venerdì 14 maggio 2010

SIA MARIO CERVI A SBUGIARDARE LA STORIA

di Filippo Giannini

Ho avuto modo di leggere ne La stanza di Mario Cervi una risposta, ad un lettore, Sig. Paolo Gulminelli, Cervi inizia: Purtroppo il parlare di catastrofica guerra mussoliniana non è un luogo comune (sì, signor Cervi è proprio un luogo comune, nda), è una dolorosa realtà storica. A questa premessa l’autore fa seguire una serie di luoghi comuni che con la realtà storica non ha nulla di scientificamente valido.
Per iniziare e contestare quel che indichiamo come castronerie cerviane, riportiamo quanto ebbe a dire Bernard Shaw nel corso di un’intervista al Manchester Guardian nel 1937: Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo. Se avremo spazio proverremo ad indicare quale pericolo rappresentassero per il capitalismo le cose che Mussolini si accingeva a fare, e quelle già fatte.
È bene mettere in chiaro un fatto: il Secondo conflitto mondiale esplose nel 1939, ma fu concepito con l’assurdo Trattato di Versailles, un Trattato che mortificava i perdenti oltre ogni limite. Tanto che il Maresciallo di Francia Foch disse profeticamente: Questa non è la pace; è un armistizio di vent’anni. John Keynes, uno dei più noti economisti del secolo scorso, quale esperto inglese a Versailles, dette le dimissioni in segno di dissenso per protestare contro le norme del Trattato imposte alla Germania che egli riteneva inapplicabili. Benito Mussolini – e questo il signor Cervi, scrivendo di storia dovrebbe ben saperlo, in un discorso alla Camera del 16 novembre 1922, fra l’altro disse: La pace del 1919 aveva diviso il mondo tra potenti e inermi, tra ricchi e poveri (…). Una pace che si fondi sull’ingiustizia è già una pace morta. Se l’ingiustizia stava nei Trattati, si dovevano rivedere i trattati. Questa tesi l’ho sostenuta dal 1919 quando non ancora s’erano asciugate le firme di Versailles (…)>. La revisione dei trattati fu una costante della politica mussoliniana per tutti gli anni del suo governo. E questa politica a cosa mirava se non a salvare la pace? A questa politica chi si opponeva? Ce lo dica Lei, signor Cervi.
Quale incarico ebbero da Mussolini Italo Balbo e Dino Grandi nella Conferenza di Ginevra del 1932, il cui tema era il disarmo? L’Italia propose, su disposizioni del Duce, un progetto di una parificazione al livello più basso degli armamenti. Inoltre venne esposto un piano, studiato da Mussolini, per l’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, degli aerei da bombardamento ecc.; in altre parole la messa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare ad una guerra di distruzione. Chi sabotò questo piano? (Non) ce lo dirà il signor Cervi.
Signor Cervi, visto che Lei è un maestro in materia, ci dica chi fu portatore nel 1933 del così detto Patto a Quattro, poi nel 1935 dei così detti Accordi di Stresa, iniziative tese a correggere le storture che avrebbero portato poi alla guerra. Chi sabotò i due tentativi? Aspettiamo una risposta, signor Cervi.
Intanto, proprio in quegli anni, al di là delle Alpi prendeva forma una figura che rivendicava i diritti alla vita dei tedeschi: Adolf Hitler. Un personaggio che a Mussolini non piaceva, anche se le sue rivendicazioni erano considerate giuste. Così arriviamo al 25 luglio 1934 quando i nazionalsocialisti dopo aver ucciso il Cancelliere austriaco Dollfuss tentano l’Anschluss; chi si oppose a Hitler? Se non ce lo dice il signor Cervi, ce lo faremo dire dal più noto giornalista svizzero, Paul Gentizon che scrisse: .
E veniamo nell’anno 1935. Il signor Cervi saprà (lo spero) che furono i Governi pre-fascisti ad avere mire sull’impero etiopico: 1882, 1885, 1887, 1888, 1890, 1895, sono date che il signor Cervi dovrebbe ben conoscere e ancor più approfonditamente quelle del 1887, del 1888 e soprattutto quella del 1896 queste ultime date sono bagnate dal sangue di nostri soldati che furono mandati allo sbaraglio dall’incoscienza dei Governi del tempo. E che dire della guerra italo-turca del 1911? Quella fu una guerra giusta, vero signor Cervi?
Torniamo, come abbiamo scritto al 1935, ma prima dobbiamo fare un passo indietro. Guido Gerosa, un antifascista tutto d’un pezzo (come il signor Cervi) ha scritto sul suo libro “Io Mussolini”, pag. 37 (siamo nel 1934). .
Ma l’episodio più grave avviene alla fine del 1934; ma lasciamo la parola allo storico Rutilio Sermonti che nel suo libro L’Italia nel XX Secolo ha scritto circa i fatti di Ual-Ual: . Chi legge queste note potrebbe chiedersi: “Perché un colonnello inglese”? Non so se al signor Cervi sorge il sospetto che, invece, sorge in noi; ci torna in mente, cioè, quanto disse Bernard Shaw (come abbiamo scritto all’inizio di questo lavoro): . Cioè, se l’intento dei Paesi capitalisti era la distruzione del fascismo, quale migliore occasione che far impelagare l’Italia in un conflitto difficile contro l’Etiopia? La trappola era scattata grazie all’arguta politica estera franco-britannica che riuscì a far credere che l’Italia avesse via libera all’azione all’impresa etiopica. Lo scrive lo stesso Winston Churchill (La Seconda Guerra Mondiale, 1° Vol., pag. 209): <È accertato che durante i loro negoziati Laval fece a Mussolini numerosi accenni all’indifferenza della Francia nei riguardi di qualsiasi evento che dovesse verificarsi in Etiopia>. Ma c’è da aggiungere qualche altro particolare: chiediamo al signor Cervi se conosce Nicolaos Politis. Forse non lo ricorda, proveremo a richiamarlo alla memoria. Dopo i fatti di Ual-Ual, il Negus rifiutò di inoltrare le scuse e di riconoscere le riparazioni richieste dal Governo italiano. L’indagine sulle cause dei fatti di Ual-Ual furono affidati ad una Commissione presieduta, appunto dall’esperto di diritto internazionale Nicolaos Politis, il quale, il 3 settembre 1935 sentenziò che la responsabilità degli scontri ricadeva sulle autorità abissine. Certamente il signor Cervi non sarà d’accordo.
E Sua Maestà il Re? Così Vittorio Emanuele III rispose al suo Primo Ministro: . E gli antifascisti’ Non ne parliamo. La Giornata della Fede ne fa testo: Benedetto Croce, Albertini, Orlando, Labriola tutti, senza tema di essere smentiti, affermo: tutti. Addirittura i comunisti con il loro appello ai “Fratelli in Camicia Nera”. E la Chiesa? Il gesuita Antonio Messineo su Civiltà Cattolica plaudì con due saggi intitolati: L’annessione territoriale nella tradizione cattolica e Necessità economica ed espansione territoriale. Dato che il 1945 era ancora lontano, il Cardinale Schuster richiamò, addirittura la volontà divina con queste parole: . E gli ebrei? Pure loro e più degli altri. Ecco cosa scrisse Israel il 10 ottobre 1935, in occasione del Kippur, quando i Rabbini invocarono il favore divino in questi termini: . Tutti entusiasti, ma non Mario Cervi, Lui aveva capito già tutto.
Grande fu lo scorno dei Paesi plutocratici i quali speravano che l’avventura etiopica potesse rappresentare anche la fine del fascismo e di Mussolini: l’Italia concluse, invece, la guerra etiopica in una manciata di mesi. Ma la profezia di Bernard Shaw doveva concretizzarsi e un passaggio obbligato era la Spagna con la sua guerra civile.
È impossibile in poche pagine descrivere come si giunse a quell’episodio. Ma questo servì per spingere sempre più l’Italia di Mussolini dalla parte della Germania di Hitler. Anche in questa vicenda un lettore attento potrebbe intravedere quali sarebbero stati gli scenari successivi. A fianco delle forze falangiste di Francisco Franco si schierarono l’Italia e la Germania. Dall’altra parte la Russia sovietica, la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti, cioè una situazione che solo apparentemente potrebbe apparire anomala, ma tutto seguiva una logica preordinata. Chiamiamo di nuovo Rutilio Sermonti a testimonio (L’Italia nel XX Secolo): . Questo concetto di Sermonti è suffragato da un’indagine condotta da Alessandro De Felice (nipote di Renzo De Felice) che ha riportato nel suo ultimo volume una intercettazione telefonica intercorsa fra Roosevelt e Churchill il 28 luglio 1943 e decifrata dai Servizi Segreti germanici; conversazione che riporteremo in uno dei miei prossimi lavori.
In questi anni e in quelli che seguiranno fu un susseguirsi di operazioni tendenti, da tutte le parti, a giungere ad un conflitto. Intanto la Germania era al Brennero, Hitler si stava riprendendo quel che era stato tolto alla Germania nel 1919 e spingeva Mussolini per un’alleanza militare che non voleva, tanto che aveva predisposto una gigantesca operazione di fortificazioni lungo il Brennero, il Vallo Alpino del Littorio. Però l’Italia rimaneva sempre più isolata in un contesto europeo di cui facevano parte, da un lato la Francia, la Gran Bretagna e gli stati Uniti, e dall’altro lo strapotere militare della Germania.
Ma ora una chicca circa la volontà tenace di Mussolini di mangiare pane e guerra, una chicca che forse neanche il signor Cervi conosce. Il 22 giugno 1936 Mussolini rilasciò un’intervista all’ex ministro socialista francese Malvy, ribadendo la propria disponibilità a collaborare con Francia e Inghilterra: . Questa testimonianza fu riportata da E. Bonnefour nella Histoire politique de la trisième Republique. Volete sapere se ci fu risposta? No, nessuna!
A fronte della persistente ostilità da parte delle democrazie (chiamiamole così) anche di quella oltre-oceano, come vedremo, per non rimanere isolata l’Italia fascista fu costretta ad avvicinarsi sempre più alla Germania nazionalsocialista. Perché questa politica conflittuale? Certamente se lo si chiede al signor Cervi, egli vi dirà che questa politica negativa non l’ha mai vista. Allora vediamo alcune testimonianze al di sopra di ogni sospetto. Winston Churchill nelle sue memorie notò: . Ancora Winston Churchill, 1° Volume, pag. 209: . Circa con le stesse parole lo storico inglese George Trevelyan (Storia d’Inghilterra, pag. 834): . L’intellettuale George Roux, nel 1957 (quindi in epoca non sospetta) scrive: . L’opinione dello storico e giornalista Paul Gentizon è stata riportata poco sopra.
Certamente chi scrive queste note non è davvero all’altezza di giudizio del signor Cervi, ma ciò non toglie che ha il diritto di esprimere delle opinioni, anche se sono diametralmente contrarie all’editorialista de Il Giornale. E il giudizio è questo: similmente a quanto scrisse Rutilio Semonti, le grandi democrazie volevano una guerra per abbattere quelle idee che sorgevano nel continente europeo e che si stavano estendendo in tutto il mondo, mettendo in grave crisi il sistema economico-finanziario vigente. E dato che i paesi democratici le guerre non le dichiarano, era necessario provvedere ad una serie di provocazioni. E così fu.
Fra le altre angherie concepite nel 1919 col così detto Trattato di Pace fu amputato una fetta del territorio tedesco, e si inventò il corridoio di Danzica, territorio nel quale il 95% della popolazione era di lingua tedesca.
Per rompere l’accerchiamento nel quale l’Italia era stata posta, il 22 maggio 1939 l’Italia firma il così detto Patto d’Acciaio. Per motivi di spazio risulta impossibile riportare i ripetuti tentativi effettuati da Mussolini per non far precipitare l’Europa in una guerra. È in questo contesto che subentra la diabolica volontà soprattutto dei Paesi democratici di scatenare il conflitto con una serie di subdole manovre. Il 31 marzo 1939 Francia e Inghilterra stipularono un patto militare con la Polonia con il quale i primi garantivano l’immediato appoggio militare al Paese balcanico in caso di attacco. Questo accordo fu in realtà una trappola per scatenare il conflitto, perché la Polonia fu lasciata sola a fronteggiare prima l’attacco della Germania e dopo pochi giorni anche quello dell’Unione Sovietica; il sacrificio della Polonia servì per giustificare l’entrata in guerra di Francia e Gran Bretagna e, come vedremo, degli Stati Uniti. Hitler avanzò delle proposte straordinariamente moderate alla Polonia affinché gli concedesse un passaggio attraverso il corridoio, ma il Governo polacco, rassicurato da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, rigettò ogni proposta germanica. George N. Crocker nel suo libro Lo Stalinista Roosevelt, a pag. 4, scrive: . No, signor Cervi, nessun errore di battuta: Crocker indica proprio Roosevelt e non Hitler o Mussolini. Vediamo perché. Ecco il Rapporto dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, datato 16 gennaio 1939, inviato a Varsavia: Fra l’altro si legge: 1) Un ravvicinamento della politica estera sotto la direzione del Presidente Roosevelt, il quale condanna drasticamente e inequivocabilmente gli Stati totalitari (ricordiamo che gli Usa erano ancora neutrali, nda). 2) I preparativi della guerra da parte degli Stati Uniti, per mare, per terra e nell’aria, che vengono spinti con ritmo accelerato. 3) La risolutiva intenzione del Presidente che Francia e Inghilterra pongano fine a qualunque politica di compromesso con gli Stati totalitari. Non devono entrare con essi in alcuna discussione, che possa avere per scopo un qualunque spostamento territoriale. 4) Una garanzia morale che gli Stati Uniti abbandoneranno la politica isolazionistica e saranno pronti, in caso di una guerra, a intervenire attivamente a fianco dell’Inghilterra e della Francia. Lo storico americano Thomas A. Bailey ha scritto: . Né va dimenticata la consegna alla Gran Bretagna di cinquanta cacciatorpediniere della Marina americana. Il leader tedesco rispose alle provocazioni palesemente illegali del Governo americano, ordinando ai comandanti delle sue navi di evitare scontri con le navi americane (C. Tansill, Back Door to War, pag. 606).
Il già citato storico americano, George Crocker nel suo libro a pag. 99, scrive: (Roosevel) trasformò gli Stati Uniti in una Nazione belligerante a tutti gli effetti anche se non in forma ufficiale. Egli aveva messo in atto una guerra senza dichiararla: lo stesso Ammiraglio Stark ebbe a scrivere, in una lettera privata, appena un mese prima di Pearl Harbor, queste testuali parole: “Che il Paese lo sappia o no, siamo in guerra.
Ed ora veniamo ai fatti che ancor più ci riguardano. Il 31 marzo 1940 Mussolini preparò un Piano strategico (Promemoria 328) che sottopose a Vittorio Emanuele III e a Badoglio; i destinatari trovarono il memoriale di rigore geometrico. Sarebbe interessante riportare nella sua pienezza tutta la Promemoria 328, ma motivi di spazio lo vietano. Tuttavia alcuni punti è bene proporli: (…). Credere che l’Italia possa rimanere estranea fino alla fine è assurdo e impossibile. L’Italia non è accantonata in un angolo dell’Europa come la Spagna, non è semi-asiatica come la Russia, non è lontana dai teatri d’operazione come il Giappone (…). Il problema non è quindi sapere se l’Italia entrerà o non entrerà in guerra perché l’Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra, si tratta soltanto di sapere quando e come; si tratta di ritardare il più possibile, compatibilmente con l’onore e la dignità, la nostra entrata in guerra (…). Ebbe così inizio quel breve periodo di non belligeranza, nella speranza, almeno riteniamo, che avvenga un nuovo miracolo di Verdin.
Il diplomatico Pietro Gerbore, in una intervista rilasciata, nell’aprile 1973, allo storico e critico musicale Piero Buscaroli, disse: C’è un documento unico. Di rado, nella storia della diplomazia, una decisione come quella del 10 giugno 1940 è illuminata da un retroscena altrettanto minuzioso e coerente. Non è sconosciuto, i pochi intenditori lo chiamano dal nome del suo autore: Il Rapporto Pietromarch. Ebbene il Rapporto Luca Pietromarchi – che il signor Cervi nella Sua risposta liquida con una alzata di spalle, non è uno, sono due. Il primo è datato 11 maggio 1940, il secondo 8 giugno dello stesso anno. Data l’importanza dei documenti li inserimmo nella loro completezza in un nostro volume. Si tratta di un elenco minuzioso che descrive le provocazioni che subimmo ad opera della Marina franco-britannica dalla fine del 1939 al maggio 1940. Il Capo dell’Ufficio Guerra Economica, Pietromarchi nei due memoriali inviati al Capo del Governo Benito Mussolini fornì l’elenco dettagliatissimo di come la Marina franco-britannica fu artefice di 1327 casi di sequestro avvenuti in acque territoriali, quindi contravvenendo ad ogni norma di Diritto internazionale, di mercantili italiani e navi di linea. Dal Rex la Marina inglese sequestrò, addirittura sacchi postali. Ebbene, a guerra finita Luca Pietromarchi venne accusato di essersi prestato a concepire documenti atti a giustificare l’entrata in guerra dell’Italia; cioè fu accusato di aver posto in rilievo gli atteggiamenti sgradevoli e vessatori degli anglo-francesi. Fra l’altro fu accusato di aver evidenziato la materiale impossibilità per l’Italia di continuare a tollerare un tale stato di fatto. Nell’impossibilità di provare che i Rapporti potessero essere tacciati di doppiezza, Luca Pietromarchi fu riammesso nella carriera diplomatica.
Prima di concludere è bene ricordare che abbiamo messo in evidenza le provocazioni subite dai Paesi totalitari, omettendo quelle ben più pesanti e gravi, messe in atto dai democratici a danno del Giappone.
Ci spiace arrecare un dolore al signor Mario Cervi, ma terminiamo con un giudizio del già citato Paul Gentizon: Ma se c’è un nome che, in tutto questo dramma, resterà puro e immacolato, sarà quello di Mussolini.
Invitiamo il signor Cervi a rivedere la Dottrina Monroe; se ben ricordiamo del 1923, così potrà spiegare ai suoi lettori i motivi delle centinaia di guerre di aggressione scatenate dagli Stati Uniti in ogni parte del mondo. E se il signor Cervi dovesse sostenere, come sostiene, che gli Stati Uniti esportano libertà e democrazia, allora risponderà per noi il generale Wellington: Signore, se lei crede a questo, allora può credere a qualsiasi cosa.

Chiudiamo con una domanda che dovrebbe sorgere spontanea: se quanto sin qui scritto corrispondesse a verità, perché a distanza di tanti anni da quegli avvenimenti si continua spudoratamente a mentire? La risposta potrebbe essere una: perché le lobby che allora si adoperarono per abbattere quelle idee sono ancora attente e sorveglianti in quanto sanno che quelle idee sono ancora oggi proponibili, e ciò metterebbe in pericolo troppi interessi di chi tanto possiede.

Nessun commento:

Posta un commento