolf. Oggetto dei suoi sentimenti era una certa Stefanie, ed a Kubizek l'innamorato si apriva, pur facendosi giurare che non ne avrebbe parlato ad anima viva. Kubizek mostra nel suo libro una fotografia di Stefanie scattata in occasione della maturità nel 1906 ed un'altra in abito da ballo, ma in nessuna parte del libro ne rivela il nome. Gli storici più tenaci hanno però accertato che la giovane si sposò, ebbe dei figli e che non seppe mai di essere stata l'oggetto della bruciante passione del futuro Führer (2).

A Linz vi era una strada, la Landstrasse, che attraversava il paese, ed era luogo di incontro dei giovani nelle sere d'estate. Si passeggiava, ci si incontrava, ci si guardava. I giovani ufficiali nelle loro divise asburgiche scintillanti e ben stirate erano i protagonisti dei più ampi saluti e sorrisi alle ragazze che, rigorosamente accompagnate dalle loro madri, a volte facevano finta di non vedere, a volte abbassavano gli occhi arrossendo, a volte rispondevano con un sorriso. Questo gioco di sguardi, saluti e sorrisi era tutto ciò che poteva capitare sulla Landstrasse di Linz. I sentimenti venivano repressi nel più profondo dell'animo dalle ferree regole della società asburgica di provincia. Eppure l'intensità di quegli sguardi poteva lasciare indelebili ricordi negli animi ancora puri e inesperti delle vicende della vita. Tali sentimenti agitavano anche l'animo del giovane Adolf. Egli scorse per la prima volta Stefanie in compagnia della madre in una tarda serata di primavera del 1906 e ne rimase folgorato. Hitler non si sottrasse alla tentazione di trasferire in versi i suoi sentimenti.

Tali versi vennero raccolti in un quaderno nero il cui titolo era Hymnus an die Geliebte (Inno all'Amata), ma non ci sono pervenuti. Dalla fedele testimonianza di Kubizek è però noto il modello wagneriano che Hitler vedeva in Stefanie: essa era a volte la Elsa di Lohengrin, la Brunilde dell'Anello dei Nibelunghi, la Eva dei Maestri Cantori di Norimberga. Il giovane Adolf la identificava con le eroine delle saghe germaniche. Non le rivolse mai la parola, nonostante Kubizek più di una volta lo avesse incoraggiato a farlo. La ragione che Hitler adduceva era la sua vergogna di presentarsi alla madre di lei, perché non aveva un lavoro e temeva l'umiliazione di un rifiuto. Un solo episodio di fugace contatto a distanza ebbe luogo in occasione di una «sfilata di fiori», tradizionale manifestazione di Linz. Hitler e Kubizek scorgono Stefanie e la madre su uno dei carri da dove le fanciulle del paese nei costumi tradizionali solevano gettare fiori alla folla in una semplice e gioiosa atmosfera di festa. Il carro era decorato con papaveri, margherite e fiordalisi. Ad un tratto Stefanie, che forse si era accorta di quali brucianti sguardi Adolf le rivolgeva da mesi, prende un mazzo di fiordalisi e glielo getta ridendo. Hitler lo afferra al colmo dell'agitazione, che non vorrebbe dimostrare, ma che non sfugge a Kubizek.

Wagner

Un'altra passione visse in Hitler per tutta la vita, quella per Wagner, le cui opere erano all'epoca ancora controverse tra il grande pubblico.

Per Hitler furono la rivelazione del mondo eroico della mitologia germanica. Egli quasi si trasfigurava quando assisteva alle opere di Wagner. Si trasportava spiritualmente nei personaggi, nei luoghi e nelle leggende di quell'atmosfera mitica.

A volte, dopo aver assistito ad un'opera, commentandone l'esecuzione, Adolf dissertava per nottate intere con Kubizek sulla profondità e bellezza della musica e della poesia wagneriana. Kubizek osserva che, mentre nel caso della passione per Stefanie, nei confronti della quale egli non poteva essere altro che un paziente e silenzioso ascoltatore, in tema di musica Hitler lo riconosceva quale un valido interlocutore dalla cui competenza egli sapeva trarre nuovi spunti che arricchivano la loro conversazione.

I loro rapporti si interruppero poi per più di trent'anni, durante i quali nel mondo successe di tutto. Quando in seguito ad una lettera di Kubizek al Führer nel 1938 essi si rincontrarono, Hitler subito invitò Kubizek al festival di Bayreuth, e lo accolse coi famigliari nel palco riservato al Cancelliere del Reich. Forse entrambi ricordarono in quel momento i posti in piedi e la colonna dell'Opera di Linz.

Dopo aver reincontrato Hitler negli anni del trionfo, Kubizek scriveva: «Adolf provava sempre un'immensa emozione quando si recava a Bayreuth e rivedeva Villa Wahnfried. Egli sostava in meditazione sulla tomba di Wagner e quindi assisteva nel teatro, da lui stesso fatto costruire, alla rappresentazione delle opere del Maestro. Sebbene molti dei grandi sogni della sua vita non si siano potuti avverare, quello di creare un teatro wagneriano è stato realizzato nella sua più assoluta completezza».

Das Reich

«Politicamente, Gustl, sei uno sprovveduto!» così giudicava Hitler il suo amico Kubizek in fatto di politica. Il nome di Kubizek era August, ma Hitler non amava quel nome, e pertanto decise di chiamarlo Gustav che, nel diminutivo del dialetto tedesco-austriaco, diventava «Gustl». Scrive Kubizek: «Io non avevo nessuna disposizione intellettuale che mi permettesse di interessarmi, e tantomeno di capire, la politica. Ero come un sordomuto di fronte ad un'orchestra sinfonica, che scorge i movimenti, e capisce che gli orchestrali stanno suonando, ma non ne riceveva nulla. Questa mia condizione portava Hitler alla disperazione!» Kubizek doveva tuttavia ascoltare molti discorsi del diciassettenne Hitler sui temi politici che, il più delle volte, erano attacchi feroci alla situazione esistente nello stato multi-etnico degli Asburgo.

Kubizek era soprattutto colpito da una parola, sempre ripetuta dal suo amico Adolf, «das Reich», che egli riteneva un'invenzione politica, o meglio «fanta-politica» del suo amico. Il Reich era sempre alla base dei suoi ragionamenti e delle sue aspirazioni. Ogni qualvolta non sapeva quale spiegazione dare, o non sapeva rispondere ad un certo quesito, la risposta ultimativa era «Sarà il Reich a risolvere questo problema». Quando Kubizek gli chiedeva dove si sarebbero trovati i denari per ricostruire non solo l'Opera di Linz, ma interi quartieri in città austriache e tedesche e in pratica tutta la Germania e tutta l'Austria, rispondeva con distacco «Il Reich disporrà dei mezzi necessari». Kubizek non poteva capire cosa fosse il Reich al quale Hitler si riferiva. Era d'altronde difficile immaginare nel 1906 che cosa sarebbe stato il Reich che il diciassettenne Hitler, senza concrete previsioni di lavoro, di guadagni o di una qualsiasi carriera, aveva già così chiaramente fissato nella propria mente.

Kubizek ritiene che Hitler abbia avuto l'intuizione di ciò che sarebbe stato il Terzo Reich, in una fredda notte del Novembre 1906, dopo aver assistito - ed essersi esaltato - all'opera di Wagner Rienzi (Cola di Rienzo). Wagner paragonava l'ansia di libertà che agitava il popolo romano nel 1347 con le rivoluzioni europee del 1848. Hitler rimase sconvolto ed estasiato dal tema e dalla musica di quell'opera. Dopo la rappresentazione fecero una passeggiata più lunga del solito nella fredda notte autunnale, salendo fino in cima al colle Freienberg, dissertando sulla liberazione dei popoli germanici, con argomenti che, più che convincere, incutevano sconcerto al povero Kubizek. Finalmente raggiunsero la strada di casa. Lì Hitler si congedò e con sorpresa di Kubizek, si diresse di nuovo verso il Freienberg. Alla domanda di Kubizek su dove volesse andare rispose: «Desidero rimanere da solo». Questo episodio rimase talmente scolpito nella mente di Kubizek che quando fu ospite di Hitler e di Wahnfried Wagner a Bayreuth, lo volle ricordare al Führer. Hitler, a sua volta, rammentava perfettamente quell'esecuzione del Rienzi, la passeggiata sul Freienberg, il freddo della notte, la visione del Reich, e volle alla fine sottolineare l'evento a Wahnfried Wagner. Ad essa che ascoltava estasiata quei lontani ricordi dei due «ragazzi», disse:

«Fu in quel momento che tutto ebbe inizio».


Gli anni di Vienna


Gli anni di Vienna furono i più duri della sua giovinezza. Alla insoddisfazione nei confronti del mondo si aggiunse la perdita dei genitori, entrambi scomparsi in quegli anni. La sorella Paula era ancora bambina. Rimaneva il ricordo di Stefanie, ma un giorno annunciò a Kubizek, che pure si era trasferito a Vienna per seguire gli studi al conservatorio, «Ho deciso di rinunciare a Stefanie!».

Solo Kubizek poteva intuire di quale interiore lacerazione quella decisione fosse il frutto. Kubizek gli ricordò che proprio lui aveva in precedenza espresso l'intenzione di scriverle. Hitler si alterò. «Scrivere a Stefanie? La Signora Mamma (Frau Mama, come sarcasticamente la chiamava) avrà certo già provveduto a sposarla a qualche bellimbusto della sua cerchia sociale, dove tutti si coprono reciprocamente per godere degli immeritati privilegi che la società loro garantisce».

Nel mini-appartamento che Hitler e Kubizek si spartivano alla Stumpergasse 29 vi era una stanza tutta occupata dal pianoforte, sul quale Kubizek studiava, e da un tavolo, dove Hitler leggeva e scriveva. Non vi era più posto per nulla. Un giorno Kubizek chiese a Hitler cosa stesse scrivendo. Hitler rispose: «Un'opera». Kubizek non osò chiedere altro. Non è rimasta traccia di quest'opera ma Kubizek nel suo libro ne ricorda la trama. La vicenda è collocata nelle Alpi Bavaresi ai tempi dell'introduzione del Cristianesimo. Gli abitanti di quelle vallate, però, non vogliono affatto convertirsi alla nuova religione e combattono gli inviati della Chiesa con tutte le forze e con tutte le armi a loro disposizione. Da questi contrasti si sviluppa la trama dell'opera.

La vecchia capitale imperiale alla vigilia del crollo dell'Impero era etnicamente e socialmente caotica. Hitler era disgustato dalla mescolanza dei Viennesi con Cechi, Magiari, Slovacchi, Rumeni, Croati e con gli Ebrei delle più disparate provenienze, al punto che all'epoca Vienna era anche nota come la «Nuova Gerusalemme». In questo ambiente si maturarono le future convinzioni hitleriane.

Egli attribuì infatti la caduta dell'Impero Asburgico,come anche quella dell'Impero Romano, alla multi-etnicità.

Sul piano sociale lo disgustava poi l'estrema disuguaglianza che si rifletteva nei contrasti fra le splendide dimore patrizie ed i malsani quartieri dei poveri. Egli sosteneva che

«Tutti hanno bisogno di luce, di aria, di giardini e di vedere almeno un pezzo di cielo! Guarda il retro della nostra casa: si vede appena un po' di sole sul tetto. Non parliamo dell'aria! Quanto all'acqua, gli inquilini di otto appartamenti devono andare a raccoglierla coi secchi all'unico rubinetto nell'androne. Un solo anti-igienico gabinetto per tutto un piano esige che ci si suddivida in turni per andarci. E infine, dappertutto le cimici! Io lavorerò per migliorare le condizioni di vita del popolo di Vienna!».

Illustrava a Kubizek grandi progetti. Assegnava allo Stato grandi compiti. Sarebbero state costruite abitazioni igieniche, ariose e luminose per tutti, ognuna avrebbe avuto non solo un gabinetto, ma addirittura un bagno privato! Alla solita domanda di Kubizek, per sapere dove sarebbero stati reperiti i fondi per finanziare tutto ciò, Hitler rispose ancora una volta che tutto sarebbe stato risolto dal Reich. È noto dalla Storia quale alta priorità il Führer abbia poi dedicato all'urbanistica sociale del Terzo Reich.

L'opera Wieland il fabbro. Libretto e musica di Adolf Hitler

A Vienna continuò la passione di Hitler per la musica, soprattutto di Wagner, ma ora estesa anche agli altri grandi compositori tedeschi quali Bach, Beethoven, Brahms e Mozart. La cultura musicale di Kubizek abbracciava anche gli italiani, quali Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, i quali lasciavano invece Hitler piuttosto freddo. Un giorno passeggiando per la Wienzeile sentono un organetto che strimpellava La donna è mobile; Hitler si rivolge sarcastico a Kubizek e gli dice «eccolo il tuo Verdi!» Kubizek risponde che nessun autore può essere al sicuro da una simile profanazione della propria opera. Al che Hitler scatta: «Ah sì? perché tu te le immagini le leggende del Graal suonate da un organetto?» Le notti insonni passate a leggere la mitologia germanica, rivissuta nella fantasia assieme alla musica wagneriana, ai miti di eroismo, di trionfi e di morte, finiscono per convincere il giovane Hitler che deve essere possibile anche per lui scrivere un'opera eroica, componendone la musica. Dopotutto aveva la fortuna di poter contare sull'aiuto del musicista Kubizek! Hitler, avido lettore della Edda, da lui considerato come il libro sacro della mitologia germanica, si entusiasma per una delle più truci saghe in essa contenuta, la saga del fabbro Wieland. Wieland sarebbe stato il figlio della dea Vidigoia, in una gerarchia al vertice della quale siede il re Vilkinus, il cui nome arieggia al latino Vulcanus. Già Tacito si era cimentato nei paragoni fra la mitologia greca e romana con quella germanica. Questi collegamenti furono poi studiati e descritti da Jacob Grimm nel libro Deutsche Mytologie del 1844, che probabilmente era noto a Hitler.

Pare che anche Wagner avesse iniziato a scrivere un'opera su Wieland, ma non andò oltre la stesura di alcuni brani. «Gustl! Su Wieland scrivo un'opera!» furono le prime parole che stupirono Kubizek, che chiese a Hitler come pensava di realizzare un progetto del genere. Hitler rispose imperturbabile: «E molto. semplice: io compongo la musica al piano e tu ne scrivi le note». Scrive Kubizek che la sua funzione era solamente quella di portare sulla carta la creazione musicale di Hitler. La leggenda di Wieland il fabbro è terribile e confusa. Wieland, novello Saturno, ammazza i propri figli e beve da boccali costituiti dai loro crani. Viene quindi fatto prigioniero dai suoi nemici e tenuto in una grotta. A questo punto la leggenda narra che egli seppe forgiarsi delle ali con le quali volò verso la libertà. Wagner così commenta la fine della leggenda di Wieland «Oh splendido Popolo! Tu hai composto questo poema, e tu stesso sei Wieland: forgia le tue ali e sollevati al cielo!» Questa fase della leggenda è certamente quella che deve avere entusiasmato il giovane Adolf, inducendolo a comporre un'opera su questo tema.

Il secolo XIX, appena terminato, era stato d'altronde ricco di rievocazioni mitologiche e di racconti dell'orrore. I racconti di Poe, il romanzo Dracula dell'irlandese Bram Stoker, comparso nel 1897 e subito rapidamente diffuso, il Ciclo di Ossian riscoperto dal poeta scozzese Macpherson e tradotto in varie lingue, la stessa mitologia germanica raccolta dal già citato Jakob Grimm e infine l'immensa opera wagneriana, avevano riportato alla luce saghe e leggende capaci di esercitare un forte potere evocativo sugli animi predisposti a ricevere questi messaggi eroici. Un giorno Kubizek propose a Hitler di provare a suonare al piano i brani già composti dell'Ouverture del Wieland e Hitler accettò. Kubizek, già esperto pianista, non era mai stato convinto delle qualità musicale del testo hitleriano. Tuttavia, interpretando quella musica, egli comprese che era tutt'altro che brutta, anzi spiccava per una sua originalità.

Di questo lavoro musicale di Hitler non è rimasta traccia. Esso ebbe ad un certo punto termine, anche perché a Hitler era venuto in mente che la sua musica avrebbe dovuto essere eseguita dagli stessi strumenti usati dagli antichi Germani, tamburi, raganelle, flauti, luri (strumenti a fiato in bronzo lunghi due metri, usati per gli allarmi nei castelli). Il povero Kubizek avrebbe dovuto trascrivere per tali strumenti la musica composta al piano da Hitler!

Ma già nasceva nella testa del futuro Führer l'idea della Reisende Reichsorchester (L'orchestra viaggiante del Reich) che, in un'epoca priva di mezzi di diffusione quali radio e televisione, sarebbe stato l'unico modo per portare nelle più remote contrade al Volk tedesco i tesori della grande musica germanica. Kubizek si beava nell'ascoltare questi progetti e pare che, per una volta, si sia astenuto dal chiedere come sarebbe stata finanziata una simile grandiosa attività, forse perché ne conosceva già la risposta.

Nel suo libro Kubizek ci ha descritto il carattere e l'umanità del suo giovane amico Adolf Hitler, in modo privo di qualsiasi connotazione politica. Ci ha descritto i profondi sentimenti di Hitler verso i genitori di Kubizek, la struggente passione per Stefanie, il suo patriottismo, il suo amore per la musica. Abbiamo appreso che scriveva poesie e opere teatrali. Non solo manifestava talento nel campo pittorico ed architettonico, ma si cimentò anche nella composizione di un'opera musicale come Wieland. Se ne evince il quadro di un giovone appassionato e geniale, determinato in tutte le sue azioni, dotato di una forte volontà, capace di pensare in grande.

Nel 1908 termina il periodo dell'adolescenza di Hitler trascorso tra Linz e Vienna assieme a Gustl Kubizek. Seguiranno gli anni di Monaco, la Iª Guerra Mondiale, il Putsch del 1923, la prigione, la lotta vittoriosa per il Cancellierato. Durante gli anni del trionfo e della tragedia, un'altra personalità ebbe quotidiani contatti con Hitler, non di natura militare e politica bensì personale e umana. Si tratta di Heinz Linge, Capo del Servizio Personale del Führer, autore del libro Bis zum Ende (Fino alla fine).

Il libro Bis zum Ende (Fino alla fine) di Heinz Linge, periodo 1935-1945

Heinz Linge.JPGHeinz Linge(nella foto in divisa nera SS) era un ufficiale delle SS che fu Capo del Servizio Personale del Führer nel periodo dal 1935 al 1945, «Fino alla fine», come dice il titolo del libro che scrisse dopo il ritorno dalla prigionia in Russia. Linge non aveva funzioni politiche né militari. Era ad un tempo attendente, guardia del corpo, capo del personale addetto al Führer. Era inoltre un lucido osservatore, legato da indissolubile lealtà verso Hitler, ma non per questo incapace di pensare con la propria testa, o di osservare il mondo del Terzo Reich in un'ottica obiettiva. Numerose ed acute sono le sue osservazioni sugli eventi, sui luoghi, sulle persone che ebbero relazioni con il Führer.

Il primo incontro di Linge con Hitler avvenne nell'estate del 1934 al Berghof, sull'Obersalzberg. Linge vi era stato convocato assieme ad altri 24 giovani ufficiali, che il Führer volle passare in rassegna intrattenendosi con ognuno di essi su aspetti della loro vita personale, quali la famiglia, la provenienza, l'attività di servizio. Linge fu profondamente impressionato da quel primo incontro, ed ancora di più lo fu quando gli fu comunicato di essere stato prescelto per il servizio personale del Führer. Hitler aveva disposto che uno di questi ufficiali dovesse essergli sempre nelle vicinanze, un altro avrebbe dovuto invece accompagnarlo solo nei viaggi mentre un terzo sarebbe stato responsabile dell'economia della casa. L'ufficiale prescelto da Hitler per le sue immediate vicinanze fu Linge. Egli fu fra l'altro incaricato di assicurare che gli abiti di Hitler, le uniformi e gli abiti civili, nonché le stanze da lui occupate, fossero sempre in ordine, disponendo per tali funzioni di un nutrito gruppo di cameriere, sarte e stiratrici.

Questa funzione era particolarmente impegnativa in occasione dei viaggi nel corso dei quali erano previste cerimonie che richiedevano abiti diversi. Anche se Hitler era totalmente avverso a qualsiasi forma di esibizionismo, quali le sgargianti uniformi che tanto piacevano a Göring, era inesorabile su quanto concerneva la perfetta pulizia, stiratura e sull'impeccabilità in generale.

Gli attentati del 1939 e del 1944

Linge si accorse subito che Hitler non aveva alcun timore degli attentati e che era per lui del tutto naturale muoversi liberamente in mezzo alle folle, a piedi o in automobile. Ma Hitler era anche fortunato, anche se preferiva parlare di Provvidenza. La sera dell'8 Novembre 1939, si trovava a Monaco per il tradizionale anniversario del Putsch del 1923. Poiché egli doveva trovarsi a Berlino già nella mattinata successiva (3) e doveva quindi viaggiare tutta la notte, decise di congedarsi dai camerati e dalla folla presente prima del previsto. Il giorno dopo si poté leggere sui giornali che, nello stesso luogo della riunione, alle ore 21.20 aveva avuto luogo un'esplosione che aveva provocato sette morti e sessantatré feriti.

Il Führer aveva da poco lasciato la sala. Fu posta una taglia sull'attentatore e fu scatenata una caccia all'uomo. Due settimane dopo un trentaseienne, Johann Elser, fu arrestato e ammise di aver voluto uccidere il Führer. Himmler annunciò trionfante questo successo investigativo a Hitler, in presenza di Linge. Il Führer chiese a Himmler quali motivi potessero aver spinto Elser ad un tale gesto. Gli fu risposto che si trattava di un maniaco, di un novello Erostrato, che voleva legare il proprio nome ad un grande delitto, senza particolari motivi politici. Hitler non si mostrò convinto, e volle vedere una fotografia di Elser.

Rimase a lungo in silenzio. Poi disse a Himmler «Guardi che non è così. Noti i tratti del viso duri e intelligenti. Questo non è un maniaco. Può darsi che non abbia complici, ma non è privo di una sua visione del mondo. Cerchi di sapere di più sulla sua provenienza, sulle sue attività, sulle sue idee politiche». Himmler, imbarazzato, promise di riferire al più presto. Risultò quindi che Elser era stato falegname, meccanico nonché orologiaio ed esperto di serrature; aveva inoltre lavorato alla fabbrica di aerei Dornier a Wilhelmshafen e si era distinto nel reparto delle eliche. Si era costruito da solo la bomba che aveva piazzato al Bürgerbraükeller. Era stato membro dei combattenti comunisti e frequentava assiduamente la Chiesa.

Hitler sbottò contro Himmler: «E Lei crede ancora che quest'uomo non abbia avuto dei motivi politici per tentare di ammazzarmi?» e ordinò di rinviare il processo a Elser e di mandarlo invece al campo di concentramento di Sachsenhausen, facendolo lavorare, questa volta, al servizio del Reich. Così fu. Elser si trovò in compagnia del capo comunista Thälmann, un altro nemico che Hitler non aveva fatto fucilare perché ne aveva apprezzato il coraggio e la determinazione.

Di grande calma e capacità di intuizione, Hitler dette prova anche in occasione dell'attentato di Stauffenberg il 20 luglio '44. Subito dopo lo scoppio, a chi affacciava l'ipotesi della responsabilità di qualche elemento della Todt che lavorava nei pressi, ebbe a dire con fermezza: «Nessun operaio tedesco avrebbe mai fatto una cosa simile!».

La responsabilità dell'attentato risaliva infatti a quella cricca di ufficiali che già aveva cercato di sabotare le operazioni militari.

Squalificati, questi uomini, oltre che dal tradimento, da una assoluta incapacità di valutazione politica. Si erano infatti «bevute», gli «aristocratici», tutta la propaganda alleata contro il nazionalsocialismo, e non avevano capito che la coalizione democomunista - anche se Hitler fosse scomparso - avrebbe unicamente puntato alla debellatio dell'Europa e alla spartizione della Germania.

Scrive Piero Sella ne L'Occidente contro l'Europa:

«I ribelli della congiura di von Stauffenberg, sfociata nell'attentato al Führer del luglio '44, convinti che una volta eliminato Hitler sarebbe stato possibile porre fine alla guerra, avviarono contatti col nemico, pensando, nella loro militaresca ingenuità, che gli alleati stessero davvero battendosi per annientare il solo nazionalsocialismo. I congiurati non avevano compreso che questo era soltanto un falso scopo propagandistico da agitare di fronte alla pubblica opinione e che il vero obiettivo di Occidentali e Sovietici era la Germania sic et simpliciter, di cui la coalizione voleva assicurarsi il controllo in funzione anti europea. L'apparizione sulla scena degli oppositori del nazismo fu considerata quindi un intralcio, una seccatura. Le loro precise proposte ebbero repliche imbarazzate ed evasive».

Interessante a questo proposito anche quanto riferisce Joachim Fest: «Nel maggio 1941 Goerdeler presentò al governo inglese un piano di pace approvato dal generale Brauchitsch. Il governo inglese però rifiutò categoricamente di prendere in considerazione il documento e dette istruzioni a chi teneva il collegamento di diffidare il latore del piano dal cercare ulteriori contatti».

«Un'altra serie di contatti ebbe luogo attraverso Stoccolma. Nel maggio 1942 il vescovo Bell di Chichester si incontrò con il prelato Dietrich Bonhoeffer ed il confratello Hans Schdnfeld. Costoro recarono al vescovo Bell il piano di pace dei congiurati e volevano soprattutto ricevere una risposta da parte del governo inglese a questa domanda: "L'atteggiamento degli Alleati nei confronti della Germania sarà diverso nel caso ci si liberasse di Hitler?" Il vescovo Bell sottopose i documenti e la domanda al ministro inglese per gli affari esteri Antony Eden. Costui gli rispose per iscritto "di essere lieto, nell'interesse nazionale, di non dover dare nessun tipo di risposta, comunque formulata, ad una domanda del genere».

«Quando poi il vescovo Bell si rifece vivo con Eden, il ministro non lo ricevette ed annotò al bordo della lettera "non vedo alcuna ragione per dare spago a questo pestifero prete».

Alcuni aneddoti

Attraverso la lettura del libro di Linge si ha anche l'occasione di imbattersi in alcuni aneddoti «dietro le quinte» che ci aiutano ad individuare i tratti caratteriali - così poco conosciuti - dell'uomo Hitler. Oltre ai quadri, evidentemente, anche la vita privata del Führer è proibita, giacché la sua conoscenza potrebbe «distogliere il pubblico dagli orrori e dalla brutalità dei nazisti».

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Nella parte seminterrata del Berghof era stata allestita una sala di ginnastica che comprendeva, fra l'altro, una pista per birilli (Kegelbahn). La sala era chiamata pomposamente Hitler's Sportzentrum (Centro sportivo Hitler). Solo che Hitler non praticava nessuno sport.

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Unico suo hobby, in tale campo, il gioco dei birilli. Linge non solo assisteva, ma partecipava alle partite a birilli del suo Führer. Vigeva però per i partecipanti una condizione assoluta: non fare mai cenno con nessuno al fatto che il Führer giocasse ai birilli. Fu fatto un giorno rispettosamente osservare a Hitler che non vi sarebbe stato nulla di male se il pubblico avesse conosciuto questa sua passione per i birilli, ciò avrebbe anzi contribuito a renderlo ancora più popolare. Hitler fulminò l'incauto proponente sibilando «Ma si rende conto che se i Clubs dei birilli, che in Germania sono legioni, venissero a sapere che io ogni tanto gioco ai birilli, sarebbero capaci di nominarmi Presidente Onorario dei Clubs dei Birilli del Reich?»

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Nella sua inesauribile fantasia per i miti germanici, per i rituali runici, per i giuramenti, per l'esaltazione dell'Homo Germanicus, Heinrich Himmler un giorno concepisce l'idea che le donne del Reich che intendono sposare un eminente personaggio del Reich, un ufficiale delle SS o una simile autorità, debbano prima conquistare delle medaglie nel campo dello sport! Quando Hitler apprende questa novità sobbalza e chiede a Linge: «Linge, mi dica! Sua madre ha mai partecipato a gare sportive?» Linge rispose: «No, Mein Führer!» Hitler commenta: «In verità neanche mia madre ha mai vinto i 100 piani. Ciò non ha impedito, comunque, che io diventassi un buon tedesco!». Il piano «sportivo» di Himmler per le donne fu così bloccato sul nascere.

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Hitler non abbandonò mai le abitudini spartane acquisite in famiglia, durante gli anni di Linz, di Vienna, di Monaco e, soprattutto, durante i durissimi anni della la Guerra Mondiale. La grandiosità degli edifici del Reich dovevano essere dedicati al prestigio del Reich, e non alla comodità dei suoi capi.


Nel Quartier Generale detto «Wolfsschanze» (Tana del lupo) compare una volta in visita il Feldmaresciallo von Bock che, accompagnato da Linge, visitò gli «appartamenti» del Führer, dove anche Linge viveva. Von Bock non si trattenne dall'esclamare a Linge che «neppure nei campi di concentramento esistono tali condizioni di vita».

Poi aggiunse, vedendo la branda di ferro su cui dormiva il Führer «i nostri soldati al fronte dovrebbero vedere queste cose!» Linge ammise di trovare le condizioni di vita nei Quartieri Generali del Führer così spartane da avere più volte richiesto il trasferimento al fronte, che gli fu naturalmente negato. Una sera, tornando tardi nel proprio cubicolo, accanto allo stanzino del Führer, Linge sente degli strani rumori provenire dalla stanza accanto. Data la tarda ora ciò era insolito, e Linge decide di aprire la porta per vedere se Hitler avesse bisogno di qualcosa. Con suo sbalordimento la luce del comodino era accesa, il tavolo da lavoro era stato spostato nel centro della stanza e su di esso stava in piedi il Führer intento a cambiare la lampadina della luce centrale che si era fulminata. Linge esclama: «Mio Führer, ma perché non mi avete chiamato per fare questo lavoro?» Hitler lo guarda e dice: «Avrei forse dovuto svegliarla per cambiare una lampadina? Come vede, lo so fare benissimo da solo».

Numerose pagine del libro di Linge sono dedicate ad Eva Braun, l'unica persona, secondo Linge, a cui Hitler dava del tu oltre ai membri della famiglia Wagner, in particolare a Wahnfried con la quale l'intesa fu sempre perfetta. La relazione che lo lega ad Eva Braun, conosciuta nel 1932 nello studio del fotografo Hoffmann dove la ragazza lavorava, durò per tutta la vita. Nella vita privata non solo le dava del tu ma la chiamava con intraducibili nomignoli quali «Schnacksi» e «Patscherl».

Durante la prigionia in Russia, Linge dovette sostenere innumerevoli interrogatori, a volte anche pesanti, incentrati sui rapporti fra Hitler ed Eva Braun.

Egli dovette riferire più volte sempre le stesse cose, e cioè che i due avevano da sempre regolari rapporti sessuali di cui egli, come addetto alle stanze, alla biancheria e ad altri effetti personali del Führer, aveva inequivocabili prove. Ai Russi questo non garbava, volevano altro, in modo da poter attribuire a Hitler ogni possibile aberrazione, pur di non dover riconoscere in Hitler la normalità nella sua vita di uomo e di amante.

Nei rapporti con Hitler vi erano aspetti sui quali Eva Braun tentava di imporre la sua volontà, non sempre con successo. Uno di questi era l'abbigliamento del Führer, per il quale Eva chiedeva l'appoggio di Linge, il qualè doveva barcamenarsi fra le opposte tendenze. Eva Braun gli diceva: «Ma non potrebbe il Führer vestirsi in modo più informale? Dovremmo evitare che vada sempre in giro vestito come un gendarme!» Una volta Linge si lasciò convincere a sostituire l'abituale berretto di Hitler con uno analogo, ma, secondo Eva Braun, di taglio meno rigido. Hitler se ne accorse subito e gli disse: «Linge, fuori subito il mio vecchio "coperchio" (Deckel)! Sono io che devo portarlo, non Lei!».

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Hitler era infastidito dalle manie di grandezza di Göring, ma raramente si lasciava andare a qualche critica. Ciò era dovuto all'estremo rispetto che Hitler nutriva verso i camerati della prima ora. Con ogni probabilità Hitler era conscio dei limiti di Göring, ma capiva che la situazione che si era determinata nella Luftwaffe, specie dopo Stalingrado, non dipendeva tanto dal Reichsmarschall quanto dalla schiacciante superiorità industriale della coalizione che aveva aggredito la Germania. Quanto alla personalità altamente intelligente ma eccentrica di Göring, essa veniva tollerata per l'estrema popolarità di cui godeva, presso il popolo tedesco, il Reichsmarschall.

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Questo atteggiamento di fondo non impedì tuttavia a Hitler di togliersi qualche soddisfazione nei confronti delle manie del Reichsmarschall. Per ognuna delle sue numerose cariche, da quella di Guardiacaccia del Reich, a quella di Capo della Luftwaffe, Göring vestiva una diversa uniforme, da lui stesso disegnata. Usava arricchirla con tutte le possibili medaglie e decorazioni, fra le quali spiccava l'Ordine spagnolo del Vello d'Oro, ricevuto per il ruolo della Luftwaffe nella Guerra di Spagna. Fra le cariche che Göring occupava vi era quella di Comandante dei Paracadutisti. Ciò richiedeva ovviamente un'uniforme speciale. In questo caso Göring se la progettò tutta bianca, con stivaloni pure bianchi che risalivano fin sopra il ginocchio. Pare che l'effetto complessivo di quella «mise» rasentasse il grottesco, ciò nonostante egli così vestito si presentò ad una riunione governativa presieduta da Hitler, alla quale in qualche angolo della stanza presenziava anche Linge. Hitler non si associò ai sogghigni ed alle gomitate d'intesa scambiate nascostamente fra i partecipanti alla riunione, ma fece di peggio. Disegnò su di un cartoncino le insegne di un fantasioso ordine cavalleresco e scrisse accanto: «da portarsi esclusivamente sulla camicia da notte». Hitler, a riunione ultimata, lo fece pervenire a Göring.

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L'8 Giugno 1940 l'Ambasciatore Dino Alfieri consegna a Hitler una lettera di Mussolini che annuncia l'imminente entrata in guerra dell'Italia. Hitler va su tutte le furie. È noto che l'Italia, nonostante il Patto d'Acciaio firmato il 22 Maggio 1939, appena tre mesi dopo, e mancando alla parola data, non era scesa in campo contro Inghilterra e Francia che avevano aperto le ostilità contro la Germania.

Quando però l'Italia si rese conto che, dopo la Polonia e la Norvegia, anche la Francia stava oramai soccombendo alle armate germaniche, ecco nascere precipitosa la decisione di intervenire.

«Ora che tutti i progetti degli Italiani sono andati in fumo, ecco che vogliono almeno partecipare alla divisione delle spoglie!» sbottò Hitler.

«Nel 1939 mi sarei contentato di una dichiarazione italiana di solidarietà con la Germania. Ma non fecero neppure questo! E sono certo che ciò avrebbe tenuto i Francesi e gli Inglesi fuori dalla guerra! Allora dichiarai a Mussolini che avevo comprensione per la sua astensione dalla guerra, a causa del ritardo nel riarmo dell'Italia. Gli suggerii di scendere in campo solo quando tale preparazione fosse stata completa! Evidentemente ora non ha più tempo per aspettare. Ho cercato anche di dirgli che sarebbe stato più sicuro per l'Italia attendere che noi tedeschi avessimo occupato gli aeroporti nel Sud della Francia, ma mi ha detto che era troppo tardi perché il Re aveva già firmato la dichiarazione di guerra!»

Linge riporta fedelmente questa lucidissima sfuriata del Führer che, più calmo, e dotato di enorme ottimismo e fiducia nel suo amico Mussolini, così continuò: «Ma forse non è un male. Probabilmente chiuderanno il passaggio di Gibilterra e con la loro Marina ridurranno tutto il Mediterraneo ad un «calderone delle streghe» (Hexenkessel). Occuperanno Malta e porteranno tutto il Mediterraneo sotto il loro controllo».

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Di un altro episodio riguardante il Duce si occupa in dettaglio C.G. Sweeting nel suo libro Hitler's personal pilot. The life and time of Hans Baur. Nell'agosto 1941 Mussolini si recò a Grozny in Polonia per incontrarsi con Hitler. Era prevista un'ispezione congiunta delle truppe italiane e tedesche schierate sul fronte russo in Ucraina. L'aereo di Hitler, il nuovissimo quadrimotore Condor «Immelmane III», era pilotato, come sempre, dall'unico pilota nel quale Hitler avesse illimitata fiducia sia professionale che politica, ossia da Hans Baur(foto).Adolf Hitler mit Flugkapitän Hans Baur.JPG È noto che Mussolini aveva il brevetto da pilota, ma non aveva mai visto un aereo simile e tanto meno l'aveva pilotato. Mussolini si fa spiegare tutti i comandi da Baur e infine chiede a Hitler di poter pilotare l'aereo. Baur rivolge uno sguardo terrorizzato a Hitler, che però non vuole deludere il suo ospite. Dopo il decollo Mussolini inizia entusiasticamente a manovrare il quadrimotore, e cede i comandi, molto a malincuore, dopo tre ore di volo, solo per l'atterraggio sull'aeroporto di Uman. Terminata la visita, Mussolini si piazza subito al posto del co-pilota per il volo di ritorno, intendendo di nuovo pilotare l'aereo. Stavolta Hitler però, che aveva nervosamente seguito la manovra, lo prega di volerlo raggiungere nella cabina di riunione per discutere i temi della visita. Mussolini lascia i comandi del Condor e ...ubbidisce. Darà però istruzioni all'ambasciatore Alfieri a Berlino di scrivere nel suo rapporto che «...per una considerevole parte del volo il Duce stesso ha pilotato il quadrimotore del Führer».

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La sera del 14 marzo 1939 Hitler, dopo essersi rilassato guardando il film Ein hoffnungsloser Fall (Un caso senza speranza) riceve alle 23.00 il presidente cecoslovacco Emil Hàcha che era da ore in attesa. Si trattava di fargli firmare una nuova costituzione riguardante le antiche regioni tedesche della Boemia e della Moravia. Scrive Goebbels nei suoi diari «Credo che il tutto si risolverà senza eccessivo spargimento di sangue. Poi il Führer si concederà una pausa. Amen. Non posso crederci. Tutto è così bello da non sembrare vero». Hàcha inizia nervosamente la riunione con un lungo monologo nel corso del quale illustra la propria carriera come avvocato nella pubblica amministrazione di Vienna, si dichiara ammirato dalle idee di Hitler, si dichiara certo che la Cecoslovacchia sotto la protezione del Reich sarebbe stata al sicuro ecc., ma non si decideva a firmare il documento preparato da Hitler. A questo punto il Führer, che aveva pazientemente ascoltato il monologo di Hàcha, lo informa che alle 06.00 di quella stessa mattina la Wehrmacht avrebbe invaso la Cecoslovacchia. Come per caso compare il maresciallo Keitel che chiede rapidamente a Hitler di confermare certi movimenti di truppe, allontanandosi subito, ma ritornando poco dopo. Hàcha segue allibito sia i discorsi di Hitler che le apparizioni di Keitel. Verso le tre del mattino Hàcha viene colpito da un lieve attacco cardiaco, prontamente curato dal medico personale di Hitler, Dott. Morell. Appena ripresosi, Hàcha ritorna alla sala di riunione, dove stavolta compare Göring che informa Hitler, facendo finta di non accorgersi della presenza di Hàcha, che la Luftwaffe sta partendo per bombardare Praga. Hitler chiede a Hàcha se ha inteso le parole di Göring e Hàcha finalmente cede e l'accordo viene firmato alle 04.00 del 15 Marzo 1939.

A questo punto, narra David Irving nel suo libro La guerra di Hitler, Hitler entrò nell'ufficio in cui per tutta la notte erano rimaste a disposizione le due segretarie Christa Schroeder e Gerda Daranowsky e, con gli occhi che brillavano, scoppiò in una risata: «Ragazze! Una da questa parte e l'altra dall'altra» disse toccandosi le guance «Un bacio ciascuna!» Le stupitissime segretarie ubbidirono «Questo è il più bel giorno della mia vita! Ho appena realizzato quello che altri per secoli si sono sforzati invano di poter ottenere. La Boemia e la Moravia fanno di nuovo parte del Reich! e senza muovere un solo soldato né sparare un sol colpo».

La confidenza di Hitler con le segretarie comportava pranzi e cene in comune e ogni pomeriggio il the coi pasticcini e le torte di cioccolato di cui il Führer era particolarmente ghiotto. Al the non parlava mai di politica. A Berchtesgaden, l'atmosfera era ancora più informale. Alle merende erano ammessi anche bambini e cani.

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Il segretario privato di Ribbentrop, Reinhard Spitzy, fu testimone di quest'episodio che sfata il presunto carattere isterico del Führer e spiega alcune delle sue scenate. Alla fine di un ottimo pranzo alla Cancelleria, un ufficiale annuncia l'arrivo di un importante emissario britannico; Hitler che lo aveva convocato per esprimergli una dura protesta si alza bruscamente ed esclama agitatissimo: «Got im Himmel! Non fatelo passare, ho bisogno di qualche minuto, sono troppo di buon umore!». Si concentrò quindi, corrugando la fronte e assumendo uno sguardo torvo per raggiungere un apparente stato di rabbia. Si recò quindi dal povero inglese nella stanza attigua e si produsse nella recita preventivata a voce così alta da essere udibile dalla stanza da pranzo. Dopo dieci minuti ritornò nel salone, chiuse accuratamente la porta dietro di sé e con una risatina disse: «Signori ho bisogno di un thè. Quello pensa che io sia furioso!».

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Un ultimo episodio, tratto ancora dal libro di Linge, è significativo per capire la calma e lo spirito col quale Hitler sapeva reagire alle situazioni impreviste. È probabile tuttavia che al momento in cui è avvenuto, nessuno abbia pensato di ridere. La scena è il Quartier Generale alla fine del '44, dove Hitler si trova col suo stato maggiore. Uno dei suoi ufficiali deve parlare col furiere per banali questioni logistiche. Nello stesso tempo Hitler chiede una comunicazione col ministro degli armamenti Speer che si trova a Berlino. Per combinazione i due collegamenti vengono stabiliti contemporaneamente e Hitler viene messo erroneamente in comunicazione col furiere. Hitler al telefono non diceva mai l'equivalente di pronto ma sempre «Hier spricht der Führer» (Qui parla il Führer). Così disse anche quella volta, convinto di parlare con Speer. Solo che dall'altra parte c'era il sottufficiale di servizio. I presenti rabbrividiscono ascoltando attraverso il microfono una grassa risata seguita dalle parole «Ma tu devi essere impazzito!» Mentre tutti, irrigiditi nella tensione del momento, prevedono chissà quali reazioni nei confronti di chi aveva passato la comunicazione, nonché del povero furiere, Hitler, impassibile, passa il microfono a Linge dicendo: «Linge, prenda Lei la comunicazione. Qui ce n'è un altro che sostiene che sono pazzo».

Conclusione

Lo squattrinato pittore che nel 1914 dipinse quell'acquerello che ancora oggi, nell'anno di grazia 2002, è sotto sequestro a Washington perché potrebbe diminuire l'odio verso Hitler come chiaramente ha spiegato la Signora Milton, percorse tutti gli stadi del destino umano, dalla miseria alla suprema potenza ed infine alla tragedia.

Non è questa la sede per formulare dei giudizi frettolosi a fronte dell'imponente bibliografia già dedicata a quest'uomo. Chi scrive si è limitato a mettere in rilievo alcuni episodi tratti da libri non tradotti in italiano o comunque meno noti al grande pubblico. Essi riguardano fasi diverse della sua vita, ossia dell'adolescenza e della pienezza del potere, identificando in esse, oltre che grande continuità caratteriale, una costante disponibilità al dialogo e doti di sensibilità ed umorismo. Ci siamo volutamente concentrati sugli aspetti umani ed emotivi di Hitler piuttosto che sulle doti dello statista e del politico.

Nessuno di questi aspetti di cui ci siamo occupati, ne siamo sicuri, riuscirà gradito ai suoi viscerali nemici, i quali quasi 100 anni dopo che fu dipinto, si dimostrano impauriti dagli effetti taumaturgici che un suo quadro potrebbe produrre! Questo a 57 anni dalla sua morte, ossia dopo un periodo uguale all'intero arco della vita del Führer.

Giandomenico Bardanzellu

(1) Lo stesso acquerello è riprodotto nel libro «Volkslexikon Drittes Reiches» di L. Peters, edizioni Grabert, con il titolo e la data: Der Hof der alten Residenz in München.1914.

(2) La giovane si chiamava Stefanie Rabatsch, si fidanzò nel 1908 con un capitano del Reggimento Hessen, di stanza a Linz, che in seguito sposò.

(3) Il recente libro dello storico inglese Martin Allen (Edizioni Mac Millan, Londra 2000) dal titolo (nella versione tedesca) Lieber Herr Hitler..., «Caro Sig. Hitler...» e dal sottotitolo 1939-1940 chiarisce il motivo di questo impegno. Il Führer aveva un appuntamento con l'uomo di fiducia del duca di Windsor, l'industriale miliardario Carles Eugene Bedaux. Costui, arrestato nel '43 dai francesi e consegnato agli americani si suicidò in carcere in Florida nel '44. Bedaux doveva consegnare a Hitler la documentazione ricevuta dal duca di Windsor sulle difese francesi, da Calais alla Linea Maginot, raccolta dallo stesso duca nel corso delle ispezioni compiute col grado di Generale del Corpo di spedizione britannico in Francia.

Bedaux aveva promesso al duca che avrebbe consegnato questa importantissima documentazione solo al Führer in persona.

L'incontro ebbe luogo come previsto, e fu molto cordiale. Risulta che Hitler, in questa occasione, chiese a Bedaux un piacere personale.

Voleva aiutare un ufficiale, il tenente Rosenbusch (un ebreo al 100 per 100, un Hundertprozentiger volljude come Hitler stesso lo definì) che era stato suo comandante durante la prima guerra mondiale, e si trovava in difficoltà in Germania a causa delle vigenti leggi razziali. Bedaux fu felice di venire incontro al desiderio del Führer e non ebbe difficoltà a collocare il Rosenbusch in una delle sue ditte in Turchia (Bedaux Associates di Istanbul). (Questi particolari sono contenuti nel Dossier N°100-49001, rapporto Wenger-Valentine, dell'Archivio dell'F.B.I. in Washington D.C.).(Fonte)

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Una panoramica sulle opere di Adolf Hitler è consultabile cliccando QUI.

In verde testi di Olotruffa. Le foto non sono pertinenti col testo. Colore, foto, evidenziatura, grassetto, sottolineatura, NON sono parte del testo originale.WaA

1 commento:

  1. Un GRAZIE per questa bella documentazione. Conoscevo alcune cose, altre no. A proposito del Duce che chiese di pilotare l'aereo di Hitler, Antonio Spinosa, nella sua biografia di Mussolini, afferma che fu Hitler ad avere paura e che Baur invece gli fece segno che non c'era problema.

    Saluti!

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