venerdì 28 gennaio 2011

Il Padrino: la Mafia è lo sbarco in Sicilia del 1943



di Paolo Cecco

Lo sbarco degli alleati in Sicilia nonché l’ascesa delle “Democrazie” occidentali plutocratiche per la “liberazione” europea, ebbe nel Belpaese un
alleato senza ombre né macchie: la Mafia.
Spesso, della storia, se ne ricordano i fasti, le gesta eroiche, i vincitori. Più che dello studio del passato tramite l’uso di minuziose fonti, nei manuali che le aziende scolastiche (anche la cultura è diventata spa), ci presentano è sponsorizzato il “mito”: una narrazione investita di sacralità relativa ad importanti accadimenti in un certo contesto socio culturale o in un popolo specifico. È un deviato sociale ed un falsario chi si permette di mettere in discussione il “mito”.
All’unisolo si accetta, quello che il detentore del potere politico, economico e culturale di una specifica epoca ha preso per buono per decantarci la “sua” storia e per presentarci i suoi eroi, le sue divinità e la sua verità.
Il mito della storia, dunque, ha da rispondere ai suoi esigenti editori.
Se nel Cinquecento la redazione del Mito era l’Alcàzar di Madrid, nel Sei e Settecento la Reggia di Versailles e le gesta del “mite” generale corso e nell’Ottocento la city londinese; il Novecento è stata senza dubbio l’epopea americana. e dunque tutto il mito storico novecentesco è fuso di americanismo e idillismo d'oltreoceano.
Nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale, l’Italia è per definizione il “ventre molle”dell’Asse. Obiettivo degli alleati è quello di una spartizione del vecchio continente con gli amici di sempre: la Russia comunista (da qui il stretto legame che ha sempre unito due rivoluzioni tra loro compiacenti e figlie dell’industrialismo: marxismo e liberalismo). Il controspionaggio USA ebbe l'idea di ricorrere ai servigi della mafia.
Così, lo OSS contattò alcuni importanti boss mafiosi italo-americani (tra i quali il siculo Lucky Luciano), proponendone un cospicuo patto: la libertà in cambio di un sostanzioso appoggio al momento dello sbarco.
Per la “reconquista” sicula, verranno mobilitate le famiglie più prestigiose della Mafia: gli Adonis, i Costello, gli Anastasia, i Profaci.
Circa tremila gli “uomini d’onore” saranno utilizzati dall’esercito a stelle e strisce, per la loro guerra di liberazione nella roccaforte europea.
E così, Con l'appoggio di questo formidabile esercito silenzioso, l'operazione di sbarco del luglio '43 supera ogni più rosea aspettativa. Ovunque, l'invasore anglofono è accolto con fiori, riverenze ed applausi. Mai uno sparo, nè un caduto.
Una battaglia davvero strana, quella della Sicilia.
Ma è nella distribuzione delle cariche che gli alleati superano se stessi.
Con l’ arrivo delle formidabili democrazie occidentali, ecco che nel governo provvisorio siculo, emergono noti mafiosi: Giuseppe Genco diviene sindaco di Mussomeli e Calogero Vizzini (uno stinco di santo che aveva sulla coscienza una cosa come cinquantun delitti) fu nominato sindaco di Villalba, (da ricordare che nella cerimonia d’insediamento fu salutato da grida di “ viva la mafia”).
Gli americani, dunque, provvedono a sostenere l'organizzazione mafiosa in modo sistematico ed immediato.
Cinquecento uomini di cosa nostra, confinati dal regime fascista ad Ustica, sono immediatamente liberati e tornano a casa per prendere possesso dei posti vacanti di sindaco e di funzionario nelle amministrazioni comunali.
Lo stesso governo civile alleato, che è guidato dal colonnello Charles Poletti, completerà il proprio organico pescando nel ricco serbatoio mafioso: Damiano Lumia, nipote di Calogero Vizzini, diventa interprete del Civil Affairs; a Vincenzo di Carlo, capo della mafia di Raffadali, è affidata la responsabilità dell'ufficio requisizione grano.
Il capomafia di Corleone, Michele Navarra, è incaricato di raccogliere gli automezzi militari abbandonati.
Grazie alla democrazia statunitense, la Sicilia è saldamente in pugno a cosa nostra, la quale, costituita una struttura politico-militare, quella separatista, è in grado di assicurare il controllo del territorio e delle rotte mediterranee agli States.
Mentre qualsiasi attività politica nell'isola è rigorosamente vietata, i separatisti organizzano pubbliche riunioni, cui prendono parte ufficiali americani in divisa.
Un legame di sangue i cela tra i gruppi separatisti e Washington.
Questo risulta lampante dalle missive indirizzate dal capo del Movimento, Finocchiaro Aprile, ai colossi industriali d'oltreoceano, la Ford Motors, la Dillon Bank, o a personaggi come il segretario di stato Cordell Hull e la signora Eleonora Roosevelt, destinataria quest'ultima di un plateale messaggio: «saremo lieti e orgogliosi se la Sicilia potrà essere la longa manus degli Stati Uniti in Europa».
Il materiale bellico è fatto pervenire ai nuclei dell'esercito separatista a cura di Salvatore Sciortino, cognato di Giuliano, il quale svolgerà in seguito anche missioni di collegamento negli U.S.A. e, quando le cose in Sicilia volgeranno al peggio, troverà rifugio nelle stesse forze armate U.S.A. con le quali si batterà nel 1951 in Corea raggiungendo il grado di sottufficiale.
Questa sinergia, questo “patto d’acciaio” tra alleati, mafia e separatismo funzionerà fino a quando i vertici politici americani decidono che l'emergenza del separatismo non ha più ragione d'essere.
Quando ,dunque, l’intero vecchio continente sarà inzuppato di cultura liberal e marxista nel gioco strategico (la guerra fredda) messo a punto dai due fratelli gemelli, U.S.A. ed U.R.S.S., i direttori responsabili (i sovietici fino al 1989) del “mito” della storia e del buon liberatore democratico.

http://www.italiasociale.net/storia11/storia050111-1.html

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