venerdì 30 aprile 2010

Ezra Pound aveva ragione...


Ezra Pound ("La mia verità"):
" Nel 1929 circa ho rilasciato un’ intervista a Francesco Monotti del giornale «Lavoro Fascista».
In quest’intervista ho detto che l’ Inghilterra era morta e lasciava i cadaveri in strada; che la Francia era morta ma aveva avuto la decenza di seppellire i morti; che l’ Italia era l’ unico fra questi tre Paesi dove vi fosse qualche vitalità. ..."

Mentre l'Italia fascista portava a compimento quella memorabile impresa che fu "la battaglia del grano", portando la nostra Nazione all'autosufficienza nella produzione di frumento, e mentre paludi e terre malsane venivano strappate alla malaria per essere affidate al lavoro di migliaia di famiglie di contadini, in USA, URSS, in Inghilterra e nel resto d'Europa, la gente moriva di fame nelle strade delle città o nelle campagne incolte.

Ieri come oggi, la famelica speculazione finanziaria delle grandi banche aveva decretato il crollo dell'economia mondiale nel 1929, condannando milioni e milioni di persone alla povertà più assoluta ed alla morte per inedia, mentre in URSS la tirannia comunista, con il suo abominevole carico di storture disumane, riusciva a non essere da meno, portando a morire altri milioni di esseri umani.

L'italia fascista invece ferveva di lavoro, di conquiste sociali, di realizzazioni spettacolari in ogni campo. Ho fatto prima riferimento alla "battaglia del grano"; ebbene, prima dell'avvento del fascismo l'Italia pativa per una grave insufficienza alimentare derivante dalla scarsa produttività, con il risultato che bisognava importare ben 25 milioni di tonnellate di grano all'anno. A conclusione e come conseguenza di questa impresa, la nostra Nazione, oltre che ad avviarsi all'autosufficienza alimentare nel progetto più ampio dell'autarchia, riuscì a risparmiare circa 4 miliardi di lire all'anno. La cosa davvero importante era però un'altra: il fascismo aveva legato ad un palo gli speculatori di ogni risma ed al contempo aveva creato i propri nemici.

Altrove, come nella democratica America le cose andavano diversamente. Le leggi del mercato, del capitalismo criminale e cinico, protette da un governo che di democratico aveva, come ha tuttora, solo il bel nome, costringevano i nuovi poveri disoccupati e diseredati a morire davanti alle vetrine dei negozi, stracolme di beni destinati ai pochi con i soldi in tasca, preferendo distruggere tonnellate e tonnellate di cibo invenduto, per non turbare il mercato ed i prezzi, piuttosto che nutrire i bisognosi moribondi.

Questo è un pezzo di storia che gli americani hanno abilmente occultato per motivi facilmente comprensibili, a tutto beneficio dell'ignoranza dei loro sostenitori.

L'articolo, davvero illuminante, che segue, di Maurizio Blondet, fa riferimento ad uno studio specifico condotto dal russo Boris Borisov. ...
Link a questo articolo : http://www.effedieffe.com/content/view/3294/182/

La grande depressione in USA: 7 milioni di morti
Maurizio Blondet, 23 maggio 2008

Charlot che cucina e mangia una scarpa ne «Il Monello» è una scena che non si può dimenticare. Ma probabilmente pochi ricordano che il primo film «King Kong», l’originale in bianco e nero, comincia con la storia di un’attricetta che cerca di rubare una mela da una bancarella, perchè non mangia da tre giorni. Sono film girati nella Grande Depressione americana, 1931-1940, provocata dalla speculazione finanziaria e dalla crisi di Borsa del ‘29. Ora si scopre che quei film non esageravano per paradosso umoristico la situazione: secondo lo studioso russo Boris Borisov (1), oltre sette milioni di americani scomparvero nel decennio 1931-1940. Come ha fatto Borisov ad arrivare a questa cifra? Consultando le statistiche demografiche ufficiali dell’US Census Bureau: nascite, morti, immigrazioni ed emigrazioni. E’ lo stesso metodo in base al quale il demografo americano Alec Nove e lo storico britannico Norman Davies hanno cercato di stabilire il «costo umano del comunismo» ai tempi di Stalin: 11 milioni di russi risultano morti in eccesso sulla tendenza, scomparsi per fame e lager, più 22 milioni di morti nella seconda guerra mondiale durante la dittatura stalinista. Secondo Davies la cifra totale può essere stata di 50 milioni.
In ogni caso, le statistiche demografiche rivelano tragici vuoti nelle generazioni sovietiche. Sorprendentemente, la demografia USA rivela gli stessi tragici vuoti.«Secondo le statistiche ufficiali americane», scrive Borisov, «gli Stati Uniti persero non meno di 8 milioni e 553 mila persone fra il 1931 e 1945». Una parte a causa dell’emigrazione: durante la Grande Depressione il flusso migratorio si invertì, gli americani che cercarono una vita all’estero superarono quelli che immigrarono in America. Nel decennio precedente, il saldo degli afflussi era stato positivo per 2.960.782 nuovi arrivi. Per il decennio della Depressione, il saldo è negativo: 3 milioni e 54 mila persone se ne andarono. Ma come si giunge ad 8 milioni e passa di scomparsi? «Nel 1940, in base alla crescita demografica normale, gli USA avrebbero dovuto contare una popolazione di 141.856 milioni», risponde Borisov: «Invece nel 1940 la popolazione americana risultava di 131.409 milioni. Se sottraiamo i 3 milioni e passa spiegabili col deflusso migratorio, restano 7.394.000 persone che non esistono più nel ‘40. E non c’è alcuna spiegazione ufficiale del fenomeno».Borisov punta l’attenzione sul biennio 1931-1932: «Allora gli indici di crescita demografica cambiano due volte e in modo istantaneo, nel senso che scendono notevolmente, e restano allo stesso livello per il decennio seguente». Cosa accadde?Per Borisov, quei 7 milioni di americani morirono di fame e di stenti. Lo studioso sottolinea la coincidenza, non solo temporale, con l’Holodmor, la grande carestia sovietica provocata dalle crudeli esazioni del regime contro i coltivatori diretti, le confische forzate dei grani e persino delle sementi, che si concluse con la deportazione dei kulaki ucraini nel 1932-33 accusati di «sabotaggio» (privi di sementi, non poterono garantire il raccolto). La repressione portò praticamente alla mancata produzione agricola per anni, la fame infuriò in tutto l’impero sovietico. In Ucraina, vi furono casi di contadini che mangiarono i loro figli nati morti.Ma è possibile che qualcosa di simile sia avvenuto in America, in regime di libertà e di proprietà privata, con in più la politica sociale del New Deal rooseveltiano?«Pochi sanno», replica Borisov, «che cinque milioni di coltivatori americani, circa un milione di famiglie, furono espulsi dai loro terreni: pignorati dalle banche, perchè non riuscivano a pagare i debiti contratti. Gente che dovette lasciare la propria casa ed errare qua e là senza meta, senza denaro e senza proprietà; che si trovò confusa tra le masse di milioni di disoccupati, impossibilitata a trovare un lavoro, preda di sfruttamento gangsteristico».E’ esattamente il quadro, grandiosamente tragico, che il romanziere John Steinbeck ha descritto nel suo «Grapes of Wrath» (in italiano «Furore»): una povera famiglia di mezzadri, i Joads, cacciata dalla sua terra dai debiti, dalla miseria e dal Dust Bowl (in quegli anni, per giunta, le terre troppo sfruttate dalla nuova agro-industria si isterilirono, tutto il Midwest agricolo divenne una «scodella di polvere») vagano in cerca di lavoro e di dignità; e si ritrovano nella Central Valley californiana insieme a migliaia di altri disgraziati privati di tutto, angariati e sfruttati da padroni che hanno a loro disposizione, per mantenere l’ordine, dei criminali. Un autore americano di quegli anni, Jack Griffin, ha rievocato la sua infanzia in questo modo: «Ricordo che avevamo cambiato il solito cibo, ora mangiavamo quello disponibile. Invece dei cavoli, cucinavamo foglie. Abbiamo anche mangiato rane. Mia madre e la mia sorella maggiore morirono nel giro di un anno».
Nelle città la situazione non era migliore, come mostra il film di Charlie Chaplin e la storia dell’attricetta di King Kong che ruba una mela. Anzi. A New York, i negozi esibivano in abbondanza ogni ghiottoneria a basso costo (c’era la deflazione), ma era solo per i ricchi. La gente comune, disoccupata, non aveva i soldi per comprare. Centinaia di miglia di persone restavano a stomaco vuoto per giorni, davanti a vetrine rigurgitanti di carni, pollami, salumi. L’abbondanza era tale, che tonnellate di alimenti venivano regolarmente distrutte. Ciò perchè, anche durante il New Deal restarono in vigore le strette regole del «mercato»: i generi alimentari, che restavano invenduti in quantità per la crisi, venivano obbligatoriamente eliminati come «surplus». Distribuirli ai milioni di poveri affamati avrebbe turbato il mercato, facendo calare ulteriormente i prezzi. Dalle statistiche, risulta che 6,5 milioni di maiali furono uccisi e inceneriti nei crematori. Interi raccolti furono incendiati nei campi, migliaia di tonnellate di grano affondate in mare. Dieci milioni di ettari di terra agraria furono lasciati incolti per legge, perchè la «offerta» superava la «domanda» solvibile.Vero è che le grandi opere pubbliche lanciate da Roosevelt furono la salvezza per 3,3 milioni di disoccupati e contadini privati della terra; nell’insieme, 8,5 milioni di americani lavorarono nel decennio per le grandi opere, senza contare i detenuti, messi a lavoro forzato.Ma le ricerche di Borisov hanno messo in luce un dato finora sottovalutato: l’enorme peso della tassazione sui salari, dovuto appunto alla recessione, per contrastare gli introiti fiscali calati drammaticamente. Un lavoratore dei lavori pubblici riceveva 30 dollari al mese lordi, ma 25 andavano in tasse. Restavano 5 dollari al mese (allora con forte potere d’acquisto, ma non certo una buona paga) per scavare canali e costruire ponti e dighe in territori selvaggi e malarici, dormendo in baracche, dove gli incidenti sul lavoro erano all’ordine del giorno; praticamente quei poveracci lavoravano solo per aver da mangiare.Tutto ciò consente a Borisov (con una certa Schadenfreude) di paragonare il programma di opere pubbliche rooseveltiano al Gulag sovietico, la rete di campi di concentramento gestitit dall’NKVD (poi KGB) dove in quegli stessi anni milioni di russi morirono scavando canali nel nulla, come il famigerato canale Mar Bianco-Mar Baltico. A 30 sottozero.«La Public Works Administration (PWA) non era priva di somiglianza col Gulag sovietico», scrive infatti Borisov: «Aveva persino il suo Beria americano, nella persona del segretario al Tesoro Harold Ickes, che rinchiuse due milioni di giovani disoccupati in campi di raccolta». Harold LeClair Ickes (1874-1952) avrebbe poi applicato questa sua specializzazione all’inizio della guerra mondiale, quando - nel giro di 72 ore - internò in campi di concentramento tutti i cittadini americani di origine o discendenza giapponese. Un milione e centomila americani con gli occhi a mandorla furono istantaneamente rastrellati su ordine di Roosevelt (Executive order 9.066 del 1942), costretti a svendere i loro beni, e raccolti in dieci campi, donne, vecchi e bambini.

1) Boris Borisov, «Famine killed 7 million people in USA», Pravda, 19 maggio 2008.

tratto da: http://hesperia-nobis.blogspot.com/2009/09/ezra-pound-aveva-ragione.html

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