Grazie alla nostra affezionata lettrice – e sostenitrice – Cinzia Minucci abbiamo ricevuto quest’articolo tratto da L’Uomo libero a firma di Sergio Gozzoli che proponiamo per intero.
Buona lettura.
La Germania e il popolo tedesco eterni obiettivi dei nemici dell’Europa.
Un  testo rivelatore: GERMANY MUST PERISH! di Theodore Kaufman – Alle  radici storiche della menzogna – La dannazione per l’Olocausto come  vantaggioso surrogato della castrazione.
Chi abbia vissuto in età consapevole la  Seconda Guerra Mondiale, e ne abbia poi seguito con un minimo di  interesse le polemiche interpretative, sa che l’opinione ufficiale dei  vincitori – e quindi dell’odierna cultura politically correct –  è quella che il conflitto sia stato reso necessario dalla follia  irrazionale di Hitler e del Partito nazionalsocialista che lo sostenne  in Germania, insieme a tutti i movimenti fascisti o parafascistì del  mondo che si erano schierati con loro.
A somma riprova di questa follia sta la  perfidia dell’antisemitismo, concentrata nell’irrevocabile ed eterna  accusa dell’Olocausto: sei milioni di ebrei freddamente massacrati in  una crudele e pianificata volontà di genocidio.
Le conclusioni sull’Olocausto sono ormai  considerate irreversibili: tutto, nella storia, può essere rivisitato e  discusso, eccetto questa assiomatica verità. L’informazione ne riparla,  in un clima di celebrazione, quasi ogni giorno. E in molti Paesi del  mondo anche un minimo tentativo di riconsiderare le cifre, le condizioni  e la tecnica del presunto smisurato eccidio viene punito come un  gravissimo reato penale.
Alcune settimane fa, durante uno dei  grandi dibattiti televisivi sul recente conflitto fra NATO e Serbia, una  giovane signora – non smentita e non contestata da nessuno – affermò  che la Seconda Guerra Mondiale era stato uno scontro fra Germania ed Ebrei.
E questa oggi, in buona fede, la convinzione di una gran parte del pubblico mondiale.
Ma nel 1941, a guerra ormai avanzata, e  con gli USA ancora neutrali, negli Stati Uniti d’America venne edito un  libro. Il suo titolo è GERMANY MUST PERISH!, LA GERMANIA DEVE MORIRE! – o perire, o andare in rovina, o essere distrutta: il verbo to perish ha in inglese una somma di significati analoghi a quelli dell’italiano perire, ma più penetranti.
[ i giornali americani presentarono il libro di Kaufman con risalto ed entusiasmo]
Questa è, letteralmente tradotta, la nota introduttiva al volume: «Delle  migliaia di libri antinazisti pubblicati negli ultimi pochi anni, LA  GERMANIA DEVE MORIRE! di Theodore N. Kaufman è l’unico volume che abbia  sparso paura e terrore nel cuore e nell’animo dei Nazi. Questo libro  irritò tanto il Dr. Goebbels che egli lo denunciò sulla prima pagina di  ogni giornale in Germania e sull’intera rete-radio tedesca! E il  giornale personale di Adolf Hitler, in un frenetico e pazzesco commento  sul libro, dichiarò che non Kaufman, ma il Presidente Roosevelt era  colui che aveva realmente scritto LA GERMANIA DEVE MORIRE!».
A parte però questa prima nota, ve n’è una seconda indirizzata al lettore: «GERMANY  MUST PERISH! presenta un piano per la struttura di una pace permanente e  durevole fra nazioni civili. Esso basa la sua tesi sulla definitiva  sconfitta della Germania da parte dell’Impero Britannico e dei suoi  Alleati, senza l’aiuto degli Stati Uniti.
Dovessero comunque le circostanze  orientare il pubblico americano a rovesciare il suo voto a favore della  guerra come misura di autodifesa (e la fervente preghiera dell’Autore è  che ciò non debba mai accadere) bisogna che allora diventi fondamentale  che le vite dei nostri concittadini non siano sacrificate invano come  quelle dei loro padri una generazione fa.
Se i nostri soldati dovranno  procedere per uccidere o morire in battaglia, che almeno essi ricevano  non uno Slogan, ma una Solenne Proposta ed una Sacra Promessa.
Che questa proposta sia una Durevole Pace. (1)
E, questa volta, quella promessa va mantenuta!»
Il titolo del primo capitolo e «About This Book» – Su questo libro.  I suoi argomenti – sia esso stato scritto da Kaufman col patrocinio di  Roosevelt, o dallo stesso Roosevelt sotto pseudonimo – sono  stupefacenti: «La guerra odierna non è una guerra contro Adolf Hitler. Né è una guerra contro i Nazi (Today’s war is not a war against Adolf Hitler. Nor is il a war against the Nazis.)  E’ una guerra di popoli contro popoli, di popoli civili, ispirati dalla  Luce, contro barbari incivili che hanno a cuore l’Oscurità. …E una  battaglia fra la nazione tedesca e l’umanità.
Hitler non è da accusare per questa  guerra tedesca più dì quanto lo fosse il Kaiser per la precedente. Né  Bismarck prima del Kaiser.
Questi uomini non originarono né intrapresero queste guerre della Germania verso il mondo.  Essi erano semplicemente degli specchi che riflettevano la secolare  bramosia della nazione tedesca per la conquista e il massacro di massa (far conquest and mass murder).
Questa guerra è stata intrapresa dal  popolo tedesco. È lui il responsabile. Ed è lui che deve pagare per la  guerra! Del resto, vi sarà sempre una guerra tedesca contro il mondo. E  con questa specie di spada sospesa sul capo delle nazioni civili del  mondo, qualunque sia la vastità delle loro speranze e la combattività  dei loro sforzi, essi non avranno mai successo nel trovare quella  determinante e solida fondazione di pace permanente che essi dovranno  stabilire se vorranno mai pensare di iniziare a costruire un mondo  migliore.
Giacché non basterà che non vi siano  in atto guerre «tedesche»: non deve rimanere neppure la più pallida  possibilità che una di esse possa ripetersi. Un alt definitivo  all’aggressione tedesca — non una occasionale cessazione – deve essere  l’obbiettivo dell’attuale battaglia. Questo non significa un dominio  armato sulla Germania, né una pace fondata su aggiustamenti politici e  territoriali, e neppure una speranza basata su di una nazione sconfitta e  pentita. Tali accorgimenti non sono garanzie del tutto conclusive per  l’abbandono di ulteriori aggressioni tedesche.
Questa volta la Germania ha portato una guerra totale (2) contro il mondo. Di conseguenza, essa deve essere pronta a pagare una PENA TOTALE.
E v’è una, e una sola, di queste Penalità Totali.
La Germania deve morire per sempre.
Ma in assoluta realtà di fatto — non per fantasia.»
A questo punto il testo passa a  considerazioni di ordine storico che, quanto meno nelle pretese  dell’Autore, dovrebbero rappresentare una documentazione indiscutibile  della eterna, indominabile, naturale vocazione tedesca al dominio del  mondo. Dopo una premessa che asserisce la totale coincidenza in Germania  della bramosia di dominio mondiale fra capi di vertice e passionalità  popolare, coincidenza senza la quale i capi non sarebbero espressione  intera e globale del proprio popolo, il libro comincia ad esaminare la  storia del Germanesimo e del Pangermanesimo.
Il Pangermanesimo – che prese questo  nome dopo avere unificato la vasta serie dei minori movimenti  germanistici – è semplicemente l’idea di unificare, culturalmente e  politicamente, tutti i popoli germanici entro gli stessi confini sulle  basi di una comune tradizione di lingua e di costume. Ma nel testo  questo corretto significato è sistematicamente dimenticato e distorto,  ed il Pangermanesimo viene mendacemente presentato come un mito  nazionale tedesco di dominio del globo.
Va comunque ricordato che la data di  comparsa del Pangermanesimo coincide con l’epoca della massima  espansione del colonialismo, che vede nel mondo i vastissimi imperi  inglese, francese, olandese, portoghese, belga tenere in soggezione  quasi tutti i popoli del pianeta, mentre la Russia ha da tempo fatto  della Siberia la propria continuità geografica in Asia e l’America sta  portando i propri confini – attraverso una lunghissima serie di  conflitti dichiarati e no – dalle colonie europee del Nord e  Centroamerica a quelle dell’estremo geografico opposto del Pacifico, a  ridosso del Giappone.
I Paesi bianchi sono sostanzialmente  liberi: tutti gli altri Paesi del pianeta, eccetto tre – Giappone, Siam  ed Etiopia – sono soggetti direttamente o attraverso protettorati a  nazioni bianche.
Il Panslavismo, in Russia, trova gli  stessi mèntori ideologico-culturali del Pangermanesimo in Germania,  mentre la silenziosa crescila del Fabianesimo in Inghilterra fonda con  più sicura forza l’idea di una egemonia anglosassone sul mondo  attraverso la crescita culturale della casta dominante britannica, col  sostegno della City e della Royal Navy.
Perché allora attribuire alla Germania  questa passione di dominio mondiale, che mai nella storia tedesca è  apparso come aspirazione globale? Il debole richiamo ad un giudizio di  Machiavelli sull’amore dei tedeschi per le anni, o la citazione di  alcune pagine del «Grande Enigma» di Bourdon, o il ricordo di due frasi  di Nietzsche o di qualche minore autore tedesco, non riescono certo a  documentare questa minaccia.
La verità è un’altra.
Da quando l’America ha iniziato, nel  corso del secolo passato, la sua progressiva espansione commerciale nel  mondo – ben coperta dalla deliberazione politica della dottrina di Monroe,  che negava a tutti i paesi europei la possibilità di un qualunque  intervento nell’ambito dell’intero continente americano -la Germania fu  il primo Paese europeo a rendersi conto che non già per lei, ma per tutta l’Europa si apriva una fase di progressivo declino, mentre smisuratamente cresceva la potenza americana.
Era non lontana la fine del secolo  scorso. Il Kaiser di Germania, a suo cugino lo Zar di tutte le Russie,  propose, per la prima volta nella storia, l’instaurazione di un mercato europeo  che – proteso verso il Meridione e l’Oriente -potesse difendere gli  Europei dall’invadenza americana. Ma lo Zar Nicola II -per  superficialità, per incompetenza, per mediocrità — lasciò cadere la  cosa. Forse, qualche pressione antitedesca i Russi l’avevano ricevuta  dall’Inghilterra e dalla Francia. Le quali anche – soprattutto la Gran  Bretagna, allora totale dominatrice delle rotte e degli stretti mondiali  nella subordinazione di centinaia di popoli – avrebbero dovuto sentire  più della Germania la crescente minaccia americana. Ma la comunanza di  lingua fra Inghilterra e America, le matrici religiose parzialmente  convergenti, la forza della Società di Rhodes e Milner che sognava un  ritorno dell’America nella gran Madre fabianista, e soprattutto la  sovrapposizione delle stesse banche che da Londra muovevano verso  l’America a creare il bozzolo dell’Occidente, impedirono al Regno Unito  un sogno di ripresa. La continuità di questa politica segna oggi  l’attuale caduta dell’Inghilterra a supino servitore degli interessi  americani.
Ma la Germania in formazione e in  crescita, insediata dalla Sorte nel cuore dell’Europa, al centro di  potenze europee antiche e nuove alla Storia per recente unità, cominciò a  sollevare, con forza analoga all’Inghilterra e quindi all’America, il  problema dei propri diritti: spinta dal Pangermanesimo all’assorbimento  dei tedeschi dell’Austria, dell’Olanda, del Belgio fiammingo, dei  Sudeti, nel contesto europeo di milioni di Volksdeutschens – i  tedeschi emigrati da secoli in Ungheria, Romania, Paesi slavi e Russia –  essa cominciò a tentare una rincorsa alla potenza militare e ad una  intrapresa di penetrazione nel mondo islamico. Fra le altre Potenze era  buon seme quello italiano, e potevano esserlo quelli iberici. Non era  ancora palese, allora, la formidabile crescita del Giappone nel cuore  dell’Asia Orientale, né la volontà d’indipendenza di Indonesia e India, e  poi della cosiddetta Cocincina francese, né la grande rivolta araba che  si esprimeva ancora in termini antiturchi.
Ma erano tutte premesse che, già nel  Primo Conflitto Mondiale, potevano far presagire – senza il dominante  intervento americano – una vittoria degli Imperi Centrali dopo la  Rivoluzione Russa, e comunque una ripresa di sforzi qualche decennio  dopo la sconfitta.
Erano intanto nate in Europa – prima e  magistrale quella italiana – le Rivoluzioni nazionalpopolari europee,  mentre il militarismo nipponico creava ad Oriente una nuova forza  mondiale.
Erano rinnovate forme di tenace,  caparbio attaccamento alla propria realtà nazionale, alla sua sovranità  politica, alla autarchia della propria produttività. La loro intesa in  senso europeo – e del Grande Mondo Orientale per i Paesi dell’Est  asiatico – creava una naturale barriera di protezione e sostegno ad una  Germania non disposta a soccombere agli anglosassoni.
In sostanza, quel che si confrontava già  allora erano due mondi antitetici in termini di visione della storia e  due grandi potenziali di mercato mortalmente antagonisti: l’Europa da  una parte, l’America dall’altra. E, sull’opposto Iato del globo,  attraverso le immense distese marittime del Pacifico, era la Grande Asia  Orientale ad affrontare, ancora una volta, l’America.
Ma da un punto di vista americano, il  cuore di questo vasto movimento ideale, civile, politico e alla fine  tecnologico-economico era la Germania.
Lo era allora, lo sarebbe stata sempre. E  la capacità profonda del suo popolo di esprimere forza, intelligenza,  istintivo amore per l’ordine. Lentamente, laboriosamente, faticosamente  il Paese sconfitto – e dopo la Seconda Guerra debellato e diviso in tre –  è ritornato negli anni ’70-’80 uno dei primi creditori mondiali. Mentre  l’America passava dai decenni in cui era la splendida riserva dei  risparmi propri e altrui, a quelli, tragici, di più grande debitrice del  globo.
Niente al mondo in quegli anni faceva prevedere la Perestroika di  Gorbaciov, né una fantomatica possibilità di unificazione tedesca. E  tuttavia tutto, nel mondo, congiurava per questo. Nascevano fenomeni di  opposizione alla società multirazziale, rinascevano i sogni di un’Europa  convinta del suo destino, si alzavano voci solenni contro il  Mondialismo incentrato sull’egemonia americana, esplodevano i ribellismi  arabi.
E l’America era profondamente percossa  dalla sconfitta in Vietnam, perdeva battaglie tecnologiche, diveniva una  società sempre più in crisi.
Unificati i suoi due principali tronconi  dopo la caduta del Muro, la Germania coltivava in quell’epoca un suo  grande disegno: riportare le decotte industrie tedesche dell’Est, col  concorso del denaro pubblico, ad un altissimo livello che avrebbe  condotto non solo la capacità produttiva tedesca, ma anche quelle  polacca, ucraina e baltica ai massimi livelli mondiali. Era il sogno di  Herrhauser, era quello di Rohwedder: due grandi economisti tedeschi,  incaricati, uno dopo l’altro, di realizzare questo disegno.
Ma furono ambedue uccisi: saltò la  macchina del primo nel 1989, e tre colpi di fucile sparati dal suo  giardino freddarono nel 1991 il secondo.
Sconosciuti i colpevoli. Sconosciuti allora, sconosciuti oggi.
Il governo tedesco capì il messaggio.
Affidalo l’incarico di Rohwedder ad una  donna, essa svendette le industrie dell’Est ai banchieri cosmopoliti, e  la vasta area di milioni di occupati tesi a far crescere l’Europa, si  ridusse ad uno stuolo di milioni di sottoccupati e cassintegrati a  generare, nel cuore del continente europeo, una vasta e penosa plaga di  assistenzialismo.
E l’America sostituendo la Germania – ricostituì potenza produttiva e forza di denaro.
Ma torniamo a GERMANY MUST PERISH!,  quel libercolo ingenuo, fanatico e grossolano, antistorico nei  contenuti, ma adatto all’incolto e semplicistico gusto americano. Esso  doveva, nel 1941, preparare l’America all’intervento, sperando che un  attacco giapponese potesse contribuire a spingere il popolo americano  alla guerra. Ma esso doveva anche costituire, nel linguaggio dei  simboli, una dura minaccia per la Germania.
Che la Germania non abbia mai, nei  millenni, sognato un dominio del mondo che l’Inghilterra invece operava  da secoli col concorso subordinato di altri Paesi europei, non era  rilevante per GERMANY MUST PERISH!. Quel che serviva era  ricordare all’Occidente che una Germania dalle grandi risorse  intrinseche, come era stata in grado di riaccendere il conflitto  Europa-America dopo 25 anni, avrebbe di nuovo potuto rifarlo ancorché  battuta e debellata.
Era quindi necessario terrorizzarla di fronte al mondo.  Quello che il libro presenta, in conclusione è la minaccia della  castrazione di un popolo: maschi e femmine. Poiché questa era la  punizione che il libro proponeva: la sterilizzazione di tutti i tedeschi.  Non a caso, qua e là nel mondo, in paesi nordici e scandinavi di antica  e sicura fede democratica, la sterilizzazione dei portatori di tare  ereditarie era stata a lungo effettuata. Nel silenzio, o comunque  nell’omertà generale. È un principio che in qualche misura doveva  conservarsi vitale e vivo. Era la matrice di un processo che doveva  mantenersi valido nelle strutture organizzative, nella disponibilità dei  medici e del pubblico, fermo e stabile nelle leggi di Paesi  scontatamente democratici, per potere poi essere richiamato – come  minaccia, come realtà operativa – e finalizzalo alla totale estinzione  del popolo tedesco.

L’ultimo capitolo del libro, Death to Germany, Morte alla Germania, si apre con un richiamo all’antica legge non europea, ma ebraica «An eyefor an eye, a tooth far a tooth, and a life far a life»: occhio per occhio, dente per dente, e una vita per una vita. Ma v’è, in termini più giuridicamente consistenti, la frase di Heinrich von Treitschke: «Ecco  la fine, qui l’umanità non è più possibile. Si deve poter infliggere  alla fine una punizione dietro la quale vi sia il nulla, e questa non  può essere che la punizione della morte.» Non è una legge, ma ha il  tono del Salmo. Anche se concepita nei rapporti tra Stato e individuo, e  non fra stati vincitori e vinti, essa sembra calzare al testo come  norma conclusiva.
E così, conclude il libro, sia fatto alla Germania!
E qui parte il discorso scientifico  sulla sterilizzazione di tutti i Tedeschi. E un metodo moderno,  chiarisce l’autore, conosciuto dalla scienza come sterilizzazione eugenica — che significa «miglioramento della razza»: è «pratical, humane and thorough»,  – cioè è pratico, umano e risolutivo. È un metodo, aggiunge il sano  democratico e antirazzista Autore, che va visto quale mezzo tecnico per  ripulire la razza umana dai degenerati, dagli insani, dai criminali  ereditari.
E un metodo che neppure un razzista si  sognerebbe oggi di offrire: alla peggio si nasconderebbe dietro il «seme  dei geni» conservato in frigorifero. Ma l’accanito e fanatico cultore  della democrazia di stampo americano lo propone con serenità ed  orgoglio: è contro il popolo tedesco. Con 20.000 buoni  chirurghi, ed escludendo i vecchi sopra i 60 anni e le femmine sopra i  45, in due generazioni il mondo sarebbe libero dalla nazione tedesca. La  scomparsa della Germania – e il vecchio eugenista mondiale ritrova  l’antico spirito delle conquiste – non creerebbe effetti più negativi di  quel che accadde con la graduale scomparsa degli Indiani d’America.
Che cosa accadde mai, allora, col  genocidio protratto per lunghi decenni dei pellerossa padroni dei vasti  confini dell’West? Proprio niente: si allargò l’America a potenza  continentale.
Nient’altro succederà se moriranno,  entro due generazioni, tutti i Tedeschi. Questi son coloro che si  oppongono, primi ma sempre seguiti da molti, all’imperialismo mercantile  americano e al mondialismo armato della egemonia aeronavale USA.  Pericolo mortale per la plutocrazia mondialista, oggi e domani: la  soluzione è la loro cancellazione.
Ma non si fa la storia – nel bene e nel  male – senza rifare allo stesso tempo la geografia: che accadrà della  Germania, quando non ci saranno più i tedeschi? L’autore prende in  considerazione il problema, e abbozza una mappa nella quale la Polonia –  persa la fetta già incorporata dall’URSS – sposterebbe verso Occidente  il suo territorio inglobando Berlino, l’Olanda fedele quadruplicherebbe  il suo, la Francia si incuneerebbe fino a Monaco per confinare con una  Cecoslovacchia almeno triplicata, mentre Belgio e Svizzera si  accontenterebbero di incrementi territoriali minori. E nessuno si  sorprenda della eliminazione dell’Austria: nella mentalità americana,  gli Austriaci sono tedeschi e come tali devono scomparire anche loro.
È il 1941. Ma pochi anni più tardi, a  guerra ormai in procinto di concludersi dopo l’immane intervento  americano, dopo gli anni dei bombardamenti a tappeto sull’Europa con la  sua sostanziale distruzione, dopo Montecassino, Dresda, Hiroshima e  Nagasaki, cosa accadde di nuovo, a far rientrare il progetto di  sterilizzazione obbligata dei Tedeschi?
Sorse – quasi all’improvviso – qualcosa che GERMANY MUST PERISH! non aveva previsto, forse non sapeva neppure immaginare: sorse l’Olocausto ebraico.
Era la più grande costruzione  celebrativa di un popolo. Un popolo che finiva vincente senza avere mai  dichiarato alcuna guerra, e che poteva attingere le dimensioni di  vittima insuperabile e atteggiarsi, di colpo, a centro culturale del  mondo: per farsi costruire nella terra da colonizzare, la Palestina, un  bilancio da forte potenza nucleare.

E la Germania doveva vivere, non morire,  per produrre e pagare ad Israele fin dentro il Duemila le fortissime  spese destinate a garantire un’indiscussa superiorità militare  sull’intero mondo islamico.
Ma era anche una autocelebrazione che  elevava a carnefici eterni, per la storia, finché sarà scritta, le  decine di milioni di tedeschi ritenuti tutti moralmente responsabili.
Non più, quindi, la conquista del mondo, ma il genocidio del popolo ebraico:  era una condizione per la Germania di infamia perpetua, di perfidia  quotidianamente riattribuita da libri e filmati, di progressiva  separazione nei confronti dei camerati europei di ieri, di rigetto e di  rifiuto da parte degli europei di domani.
Non contavano le decine di milioni di  vittime dei bolscevichi, né il milione di soldati e ufficiali tedeschi  fatti sistematicamente morire nei campi di prigionia americani, né le  centinaia di migliaia di fascisti rimasti ad imbiancare di croci i Kriminal Camps,  né i milioni di europei massacrati a guerra finita in tremende pulizie  etniche, conclusesi con quella tragica di Palestina: via gli arabi dalle  case, dai villaggi, dalle città – attraverso qualunque crudele mezzo  -per lasciare spazio alle nuove città israeliane.
Ecco dunque la castrazione morale dei Tedeschi, la castrazione a tempo indeterminato, per sostituire la più infamante e complessa sterilizzazione sessuale-chirurgica.
Questo spiega la mancata attuazione del progetto di sterilizzazione previsto dal libro.
Ma questo spiega anche molte altre cose:  prima fra tutte la mendace ricostruzione della guerra, delle sue  premesse, dei suoi protagonisti, delle sue conclusioni e delle singole  storie nazionali.
Quasi la metà dei popoli del mondo – ma  in fondo tutti, anche i vincenti, giacché la storia è mendace anche per  loro – sono obbligati oggi a non riguardarsi indietro, e a gettare la  prima metà del secolo in un grande buco nero.
Spariscono decenni di eventi grandiosi, di geniali costruzioni ideali, di entusiasmi trascinanti.
Si rovesciano i Valori, si rovescia la Verità.
Tutto, in fondo, è oggi piantato sulla menzogna.
Ma sulla menzogna, soprattutto se  riferita ad eventi storici, non si costruisce niente di positivo: le  terribili miserie di ieri torneranno ad esplodere in violenze cento  volte più drammatiche. Mentre deflagreranno dieci Cambogie, dieci  Serbie, dieci Kurdistan, dieci Palestine.
Forse, fra i mille esempi di mendacio, uno dei più didattici è proprio il nostro – quello italiano.


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