lunedì 18 gennaio 2010
Il deprimente spettacolo degli “amici della Palestina”
di Enrico Galoppini.
La linea di demarcazione tra i veri e falsi "amici della Palestina" e la stessa che passa tra chi vuole vivere da dominato e chi no.
Pensavamo di non doverci tornare sopra, ma ci eravamo sbagliati.
E non perché l'articolo scritto con Antonio Grego sull'«arma spuntata dell'Olocausto palestinese» sia da ritenere incompleto. No, lì c'è tutto l'essenziale che si deve capire sull'argomento [1].
Ma, una volta tanto, ci sia consentito di rilevare che lo svolgersi degli eventi conferma puntualmente quanto indicato allora nell'essenziale.
Accade oggi che a distanza di un anno dall'aggressione sionista a Gaza si assiste ad un proliferare di iniziative per ricordare le circa 1.400 vittime palestinesi, le migliaia di feriti ed invalidi, le proprietà e le infrastrutture distrutte ecc. Tutte cose degnissime, per carità, che nel loro intento sono di per sé lodevoli. Ma tutte le iniziative di questo tipo, promosse da gruppi pacifisti, per i diritti umani, filo-palestinesi eccetera insistono su un elemento: la “memoria”. Esse, nella varietà delle proposte (mostre fotografiche, documentari, conferenze, rappresentazioni teatrali, installazioni, marce, presidi ecc.) convergono nello stabilire una “Giornata della memoria” per le vittime di Gaza.
Ora, tutti sono a conoscenza che esiste una “Giornata della memoria” per antonomasia, che è quella dedicata alle “vittime ebree dell'Olocausto”, e hai voglia a spiegare che si tratta, come minimo, di una trappola [2]. Ad ogni buon conto, per i fautori della “causa palestinese” anche le vittime di Gaza devono avere una loro “Giornata della memoria”. Ma attenzione: per non essere troppo 'irrispettosi', questa giornata deve concludersi (ormai le “giornate” sono, come minimo, settimane) entro il 20 gennaio, quando dev'essere lasciato il palcoscenico alla “giornata” che culminerà, in un crescendo di “rivelazioni” che spazzeranno via ogni pur minimo risultato raccolto con la “memoria palestinese”, nella Festa del 27 gennaio, quando le trombe della propaganda suoneranno all'unisono per rinnovare il rito sadomasochistico di chi deve vivere in eterno sottomesso politicamente ed ideologicamente.
Ma a questo punto si finisce nello psicanalitico, perché è probabile che l'insistenza sulla “memoria palestinese” derivi da una specie di ripicca, di 'rilancio' sul terreno delle “memorie”, come a dire agli ebrei: “Guardate che ora vi sbattiamo in faccia una memoria importante come la vostra”, anche se si è consci che non la si spunterà mai e che, al fondo, ci dispiace intaccare il primato della “memoria dell'Olocausto”. È come se a pelle si sentisse che c'è qualcosa che non va in tutto questo profluvio di “memoria olocaustica” mentre i palestinesi vengono massacrati, ma poi, come per essere sicuri di non fare un 'favore' al “fascismo eterno” (quello che ha “sterminato 6 milioni di ebrei” e oggi... massacra i palestinesi!) [2bis] si osasse sì 'spararla', ma non troppo, così alla fine il massimo che si riesce a proporre è una “giornata della memoria palestinese”, come per mettersi la coscienza a posto verso i palestinesi, angariati dagli ebrei, ma senza nuocere agli ebrei stessi (i veri idoli, sin dalla loro formazione intellettuale, degli antifascisti di tutte le estrazioni, 'credenti' e 'laici').
Ma in realtà, già per il fatto di reclamare una “Giornata della memoria” anche per i palestinesi, si dichiara di aver completamente introiettato il paradigma ebraico-sionista da cui deriva l'insistenza sulla “memoria olocaustica”. Infatti, a parte le considerazioni di carattere psicanalitico su esposte, ci sta che l'esercizio della “memoria” contribuisca con l'andar del tempo a scambiare il “non dimenticare” con l'aver raggiunto qualche risultato concreto, col risultato della formazione di una specie di clero che officia un rituale in cui l'ossessivo “ricordo” di Sabra e Shatila, di Qana, di Jenin, di Gaza ecc. finisce per plasmare la forma mentis del 'filo-palestinese di professione', a quel punto intimamente ebraizzatosi in quanto per lui i palestinesi finiscono per rappresentare il novello “ebreo oppresso e perseguitato”: da cui il delirante messaggio del cosiddetto “Olocausto palestinese” [3].
Va perciò detto che la “memoria” coltivata in tal senso ed imposta a chi deve flagellarsi in un perpetuo senso di colpa incapacitante (lo si constata anche nell'azione dei filo-palestinesi stessi, mai decisiva), ha una precisa matrice ideologico-religiosa che è il pensiero ebraico-sionista, col Sionismo che riscuote i principali vantaggi da tutto il battage olocaustico. Il Sionismo non è infatti un mero “progetto coloniale” (come sostengono molti “filo-palestinesi”), ma un progetto di dominio mondiale (attenzione alla parola “dominio”, che implica ben più che il “potere”): non si spiega infatti come mai tutti i capi di Stato e le personalità di tutto il mondo devono genuflettersi di fronte ai simboli e ai rappresentanti di un semplice caso di nazionalismo/colonialismo, per giunta 'in ritardo' rispetto agli altri casi storicamente noti.
Quindi, se non proprio “gli ebrei”, almeno i sionisti dovrebbero essere considerati “i nemici” da coloro che si situano nel “campo filo-palestinese”. E la prima cosa da fare con un “nemico”, per sconfiggerlo, è studiarlo, comprenderlo a fondo. Ma a quanto pare, questi sionisti vengono detestati solo in quanto rappresentano una manifestazione del “fascismo eterno”, per cui Sharon, Lieberman e la Livni sono tutti “fascisti” e “nazisti”, da odiare come Mussolini e Hitler.
Se fossero un po' più avveduti, invece, tutti questi paladini della Palestina, che senz'altro si rendono conto che le loro iniziative sono silenziate dagli stessi media infeudati al Sionismo, dovrebbero imparare subito una lezione: che la “memoria” di Gaza (e di Sabra e Shatila ecc.) sarà sempre di serie B rispetto alla “memoria” ebraica stamburata a ritmo ossessivo nelle scuole, tanto per citare un ambito nel quale già solo l'idea di proporre una giornata di riflessione sulla tragedia dei palestinesi provocherebbe quanto meno la sospensione dell'incauto professore che dimostrasse cotanto ardire. E, se proprio dovesse tenersi, il rappresentante della Palestina dovrebbe essere accompagnato da un “sopravvissuto di Auschwitz”!
Infatti, non è un caso che i professionisti del “dialogo israelo-palestinese” (come se il problema fosse “tra due popoli”!) si facciano vedere in giro sempre con qualche “ebreo per la pace”, esibito a mo' di garanzia che le loro iniziative non possono essere tacciate di “antisemitismo” [4]. Si tratta, in fondo, del medesimo atteggiamento che sta alla base dell'entusiastica accettazione delle “condanne di Israele” provenienti da organismi dell'Onu (ovvero la stessa creatura massonica e mondialista con sede a New York) presieduti immancabilmente da ebrei. È il caso del “Rapporto Goldstone” o delle prese di posizione di tale Richard Falk, i quali rinnovano la secolare tradizione, cominciata con Herbert Samuel, di posizionare in posizione 'neutrale' sempre degli ebrei.
Dopo di che, i cosiddetti “filo-palestinesi” (abbiamo già anche spiegato altrove che essere solo “filo-palestinesi” ha in definitiva poco senso se si è capito la portata del Sionismo come ideologia del dominio di un “Occidente” giunto a completa maturazione) dovrebbero anche capire che se un paradigma è farina del sacco del “nemico” (ma a questo punto sorgono seri dubbi che per costoro lo sia...) significa che è proprio lui a saperlo utilizzare al meglio e a trarne i maggiori, se non gli unici, benefici. Infatti, nel migliore dei casi, dopo il fiasco mediatico delle iniziative pro-“memoria palestinese”, si ergono dai promotori grida di scandalo per il boicottaggio mediatico riservato ad iniziative che essi speravano sortissero grande attenzione e che invece sono state regolarmente snobbate. Ma non si chiederanno mai il perché della somma indifferenza di fronte alla “memoria palestinese”, che pure dovrebbe suscitare, in un ambiente così 'sensibile' al piagnisteo, fiumi di lacrime di commozione. E invece nulla, silenzio totale.
Come abbiamo già spiegato, per capacitarsi del perché la “memoria palestinese” è perennemente condannata a finire nel... dimenticatoio, essi dovrebbero andare al fondo del significato del Sionismo, la cui propaganda “antifascista”, palese e camuffata, condiziona nelle scelte fondamentali di politica estera ed interna, da oltre sessant'anni, la vita di noi italiani e mediterranei. Ma se lo facessero, come primo atto eviterebbero di portarsi appresso, ad ogni iniziativa, la “pacifista israeliana”, il “sopravvissuto dell'Olocausto” ed altri lasciapassare per garantirsi una “rispettabilità” peraltro implorata presso lo stesso sistema dominato dai sionisti! Tale “rispettabilità”, sia detto a chiare lettere, non è affatto richiesta dai palestinesi, che combattono e rimangono attaccati alla loro terra senza la necessità di alcuna patetica giustificazione [4bis].
Ad un livello più profondo, inoltre, un simile atteggiamento mai intransigentemente antisionista è indice di un sotteso giudizio moralizzante che stabilisce una graduatoria di merito addirittura tra gli stessi palestinesi. Molti filo-palestinesi, infatti, che criticano ad ogni occasione “le violenze di Hamas”, auspicano di veder popolata la Palestina di tanti 'Gandhi in kefia'. Tuttavia, la causa dei palestinesi – ma il discorso vale per qualsiasi causa – o la si abbraccia in toto o è meglio lasciar stare, altrimenti si fanno solo danni. Ci sta anche che qualche personaggio sia stato piazzato a capo di qualche “forum” per occupare uno spazio che altrimenti verrebbe riempito da altri, ben più incisivi, ma stabilita per principio la buona fede della maggioranza davvero non si capisce proprio cosa significhi attirare la compassione solo sui “civili palestinesi” e dimenticare i combattenti delle varie Brigate che in armi difendono la loro terra. Quale distinzione è mai quella tra “civili” e non in una terra occupata? I caduti in battaglia, anzi, in un simile contesto dovrebbero ricevere ancor più rispetto! Ed è infatti quel che fanno i palestinesi stessi, che tappezzano le strade delle loro cittadine coi volti dei “martiri” caduti in combattimento, mica con quelli dei vecchietti e dei bambini che invece dovrebbero far impietosire, negli intenti dei pacifisti, un pubblico occidentale troppo impegnato nel leggere il Diario di Anna Frank per accorgersi di loro come si deve e, soprattutto, comprenderne a fondo le motivazioni e rendersi conto che “siamo sulla stessa barca”...
Lo spettacolo che abbiamo davanti agli occhi è desolante, sconfortante, irritante. Abbiamo compagnie teatrali che mettono in scena, da decenni, la solita pappardella antifascista su Sabra e Shatila; “tavoli della pace” che chiedono la “fine delle violenze”, come se si trattasse di placare una dea tirannica ed infuriata; “rappresentanti” della Balestina con la B che in Italia han “trovato l'America” e perciò hanno caricato il disco del “ritiro dai Territori occupati”, come se quei “violenti” che ancora stanno là a combattere non intendessero liberare tutta la Palestina, “dal Giordano al mare”.
Ora, non è che pretendiamo che tutti quelli che, per un motivo o per l'altro, prendono in simpatia la causa dei palestinesi capiscano d'un tratto tutte le implicazioni della cosiddetta “questione palestinese”. La Palestina, per ciascuno, diventa importante per differenti motivi, ma la cosa grave è che per i più essa diventa una proiezione delle rispettive predilezioni politico-ideologiche, come già abbiamo rilevato in un articolo su Hamas e l'antifascismo [5].
Però, essi un dovere ce l'hanno. Se davvero vogliono stare “dalla parte dei palestinesi” abbiano il coraggio di dire una cosa: “Israele” deve sparire. Deve scomparire dalla carta geografica quest'inganno storico, religioso, culturale, giuridico, politico ed economico [5bis]. Perché la sua esistenza ha sì stravolto la vita dei palestinesi, ma condiziona pesantemente la vita di noi italiani che viviamo nel Mediterraneo, che da Mare Nostrum è diventato, con la scusa di “difendere Israele”, un Gallinarium Americanum [6].
Allora, cari “amici della Palestina”, vediamo di darci una svegliata. Dopo di che, di tirare una bella linea di demarcazione. Chi di voi non aspira alla “fine di Israele”, coi suoi abitanti che, in un modo o nell'altro, o dovranno andarsene e tornare da dove sono venuti oppure dovranno integrarsi con le popolazioni autoctone in uno Stato che si chiamerà “Palestina” [7], ammetta candidamente di non aver le carte in regola per dirsi “amico della Palestina”.
La linea di demarcazione è tra chi ha capito che il Sionismo rovina la vita di tutti, in primis nel Mediterraneo, e chi, invece, magari ostentando una kefia, nel cuore custodisce una kippà.
NOTE
[1] E. Galoppini / A. Grego, L'arma spuntata dell'«Olocausto palestinese». Rafforzamento del dogma olocaustico e vicolo cieco dell'antifascismo. Cpeurasia.org, 20 ottobre 2009 (http://www.cpeurasia.org/?read=36445).
[2] E. Galoppini, Le amnesie della «Giornata della memoria». Cpeurasia.org, 27 gennaio 2009 (http://www.cpeurasia.org/?read=17801).
[2bis] Sul sito del CPE abbiamo già scritto diversi interventi chiarificatori (naturalmente a beneficio di chi ha l'attitudine e la predisposizione intellettuale a capire), ma è bene insistere su questo punto, particolarmente ostico da comprendere, per ovvi motivi, e suscettibile perciò di equivoci che desideriamo fugare. Il “fascismo eterno” è, in buona sostanza, l'URfascismo teorizzato da Umberto Eco e adottato solo in apparenza esclusivamente “a sinistra”. Il nuovo antifascismo del XXI secolo è una chiave di lettura 'universale' degli eventi storici, politici, economici, culturali, finanche artistici ecc.; un paradigma da utilizzare per giustificare ogni canagliata, ogni porcheria dei regimi liberaldemocratici, “di destra”, “di centro” e “di sinistra”. Il “fascismo”, per chi assume tale chiave interpretativa, non è più, dunque, un fenomeno politico collocato nella storia (1922-1945), bensì un demone invisibile che si aggira intorno a noi, pronto a invadere le menti, a nascondersi nei recessi delle nostre anime e a prendere, subdolamente o esplicitamente, il controllo di ogni situazione o sistema politico: l'unico trattamento possibile, così stando le cose, resta perciò il divieto di pronunciarne il nome senza un rituale esorcismo!
[3] Ad un livello più profondo, anche se questa non è la sede per affrontare l'argomento, osserviamo di passata che l'insistenza sulla “memoria” di un 'fatto' quale l'Olocausto degli ebrei delinea uno dei vari elementi nei quali si struttura la parodistica “religione dell'Olocausto”. Infatti, essendo l'oggetto del “ricordo” in ogni tradizione ortodossa il “nome di Dio”, il fatto che per una simile contraffazione - che s'impone solo ove la tradizione si è irrimediabilmente corrotta - il “ricordo” debba esercitarsi su un oggetto profano quale il nome di un “popolo eletto e perseguitato” ha un che d'inquietante che non può essere colto da chi ha sposato solamente una chiave di lettura profana del mondo e della storia. Si noti inoltre che come conseguenza dell'«Olocausto palestinese» abbiamo le definizioni “diaspora palestinese”, “Gaza lager” ecc.
[4] E. Galoppini, L'accusa di «antisemitismo»: finzione e realtà. Cpeurasia.org, 28 ottobre 2009 (http://www.cpeurasia.org/?read=37265).
[4bis] Pare in effetti che non sia più possibile organizzare iniziative per la Palestina senza invitare un “ebreo sopravvissuto dell'Olocausto”. Accade addirittura – sia in Italia che all'estero - che l'ebreo stesso diventi la star dell'evento, con la conseguenza che quelle iniziative che non si fregiano di una simile presenza vengono guardate con sospetto nello stesso campo “filo-palestinese”...
[5] E. Galoppini, La 'leggenda nera' di Hamas e il vicolo cieco dell'antifascismo. Cpeurasia.org, 5 gennaio 2009 (http://www.cpeurasia.org/?read=16777).
[5 bis] A. B. Mariantoni, Il “tandem” US-Israel nel Vicino Oriente, novembre 2006 (http://www.vho.org/aaargh/fran/livres6/Mariantoni06.pdf).
[6] A. B. Mariantoni, Dal “Mare Nostrum” al “Gallinarium Americanum”. Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente. “Eurasia” 3/2005, pp. 81-94. Qua un elenco delle basi e delle installazioni Usa e Nato sulla nostra terra e non solo, estratto dal medesimo articolo: http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/wlgo/marianto.htm.
[7] E poi, auspicabilmente, assorbito in un'unità sovranazionale regionale, in linea con la tendenza alla formazione di macroregioni polarizzate su alcuni centri aggreganti.
02/01/2010
tratto da: http://www.italiasociale.org/alzozero10/az020110-3.html
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