sabato 17 aprile 2010
Ripeto: lavoratore sei stato truffato
QUESTO ARTICOLO E’ DEDICATO A QUEI LAVORATORI CHE PERDERANNO IL LAVORO
di Filippo Giannini
Nel mio precedente articolo “Simbiosi fra capitale e lavoro”, terminai con queste parole: "I comunisti che controllavano il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 26 aprile, proprio mentre si continuava a sparare ed era iniziato l’olocausto nero, abolirono la “Legge sulla Socializzazione”.
E questo per ripagare i grandi industriali che avevano finanziato la Resistenza. Fu il capolavoro di Mario Berlinguer, il padre di Enrico, il grande capitalista, super proprietario terriero. Era iniziata la beffa ai danni dei lavoratori".
Ed ora, caro lettore, leggi la motivazione: "Considerata l’alta sensibilità politica e nazionale delle maestranze e il carattere antinazionale e demagogico della pretesa socializzazione fascista (…". Queste parole le leggerei in modo che segue: "Mario Berlinguer, essendo un superproprietario terriero, ha curato i propri interessi, interessi che sarebbero stati intaccati dalla Legge sulla Socializzazione, allora approfittando della “nessuna sensibilità politica e nazionale delle maestranze e della loro ignoranza”, in nome della democrazia e della libertà ha riconsegnato i lavoratori all’arbitrio del capitale".
Mi sbaglio?
Benito Mussolini nell’ultima intervista (che passa come il suo testamento politico) rilasciata al giornalista Gian Giacomo Gabella, fra l’altro disse: "Il colmo è che i nostri nemici hanno ottenuto che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutto, si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli affamatori, del grande capitalismo". Dopo quattro giorni venne assassinato (e ancora oggi non si sa come) e il suo corpo appeso per i piedi a Piazzale Loreto.
Pochi giorni prima, esattamente l’11 marzo, Nicola Bombacci, uno dei fondatori del Pcd’I (Partito Comunista d’Italia) parlando al Teatro Universale, di fronte alle commissioni interne degli stabilimenti industriali, fra l’altro disse: "Il socialismo non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini che è socialista(…". Ma già in precedenza, a dicembre 1944, Bombacci visita la Mondatori, già socializzata traendone sorpresa ed emozione, così scrisse a Mussolini: "Ho parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione. Hanno detto che gli utili di questi primi mesi ammontano a circa tre milioni".
Tra la fine di quell’anno e i primi mesi del successivo parla a Como, Busto Arsizio, Pavia, Venezia, Brescia, privilegiando sempre il contatto con il mondo del lavoro.
Decisamente più significativa l’assemblea tenuta il 13 marzo allo stabilimento industriale dell’Ansaldo di fronte a più di un migliaio di operai. Bombacci parla di conquiste sociali operate dal fascismo, raffronta le condizioni del lavoro italiano con quelle degli altri Paesi e continua: "Fratelli di fede e d lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa. Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica sociale italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai". Iddio non concesse a Bombacci di vivere ancora per molto: poco più di un mese dopo fu allineato a ridosso del muretto di Dongo insieme ad altri compagni di fede e fucilato dai partigiani. Poco prima della scarica, alzò il braccio nel saluto romano e gridò: "Viva il socialismo".
Ora tu, operaio di Termini Imerese che fra poco non avrai più il lavoro, ringrazia Mario Berlinguer e i suoi compagni, essi ti hanno tolto la possibilità di godere della "ripartizione degli utili, destinandoli in parte ai lavoratori". Il testo così continua: (Il Consiglio di Gestione) decide inoltre sulla stipulazione dei contratti di lavoro aziendali con le associazioni di lavoratori e su ogni (attenzione Questo compete a te, licenziando) altra questione inerente alla disciplina e alla tutela del lavoro nelle imprese>. In altre parole, caro lavoratore che stai per perdere il posto di lavoro, Mussolini, con la legge sulla Socializzazione, ti faceva compartecipe, insieme al dirigente e al proprietario dell’azienda, non solo alla partecipazione degli utili, ma anche alla gestione dell’azienda.
Questa Repubblica nata dalla Resistenza, nella sua Costituzione riconosce, nell’articolo 46 attesta: "Ai fini della evoluzione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la repubblica riconosce il diritto (sic!) dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla leggi, alla gestione delle aziende".
È trascorso molto più di mezzo secolo da quelle enunciazioni, tu, operaio che hai perso il lavoro ne hai più sentito parlare? Perché?
Non te lo sei mai chiesto? Allora proverò a spiegartelo io e sfido chiunque a contestarmi: ripropongo quanto sopra ho scritto, e cioè: i vari "Mario Berlinguer, essendo un superproprietario terriero, ha curato i propri interessi, interessi che sarebbero stati intaccati dalla Legge sulla Socializzazione, allora approfittando della “mancanza di sensibilità politica e nazionale delle maestranze e della loro ignoranza”, in nome della democrazia e della libertà ha riconsegnato i lavoratori all’arbitrio del capitale".
Tu, lavoratore, potresti obiettare che quel che era valido settanta anni fa, oggi non lo è più. Riporto un pensiero dell’avvocato Manlio Sargenti:
"L’idea della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda del processo produttivo e, più ampliamente, al governo dello Stato è, a mio avviso, più che mai valida come unica alternativa ad una esperienza comunista dimostratasi fallimentare e ad una soluzione liberal democratica dei problemi della società e dello Stato che rivela ad ogni passo le proprie contraddizioni. È un’idea per il futuro, per la quale bisognerebbe combattere (…)".
A te lavoratore di Termini Imerese e a tutti coloro che si trovano nelle stesse tue condizioni, desidero farti osservare un’ultima cosa: se la tua azienda fosse stata socializzata, solo tu avresti potuto considerare la chiusura, perché oltre al proprietario, anche tu saresti stato compartecipe alla proprietà dell’azienda. Ora sai chi devi ringraziare delle tue sventure: il compagno Berlinguer e tutti coloro che ti avevano promesso il paradiso rosso, tutti compagni che altro non erano se non scherani del grande capitale plutodemocratico.
Quel che ho scritto ripetutamente, lo ripeto: “Sei stato truffato”, e questa truffa si perpetua da quasi settant’anni.
Articolo a cui fa riferimento l'ing. Filippo Giannini all'inizio di questo articolo:
http://pocobello.blogspot.com/search/label/Filippo%20Giannini%20-%20LAVORATORE%20%20SFRUTTATO-%20Filippo%20Giannini
http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_080301_Simbiosi.htm
Per gentile concessione dell'ing. Filippo Giannini.
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Mi è piaciuta una frase riportata nell'articolo da Giannini: "E questo per ripagare i grandi industriali che avevano finanziato la Resistenza". Una frase azzeccata, verace, in quanto sono stati sempre "lor signori" (industriali, poteri forti) a permettere che un dato "gruppo" potesse agilmente prendere il potere oppure no. Ma ciò è ancor più vero nel caso del fascismo che arrivò al potere in modo (come lo stesso Giannini ammette) non democratico. Il Popolo d'Italia ricevette finanziamenti chiari ed occulti, proprio perchè - sebbene fosse sottotitolato come quotidiano socialista - doveva portare scompiglio in quelle file... E non solo. Se Mussolini non avesse "virato" non avebbe mai avuto l'appoggio degli agrari, degli industriali e della borghesia tutta. Ci fu doppio malinteso fra la borghesia e Mussolini. I primi credettero di potersi servire di lui per abbattere le istanze rivoluzionarie che serpeggiavano nel paese (famosa è la frase di Lenin con la quale rimbrottava i compagni socialisti italiani, rei di aver perso l'unico uomo in grado di fare la rivoluzione in Italia). Mussolini, dal canto suo, credeva di poter "forgiare il carattere degli italiani" proprio come avrebbe fatto un fabbro con il ferro: colpendolo col martello sull'incudine. Più tardi si accorse del contrario, però.
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