giovedì 8 luglio 2010

Morte Mussolini: quando gli storici vogliono essere ciechi e sordi


di Maurizio Barozzi

Questo articolo è dedicato a tutti quei giornalisti, ricercatori storici e Istituti Storici, che in oltre 60 anni, sul mistero dell’assassinio di Mussolini e di Clara Petacci, di fronte a inequivocabili evidenze e a semplici ragionamenti deduttivi, hanno sempre fatto finta di niente. E parliamo di storici che pur in altre occasioni e argomenti manifestavano acume, intuizioni e intelligenza.
Eppure fin dai primi anni del dopoguerra quando vennero rese note le “versioni” di Walter Audisio su la morte di Mussolini, si destarono una infinità di perplessità di fronte alle tante assurdità, contraddizioni e palesi inesattezze che quelle relazioni presentavano. Ma nonostante questo, grazie alla compiacenza di certi “storici”, quella “vulgata” venne persino imposta nei testi di scuola.
Ma se certi giornalisti storici non ebbero il coraggio morale di mettere per scritto e denunciare quanto pur era a tutti evidente, altri ricercatori storici, come per esempio Franco Bandini, Giorgio Pisanò, Alessandro Zanella, Luciano Garibaldi, ma non solo, oltre ad Aldo Alessiani, un medico legale esercitante al tribunale di Roma, scavarono nelle contraddizioni di quella “storica versione”, rintracciarono testimonianze, studiarono i pochi reperti, gli scarsi documenti disponibili e foto e filmati d’epoca e finirono per smontarla del tutto.
Il primo a parlare chiaramente di una messa in scena, con tanto di finta fucilazione andata in onda il pomeriggio del 28 aprile 1945 davanti al cancello di Villa Belmonte, fu Franco Bandini nel 1973 su Storia Illustrata di febbraio. Quindi il medico Aldo Alessiani, alla fine degli anni ’80, presentò importanti studi di ordine balistico e cronotanatologico che delineavano l’ipotesi di una fucilazione eseguita da almeno due tiratori con due armi diverse e una morte probabilmente anticipata di alcune ore rispetto al pomeriggio in cui veniva attestata.
Giorgio Pisanò, infine, nel 1996 rintracciò la decisiva testimonianza di Dorina Mazzola, una signora che al tempo aveva abitato a poco più di cento metri da casa dei contadini De Maria in Bonzanigo, luogo ove erano rinchiusi Mussolini e la Petacci, nonché la confidenza di Savina Santi la vedova di Guglielmo Cantoni Sandrino, uno dei due “carcerieri” di Mussolini e la Petacci in quella casa. Queste testimonianze indicavano che Mussolini era stato ammazzato tra le 9 e le 10 del 28 aprile 1945, nel cortile della casa, mentre la Petacci poco più avanti e un paio di ore dopo,.
Nel 2006 infine un equipe del professor Giovanni Pierucci, al celebre Istituto di Medicina Legale di Pavia, sottoponendo le foto che mostravano il cadavere di Mussolini a scansioni con tecniche moderne e computerizzate, raggiunse la certezza che quel giaccone indosso al cadavere non presentava fori o strappi quali esiti di una fucilazione. Una fucilazione che pur aveva attinto il corpo di Mussolini con ben nove colpi alcuni sparati da distanza ravvicinata.
Ergo, Mussolini fatto trovare in terra al cancello di Villa Belmonte era stato precedentemente ucciso in altro contesto e abbigliamento e quindi rivestito.
Era questa una prova oggettiva e decisiva, per dimostrare la messa in scena della finta fucilazione, che si andava ad aggiungere all’altra prova “oggettiva”, quella dello stivale destro di Mussolini che mostrava la chiusura lampo saltava all’altezza del tallone. Quello stivale, non essendo allacciabile, non poteva assolutamente consentire a Mussolini di camminarci per essere portato alla macchina che lo doveva condurre al cancello di Villa Belmonte, come invece aveva raccontato Walter Audisio laddove scrisse di un Mussolini, che uscito di casa con uno stivale “sdrucito”, aveva percorso i viottoli in discesa (che tra l’altro erano in salita!) a passi svelti e sicuri.
Se questo è stato l’iter tangibile e oggettivo che ha portato alla demolizione della “vulgata”, dobbiamo anche dire che quella versione, così contraddittoria e impasticciata, conteneva in sé anche alcune assurdità che potevano riscontrarsi per via induttiva e deduttiva, tanto che non c’era neppure bisogno di aspettare queste prove concrete, per dichiararla falsa.
Ma molti fecero finta di niente, eppure non è pensabile che fossero tutti ciechi, sordi e persino imbecilli.
In questo articolo indicheremo alcune di queste evidenze, avvertendo che i fatti, gli orari e le persone citate sono solo quelli accertati e comunque riconosciuti dalle stesse fonti resistenziali.

L’imposizione del silenzio
La prima assurdità era quella che si riscontrava nel circondario dove era stato fucilato Mussolini, laddove si percepiva un clima diffuso di paura a parlare, di omertà ambientale esagerata.
Per altre vie, infatti, molte testimonianze attestavano che a suo tempo era stato imposto il silenzio ovvero si era minacciata e impaurita la gente del luogo affinché non rivelasse particolari difformi dalla “vulgata”. Una paura che, amplificata da oltre 400 omicidi che si erano verificati nell’immediato dopoguerra nel comasco (di cui solo una settantina a Como), aveva sparso il terrore. Lo stesso vicesindaco di Mezzegra, Vittorio Bianchi ebbe a ricordare, nel corso di una intervista di fine 2008 alla Tv espansione di Como, nella trasmissione “Trenta denari”, che in quei posti la gente, a suo tempo, venne “zittita”.
Ergo la deduzione immediata, incontrovertibile e persino banale era quella che se la gente venne “zittita” (in quel modo poi) doveva esserci una grave ragione e quindi la “storica versione”, tramandata ai posteri, non poteva essere veritiera. Non è forse così caro Istituto del movimento di Liberazione di Como, oggi Istituto di storia contemporanea, che ancora sostieni la “vulgata”?

Il memoriale di Guglielmo Cantoni
La seconda deduzione riguardava la storia di un “memoriale” di Guglielmo Cantoni Sandrino (uno che c’era!), scritto probabilmente per non fare la stessa fine di Luigi Canali, il capitano Neri, e di Giuseppe Frangi Lino, due altri partecipanti / testimoni alla morte di Mussolini, che vennero ammazzati nei giorni successivi a quell’evento.
Per riassumere: il Sandrino scrisse un memoriale, riportando quanto era effettivamente accaduto quel 28 aprile, e lo consegnò all’allora sindaco di Gera Lario Giuseppe Giulini, uno stimato notabile a cui il Sandrino, anni prima, aveva anche salvato la vita.
Oltre alla moglie del Cantoni, Savina Santi, molte autorevoli testimonianze (tra cui il nipote del Giulini, certo Ugo Tenchio, il notaio di Como Rodolfo Casnati, il parroco di Gera Lario don Luigi Bianchi, ecc.), confermarono di aver saputo dal Giulini stesso dell’esistenza di questo memoriale.
Alla morte del Cantoni Sandrino (1972) il Giulini non restituì il documento alla famiglia e neppure uscì fuori alla morte dello stesso Giulini (1992).
Si sono fatte varie ipotesi sul perché il Giulini non rese pubblico il memoriale e tra le più probabili riteniamo ci sia quella che venne “recuperato” o “ceduto” (tra virgolette, perché i motivi, i termini e i modi sono ignoti) a qualche Istituzione ecclesiastica, a qualche Fondazione (probabilmente massonica) o Istituto storico, oppure, meglio ancora, con le “buone e/o le cattive” certi “ambienti” del posto riuscirono a farselo consegnare dal Giulini stesso, il quale poi non rivelò di non aver più il memoriale. Ma queste sono solo congetture.
Resta però il fatto che la sola esistenza di questo memoriale scritto dal Cantoni e la sua scomparsa fanno dedurre, inequivocabilmente, che esisteva un altra “verità” sulla morte di Mussolini, una verità da tenere assolutamente celata.

Il diversivo della falsa notizia che Mussolini transitava prigioniero sulla via Regina
Alcuni giornalisti, tra cui Franco Bandini e poi anche Giorgio Pisanò, ma anche le stesse fonti resistenziali raccolsero varie testimonianze di residenti del posto (Bonzanigo, Mezzegra, Giulino, Azzano) che riferirono che intorno alle 13, massimo alle 14, in quel circondario venne sparsa la voce, sembra dagli uomini di Martino Caserotti il Comandante Roma¸ un capo partigiano della Tremezzina, che il primo pomeriggio Mussolini sarebbe passato prigioniero nella sottostante provinciale (la via Regina). Bastò questo per svuotare le case di quei borghi e far correre la gente a vedere questo avvenimento. Addirittura i coniugi De Maria raccontarono che alle 14 circa il padrone di casa, Giacomo De Maria (che pur aveva Mussolini prigioniero in casa) partì a razzo per andare sul posto e vi restò fino a sera (si disse che egli non sapeva che tra i due prigionieri vi fosse Mussolini, poi nel 1993 un figlio dei De Maria disse invece che il padre lo sapeva benissimo, ma andò ugualmente in strada per non destare sospetti).
Tutta questa storia lascia chiaramente intravedere la necessità per i partigiani di dover allestire una messa in scena al cancello di Villa Belmonte e il più in discrezione possibile.
Lo si deduce facilmente dal riscontro degli orari. Audisio, infatti, partì da Dongo per recarsi a prelevare Mussolini e fucilarlo dopo le 15, mentre alle 14, se non prima, proprio quando si stava spargendo la “falsa” voce nel circondario Audisio, sconosciuto da quelle parti, neppure era ancora arrivato a Dongo e niente sapeva di dove fosse Mussolini.
Come si spiega allora, che con tanto anticipo e preveggenza qualcuno, ignorando non solo le intenzioni, ma anche la stessa esistenza del colonnello Valerio, già si premuniva di predisporre la “discrezione” in quei posti, svuotandone le case, per fargli fucilare Mussolini in tranquillità?
Ma oltretutto come è possibile che Giacomo De Maria, che sapesse o meno di avere Mussolini in casa, si recò anche lui sul posto, a perdere tutta la giornata, lasciando la moglie in casa con i prigionieri e dei guardiani armati? E’ tutto inverosimile.

L’ultimo pasto di Mussolini e della Petacci
Per dimostrare che Mussolini e la Petacci a mezzogiorno del 28 aprile 1945 erano ancora vivi, venne raccontato che proprio a quell’ora i due prigionieri, appena svegliatisi, chiesero o gli venne offerto del cibo che accettarono. Poco dopo gli venne quindi portato pane, polenta, latte e alcune fette di salame.
Verso un quarto alle 16, quando arrivò Audisio con gli altri per portare Mussolini e la Petacci alla fucilazione, nella stanza erano rimasti gli avanzi. In un primo momento venne detto che avevano mangiato solo un poco di polenta, bevuto il latte e mangiate le fette di salame. Poi si sostenne che invece non avevano mangiato nulla e il cibo era rimasto intatto nella stanza.
La sera, intorno alle 18, si disse che erano saliti in casa due del posto, i coniugi Carpani (lui divenne poi sindaco di Mezzegra), i quali appunto riferirono poi che il cibo era rimasto intatto. Stranamente invece, per i tre o quattro giorni successivi, venne impedito al fotografo Vincifori, che già il 29 aprile stava fotografando tutti i posti di quegli avvenimenti, di salire in casa De Maria per fotografare la stanza, perché?
In ogni caso, già il fatto stesso che la sera, la stanza non era stata sparecchiata, la dice lunga sul fatto che era stata allestita una messa in scena per dimostrare che i prigionieri erano ancora in vita dopo il mezzogiorno. L’autopsia del prof. Mario Cattabeni stabilì che Mussolini aveva lo stomaco vuoto con poco liquido torbido bilioso. Quindi egli non aveva mangiato affatto, prima di essere ucciso alle attestate 16,10, perché il poco liquido torbido bilioso indicava appunto un digiuno superiore alle 3 ore e mezza.
Comunque sia, pur non potendo essere certi, dalle contraddittorie testimonianze rilasciate, se Mussolini avesse mangiato, o mangiato poco oppure nulla, la faccenda non è credibile. Infatti se avesse mangiato dopo mezzogiorno, l’autopsia doveva attestarlo e non lo fece, se invece non avesse mangiato nulla non si spiega perché, digiuni dalla sera precedente, a mezzogiorno i due prigionieri avrebbero chiesto la colazione (o gli sarebbe stata offerta e quindi accettata) e poi invece non avevano mangiato. Un altra evidente deduzione sulla falsità della “storica versione”.

Le tre diverse versioni su Mussolini in punto di morte
In questo caso non c’è neppure il bisogno di essere deduttivi, tanto le contraddizioni sono palesi. Come noto Walter Audisio, in tutte le sue versioni, aveva attestato un Mussolini a cui lui, presentatosi come un “liberatore” dava assurdamente del “tu” in modo insultante, il quale in punto di morte balbettava e tremava incapace a profferir parola. Il suo compagno di merende Aldo Lampredi, scrisse invece nella sua Relazione del 1972 che Mussolini si aprì il bavero del pastrano e gridò “mirate al cuore!”. Infine il terzo partecipante alla fucilazione, Michele Moretti, raccontò che Mussolini urlò, con gran foga, “viva l’Italia!”. Ogni commento è superfluo!

Mussolini, la Petacci e i guardiani dimenticati in casa De Maria
Forse poco dopo le 5 di mattina del 28 aprile 1945, i partigiani della 52a Brigata Garibaldi Michele Moretti Pietro, Luigi Canali Neri, Giuseppina Tuissi Gianna e Pier Bellini delle Stelle Pedro, che poco prima avevano tradotto e nascosto Mussolini e la Petacci in casa dei De Maria a Bonzanigo, vi uscirono, lasciandovi i due guardiani armati Giuseppe Frangi Lino e Guglielmo Cantoni Sandrino.
Moretti e Canali andarono a Como, dove tra le 6 e le 7 arrivarono in Federazione Comunista. Qui raccontarono ai dirigenti Dante Gorreri Guglielmo e Giovanni Aglietto Remo gli ultimi avvenimenti e li misero al corrente di aver nascosto Mussolini. Gli venne detto che occorreva informare il partito a Milano, per avere ordini. Quindi vennero stranamente lasciati andare per conto loro, tanto che il Canali gironzolò per Como e fini poi intorno alle 14 a Dongo, mentre il Moretti passò a trovare moglie e figlio a Tavernola e poi, anche lui finì a Dongo. Mah...
Il Pier Bellini delle Stelle, invece, uscito da casa De Maria arrivò a Dongo sembra intorno alle 8 e qui non si preoccupò più del problema Mussolini, se lo dimenticò, lui che fino a poco prima era così orgoglioso ed eccitato da quella impresa.
Ebbene tutti questi partigiani, amici tra loro, ma con storie e referenti diversi (il Moretti era un comunista ligio e osservante delle direttive del partito, il Canali un comunista idealista “atipico” sul cui capo pendeva anche una condanna a morte per tradimento, emessa dal Comando Lombardo delle Brigate e rimasta poi in sospeso, mentre il Bellini era un ex ufficiale del regio esercito sicuramente vicino alle componenti non comuniste del CLNAI e del CVL) se ne vanno per conto loro senza preoccuparsi che qualcuno di loro possa impossessarsi del prezioso e super ricercato prigioniero. E tutti se lo “dimenticano” fino all’arrivo del, tra l’altro, inaspettato colonnello Valerio alias Walter Audisio a Dongo (ore 14,10).
E se Audisio non fosse arrivato a Dongo, fino a quando tutti continuavano a dimenticarsi di quei “prigionieri” e dei loro guardiani, abbandonati in quella casa?
Non avevano minimamente considerato che qualcuno di loro, all’insaputa degli altri, poteva impossessarsi del Duce, oppure che poteva esserci il rischio che i loro stanchissimi guardiani (non dormivano da due giorni), abbandonati di fatto per 11 ore (secondo la “storica versione”, fino a verso le 16 quando venne Audisio per eseguire la fucilazione) si trovassero in difficoltà?
Poteva infatti essere accaduto che il loro arrivo in quella casa verso l’alba era stato notato; ovvero che gli stessi coniugi De Maria si fossero lasciati sfuggire qualche confidenza; o ancora che qualcosa fosse sfuggita ai due autisti (tali Edoardo Leoni e Dante Mastalli) che dopo quella missione notturna erano stati lasciati andar via, sia pure con la consegna del silenzio; oppure che in quella casa potesse accadere una ribellione, un tentativo di suicidio o altro da parte dei due prigionieri; o che magari Mussolini con promesse vere o false che fossero, riuscisse a corrompere i due guardiani; o che altro di imprevedibile ancora, tutti eventi da tenere in considerazione in quei momenti di caos e dove vi erano “forze” e missioni che volevano catturare il Duce o ammazzarlo.
E comunque non si lasciano abbandonati per tutte quelle ore (e ripetiamo, se non fosse arrivato Audisio, chissà fino a quando li avrebbero “dimenticati”!) prigionieri e guardiani. Neppure dei comandanti partigiani da burletta potevano comportarsi così. E’ talmente chiaro, quindi, che questa “dimenticanza e sbadataggine” scaturiva dal fatto che la “pratica Mussolini” era stata chiusa al mattino con l’uccisione dello stesso.

Il comportamento di Longo e del Pci la mattina del 28 aprile
Analogamente a quanto sopra, si configura anche il comportamento del PCI a Milano e dello stesso Luigi Longo. E’ questa una particolarità che, modestamente, abbiamo fatto rilevare proprio noi.
Come noto Longo, la notte del 27 aprile 1945, desideroso di sbarazzarsi di Mussolini, organizza la missione del Colonnello Valerio Walter Audisio.
Stranamente un pò tardi, vista l’urgenza, verso le 7 del mattino Audisio, accompagnato da Aldo Lampredi, alto dirigente comunista e da un plotone di 12 partigiani dell’Oltrepò pavese, comandati da Alfredo Mordini Riccardo e Giovanni Landini Piero, parte per Dongo per andare a requisire Mussolini e gli altri prigionieri fascisti. Sembra che Longo confidi ad Alberto Mario Cavallotti Albero, un altro comandante presente al Comando Generale del CVL, che devono sbrigarsi perché sulle tracce di Mussolini stanno per arrivarci gli americani. Tutti comunque sono consci della problematicità e della urgenza di questa missione.
Comunque sia è già strano che Audisio sia partito senza che nessuno gli dica che Mussolini oramai a Dongo non c’è più. Eppure il rischioso trasferimento notturno del Duce in un luogo segreto, aggiungendoci per giunta una donna, la Petacci, non poteva essere stata iniziativa locale dei partigiani della 52a Brigata di Dongo, ma doveva per forza essere stato ordinato da Milano (CVL e/o PCI). Ma facciamo finta di credere che al mattino a Milano non ne sapevano nulla.
Alle ore 11 però Audisio, che era rimasto impantanato nella Prefettura di Como a litigare per ottenere un grosso camion e per far riconoscere la sua autorità, telefona a Milano e dicesi che parli con Longo. Lo stesso Longo racconterà che di fronte ai problemi di Audisio in Prefettura, il quale gli chiedeva se la sua autorità fosse prevalente su tutto, egli ebbe a dirgli a brutto muso: “o fucilate lui o sarete fucilati voi” e quindi Audisio, circa un ora dopo, partì per Dongo. Ma guarda caso non gli disse che Mussolini a Dongo non c’era!
Eppure come abbiamo precedentemente visto, a Como nella Federazione Comunista prima delle 7, Moretti e Canali avevano fatto rapporto sulla messa in custodia di Mussolini e gli era anche stato detto che occorreva sentire il partito a Milano. I telefoni, sia pure a singhiozzo, funzionavano eccome, ed allora come poteva ora, alle 11 del mattino, Longo ancora non sapere nulla di dove fosse Mussolini e riferirlo ad Audisio?
E perché precedentemente agli stessi Moretti e Canali non era stato detto che intorno alle 8 sarebbe arrivato a Como il colonnello Valerio e quindi loro due che conoscevano bene il posto dove Mussolini si trovava e potevano presentarsi ai guardiani senza farsi sparare addosso, attendessero appunto l’arrivo di questo Valerio?
Niente di tutto questo. Addirittura Aldo Lampredi, arrivato in Prefettura con Audisio verso le 8,30 del mattino, ad un certo punto sparisce all’insaputa di Audisio stesso, portandosi via il comandante Mordini Alfredo, l’auto di Audisio e l’autista. Lo ritroveremo molte ore dopo, proprio a Dongo, chi dice arrivato pochi minuti prima, chi dice pochi minuti dopo di Audisio, ma guarda caso i due gruppi: Audisio e il plotone da una parte e Lampredi e Mordini con altri dirigenti comunisti di Como dall’altra, pur percorrendo quella strada a fettuccia (la via Regina), piena di posti di blocco partigiani, ma priva di traffico, arrivano a reciproca insaputa e non sono stati informati del transito degli altri. Tutto inverosimile ed era invece chiaro che in tutte quelle misteriose ore il Lampredi aveva fatto qualcos’altro, così come era ovvio che Moretti e Canali, assieme ad altri dirigenti comunisti del posto o arrivati da fuori, erano tornati a Bonzanigo.
Ma che Longo si sia comportato in questo modo innaturale e per alcune ore del mattino non si sa neppure cosa fece, è perché ben sapeva che Mussolini, a prescindere dalla missione di Audisio, era già stato ammazzato al mattino a Bonzanigo. Se infatti Longo non avesse saputo più nulla di Mussolini, non sarebbe potuto rimanere tranquillo e verso le 14 andare allegramente ad incontrare le Divisioni di Moscatelli in arrivo a Milano e poi ancora intorno alle 16 tenere anche un comizio.
Invece egli, pur non sapendo più nulla di Audisio, dopo la telefonata delle 11, non si preoccupa che qualcuno, potesse nel frattempo aver liberato o catturato Mussolini sottraendolo alla morte!
Non se ne preoccupa perché sa bene che la “pratica Mussolini” era già stata chiusa al mattino.
Ecco questo era il quadro d’insieme di quella “storica versione”, costellato di episodi palesemente inventati o mistificati, una falsità evidente per tutti tranne che per quegli storici “ciechi” e “sordi”.

Da Rinascita - quotidiano di sinistra nazionale

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