venerdì 25 giugno 2010

Morte Mussolini: Uno squarcio di verità




di Maurizio Barozzi

Il teste Dorina Mazzola di Bonzanigo


25.06.2010 -Nel giugno del 1996 per i tipi del Saggiatore uscì un importante e incredibile libro – inchiesta sul mistero della morte del Duce, realizzato dal giornalista storico Giorgio Pisanò: “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini”.

Finalmente, con questa inchiesta e grazie alla testimonianza, resa alcuni mesi prima, di una signora settantenne, ma all'epoca dei fatti da lei riferiti ragazza diciannovenne residente a Bonzanigo a circa 150 metri da casa dei contadini De Maria (luogo in cui tra le 4 e le 5 del mattino del 28 aprile 1945 era stato nascosto Mussolini) oltre ad una serie di riscontri e altre testimonianze collaterali si poteva fare un pò di luce su le ultime ore di vita di Benito Mussolini e Claretta Petacci.

Come noto, fino a quel momento (1996), per la morte del Duce era attestato un resoconto di comodo, non credibile, contraddittorio e per giunta riferito in almeno tre o quattro diverse versioni ovvero la famosa “ storica versione” di Walter Audisio alias colonnello Valerio che già lo storico Renzo De Felice aveva definito una “vulgata”, ma che era persino stata inserita in qualche testo di scuola. [ 1 ]

Ma al contempo giravano anche, nell'editoria nazionale, almeno un diecina di “versioni alternative”, tutte più o meno poco credibili e soprattutto non dimostrate, tanto che alla vulgata del “ giustiziere ” colonello Valerio, quello che asseriva di aver fucilato il Duce, da tre passi con un mitra Mas modello '38 cal. 7,65, [ 2 ] alle 16,10 del 28 aprile 1945 davanti al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra (Tremezzina) si aggiungevano almeno una diecina di altri “fucilatori” e varianti pazzesche, rendendo tutta la vicenda una vera e propria telenovela.

Ma soprattutto girava (e gira ancora) un film che come di solito accade, colpendo con la sua finction spacciata per evento reale, l'immaginario collettivo , edulcorando la “storica versione” di Audisio, di fatto, costituiva il punto di riferimento di una opinione pubblica sprovveduta e male informata. Si trattava di “ Mussolini ultimo atto”, con Franco Nero nella parte del colonnello Valerio e Rod Steiger in quella di un tremebondo Duce, un film mediocre realizzato nel 1974 da Carlo Lizzani un regista vicino al PCI.

Ironia della sorte proprio lo stesso Lizzani, nel 2007 ha tardivamente riferito, in un suo libro di memorie, che Sandro Pertini, un pezzo da novanta della Resistenza, dopo aver visto il film e per lamentarsi di un non adeguato profilo della sua figura, gli scrisse una lettera affermando tra l'altro: << ...e poi non fu Audisio a eseguire la “sentenza”, ma questo non si deve dire oggi>> [ 3 ].

Ma la “storica versione” era mendace solo perchè, come del resto tutti avevano sempre sospettato, copriva il vero o i veri autori della proditoria uccisione di Mussolini e Clara Petacci, investendone dell'impresa il mediocre partigiano e ragionier Audisio?

No davvero, perchè l'inganno di quella “versione” riguardava anche i tempi, le modalità e il luogo in cui erano stati assassinati prima Mussolini e poi la Petacci.

Oggi, dopo che nel 2006 all'Istituto di medicina legale dell'Università di Pavia una equipe del prof. Giovanni Pierucci ha studiato e sottoposto a perizia, attraverso tecniche d'avanguardia e strumenti computerizzati, foto e filmini che riproducono il cadavere di Mussolini e della Petacci, si è potuto definitivamente mettere una pietra tombale sulla “storica versione”, quella che descriveva una fucilazione pomeridiana di Mussolini e la Petacci, per mano di Walter Audisio Valerio e presenti Aldo Lampredi Guido e Michele Moretti Pietro, tutti comunisti.

In realtà quella “fucilazione” attestata a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di Villa Belmonte fu una messa in scena, perché si finse di sparare a due cadaveri già morti da alcune ore, come dimostra la scansione delle immagini del poco vestiario visibile sul cadavere del Duce.

La perizia dell'equipe del professor Pierucci, infatti, mostrava chiaramente quanto pur si era già notato a occhio, ovvero che quello strano giaccone, con maniche raglan, indosso al cadavere di Mussolini non presentava fori o strappi quali esiti di una fucilazione [ 4 ]. Era inequivocabile quindi che Mussolini era stato ucciso senza cappotto o pastrano o giaccone e solo successivamente era stato rivestito da morto: ergo davanti a quel cancello non c'era stata alcuna fucilazione, ma erano stati gettati in terra un paio di cadaveri che infatti alcune testimonianze riferirono di aver avuto l'impressione di ritenerli già in rigidità cadaverica e con pochissimo sangue intorno.

Ma a questo rilievo di Pavia si poteva aggiungere un altro riscontro oggettivo, ovvero quello dello stivale destro di Mussolini che tutti avevano potuto notare completamente aperto (era uno stivale che, a causa delle ferite di guerra sulla gamba del Duce, si chiudeva con la chiusura lampo) già al momento del caricamento dei cadaveri la sera del 28 aprile '45 al bivio di Azzano, ma sopratutto poi la mattina dopo nello scempio di Piazzale Loreto [ 5 ].

Ebbene l'osservazione di questi stivali, miracolosamente conservati nella teca del cimitero di S. Cassiano, attestavano che non erano “rotti” o scuciti, come era sembrato in un primo momento, ma invece lo stivale dx aveva la chiusura lampo sconnessa, ovvero saltata all'altezza del calcagno e non poteva allacciarsi.

Si deduceva quindi che in quelle condizioni il Duce non avrebbe potuto camminare per i viottoli di Bonzanigo, perché quello stivale non glielo avrebbe consentito. Erano dunque falsi i racconti che riferivano in quel pomeriggio di un Mussolini portato a piedi fino alla macchina sulla piazzetta del Lavatoio e quei pochissimi testimoni che avevano osservato da lontano quella scena, infatti, presumevano di aver visto Mussolini e la Petacci, ma non lo potevano confermare (la Petacci poi non la conosceva nessuno) e descrissero solo un uomo con un pastrano e guarda caso rimpannucciato con il bavero rialzato ed un berretto o cappello calato sugli occhi. Oltretutto descrivevano questi due soggetti, compresa la donna, che indossavano “stivali da equitazione” o simili, confermando l'ipotesi da molti avanzata che si trattava di una messa in scena con due partigiani atti a impersonare Mussolini e la Petacci.

A tutte queste osservazioni si aggiungeva poi anche la costatazione che le salme di Mussolini e la Petacci, riprodotte nei filmanti adagiate in terra nei corridoi dell'obitorio di Milano la sera o la notte del 29 aprile, prima dell'autopsia, mostravano chiaramente, un “rilassamento” al collo, agli arti superiori e al tronco (se non anche alle gambe), tale da smentire che si trattasse di cadaveri ancora in stato di rigor mortis (rigidità cadaverica), essendo invece in una fase molto avanza della risoluzione della rigidità. Si deduceva quindi, anche se si trattava di un rilievo “fotografico” e comunque relativo ad una materia (la cronotanatologia) alquanto elastica e problematica, che quei due cadaveri erano morti almeno alcune ore prima delle asserite 16,10 del 28 aprile.

Ma per finire nel ridicolo e nella farsa, le relazioni o testimonianze, rilasciate nel tempo da quelli che avrebbero dovuto essere i diretti partecipanti a quella fantomatica fucilazione, ovvero Walter Audisio Valerio, Aldo Lampredi Guido, e Michele Moretti Pietro, mostravano quanto falsi erano i loro attestati.

Tra le tante incongruenze e discrasie era accaduto infatti che Audisio, nelle sue plurime relazioni, per descrivere un Duce pauroso e vile (denigrazione opportuna nell'ottica antifascista del dopoguerra), aveva attestato che egli sparò ad un uomo in preda al tremore e balbettante, mentre Lampredi nella sua Relazione al partito del 1972, aveva riportato che Mussolini quando si vide puntato contro il mitra di Audisio, si era aperto il bavero del pastrano ed aveva gridato “ mirate al cuore!”.

Per ultimo, il terzo presunto teste, Michele Moretti, invece, aveva raccontato nel 1990 al giornalista storico Giorgio Cavalleri, che Mussolini al momento di essere fucilato aveva gridato “con gran foga” “ viva l'Italia! ” ed alla osservazione del giornalista, se quella invocazione gli avesse dato fastidio, il Moretti aveva risposto di no, in quanto per lui non si trattava della “sua” Italia, ma di quella fascista di Mussolini [ 6 ].

Premesso tutto questo, ma molto altro ci sarebbe da aggiungere per descrivere e smontare questa menzognera “storica versione”, veniamo alla decisiva testimonianza di Dorina Mazzola, un vero e proprio squarcio di verità in mare di omertà, bugie e mistificazioni.

E' necessario, infatti, conoscere e considerare la testimonianza di Dorina Mazzola deceduta nel 2001, di cui una figlia ancora oggi difende la genuinità dei racconti materni, da lei ascoltati anche da parte del nonno [ 7 ]. Una testimonianza che oltretutto nessuno ha potuto confutare e guarda caso neppure ci hanno provato.

Della Mazzola, così si è recentemente espresso Giannetto Bordin, che a suo tempo, collaborò con Pisanò nella raccolta della testimonianza:

<<...Dorina Mazzola , a quel tempo una ragazza di 19 anni intelligente sveglia ed attiva e, al momento delle sue dichiarazioni - febbraio 1996 – un'anziana settantenne dalla mente lucidissima (...). In seguito alla sua testimonianza, Dorina Mazzola, per questo suo coraggio, ebbe a ricevere dimostrazioni di solidarietà e di approvazione da parte di molte persone della zona, come lei a conoscenza delle stesse cose, che si sentivano finalmente “sollevate” dal peso oppressivo del silenzio loro imposto con la minaccia di gravi ritorsioni se ne avessero parlato. Numerose furono anche le manifestazioni di solidarietà e approvazione, testimoniate dalle molte telefonate e lettere (copie di queste pure in possesso di chi scrive) che a Dorina Mazzola sono giunte da ogni parte d'Italia e dall'estero, per ringraziarla d'avere finalmente squarciato l'ormai inutile velo su di un fatto storico talmente importante e controverso>> [ 8 ].

Ma se quella di Bordin potrebbe considerarsi una testimonianza “ di parte ”, ci sono anche tante altre testimonianze come, per esempio, quella del giornalista Antonio Marino, vicedirettore di La Provincia il quotidiano di Como on line , che così si è espresso:

<<>> [ 9 ].

Non è un caso che anche dopo molti anni e le tante polemiche intercorse, ma anche alcune conferme a quelle rivelazioni, un giornalista imparziale quale lo scomparso Alfredo Pace ha scritto:

<<>> [ 10 ].

La signora Mazzola dunque era al tempo una ragazza di 19 anni abitante a poco più di cento metri da casa De Maria in Bonzanigo, la quale con un racconto dettagliato e preciso riferì a Giorgio Pisanò nel febbraio del 1996, [ 11 ] ma quasi contemporaneamente anche al giornalista Mario Lombardo di Epoca, [ 12 ] di aver assistito dalla finestra di casa sua ad eventi mattutini riconducibili ad una uccisione del Duce, prima ferito in quella casa e poi trascinato ed ucciso nel cortile dello stabile. La ragazza però allora non sapeva che quanto udiva e vedeva riguardasse Mussolini, così come non sapeva che alcune ore dopo, verso mezzogiorno, quando vide uccidere una donna, nel prato o viottolo pochi metri dietro casa sua, questa fosse proprio Claretta Petacci.

Dorina Mazzola: un fulmine a ciel sereno

Dunque, nei primi mesi del 1996 un teste oculare, residente nel 1945 a poco più di un centinaio di metri da casa De Maria a Bonzanigo, lì dove erano stati nascosti Mussolini e la Petacci, rilasciò a Giorgio Pisanò, una sconvolgente testimonianza sulla morte di Claretta Petacci e indirettamente anche su quella di Mussolini.

Lo shock per l'ambiente storiografico “ resistenziale” fu devastante, tanto che si cercò di non dare peso, nei limiti del possibile a questo avvenimento.

Quando la donna, Dorina Mazzola il teste di Bonzanigo, è morta nel 2001 la stampa ha pubblicato qualche trafiletto di cronaca, ma poi tutto è tornato come prima anche se, da allora, quasi tutti i resoconti o le ipotesi su le vicende della morte del Duce non hanno potuto prescindere da questa testimonianza. Ecco, come il quotidiano “La Stampa” il 26 aprile 2001 ha riportato la notizia della scomparsa della signora Mazzola:

<<>>.

Ma che negli ambienti resistenziali lo shock di questa testimonianza fosse stato notevole lo riscontriamo dal Corriere della Sera del 3 marzo 1998 dove venne riportato:

<<>>.

Se un importante giornalista storico come il Cavalleri, dopo due anni da quella testimonianza, contestava la testimonianza della Mazzola, ma senza confutarla e con un “ mi sembra ”, non rendendosi conto che gli orari spostati al mattino da quella testimonianza cambiano le modalità di morte, i motivi di queste uccisioni (Petacci compresa), i nomi degli attori in opera, svelano il falso pomeridiano di una finta fucilazione a Villa Belmonte e dimostrano che si è vergognosamente coperto tutto per 50 anni, vuol dire che non si sapeva più cosa dire.

Detto questo è comunque doveroso porsi le solite domande: è Dorina Mazzola un teste attendibile ? E' credibile il suo racconto?

Noi rispondiamo affermativamente e ne esponiamo i motivi.

Intanto cominciamo con il rilevare che la signora Mazzola non è un soggetto di “ parte” , politicamente impegnato, tale da avere avuto un interesse ideale o politico per fornire una mendace versione. Si era in presenza, invece, di una semplice signora dell'età di 70 anni che, all'epoca dei fatti, aveva solo 19 anni. Precisato questo, occorre anche dire:

1. Dorina Mazzola aveva abitato a poco più di cento metri a valle della casa dei contadini De Maria ed è già questo, di per sè stesso, un elemento di enorme rilevanza. Ma la testimonianza della signora è stata anche attestata dai suoi famigliari (figli e nipoti) che ne conoscevano il segreto . Una sua nipote la confermò anni dopo ad un programma Rai Tv, mentre nel 2008 la figlia primogenita Albertina Vanini, che conserva le bozze dei fogli autografi della madre con la ricostruzione di quegli eventi e che aveva sempre sentito quelle storie anche dal nonno materno, ha avuto modo di confermare quei racconti, al “ Corriere di Como” e alla Tv Espansione di Como, aggiungendo il particolare che, tanti anni addietro a sua madre, per intimidirla, avevano anche gettato una bomba a mano in casa, sia pure disinnescata [ 13 ].
2. Resta difficile poter pensare che il complesso racconto della signora Mazzola, fuori da ogni canovaccio conosciuto per quegli eventi, sia frutto di mitomania. E' impensabile che la signora abbia potuto montare (anche se aiutata) un tal genere di storia. La teste, inoltre, cita troppi particolari, troppi nomi di concittadini coevi, troppe dinamiche dei fatti, che oltretutto reggono anche ad una critica ragionata e soprattutto hanno avuto riscontri nei recenti rilievi fatti sul materiale cine fotografico, inerenti le ferite e il vestiario indosso ai cadaveri del Duce e della Petacci, per pensare a qualcosa di artefatto o frutto di mitomania. Certamente alcuni elementi nella sua testimonianza erano conosciuti, ma da qui a ipotizzare che, attraverso la possibile conoscenza di questi particolari (non tutti poi molto noti), la Mazzola abbia potuto mettere in piedi (o gli sia stato suggerito) quel racconto, ce ne corre; forse è possibile che vi abbia aggiunto, a posteriori, qualcosa di suo come, per esempio, le troppe precisazioni sugli orari, o qualche “coloritura”, ma questo non inficia la sostanza della testimonianza.
3. Escludiamo che la signora Mazzola possa aver inventato il suo racconto preventivandone un lucro. In via teorica potrebbe forse essere avvenuto il pagamento di un compenso per l'esclusiva (il fatto che il settimanale Epoca venne dalla signora invitato a non pubblicare l'intervista appena rilasciata al Lombardo fa infatti pensare che era stata ceduta una esclusiva), ma questo, se pur fosse vero, non vuol dire nulla e semmai attesterebbe una genuinità del racconto, perché sarebbe stupido “vendere” una versione falsa e rischiare, una volta scoperto questo falso, di dover risarcire i danni.
4. Devesi infine escludere che il Pisanò abbia sottilmente manipolato e imbeccato questa signora, perché dovrebbe supporsi che lo stesso avrebbe consegnato alla signora un canovaccio da imparare a memoria e riscrivere di suo pugno (ci sono i fogli scritti e conservati dal teste) estendendo il racconto ai familiari. Ma elemento, questo decisivo, c'è oltretutto da rilevare che soltanto un imbecille, sia esso Pisanò o altro misterioso “suggeritore”, poteva azzardarsi a manipolare una signora di 70 anni ed i suoi famigliari, ovviamente pagarla e con il rischio, anzi la certezza di essere smascherato di li a pochi mesi e rendersi ridicolo! Senza considerare i rischi di una pioggia di smentite se non addirittura di una denuncia per falso che avrebbe potuto sporgere qualcuno dei tanti nominativi chiamati in causa dalla signora e/o dallo stesso Pisanò nel suo libro. Ne citiamo alcuni:

-Savina Santi (la vedova di Guglielmo Cantoni, Sandrino uno dei due guardiani del Duce in casa De Maria), per aver riportato confidenze del marito (e da lei custodite in segreto per 50 anni), nonchè per la conferma di un memoriale poi sparito stilato dal marito e affidato all'ex sindaco di Gera Lario, Giuseppe Giulini .

- Don Luigi Bianchi e la signora Adriana Scuri di Gera Lario per le attestazioni di confidenze avute del sindaco Giulini e per la conferma che questi conservava il memoriale, della cui esistenza si dice a conoscenza anche il notaio Rodolfo Casnati di Como come lo stesso erede del Giulini, il sig. Ugo Tenchio che pur ne era al corrente.

Il parroco di Gera Lario, aveva raccontato a Pisanò che una sera durante una partita a carte l'anziano ex sindaco Giulini, depositario del memoriale del Cantoni, rispondendo alla signora Scuri (perpetua del parroco) che glielo aveva domandato, disse che non era stato Moretti e neppure Lampredi ad uccidere il Duce. La signora Scuri interrogata dal Pisanò ricordava l'episodio.

Proprio la plurima conferma dell'esistenza di questo memoriale che alla morte dell'anziano Giulini non è poi venuto fuori, quindi il fatto che “qualcuno” o qualche “istituzione” l'abbia dovuto far sparire, è decisiva per la conferma che pur esiste un “ altra verità” da non rendere pubblica!

- I vari partigiani del posto, presenti quella mattina a Bonzanigo e citati con nome e cognome dalla Mazzola, come anche il signor Gilardoni, residente nelle vicinanze di casa Mazzola e citato dalla signora per averlo incontrato tra le 15 e le 16 di quel giorno fatidico, ricevendone importanti informazioni.

- Il sig. Vanotti, ex amico del Cantoni ( Sandrino ) per le indicazioni, ricevute a suo tempo dal Cantoni stesso e riportate da Pisanò, su dove fu esattamente ucciso il Duce (il cortile di casa De Maria davanti al grande portone di un ripostiglio - stalla).

Volenti o nolenti, si deve quindi digerire questa testimonianza anche perché, come già accennato, alcuni riscontri indiretti, l'hanno sostanzialmente confermata!

Comunque sia il racconto di Dorina Mazzola non indica, nè svela chi furono i giustizieri del Duce anzi lei, al momento dei fatti, non sa neppure che quello che sta osservando dalle finestre di casa sua riguarda Mussolini o la Petacci; lo dedurrà solo successivamente quando ebbe modo di uscire di casa ed apprendere altri particolari.

Ma chi sia quel morto trasportato a braccia, quella donna che si dispera, chi siano quei partigiani presenti sul posto e chiaramente venuti da fuori, non lo sa proprio. Riconosce solo alcuni partigiani del luogo. Tanto è vero che risulta alquanto difficile stabilire con precisione, dagli elementi forniti dalla signora, l'ora della morte del Duce, la quale spesso afferma: “ un pò di tempo dopo”, “dopo qualche tempo”, ma pur indicando molte volte l'orario, che apprende dal campanile della chiesa, non è possibile stabilire con esattezza quanto sia esattamente questo “ qualche tempo”, nè se quegli orari da lei riportati sono poi esatti, e quindi va a finire che, mentre per la Petacci abbiamo una indicazione abbastanza precisa che fa risalire la sua morte a poco prima di mezzogiorno, per il Duce si può dedurre un tempo variabile tra poco dopo le 9 e un pò prima delle 10.

Analogamente gli spari uditi e riferiti dal teste, possono generare confusione, anche perché sono frammisti ad altri spari, che avvenivano in lontananza, per tenere la gente fuori da quei posti. Ma soprattutto non sono legati con precisione ad eventi osservati dalla donna, ma soltanto da lei connessi a svariati particolari osservati o uditi subito prima o subito dopo.

Comunque sia, nonostante questo, il resoconto fornito da Dorina Mazzola è più che sufficiente per avere un quadro abbastanza preciso degli avvenimenti.

Ma, attenzione, a supporto del racconto di Dorina, c'è anche la decisiva e mai smentita testimonianza di Savina Santi, la vedova di Sandrino Guglielmo Cantoni.

Importante confessione di Savina Santi vedova Cantoni

Precedentemente a questa rivelazione della Mazzola, nel novembre 1995 Giorgio Pisanò si recò a Sorico, assieme al suo amico Giannetto Bordin, a trovare Savina Santi vedova Cantoni la moglie di Sandrino, al tempo sessantaseienne, nella sua casa di Pian di Spagna.

Nella speranza di far uscir fuori il famoso “memoriale di Guglielmo Cantoni, affidato a Giuseppe Giulini, ma di cui non si seppe più nulla alla morte di questi, Pisanò convinse la donna a fare qualche rivelazione che magari consentisse di far uscir fuori chi si era impossessato del “memoriale” [ 14 ].

Disse la signora Santi, a Giorgio Pisanò (e Giannetto Bordin), che il marito gli aveva raccontato:

<>.

Il racconto di Dorina Mazzola

Riassumiamo adesso la testimonianza della signora Mazzola, per la quale però rimandiamo al testo integrale riportato nel già citato libro di Pisanò ed alle relative mappe topografiche e foto della zona, necessarie anche per aiutare a capire meglio la dinamica e le modalità di quegli avvenimenti. Basti qui sapere che la casa dei Mazzola si trovava di fianco alla via del Riale (al tempo mulattiera che saliva verso Bonzanigo), mentre la casa dei contadini De Maria, dove erano rinchiusi Mussolini e la Petacci, si trovava più avanti di circa 150 metri e in posizione sopraelevata perché via del Riale “risaliva” verso Bonzanigo.

La signora premise che non aveva mai parlato prima per il clima di terrore sparso nel paese, tanto che la gente del posto trovava persino bigliettini infilati di notte sotto le porte. Avvertimenti minacciosi con i quali si imponeva di tacere per cinquanta anni. Solo così non era successo niente ed erano rimasti tutti tranquilli.

Come sappiamo queste minacce ed intimidazioni sono state da più parti confermate ed anche il vicesindaco di Mezzegra, Vittorio Bianchi, ha recentemente ammesso (intervistato durante la trasmissione “Trenta denari” alla TV Espansione di Como) che, al tempo, la gente venne “zittita”. Basterebbe questa sola constatazione, per smentire quanto va falsamente raccontando la “ vulgata ” di Audisio, perché solo un fortissimo interesse a non far trapelare quanto veramente era accaduto quel giorno tra Bonzanigo e Giulino di Mezzegra, poteva giustificare la pluriennale messa in atto di così gravi minacce!

La signora Mazzola, inizia ricordando l'importante particolare che già la notte del 27 aprile 1945, intorno alla mezzanotte, ebbe modo di sentire e quindi di scorgere dalla sua finestra a pian terreno degli uomini armati, che salivano verso Bonzanigo. E' questo un episodio incredibile, che è veramente difficile che fosse stato inventato di sana pianta, e va a confermare quanto, giustamente, aveva già ipotizzato Alessandro Zanella, nel suo “ L'ora di Dongo” Rusconi 1993.

Lo Zanella, infatti, in base ad un misterioso viaggio serale della Giuseppina Tuissi, Gianna, e ad alcune bugie con il quale lo si era voluto nascondere, intuì che invece c'era stato un sopralluogo a casa De Maria, e forse vi erano stati portati anche alcuni bagagli della Petacci (non a caso il giorno dopo da quella casa scapparono fuori eccessivi vestiari e oggetti della donna) molto prima dell'arrivo dei prigionieri.

Non era quindi stata una improvvisazione, come si disse, la scelta di quella casa, durante il viaggio notturno delle macchine con Mussolini e la Petacci, che si raccontava, con poca credibilità, erano partite da Dongo (Mussolini da Germasino), passarono per Moltrasio, tornarono indietro e arrivarono poi a casa De Maria tra le 4 e le 5.

La mattina successiva, verso le otto e mezzo, arrivò in cucina il padre di Dorina, che veniva dal magazzino di rottami sotto casa, tutto concitato ed alterato dall'emozione ad avvertire di non uscire perché c'erano in giro facce mai viste, uomini in borghese preceduti da altri armati di mitra.

Nel frattempo si udivano, a intervalli, numerosi colpi di fucile, sparati in aperta campagna e la signora saprà poi che erano spari in lontananza per tenere la gente il più possibile rintanata in casa. Molti spari erano ben udibili perché la posizione di casa Mazzola era, rispetto al territorio di Bonzanigo, come il fondo di un imbuto, dove rumori e voci vi finiscono ed in particolare proprio i rumori di casa De Maria distante circa 100 metri in linea d'aria, ma sopraelevata di circa una quindicina di metri. Oltretutto, a quel tempo, non c'erano rumori di traffico vicini o lontani.

Forse intorno alle 9 Dorina senti due colpi, sembra di pistola e parevano proprio provenire questa volta da casa De Maria. Ancora pochi secondi ed in casa De Maria scoppiò un furibondo litigio. Giacomo De Maria urlava e picchiava pugni su un tavolo, mentre la Lia piangeva e gridava disperata: “ Sono cose da capitare in casa mia?”.

Mentre queste liti continuavano, Dorina si accorse che nel cortile antistante casa De Maria c'erano alcuni uomini che si agitavano tra la porta di casa e quella della cantina.

Essendo il punto in cui si trovava in quel momento la ragazza, sebbene al secondo piano, un poco più basso rispetto a quello del cortile di casa De Maria, ella poteva vedere solo la parte superiore del corpo, dalla cintola in su, delle persone ivi apparse.

E laggiù la signora venne colpita dalla vista di un uomo con la testa calva che, nonostante la mattinata grigia e fredda, indossava solo una maglietta bianca e si muoveva zoppicando a piccoli passetti lenti. Anche qui, possiamo anticipare, trova conferma che Mussolini, prima di essere ucciso venne ferito al fianco e forse al braccio, proprio come si poteva intuire dalla strana polidirezionalità, inclinazioni di tiro e distanzialità delle ferite che si riscontrava sul cadavere.

Proprio allora dal finestrone del secondo piano di casa De Maria si affacciò una giovane donna che urlava “ Aiuto, aiutateci”, ma qualcuno la tirò dentro mentre lei continuava a gridare e piangere.

Nel frattempo il signore calvo era scomparso dalla vista della Mazzola e poco dopo questa sentì nitidi, con un distacco preciso uno dall'altro, altri sette colpi. Tutti esplosi lì, davanti a casa De Maria. E' bene precisare che Dorina non ha alcuna idea su chi fossero tutte quelle persone, ma sopratutto ignora chi sia la donna che strilla aiuto e l'uomo calvo, claudicante e in maglietta bianca.

Il litigio in casa continuava, mentre uomini correvano entrando ed uscendo di corsa dall'edificio. Altri varcavano il cancello che si apre su via del Riale e salivano verso il paese.

Poi ci fu una sparatoria nel cortile davanti a casa De Maria tanto che di colpo quel frastuono cessò e rimase solo il pianto disperato della Lia De Maria e dell'altra donna.

L'allora diciannovenne Dorina tornò in cucina spaventata e nel proseguo di tempo si udirono solo colpi di fucile provenienti dalla campagna a destra di Bonzanigo e dalla sinistra ove c'è la chiesa parrocchiale di Sant'Abbondio. En passant dobbiamo far notare come molte testimonianze del posto confermarono nel dopoguerra che quel giorno si erano uditi spari di diversa provenienza.

Dal secondo piano di casa sua Dorina si accorse anche che nel piccolo slargo che si apre sul retro della sua casa, all'inizio di via Albana, c'era parcheggiata un automobile scura.

Racconta Dorina (vedi testo di Pisanò, op. cit.) che successivamente, mentre stava dando da mangiare ai piccioni:

<<>>.

Dorina si rese improvvisamente conto che quest'uomo al centro non camminava con le sue gambe, ma era trasportato per le ascelle mentre la testa gli pendeva sulla sinistra. Era morto.

Pensò allora che doveva essere il padre o un famigliare della donna che si disperava.

Dorina vide anche che questa donna, senz'altro giovane, vestita di scuro, si aggrappava di sovente, urlando, alle gambe del morto, stringendole, tanto da finire per sfilargli uno degli stivali.

Un partigiano strappò subito, dalle mani della donna, lo stivale e si chinò in terra per rimetterlo al piede, ma prova e riprova dovette poi desistere. Scoppiò anche una lite tra i partigiani e se la presero con quella donna che gli faceva perdere tempo.

La donna continuava a lamentarsi e gridava: “ Cosa vi hanno fatto! Come vi hanno ridotto!”, e la signora Mazzola rimase colpita da quel “voi” dato al morto che, pensò, non poteva essere il padre perché altrimenti si sarebbe espressa in altro modo.

Il gruppo arrivò lentamente al famoso slargo erboso dove si può proseguire per la via Regina, curvando a destra per viale delle Rimembranze, oppure proseguire per via del Riale, fiancheggiando casa Mazzola immettendosi, venti metri dopo, in via Albana.

Nel frattempo l'allora giovanissima Mazzola, nascosta tra i rottami udì grida ed improperi anche in dialetto locale:

<<>>. Quando però il gruppo svoltò verso viale delle Rimembranze Dorina non potette più vederli perché, di fatto, si trovava più in basso rispetto al livello dello slargo.

Evidentemente poi dovettero però invertire la marcia perché tornò a vederli ed anzi la prima che rivide fu la donna disperata. Stringeva nella mano destra un foulard e sotto il braccio sinistro portava una borsetta. Qualcuno le aveva anche gettato una pelliccia sulle spalle.

Il vile assassinio di Clara Petacci

La donna che continuava a disperarsi fece qualche passo in direzione di via del Riale e verso via Albana. A Dorina diede l'impressione che volesse correre avanti.

La vide bene perché non era più distante da lei di sei o sette metri.

Fu allora che qualcuno fece partire una raffica di mitra che passò anche vicino casa Mazzola. Tra i partigiani si scatenò il finimondo. Urlavano, inveivano, bestemmiavano.

Le donne strillavano dallo spavento. Dorina udì frasi come:

<<>> e ancora: <<>> [ 15 ].

C'era gente del paese ed altri da fuori. Chi inveiva in italiano, chi in dialetto, racconta la signora, che riconobbe alcuni ragazzi che conosceva: Carlo De Angeli, Pietro Faggi, che morì un anno dopo, e Paolo Guerra, che divenne poi sindaco comunista di Tremezzo.

Successivamente Dorina, spaventata, tornò in casa e dalla cucina sentì due colpi di pistola esplosi dietro la casa dove inizia la via Albana e la baraonda cessò. Vide anche ricomparirgli alla vista l'uomo sorretto dai due partigiani. Attorno a loro un gruppetto di persone venuta da fuori, tra queste un signore molto distinto con un impermeabile quasi bianco, cintura alta in vita e uno strano berretto con visiera in testa. A tracolla una lussuosa macchina fotografica. L'altro, più piccolo con i capelli corti brizzolati ed un giaccone scuro. Dietro il gruppo due donne in pelliccia, una di visone e l'altra di pelo vaporoso, bianche in volto dallo spavento e occhi rossi di pianto.

Mai viste da Dorina. Poco dopo la ragazza vide anche molto bene che il morto, precedentemente visto era sicuramente quell'uomo che circa tre ore prima aveva notato zoppicante nel cortile di casa De Maria.

Aveva infatti, sotto il cappotto, la stessa maglietta bianca, ma lacera e insanguinata. Attorno ai fianchi gli avevano messo una sciarpa attorcigliata ed in testa il passamontagna. Neppure allora però la signora Mazzola immaginò chi fosse.

Mentre osservava tutto questo, vide spuntare da destra, strisciando contro il muro di casa, altri partigiani che portavano il cadavere di una donna, coperto da un cappotto: proprio quella che precedentemente piangeva e si disperava. E anche qui trova conferma l'uccisione della Petacci chiaramente avvenuta con una sventagliata di mitra alla schiena come attestano le foto delle ferite sul suo cadavere e la foto della pelliccia forata nel retro e forse uno o due colpi di grazia.

Era circa mezzogiorno e a mano a mano la gente se ne andava in varie direzioni e Dorina vide anche, l'automobile nera allontanarsi lentamente per via Albana.

Dorina Mazzola il pomeriggio, verso le sedici, dovette uscire per andare ad Azzano a fare spese. Ebbe così modo di vedere, al di là del cumulo di rottami, il punto dove aveva visto la donna disperata l'ultima volta. C'era ancora, tra l'erba, del sangue per terra.

Poco dopo Dorina arrivò alla fontanella allora ubicata verso viale delle Rimembranze e, sorpresa, notò acqua e sangue per terra. Ma non c'era nessuno, erano andati tutti verso Azzano visto che, oltretutto, come oramai accertato era stata sparsa la falsa voce che, nella sottostante provinciale sarebbe passato Mussolini prigioniero..

Proprio allora si sentì chiamare. Era un certo signor Gilardoni proprietario di una casa di fronte alla fontanella. Questi, un pò nascosto tra le siepi del suo giardino, gli raccontò che un ora prima, da quelle parti, c'erano stati dei partigiani che sparando in aria mandavano tutti giù al bivio di Azzano.

Poi, disse il Gilardoni, era arrivata un automobile scura dalla quale avevano tirato fuori un cadavere insanguinato. Posto in terra, vicino alla fontanella, gli avevano tolto una maglietta bianca insanguinata e l'hanno lavato con delle pezze gettate poi nel torrente. Quindi l'hanno rivestito e l'hanno portato a braccia giù per via delle Vigne, mentre l'auto ripartiva subito per viale delle Rimembranze.

Non aveva visto donne, nè vive, nè morte.

Mentre Dorina stava ancora parlando con il sig. Gilardoni, udirono raffiche di mitra provenire da Giulino di Mezzegra, erano circa le 16,25. Seppur sconsigliata dal Gilardoni, Dorina risalì via 24 Maggio per circa duecento metri, venne però bloccata da due partigiani con i mitra che gli imposero di non proseguire per Giulino perché dovevano scendervi delle automobili.

Ed anche questi particolari, cioè che tra le 15 e le 16 erano in atto da quelle parti vari posti di blocco, trovano conferma in molte testimonianze e stanno ad indicare che l'arrivo di Audisio non fu improvvisato, ma preordinato per mettere in atto una messa in scena di una finta fucilazione davanti al cancello di Villa Belmonte.

La signora Mazzola, tempo dopo, seppe da sua zia, una certa Mariola che lavorava nell'hotel Milano, che dopo mezzogiorno un auto scura era arrivata ed era rimasta per qualche ora nel garage. La zia aveva anche notato alcuni partigiani che l'avevano scortata nel garage ed erano poi entrati nell'albergo e piangevano.

Quindi i cadaveri erano stati parcheggiati nell'albergo Milano.

Giorni dopo Dorina incontrò Paolo Guerra, un giovane partigiano di Tremezzo che nutriva una certa simpatia per lei. In seguito diventò anche sindaco comunista del suo paese. Morì nel 1992. A lui Dorina chiese particolari sulle varie sparatorie udite al mattino e questi disse che era stato ordinato (anche a lui) di sparare alternativamente, alle spalle del paese, da sinistra a destra, dove si sapeva che c'era Mussolini in casa De Maria e tenere così la gente lontana da Bonzanigo.

Ad un certo momento però, raccontò il Guerra:

<<>>.

Ma Dorina gli gridò in faccia che lei lo aveva anche visto nel gruppo che si agitava quando la Petacci era stata uccisa. E lui gli consigliò di stare zitta altrimenti l'avrebbero ammazzata. E lei era rimasta zitta per tantissimi anni.

Alcune indirette conferme al racconto di Dorina Mazzola

I moderni riscontri peritali, di cui abbiamo parlato, che hanno accertato un rivestimento da morto del Duce, il particolare dello stivale dx con la chiusura lampo rotta, il ferimento del Duce al fianco, ecc., sono in qualche modo in sintonia con quanto ha raccontato Dorina Mazzola. Ma oltre alla Savina Santi Cantoni ci sono anche altre indirette conferme.

Non è di poco conto che Massimo Caprara, l'ex segretario di Palmiro Togliatti, dopo che nell'estate del 1996 aveva reso nota la confidenza di Togliatti che indicava in Aldo Lampredi l'uccisore del Duce, riferì anche una affermazione di Celeste Negarville (esponente comunista già direttore dell' Unità nel '44 e poi senatore):

<> [ 16 ] .

Anche Angelo Carbone, al tempo un 83 enne ex partigiano di Rivanazzano in Oltrepò, amico di Sandro Pertini, pur nel contesto di racconti alquanto raffazzonati e sinceramente poco credibili, fece importanti affermazioni ricordando di essere stato presente ai noti eventi (riferendosi però al Cancello di Villa Belmonte), ma aggiunse:

<<>>.

Disse, anche <>.

Affermazioni queste non ben specificate, scoordinate, confuse, ma che danno il senso di un qualcosa di molto diverso dalla versione ufficiale [ 17 ].

Elena Curti, figlia naturale di Mussolini, ha invece raccontato nel 2007 al professor Alberto Bertotto un suo importante ricordo:

<<>>; Stava correndo su un prato, venne raccontato alla Curti, quando venne falciata proditoriamente da una raffica di mitra alle spalle. Lo stesso partigiano che lo raccontava al Gobetti era rimasto scioccato [ 18 ].

Proprio quello che vide il teste di Bonzanigo, Dorina Mazzola.

Ed infine, l'anziano medico, il dottor Pierluigi Cova Villoresi, di sicura fede antifascista, che sembra abbia presenziato alla famosa autopsia di Mussolini stilando anche un suo personale referto autoptico, a dicembre 2003 raccontò nel corso di una intervista al direttore di « Italia Tricolore », Augusto Fontana, quanto segue, evidentemente appreso in ambienti qualificati (il Cova sta parlando dei cadaveri):

« Li avevano rinchiusi nell'albergo vicino al posto dove poi sono stati fucilati ».

« Ah quindi non nella camera da letto dei De Maria? » chiese l'intervistatore riferendosi alle note ipotesi di una uccisione dentro la stanza.

Cova: « No, no, no, fuori!... erano fuori... Lì c'è una specie di terrazzo dal lato stradale col limite in ferro tra la strada e il lago e c'è una piazzetta.. .».

E sulla Petacci, parlando del cancello di Villa Belmonte ebbe a precisare:

«... quel cancello lì è sbagliato, perché dove l'hanno uccisa è sulla curva di una stradina che parte dal lago, parte dalla strada, c'è la strada che praticamente è parallela al margine del lago » [ 19 ].

Si noti: i cadaveri rinchiusi nell'albergo (evidentemente il Milano sulla via Albana), Mussolini ucciso fuori di casa, ma nei pressi e la Petacci da un altra parte sulla curva di una stradina: tutti particolari in sintonia con la testimonianza di Dorina Mazzola.

Giannetto Bordin, a suo tempo collaboratore di Pisanò nell'inchiesta svolta in quei luoghi, ha ricordato molti anni dopo, in un suo articolo rievocativo, questo aneddoto:

<<>> [ 20 ] .

A queste testimonianze si potrebbe aggiungerne altre, raccolte in quei posti del comasco successivamente alla rivelazione della Mazzola, un miscuglio di convinte o velate conferme, sussurri di “ qui lo dico e qui lo nego, io in questa storia non ci voglio entrare”, e anche di dinieghi a questa versione, ma riteniamo opportuno soprassedere per non incrementare la raccolta di racconti incontrollabili.

E' anche significativo il fatto che gli ambienti resistenziali non hanno mai seriamente tentato di confutare questa testimonianza della Mazzola, come se in qualche modo la temessero, ma hanno, in pratica, preferito ignorarla.

Infine, anche se siamo nel campo dell'aleatorio, del non ancora dimostrato e riferito ad un altro presunto contesto dei fatti, non si può sottovalutare quanto attestato dall'avv. Luciano Randazzo, legale di Guido Mussolini impegnato nella riapertura di un processo ai misteriosi assassini del Duce.

Randazzo infatti parla di un <<>> [ 21 ] .

In un certo senso, l'unico elemento che forse gioca un ruolo negativo rispetto alla attendibilità del racconto di Dorina Mazzola è la seguente deduzione: come visto, alcuni del paese erano al corrente, se addirittura non vi avevano partecipato, dei fatti accaduti al mattino, in particolare per la uccisione della Petacci e le voci, in quei paraggi, avranno pur dovuto correre, specialmente nell'intimità familiare, considerando anche che al tempo vi risiedevano alcuni sfollati che poi, finita la guerra, tornarono ai loro paesi di provenienza.

Come è possibile allora, ci si chiede, che tranne le poche testimonianze che abbiamo riportato, non sono mai venute fuori, specialmente dopo i fatidici 50 anni di silenzio, altre indiscrezioni che raccontavano particolari simili a quelli di Dorina Mazzola?

Nel 2008 abbiamo personalmente fatto questa domanda a Giannetto Bordin, il quale ci rispose, scrivendo quanto segue:

<>.

Certamente il terrore sparso a piene mani per anni (sostenuto da vari assassinii e sparizioni nel circondario) è stato l'elemento determinante per nascondere la verità, ma se consideriamo che oggi come oggi, morti quasi tutti i residenti di quei tempi, quelli venuti dopo sono confusi nel ricostruire quegli avvenimenti, dobbiamo allora ritenere che a suo tempo ha agito anche una “suggestione collettiva” determinata dal fatto che quel 28 aprile 1945, una giornata eccezionale, vissuta in un clima di esaltazione, dove si sovrapposero eventi reali, ma artefatti (il finto corteo, la finta fucilazione pomeridiana) e le voci più impensate che furono fatte circolare ad arte (si vociferava al mattino di una caccia in paese a dei fascisti o generali fuggiaschi), gli abitanti di quei posti invitati, da una voce sparsa subdolamente in paese forse intorno alle 13, ad andare nella sottostante provinciale a veder passare, si diceva, nel primo pomeriggio, il Duce prigioniero, finirono per ingarbugliare le acque contribuendo a proteggere la “vulgata”.

TESTIMONIANZA MAZZOLA: CONCLUSIONI

Nel libro di Pisanò “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”, giunti al termine dell'intervista a Dorina Mazzola, l'autore, esprime una serie di considerazioni e si pone alcune domande.

Anche noi avanzeremo alcune osservazioni perché, a nostro avviso, non tutte le conclusioni proposte da Pisanò ci trovano d'accordo (anche se per alcune di queste l'autore onestamente afferma che sono ipotetiche), comunque, ad eccezione del Mussolini legato alla porta, riferito come vedremo dal sig. Vanotti a Pisanò, non si tratta di particolari molto importanti.

Qualche sospetto è sorto circa la possibilità di eventuali suggerimenti, o qualche aiutino, forniti alla signora Mazzola per realizzare un quadro del racconto il più attendibile possibile e ricco di particolari.

Il sospetto è venuto perché nell'intervista fatta da Pisanò e rilasciata dalla signora ci sono un pò troppe precisazioni (per esempio negli orari continuamente riferiti) che possono lasciarlo pensare.

Ma forse, in questo caso e più che altro, si è trattato di qualche arricchimento a posteriori, apportato al suo racconto, da parte della stessa signora Mazzola. Precisazioni più che altro per migliorare il racconto stesso.

Comunque sia e se pure fosse accaduto questo, non ci sembra che si tratti di gravi manipolazioni tali da stravolgere il racconto stesso.

LE CONSIDERAZIONI FATTE DA GIORGIO PISANO'

Secondo Giorgio Pisanò la testimonianza di Dorina Mazzola chiariva una volta per tutte ciò che già Franco Bandini aveva anticipato nel lontano 1973: la sceneggiata di una finta fucilazione al cancello di Villa Belmonte, mostrando anche chiaramente le finalità di quel depistaggio organizzato dagli uomini di Martino Caserotti per mandare, già dal primo pomeriggio, la gente di quei posti verso il bivio di Azzano sulla via Regina.

Ecco perché non si spiegava il fatto che, mentre ministri e fascisti erano stati fucilati esemplarmente davanti a tutti a Dongo e ala schiena, Mussolini (e la Petacci poi!) si disse che erano stati fucilati di nascosto a Villa Belmonte: era infatti accaduto qualcosa d'imprevisto e quindi non si potevano certo fucilare dei morti davanti a tutti.

Anche il particolare dello stivale di Mussolini visto rotto ed aperto, già al caricamento dei cadaveri al bivio di Azzano e di cui aveva anche parlato Audisio, trovava una spiegazione. Secondo Pisanò, infatti, era stata giusta l'intuizione del medico legale Aldo Alessiani nel 1988, cioè che lo stivale non era stato possibile rimetterlo ad un piede come quello di Mussolini, con esiti di vecchie cicatrici di guerra ed in preda al rigor mortis.

Ma ora si sapeva anche che era stata Claretta Petacci a sfilare quello stivale dalle gambe di Mussolini e Pisanò si rese conto di aver sbagliato quando riteneva che il Duce fosse stato ucciso, assieme a Claretta, nella stanza di casa De Maria (come ipotizzava anche Alessiani).

Pisanò ricostruì anche, in base al racconto della signora Mazzola, il percorso fatto seguire ai cadaveri da casa De Maria fino al cancello di Villa Belmonte:

Mussolini morto, da casa De Maria fino allo slargo erboso vicino casa Mazzola, dove nei pressi venne poi uccisa Clara Petacci. Poi i due cadaveri, raccolti insieme, posti sull'automobile scura che era già in attesa dietro casa Mazzola all'inizio di via Albana.

Quindi portati lì vicino per due o tre ore di sosta nel garage dell'Albergo Milano all'incrocio con la via Regina. Poi qualche ora dopo la macchina esce e percorre, in salita, da via Albana alla fontanella in fondo a viale delle Rimembranze passando per vie Nuove.

Dalla fontanella, dopo esser stato lavato, il cadavere è trasportato per un breve tratto a braccia per via delle Vigne fino all'incrocio con via 24 Maggio dove era già arrivata l'auto, facendo il giro ed ha qui atteso con il cadavere della Petacci.

L'autore si poneva però ancora una serie di domande alle quali cercava poi di dare una soluzione, in definitiva ruotando tutto il problema sulla sceneggiata di Villa Belmonte.

1. a che ora esattamente e dove era stato ucciso Mussolini;

2. perché i partigiani ne avevano poi lavato il corpo;

3. chi lo aveva ucciso, visto che quel mattino Valerio/ Audisio era a Como.

Alla prima domanda si poteva rispondere con il racconto di Dorina Mazzola, su le poche confidenze di Savina Santi in Cantoni, la vedova di Sandrino e con la consulenza medico-legale del professor Giovanni Pierucci.

Pisanò ricorda che la signora Mazzola aveva potuto distinguere, più o meno alle dieci due colpi di pistola (in realtà nel racconto c'è il dubbio che fossero più o meno le nove, n.d.r. ) provenienti da casa De Maria.

Poco dopo compare nel cortile antistante l'edificio un uomo calvo, barcollante, con indosso solo una maglietta bianca ed altri uomini attorno.

Nel frattempo apparve al finestrone del secondo piano della casa una donna invocante aiuto che viene fatta ritirare a forza mentre il gruppo degli uomini sparisce alla vista della Mazzola.

Poco dopo questa sente nitidi e staccati l'uno dall'altro, sette colpi provenienti dallo spiazzo davanti alla casa. Due ore più tardi, Dorina Mazzola riconosce nel cadavere di un uomo portato a braccia dai partigiani giù per via del Riale quello stesso uomo visto precedentemente in maglietta bianca che si muoveva zoppicando davanti casa De Maria.

Savina Santi in Cantoni, poi, raccontando le confidenze del marito, disse che Mussolini e la Petacci quel mattino stavano nella loro stanza al terzo piano ed il marito, Sandrino , era di guardia alla porta, quando arrivano tre partigiani (uno è Michele Moretti, gli altri due sconosciuti).

I tre irrompono nella stanza ed uno dice: “ Adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi”.

Poi un trambusto, voci che si sovrappongono, grida della donna spari.

Quindi da questi due racconti si poteva dedurre che i partigiani erano saliti nella stanza; Mussolini avendo capito che lo si voleva uccidere si era difeso, forse impugnando una pistola che si disse gli avrebbe lasciato il capitano Neri (Canali). Uno dei partigiani gli aveva sparato contro e lo aveva ferito, non gravemente al braccio ed al fianco destro.

Poi lo avevano trascinato, in maglietta di salute, giù per le scale fino al cortile di casa De Maria. E lo avevano quindi ucciso, mentre la Petacci fu obbligata a restare in casa.

I due spari sentiti in casa ed i setti colpi sentiti fuori facevano proprio nove colpi esattamente i nove colpi premortali documentati dall'autopsia del cadavere di Mussolini.

Pisanò comprese però che doveva approfondire altri particolari inesplicabili.

Tornò così il 28 febbraio '96 a Pian di Spagna da Savina Santi in Cantoni ricordando che nel precedente incontro dell'8 febbraio la vedova aveva accennato ad un altra persona, amica del marito che era in possesso di ulteriori confidenze fattagli a suo tempo dal marito stesso.

Pisanò raccontò le ultime informazioni alla Cantoni la quale disse di non sapere nulla di come morì la Petacci, mentre per Mussolini ricordava che Sandrino le diceva che era stato ucciso a pianterreno, ma senza dargli particolari.

Particolari che però sapeva il signor Vanotti vecchio amico e più giovane del marito.

La signora disse a Pisanò che aveva già sentito questo Vanotti (sembra che gli fosse o gli sarà parente), gli aveva raccontato le visite di Pisanò e questi si era detto disposto ad incontrarlo. Savina diede a Pisanò il numero di telefono.

Due ore dopo Pisanò incontrò il Vanotti alla stazione di Morbegno, in Valtellina.

Neppure il Vanotti sapeva molte cose sulla morte del Duce, ma gli aveva allora confidato Sandrino che ad entrare nella stanza non furono quelli che poi uccisero il Duce, che invece aspettavano nel cortile, ma altri che lo trascinarono giù per le scale e lo portarono davanti alla stalla e lo legarono al catenaccio della porta. Mussolini quindi era stato ucciso fuori di casa De Maria legato al catenaccio del portone della stalla.

A sparare non erano stati nè Moretti, nè Lampredi, ma gente che diceva Sandrino erano venuti da fuori.

Giorni dopo con un ulteriore accertamento, Pisanò si incontrò con i coniugi Mario e Danielle Nastri nuovi proprietari dell'edificio di casa De Maria dagli anni '70, i quali gli confermarono che a suo tempo, uscendo a pianterreno sul prato, nel cortile e svoltando a sinistra, si arriva nella rientranza dell'edificio e lì, proprio dove al di sopra si affaccia la finestra della famigerata stanza, c'era a suo tempo una stalla. Oggi il locale è adibito a deposito di attrezzature e arredi da giardino. Ai tempi dei De Maria, nel 1945 era però anche adibito a stalla.

Con i coniugi Nastri infine il Pisanò si recò a Bonzanigo domenica 3 marzo 1996.

Dal sopralluogo si potette appurare che effettivamente Dorina Mazzola da casa sua, poteva udire grida e spari, ma non poteva vedere anche la rientranza dell'edificio perché questa era tale da togliere ogni possibilità di visuale a chi, come lei, guardava da una quota inferiore.

Quindi Mussolini una volta ucciso, legato alla porta, era rimasto lì per almeno un paio d'ore quando lo avevano alzato e ricoperto con un cappotto e un passamontagna e lo avevano trascinato per via del Riale.

E quando lo avevano tirato su, da un terreno sporco di escrementi e fango anche di una piccola porcillaia appoggiata alla sinistra del muro di sostegno dell'edificio, doveva essere, oltre che insanguinato, conciato in stato pietoso.

Ecco perché poi, prima di portarlo alla finta fucilazione di Villa Belmonte avevano dovuto lavare il cadavere.

Infine Pisanò chiedendosi chi potesse esser stato a sparare a Mussolini escluse ovviamente per primo Walter Audisio, una semplice comparsa che forse neppure era presente al pomeriggio per la sceneggiata della finta fucilazione. Considerando poi che Mussolini era stato ucciso intorno alle nove [ 22 ] e che a quell'ora il Lampredi era in Prefettura a Como, escluse anche Guido Aldo Lampredi, ritenendolo però presente, con Mordini ed altri, più tardi quando fu uccisa Clara Petacci.

Lampredi però, secondo Pisanò, era probabilmente presente il pomeriggio a Villa Belmonte anche perché protagonisti e testimoni avevano sempre affermato che il famoso colonnello Valerio indossava un impermeabile chiaro e portava un basco scuro in testa. Proprio la tenuta di quel giorno di Aldo Lampredi [ 23 ].

Ma ad escludere Lampredi, come uccisore del Duce, c'era anche l'affermazione di Giuseppe Giulini in casa del parroco di Gera Lario il quale disse che, ad uccidere Mussolini, non erano stati nè Moretti nè Lampredi .

Forse, ipotizzava Pisanò, poteva essere stato Luigi Longo.

Longo quella notte, tra il 27 e 28 aprile '45, aveva costantemente seguito, grazie alla rete di collegamenti comunisti funzionante in quelle ore, le vicende di Mussolini catturato.

Aveva appreso che non si era potuto trasferire Mussolini nella base clandestina a Brunate vicino Como, e poco dopo le sei del mattino seppe che il Duce era stato portato a Bonzanigo.

In considerazione del pericolo che Mussolini potesse essere prelevato dagli Alleati e per il fatto che la zona del comasco non era tutta in mano ai comunisti, decise di agire alla svelta ed in prima persona. Poco dopo le sette del mattino egli era già nella sede del PCI a Como ancora in via Natta. Qui incontra Gorreri, Mentasti, ecc., ma c'era anche Moretti e il Canali reduci da Bonzanigo. Tutti insieme, con questi partigiani conosciutissimi in zona, si recano a casa De Maria dove arrivano alle nove circa.

Longo ordina di portare giù Mussolini e il resto lo conosciamo.

Come già aveva accennato Bill il Lazzaro, continua Pisanò, quella mattina a Mezzegra e nella zona tra Azzano e Bonzanigo erano presenti e agirono i principali quadri dirigenti comunisti giunti in due scaglioni: dapprima Gorreri e Mentasti insieme a Moretti e Canali, quindi Aglietto e Ferro; gli ultimi due per scortare Lampredi e Mordini da Como a Bonzanigo e i primi quattro per scortare Longo fino a casa De Maria.

La signora Mazzola parlò di una quindicina di persone, attori e spettatori, ma se ne possono contare di più:

Sandrino e Lino i guardiani, Longo, Gorreri, Mentasti, Ferro, Aglietto, Lampredi, Mordini, Moretti e Neri. E ancora: Martino Caserotti, sicuramente con una decina dei suoi uomini (tra i quali “Giovannone Poma”, Eraldo e Marco Bordoli, Arno Bosisio, detto Ardente ) e infine i tre partigiani riconosciuti da Dorina: Paolo Guerra, Pietro Faggi e Carlo De Angelis. Inoltre la partigiana Tuissi Gianna. Trenta persone circa. Altro che Mussolini e la Petacci lasciati soli con Lino e Sandrino i due guardiani.

Per ultimo Pisanò compì un ulteriore riscontro per verificare se la donna, stando all'interno o nel cortile della sua abitazione, aveva potuto vedere e sentire quello che affermava di avere visto e sentito. Presente la signora Mazzola e grazie alla cortesia dei coniugi Nastri, il 10 marzo 1996 si registrarono, con telecamere piazzate accanto a casa Mazzola, movimenti di persone, grida e colpi di Colt calibro 38 caricata a salve, provenienti dall'ex casa De Maria.

I riscontri dimostrarono che il racconto di Dorina Mazzola era, tecnicamente e fisicamente credibile.

Un ultima supposizione Pisanò la faceva sul fatto che forse il Duce prima di morire avesse potuto gridare quel famoso “ Sparami al cuore! ” pur ricordato da Lampredi nella sua famosa Relazione (noi riteniamo invece più consono e possibile che abbia gridato “ viva l'Italia” come confidato da Michele Moretti).

Nostre considerazioni al libro di Pisanò ed alla testimonianza di Dorina Mazzola

Nel tirare noi le conclusioni di tutta questa vicenda, possiamo dire che concordiamo, in linea di massima, ma non sul tutto, per quanto Pisanò ha inteso ipotizzare (in base alla testimonianza Mazzola, su come si possano essere svolti i fatti relativi all'uccisione del Duce, al trasferimento dei cadaveri ed alla sceneggiata di Villa Belmonte, ecc.).

Esprimeremo quindi alcune nostre considerazioni sia sulle deduzioni fatte da G. Pisanò che sulla stessa testimonianza della signora Mazzola.

Premettiamo, intanto, che ci lascia perplessi il fatto che la vedova di Sandrino, la signora Santi - Cantoni, sapesse solo quelle poche cose che ha riferito al Pisanò, sulla morte del Duce e si ha anche l'impressione, così a fiuto, che ci sia stato un certo gioco delle parti per far dire al signor Vanotti alcuni particolari sulle confidenze di Sandrino senza compromettersi troppo.

Chi può credere che il Sandrino diede certi particolari al Vanotti e non alla moglie?

Ma tralasciamo queste perplessità ed iniziamo la nostra critica dapprima su quanto ipotizzato da Pisanò e poi sui ricordi di Dorina Mazzola, premettendo per praticità questo nostro specchietto riassuntivo, sia pure approssimato, sull'orario effettivo della morte di Mussolini.

Specchietto riassuntivo (approssimato) orario uccisione del Duce

(compilato su quanto visto e/o udito dalla sig.ra Mazzola )

Possibile orario Successioni di tempo
8,30 / 8,40 ? Notato del traffico di persone anche armate che risalgono via del Riale verso casa De Maria.
8,45 / 9,00 ? Dopo un tempo indeterminato, la Mazzola ode due colpi di pistola in casa De Maria (ferimento del Duce in casa, al fianco e forse al braccio?);
8,55 / 9,15 ? Poco dopo (quanto?) fuori casa De Maria appare l'uomo calvo claudicante e in maglietta che scende verso il cortile;

9,10 / 9,25 ? Poco dopo (quanto?) la Mazzola ode 7 colpi distinti esplosi davanti casa De Maria (altro ferimento ?, uccisione del Duce ?, oppure colpi estranei all'uccisione ?

9,20 / 9,50 ? Ancora poco dopo (quanto?) ode un certo trambusto e una sparatoria finale seguita dal silenzio. Poi la signora dà l'orario: circa le 10. ( Uccisione del Duce ? , colpi di grazia sul Duce già precedentemente colpito ?, sparatoria estranea alla fucilazione ?



CONSIDERAZIONI SU LE IPOTESI CONCLUSIVE DI PISANÒ:

Alcune questioni, come per esempio i sospetti sul ruolo di Luigi Longo e la sua presenza in quella mattinata a Bonzanigo, a nostro avviso alquanto improbabile e sulla possibilità che sia stato Aldo Lampredi a uccidere il Duce, sono molto complesse e comunque prive di riscontri concreti e quindi riteniamo di soprassedere perché qualunque cosa si possa ipotizzare non si arriverebbe a nulla.


Una pistola per Mussolini?

Restiamo perplessi su quanto riportato anche da altre fonti e quindi ripreso per la verità a solo titolo di ipotesi da Pisanò, ovvero il fatto che il capitano Neri Canali possa aver consegnato di nascosto una pistola a Mussolini.

Non lo escludiamo totalmente, ma lo riteniamo assai difficile per il fatto che, oltretutto e in tal caso, avrebbe messo a repentaglio la vita degli stessi due carcerieri con conseguenze non certo per lui gratificanti, qualora poi fosse venuta fuori questa storia .

Altre fonti hanno anche asserito che Mussolini potesse avere ancora la sua pistola Glisenti (dicesi non sequestratagli da Bill il Lazzaro a Dongo), oppure che si fosse impossessato di un coltello da cucina di casa De Maria (dicesi poi ritrovato nella stanza), ma ci sembrano tutte voci incontrollate, fantasiose e poco o nulla credibili.

Certo che Mussolini dovette in qualche modo reagire, se scatenò la reazione immediata che lo portò al ferimento nella stanza, ma in che modo e perché non è dato sapere (forse fu per il fatto che venne maltrattata o si intromise Claretta Petacci).

I colpi che uccisero il Duce

Non condividiamo al cento per cento la ricostruzione di Pisanò che indica nei sette colpi distinti uditi dalla signora Mazzola, il momento certo della morte del Duce.

Oltre, infatti, alla impossibilità di udire ben distinti sette colpi, se tutti o alcuni di questi sono di mitra, non si riesce neppure ad interpretare bene, in base a quanto raccontato dal teste, le due sequenze di spari uditi da Dorina:

prima i sette colpi precedenti e distinti e poi la sparatoria successiva finale alla quale è seguito il silenzio. Mussolini dovrebbe essere stato ucciso in uno di questi due episodi. Ma riteniamo che non ci si debba soffermare troppo su una interpretazione esatta di questi spari. Basta ritenere che in una di queste due occasione venne sicuramente ucciso Mussolini. Del resto è un pretendere troppo dalla teste, allora diciannovenne, che ha potuto relativamente udire e solo in parte vedere e per di più in condizioni di estrema eccezionalità.

Il rigor mortis al piede

A nostro avviso la difficoltà incontrata dal partigiano nel rimettere lo stivale al cadavere del Duce, intorno alle ore 11,30 come dal racconto della Mazzola, è stata determinata, più che altro da una specie di spasmo cadaverico, una rigidità istantanea di solito agli arti, all'avambraccio o alle mani (qui il piede), che si determina nelle morti violente (rigidità catalittica). La distinzione, comunque, non è eccessiva.

La rottura della cerniera dello stivale poi, potrebbe essersi verificata sia in quel frangente raccontato dal teste Mazzola, ma forse anche successivamente durante la vestizione.

La rigidità cadaverica, sicuramente precoce viste le modalità della morte e la muscolatura di Mussolini, deve aver inoltre creato enormi problemi di vestizione del cadavere dopo le 15 e questo spiegherebbe il perché fu infilato al Duce un giaccone a maniche raglan e non gli fu messa la giacca (letteralmente sparita).

Mussolini legato al portone della stalla?

Ci lascia però soprattutto perplessi il fatto che Mussolini sia stato legato (come? per le mani o alla vita?) al catenaccio della porta come raccontato a Pisanò dal sig. Vanotti (su una vecchia confidenza da questi ricevuta da Sandrino Cantoni).

C'e comunque uno studio sulle modalità e la dinamica dell'esecuzione, che ipotizza come possibile proprio l'eventualità che Mussolini aveva le mani legate dietro la schiena e quindi il braccio fu colpito dal colpo che, attinto al fianco era poi uscito dal gluteo, ma ovviamente ogni dubbio è legittimo anche perché sembra che non si riscontrino segni di legami alle mani dai rilievi fotografici sul cadavere.

In questo caso, però, e questo è decisivo, si dovrebbe allora escludere che Mussolini scese da casa verso il cortile già ferito al fianco, e quindi non si collima con il racconto di Dorina Mazzola che vide un uomo scendere nel cortile di casa De Maria claudicante e a piccoli e lenti passettini.

La nostra perplessità, su un Mussolini legato al catenaccio del portone, nasce dal fatto che non vediamo quale necessità ci possa essere stata a legare Mussolini, per giunta ferito al fianco (se non anche al braccio) visto che oltretutto lo si volle uccidere subito dopo.

Però, per altri versi, ogni altra situazione imprevedibile in quei momenti potrebbe essere possibile che si sia verificata, ed è anche ipotizzabile che con quella confidenza di Sandrino Cantoni al signor Vanotti si intendeva un legare generico, superficiale, quasi simbolico, del Duce al portone. Questa testimonianza del Vanotti, comunque è fuori dalla testimonianza della signora Mazzola.

A questo proposito dobbiamo anche dire che indiscrezioni, che non è stato possibile controllare, hanno sostenuto che il Pisanò aveva successivamente ritrovato il vecchio portone della stalla (ma non ci sono certezze che era proprio il portone) e non vi aveva riscontrato (sembra utilizzando anche un metal detector) tracce di pallottole.

Insomma, mentre crediamo che Mussolini venne ucciso proprio lì in quel cortile e più o meno di fronte a quel portone, meno possibile riteniamo invece che egli era legato a questo portone.

PERPLESSITÀ SULLA TESTIMONIANZA DI DORINA MAZZOLA

Per onestà di esposizione, visto che abbiamo rivoltato da cima a fondo svariate versioni , dobbiamo aggiungere anche alcune nostre perplessità alla versione della signora Dorina Mazzola, ma premettiamo subito che trattasi di alcuni dubbi che non inficiano, nel complesso, il racconto della signora che, fornito a distanza di anni, potrebbe anche essere stato da lei arricchito da qualche particolare di pubblica conoscenza.

Intanto, a nostro avviso, devesi escludere un suggeritore perché allora, pur essendo particolari secondari (quelli eventualmente suggeriti ed aggiunti) resterebbe il problema che, questi particolari, essendo stati riportati anche per iscritto sulla memoria compilata a suo tempo dalla signora Mazzola, farebbero evidenziare che ci fu una precedente manipolazione, oppure che il Pisanò non arrivò inaspettato a casa della signora, ma la cosa era stata da lui predisposta precedentemente. In entrambi i casi si paleserebbe un evidente imbroglio.

Per i motivi già esposti crediamo di escludere questa ipotesi. Comunque:

Resta difficile credere che se Mussolini è stato ucciso proprio dai sette distinti colpi, la Dorina li abbia perfettamente potuti distinguere e contare. In quei sette colpi, infatti, dovrebbe anche esserci almeno una sventagliata di mitra (i 4 fori ravvicinati vicino alla spalla sinistra) e non crediamo che questa sia, in quel momento di concitazione e ad una certa distanza, così facilmente distinguibile e contabile in singoli colpi.


Quindi: o la signora per coincidenza, credendo di aver contato sette colpi ha colto nel segno; oppure il Duce è stato ucciso nella sparatoria in cortile successiva a quei sette colpi precedenti uditi da Dorina.

Abbiamo anche dei dubbi sul particolare degli orari, che la Dorina intercala spesso, a volte asserendo di averli dedotti dal campanile della chiesa, individuando in tal modo e con una certa precisione, particolari eventi di quella giornata (per esempio nel pomeriggio le ore 16,25 al momento della sparatoria udita dalle parti di villa Belmonte, ecc.). Ci sembra eccessiva la percezione, durante quella giornata, di tutti questi orari (qualcuno si, ma tutti quelli?), e si potrebbe anche pensare che la signora, avendo scritto i suoi ricordi dopo molti anni dagli eventi, quando nel frattempo aveva letto alcuni resoconti su quella storia, forse per rendere più preciso o più credibile il suo racconto, vi abbia aggiunto, a posteriori, la precisazione di questi orari.

E' REALISTICO IL RACCONTO DI DORINA MAZZOLA?
Dovremo in parte ripeterci, ma dopo aver già speso alcune considerazioni per attestare una sufficiente validità e serietà alla testimonianza di Dorina Mazzola, [ 24 ] ora dobbiamo fare alcune osservazioni finali in merito alla sua testimonianza. Lo faremo ponendoci delle domande alle quali cercheremo di dare delle risposte in base a quanto si è potuto appurare in quegli avvenimenti, cercando al contempo di incrociare alcune testimonianze ed osservazioni sviluppate da altri ricercatori e vedere se il tutto rientra in un quadro giustificabile.

E' realistico che intorno alla mezzanotte del 27 aprile 1945 Dorina Mazzola abbia intravisto delle persone che risalivano via del Reale verso Bonzanigo?

Si è possibile perché razionalmente bisogna considerare che il delicato nascondiglio di Mussolini in casa De Maria a Bonzanigo venne proposto dal Luigi Canali prima della partenza da Dongo (e quindi non escogitato sul momento durante il viaggio di ritorno da Moltrasio come venne detto). In questo caso è normale che qualcuno sia stato mandato in avanscoperta per verificare quel nascondiglio, ma oltretutto quando Claretta Petacci venne avvisata che sarebbe andata con il Duce, sicuramente chiese di portare con sè alcuni bagagli. Il giorno dopo, infatti, da casa De Maria e per strada davanti al cancello di Villa Belmonte, uscirono fuori molti vestiti, borsette, scarpette e oggetti di Claretta che è difficile pensare le abbia tutte portate con sè durante il trasbordo notturno.

Il viaggio della comitiva di partigiani e prigionieri verso Moltrasio e ritorno verso Azzano quindi risponde ad altre esigenze e circostanze e questo spiega la confusione e la poca chiarezza dei successivi racconti del Bellini Pedro e del Moretti Pietro tramandati alla storia. Quindi intorno a mezzanotte arrivano a Bonzanigo in casa De Maria un gruppetto di partigiani (quasi sicuramente con la Gianna, la Tuissi), in avanscoperta e successivamente, alle 2,45 partono da Dongo il capitano Neri cioè Il Canali, il Bellini, il Moretti, ecc., compresa di nuovo la Gianna, e i due prigionieri che vengono definitivamente portati in casa dei De Maria.

E' realistico e possibile che Mussolini venne ucciso tra le 9 e le 10 del mattino e la Petacci intorno alle ore 12 del 28 aprile?

Si, non è infatti un caso che ci sono alcune testimonianze, come abbiamo riportato e che altrimenti non si spiegherebbero, che indicano una morte differita della Petacci, rispetto a quella di Mussolini. Anche una morte del Duce anticipata dalle 6 alle 7 ore, rispetto a quella della “ versione ufficiale ” delle 16,10, spiega le “stranezze” che si sono riscontrate in alcune testimonianze circa l'aver notato i cadaveri già in rigidità cadaverica nel tardo pomeriggio del 28 aprile e viceversa con una apparente avanzata risoluzione del rigor mortis nelle foto all'obitorio del 29 aprile: tutte tempistiche inusuali..

Inoltre il via vai di persone, alcune del posto altre venute da fuori, che Dorina Mazzola ha riferito di aver visto quella mattina in paese, trova un riscontro nell'eco che si percepisce dai tanti racconti e testimonianze che riferiscono spari mattutini in paese, traffico di partigiani, strani piccoli posti di blocco in alcune strade nel pomeriggio prima della “fucilazione” di villa Belmonte, nonchè la falsa voce messa in giro circa un passaggio, nel pomeriggio, del Duce prigioniero verso il bivio di Azzano, in modo da svuotare le case di Bonzanigo e Mezzegra. Tutti avvenimenti mattutini e del primo pomeriggio che viceversa non avrebbero dovuto verificarsi se nessuno sapeva che il Duce era prigioniero in casa dei De Maria e venne ucciso in quattro e quattr'otto intorno alle 16 del pomeriggio a seguito dell'arrivo di un inaspettato Audisio.

Oltretutto questa morte antimeridiana spiega perfettamente perché la mattina del 28 aprile il “problema Mussolini” venne incredibilmente “dimenticato” dal PCI e dal CVL a Milano e dalla Federazione comunista di Como, pur avvisata dal Canali e dal Moretti verso le 7 di quel mattino che Mussolini era stato nascosto a Bonzanigo, ma nessuno a Como, oltretutto, informò Audisio arrivato dopo le 8, che Mussolini non era più a Dongo.

Spiega anche la stessa “dimenticanza” del problema Mussolini” da parte del Pier Bellini delle Stelle finito quella mattina a Dongo, del Luigi Canali e del Michele Moretti tutti impegnati in una “spensierata” e “affaccendata” mattinata, sicuri che nessuno di loro (o altre forze esterne) possa “sottrarre” il prezioso e super ricercato prigioniero agli altri o che possa accadere qualche imprevisto.

Si chiarisce in tal modo l'allegra dimenticanza dei due “carcerieri” Sandrino il Cantoni e Lino il Frangi (con il Duce e la Petacci) per 11 ore in casa De Maria e se a Dongo alle 14,10 non arrivava Audisio, tra l'altro inaspettato, non si sa quando ci si sarebbe “ricordati” di questi due guardiani abbandonati a Bonzanigo con i prigionieri e tutti i pericoli che potevano verificarsi.

Ed infine si spiega l'assurdità di un Giacomo De Maria che verso le 14 del 28 aprile si recò sulla strada principale a veder passare un Duce prigioniero, rimanendoci tutto il pomeriggio, pur sapendo che a casa sua la moglie era stata abbandonata con due prigionieri e due guardiani armati.

E' realistico e possibile che la Mazzola abbia udito due colpi di pistola in casa De Maria e successivamente abbia intravisto scendere, zoppicando, verso il cortile dello stabile, un uomo con la sola maglietta bianca di salute?

Come hanno dimostrano le verifiche, da casa Mazzola si poteva vedere il busto delle persone che si muovevano verso quel cortile che in effetti era sopraelevato rispetto casa Mazzola e non era coperto dalla folta vegetazione cresciuta negli anni seguenti. Ed anche spari e grida in casa dei De Maria si potevano udire da casa Mazzola, posta a valle a poco più di cento metri e specialmente in quei tempi molto più silenziosi rispetto ad oggi.

Quindi non solo è possibilissimo, ma viene in questo modo confermata anche quella logica dinamica di spari che ipotizzò il dottor Aldo Alessiani in base alle traiettorie dei colpi attinti dal corpo del Duce (oltre ad altri particolari) che indicavano per il colpo all'avambraccio dx ed al fianco dx , un preliminare (rispetto alla morte) ferimento di un uomo in deshabiliè e nel corso di una specie di colluttazione. E' quindi ovvio che se poi, poco dopo, il Duce venne ammazzato in queste condizioni, dovette essere successivamente rivestito da morto come è dimostrato dal giaccone con maniche raglan indosso al suo cadavere in terra davanti al cancello di villa Belmonte e che non risulta passato attraverso le fasi di una fucilazione.

E' realistico e possibile che Dorina Mazzola vide sfilare uno stivale dalla gamba del cadavere del Duce e poi assistette agli inutili sforzi dei partigiani di rimettere quello stivale sul piede del morto?

Certo è possibile, specialmente se il Duce quando venne inaspettatamente trascinato fuori da casa De Maria, in canottiera, non aveva ben allacciata la chiusura lampo degli stìvali. Rimettere poi lo stivale destro su un piede martoriato da vecchie cicatrici e in rigidità catalittica, a causa di una morte violenta e repentina, non era certo facile ed è molto probabile che, forzando l'operazione, sia poi saltata la saracinesca di chiusura.

Un fatto è certo: quello stivale, notato ai piedi del cadavere, aveva la chiusura lampo disconnessa ed era inutilizzabile per camminare, mentre il Duce era arrivato prima dell'alba in casa De Maria con gli stivali a posto.

E' quindi realistica una finta fucilazione il pomeriggio a villa Belmonte?

Si, non solo è un consequenziale seguito di quelle vicende, giustificato dal dover predisporre una canonica fucilazione giustificativa per la Resistenza ed altro, ma è anche confermato dal giaccone addosso al cadavere di Mussolini risultato privo di strappi e colpi quali esiti di una fucilazione (ed anche la camicia nera sembra non presentare questi fori). Questo spiega anche perché il Duce, diversamente dai gerarchi e uomini della RSI fucilati alla schiena a Dongo, risulta invece ucciso da colpi frontali verso il petto e spiega una modalità e dinamica di uccisione tramite almeno due tiratori ravvicinati e con due armi diverse. Si spiega infine la confusione, le contraddizioni e le indicazioni dei percorsi stradali sballate, presenti nelle versioni di Audisio: evidentemente si dovette almanaccare in fretta una versione di comodo che poi venne aggiustata e modificata, con il risultato di complicarla e stravolgerla ancor di più fino a renderla ridicola.

E' realistico e possibile che Mussolini, trascinato ferito e in maglietta di salute in cortile, venne anche legato al catenaccio del portone della stalla?

Premesso che questa rivelazione non è di Dorina Mazzola, ma di un amico di Sandrino Guglielmo Cantoni, da cui l'aveva a sua volta appresa, come abbiamo già accennato questo particolare lascia perplessi, ma tutto sommato potrebbe anche essere possibile, specialmente se si considera che questa testimonianza “di riporto” non precisa bene in che modo venne legato Mussolini e magari si può supporre che il Duce, trascinato ferito in cortile, magari in attesa dell'arrivo di qualche grosso dirigente comunista, venne legato, più che altro virtualmente, al catenaccio. La Mazzola ricorda due sparatorie, a distanza di un certo tempo (10, 20, 30 minuti ecc.?) in quel cortile e non è ben chiaro in quale di queste due sparatorie il Duce venne esecutato.

A parte la conferma ai suoi racconti data dalla figlia e dalle nipoti di Dorina Mazzola, quali altri riscontri ha dato la signora per la sua testimonianza ?

E ovvio che dopo cinquanta anni da quegli eventi, era difficile fornire riscontri ancora verificabili. La signora però raccontò che a seguito dell'emozione rimasta in paese per quegli avvenimenti venne organizzata una processione riparatoria portando la statua della Madonna del Carmine attraverso i viottoli e i campi teatro di quella tragedia.

A stabilire il percorso della processione fu proprio il padre della Mazzola che ricopriva una carica nella parrocchia in rappresentanza degli abitanti di Bonzanigo. Dal percorso si dovette però escludere via del Riale perché, al suo inizio tra le case di Bonzanigo, passa sotto una volta in muratura e ci si rese conto che la statua della madonna non ci sarebbe passata. La processione seguì allora un percorso attorno all'abitato di Bonzanigo per scendere poi ad Azzano.

A quella strana processione, che Dorina non ricordava bene quando esattamente avvenne, forse all'inizio dell'estate, ci furono tutti, in particolare quelli che sapevano cosa era realmente accaduto. Era il periodo della fioritura dei gladioli ed infatti lungo il percorso furono lasciati due vasi di gladioli: uno con ta-nti gladioli quanti erano gli anni di Mussolini, l'altro con tanti quanti erano gli anni della Petacci.

Il 26 gennaio del 1946 poi, ricordò Milena, una figlia della Mazzola, al matrimonio della madre tutti si accorsero che non aveva il tradizionale bouquet di fiori pur consegnato dal fioraio. Solo più tardì Dorina confidò che lo aveva voluto lasciare nel punto in cui era morta Claretta Petacci.

Pisanò non rilevò dai giornali dell'epoca notizie circa questa processione d'inizio estate. Nell'archivio della parrocchia di Mezzegra, però, si riscontrò, sia pure indirettamente, che si poteva ritenere esersi svolta nel paese una processione non tradizionale . Nel diario manoscritto dal parroco di allora, don Giacomo Dalla Mano, infatti, si legge che il 29 maggio 1946 si presentarono in parrocchia due funzionari della Questura di Como a chiedere se era vero che le ceneri di Mussolini, raccolte in un urna, erano state portate in processione.

Con alcuni mesi di ritardo, evidentemente, delle notizie sia pur distorte circa qualche genere di processione anomala erano arrivate alle autorità comasche.

Note

[ 1 ] Dare riferimenti per la (e) versione (i) di Walter Audisio alias colonnello Valerio è un problema non da poco visto che questi ha fornito ben tre versioni sulle pagine dell'Unità, una difforme dall'altra, spesso su particolari alquanto importanti, finendo poi per lasciare un libro postumo con una versione simile, ma anche qui non uguale, alla sua terza versione del 1947. La “ storica versione” la si denomina anche “ versione ufficiale”, ma sia per le modalità divulgative, che per il fatto che mai venne rilasciata una relazione agli organi competenti (CLNAI, CVL, ecc.), di ufficiale la versione di Audisio non ha nulla. Vedesi: Colonnello Valerio \ W. Audisio, l'Unità Nri : del 30 aprile 1945 (versione anonima); e dal 18 novembre al 24 dicembre 1945 (seconda versione firmata dal colonnello Valerio) e dal 25 marzo al 31 marzo 1947 (terza versione firmata W. Audisio). Infine: W. Audisio: In nome del popolo italiano, Ed. Teti 1975.

[ 2 ] Pur non essendoci reperti e rilievi balistici precisi, i pochi dati forniti dal verbale autoptico del prof. C. Mario Cattabeni con la sua autopsia della salma di Mussolini, eseguita all'Istituto di Medicina Legale di Milano, obitorio di via Ponzio il 30 aprile 1945, uniti alla osservazione delle ferite sul cadavere come risultavano da foto e filmini d'epoca e alla comune esperienza dinamico balistica, si è potuto dedurre che probabilmente Mussolini venne ucciso da due tiratori che spararono 8 o 9 colpi con due armi diverse (mitra e pistola), come oltretutto dimostravano la distanzialità e le eterogenee inclinazioni dei colpi che avevano attinto il Duce da vivo. Alcuni colpi poi, in particolare quello al braccio e la rosa alquanto ristretta di 4 colpi sulla spalla sinistra (sicuro esito di una sventagliata di mitra) risultavano sparati a bruciapelo tra i 30 ed i 50 cm. al massimo. Non è possibile invece attestare con sicurezza il calibro delle armi impiegate. Vedere: Verbale autoptico 7241 di Mario Caio Cattabeni, Ed. Gnocchi Milano 1945 (riprodotto anche in Pisanò G.: Gli ultimi cinque secondi di Mussolini, Il Saggiatore 1996); Andriola F.: Mussolini: una morte da riscrivere - Storia in Rete maggio 2006; Alessiani A.: Il teorema del verbale 7241 , reperibile anche telematicamente in http://www.larchivio.org/xoom/ alessiani.htm .; Baima Bollone P. L.: Le ultime ore di Mussolini, Mondadori 2005.

[ 3 ] Carlo Lizzani: “ Il mio lungo viaggio nel secolo breve”, Einaudi 2007.

[ 4 ] Mussolini, in pratica, fu attinto ancora in vita da 9 colpi, forse 8 se quello che lo raggiunse al braccio dx fuoriuscendo, entrò poi nel tronco o viceversa, che non potevano non lasciare fori o strappi sugli indumenti che avrebbe dovuto portare indosso. Questa la distribuzione dei nove colpi: 4, quali una chiara raffica di mitra ravvicinata quasi sulla spalla sinistra, uno al sopraclaveare dx ed uno poco più sotto sulla parasternale dx. Uno sopraioideo (cioè sottomentoniero), uno al fianco dx, fuoriuscito dal gluteo ed uno ravvicinato al braccio dx fuoriuscito quasi tangenzialmente verso il polso. E questi colpi mostrano traiettorie inclinate o oblique, dal basso in alto (per esempio il colpo sottomentoniero) o dall'alto in basso (per esempio il colpo al fianco oltretutto così descritto nel verbale autoptico) inspiegabili in una fucilazione classica e frontale da pochi passi.

Clara Petacci, come si deduce dai fori sullo schienale della sua pelliccia e dalla osservazione delle foto sul petto del suo cadavere, venne colpita da almeno una raffica di mitra alla schiena. Vedere: Verbale autoptico 7241 di Mario Caio Cattabeni, Ed. Gnocchi Milano 1945, op. cit.; Alessiani A.: Il teorema del verbale 7241 , op. cit.; Andriola F.: Mussolini: una morte da riscrivere - Storia in Rete maggio 2006;

[ 5 ] Da notare che anche W. Audisio aveva voluto fare il furbo, quando nelle sue relazioni del 1945 e 1947 aveva affermato di avere notato, già in casa De Maria, lo stivale destro, disse sdrucito, ai piedi di Mussolini. L'Audisio quindi, sicuro di poter colorire e arricchire il suo racconto, aveva anche asserito che il Duce aveva percorso a passi svelti la via in discesa e scoscesa che lo portava alla macchina (via che poi, oltretutto, dovendo dirigersi verso la piazzetta del Lavatoio, avrebbe dovuto essere in salita e non in discesa!). Audisio però, al tempo, non sapeva che non si trattava di una sdrucitura , ma di una rottura della lampo per cui in quelle condizioni Mussolini non avrebbe potuto camminarci, tanto meno a passi svelti. Vedesi: Alessiani A.: Il teorema del verbale 7241 , op. cit.; Pisanò G.: Gli ultimi cinque secondi di Mussolini , op. cit.;

[ 6 ] Vedesi: Relazioni di Valerio / Audisio e libro di Audisio “In nome del popolo italiano” , opp. cit.; Relazione riservata di Lampredi , in l'Unità 23 gennaio 1996; G. Cavalleri “ Ombre sul Lago” , Piemme 1995.

[ 7 ] Intervista ad Albertina Vanini, figlia di Dorina Mazzola, pubblicata su Ciao Como: 26 novembre 2008 ed espressa anche direttamente alla Tv Espansione di Como, durante la trasmissione “ Trenta Denari ” di Emanuele Caso.

[ 8 ] G. Bordin: “ La morte del duce e le tante invenzioni: una cattiva abitudine dura a morire! ”, (reperibile telematicamente: http://www.ilduce.net/ giannettobordin.htm ).

[ 9 ] A. Marino (in risposta ad una lettera di un lettore): La Provincia di Como 16 ottobre 2008.

[ 10 ] A. Pace: B. Mussolini, C. Petacci, Ed. Greco & Greco 2008.

[ 11 ] G. Pisanò: Gli ultimi 5 secondi di Mussolini, op. cit.

[ 12 ] Epoca numero del 10 marzo 1996. Successivamente ne riportò un ampio servizio anche il settimanale “ Oggi ” ed ovviamente molte riviste e giornali.

[ 13 ] Albertina, Milena e Daniela le figlie di Dorina, confermarono il fatto che loro, conoscevano quei fatti da quando erano divenute adulte, ma qualcosa avevano anche immaginato fin da quando erano bambine visto che spesso il nonno, quando giocavano a fianco della stradina di via del Riale, le richiamava: “Venite via, da quella strada maledetta” .

[ 14 ] La vicenda dello scomparso “memoriale” scritto dal Cantoni (che probabilmente gli salvò la vita) è una faccenda di estrema importanza perché attesta inequivocabilmente la presenza di un altra verità. Si sono fatte molte ipotesi per il fatto che il Giulini non rese pubblico questo testo e nè alla morte del Cantoni lo consegnò alla sua famiglia e neppure saltò fuori alla morte del Giulini. Tra le ipotesi più probabili riteniamo ci sia quella che venne consegnato a qualche Istituzione ecclesiastica, a qualche Fondazione (probabilmente massonica) o Istituto storico, oppure con le “buone e le cattive” certi “ambienti” del posto riuscirono a farselo consegnare dal Giulini stesso, il quale poi non rivelò di non aver più il memoriale. Ma sono tutte congetture.

[ 15 ] Queste invettive farebbero escludere che colui che sparò alla Petacci fosse un “pezzo grosso” (c'è chi aveva ipotizzato fosse il Mordini Riccardo ) per il fatto che i partigiani non si sarebbero permessi questi insulti.

[ 16 ] M. Caprara: Quando le Botteghe erano oscure , Il Saggiatore 1997 e Storia Illustrata Ago-Sett. 1996.

[ 17 ] Settimanale “ Gente ” numero dell' 8 maggio 1999.

[ 18 ] A. Bertotto: La morte di Mussolini: una storia da riscrivere, P.D.C. 2008; e A. Bertotto su Rinascita 14 ottobre 2007.

[ 19 ] A. Fontana: Intervista al dott. Cova Villoresi, Italia Tricolore per la Terza Repubblica, Nri vari anno 2005. Da notare che il Cova, al momento dell'intervista, non era al corrente delle inchieste di Pisanò.

[ 20 ] G. Bordin: “ La morte del duce e le tante invenzioni: una cattiva abitudine dura a morire! ”, op. cit.

[ 21 ] Da un articolo apparso on line dell'Avv. Carlo Morganti, Difensore di Fiducia di Guido Mussolini Roma 20 maggio 2010.

[ 22 ] Qui Pisanò, forse a causa della imprecisione del racconto della signora Mazzola circa questo orario, fa una certa confusione perché poco prima aveva appunto scritto che Mussolini era stato ucciso verso le dieci.

[ 23 ] Tesi questa, di uno scambio di identificazione tra Valerio, in realtà Lampredi e non Audisio, a Villa Belmonte, che Pisanò gia aveva adombrato nel suo Storia della guerra civile in Italia 1943/ì45 degli anni ‘65/'66 Ed. FPE.

[ 24 ] Ci ha personalmente riferito Giannetto Bordin, che lui e G. Pisanò cercarono in ogni modo, con domande a sorpresa, di far tradire la signora, ma questa dimostrò sempre coerenza nei racconti e serietà nelle risposte.

tratto da: http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_Vari_100625_MBarozzi_Morte-Mussolini-Uno-squarcio-di-verita.htm

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